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Articolo 1573 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Durata della locazione

Dispositivo dell'art. 1573 Codice Civile

Salvo diverse norme di legge [1607, 1629], la locazione non può stipularsi per un tempo eccedente i trent'anni [1350 n. 8, 2643 n. 8]. Se stipulata per un periodo più lungo o in perpetuo, è ridotta al termine suddetto(1)(2).

Note

(1) Si vedano gli articoli 27, 28, 58, 59, 67, L. 27 luglio 1978, n. 392.
(2) E' ammesso, però, che vi siano varie proroghe di un contratto di durata inferiore al limite.

Ratio Legis

Il divieto è volto ad evitare una eccessiva compressione della libertà contrattuale.

Spiegazione dell'art. 1573 Codice Civile

Locazioni ultratrentennali. Riduzione

La disposizione contenuta nell'articolo in esame è ispirata, al pari di quella dell'articolo precedente, dalla convenienza di non tener separata per un tempo troppo lungo o addirittura in perpetuo la proprietà dalla utilità che da essa può ritrarsi. La locazione della durata di un trentennio è sempre una locazione assai lunga, ma lo svantaggio del vincolo protrattosi per tanto spazio di tempo è compensato dallo stimolo che i conduttori ricevono ad eseguire opere e miglioramenti idonei a rendere più produttiva la cosa locata.
Le locazioni fatte per oltre trenta anni o in perpetuo non sono nulle, ma debbono restringersi a trenta anni.

Non è infrequente l'ipotesi che sia inserita nel contratto di locazione una clausola in virtù della quale la locazione s'intenderà rinnovata successivamente fino al verificarsi di un dato avvenimento. In questo caso ritiene che la locazione sia unica e, in ogni caso, la sua durata dovrà essere ridotta al trentennio.
La riduzione potrà essere invocata tanto dal locatore quanto dal conduttore, ma può anche darsi che il trentennio decorra e la locazione continui ad avere il suo corso. In questa ipotesi non è il contratto originario che prolunga la sua esistenza, ma si ha un nuovo contratto di locazione ai sensi dell'art. 1597 cod. civ., regolato alle stesse condizioni della precedente locazione, salvo per la durata che è quella stabilita dalla legge per la locazione senza determinazione convenzionale del tempo.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

388 Ho mantenuto a trenta anni (art. 425) il termine di massima durata della locazione che la Commissione reale aveva proposto di elevare a novantanove anni (art. 417).
Un termine che si avvicini al secolo rende illusorio il divieto di stipulare locazioni perpetue. Esso vincola le iniziative e gli interessi di più generazioni, rende difficile la circolazione dei beni e allontana il proprietario dalla gestione e dai doveri che la proprietà comporta.
Il termine trentennale si riferisce così alla locazione di immobili come a quella di mobili, per quanto ne sia rara l'applicazione per questi ultimi, i quali hanno in sé insita una naturale consumabilità; l'art. 425 lascia salve le diverse disposizioni di legge perché deve coordinarsi ai principi speciali concernenti le locazioni di fondi rustici (in particolare ai terreni da rimboschire) e a quelli relativi alle case di abitazione.
Non ho ritenuto necessario proclamare espressamente che ogni patto contrario è nullo, come fanno il codice civile e il progetto del 1936, essendo chiaro, per quanto ho detto, il carattere d'ordine pubblico del limite trentennale.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

689 La locazione è un rapporto di durata che talora ha un minimo determinato dalle norme corporative (art. 1628 del c.c.) e sempre un massimo fissato dalla legge (art. 1573 del c.c., art. 1607 del c.c., art. 1629 del c.c.) Non sono valide le locazioni perpetue; e il minimo e il massimo di cui si è fatto cenno, è ovvio che dovranno automaticamente inserirsi nel contratto, in sostituzione di clausole difformi (arg. art. 1339 del c.c.). L'omessa determinazione convenzionale della durata della locazione dovrebbe importare, secondo i principii, la facoltà di recesso salve preavviso (in tal senso gli art. 1569 del c.c. e art. 2118 del c.c.). Ciò infatti si è stabilito per le locazioni di beni produttivi che non siano fondi rustici (art. 1616 del c.c.), ma, per ogni altra locazione, il codice ha fissato una durata che opera nel silenzio delle parti, allo scopo di garantire una persistenza del rapporto, adeguata al suo contenuto economico (art. 1574 del c.c.). Sicché, tranne il caso dell'art. 1616, tutti i contratti di locazione sono a tempo determinato; con questa differenza, che quando la durata è stabilita dalla legge, il contratto non si scioglie se non vi è disdetta, mentre la disdetta non è necessaria quando la durata risulta dalla volontà delle parti. Nel codice civile abrogato (art. 1632), a proposito della locazione dei fondi rustici, si stabiliva che essa cessava di diritto con lo spirare del termine, anche se non fissato dalle parti. Tale trattamento non aveva ragion di essere ed è stato soppresso. La rinnovazione tacita (art. 1597 del c.c.) basata sul fatto concludente di rimanere ed essere lasciati nella detenzione della cosa, non può configurarsi che per le locazioni a termine stabilito dalle parti, perché quelle a tempo indeterminato durano indefinitivamente se non sia intervenuta disdetta preventiva. Ma intervenuta disdetta, sia per le locazioni a termine, sia per quelle senza termine, non può essere opposto che il contratto si sia rinnovato tacitamente; tranne che, a motivo di fatti concludenti, diversi dal semplice rimanere ed essere lasciati rimanere, sia possibile cogliere il consenso del locatore alla rinnovazione del contratto (art. 1597 del c.c., terzo comma). Rinnovazione alle stesse condizioni e proroga si equivalgono; si pone in essere sempre una nuova locazione con estinzione delle garanzie già prestate da terzi (art. 1598 del c.c.). La nuova locazione, derivante da proroga o rinnovazione tacita, è regolata dalle stesse condizioni della precedente, tranne che per la durata: la durata non è quella stabilita dalle parti per la locazione scaduta, ma quella stabilita dalla legge per le locazioni senza determinazione di tempo (art. 1597, secondo comma). In conseguenza, una locazione a tempo fissato dalle parti, che sarebbe cessata di diritto con lo spirare del termine, una volta tacitamente rinnovata o prorogata non cesserà se non per disdetta.

Massime relative all'art. 1573 Codice Civile

Cass. civ. n. 2137/2006

In tema di durata della locazione, il limite massimo previsto dall'art. 1573 c.c. deve intendersi applicabile non solo quando sia stata pattuita sin dall'inizio una durata eccedente i trenta anni ma anche quando, pur pattuita una durata inferiore, sia stata in contratto altresì prevista la rinnovazione del rapporto per un numero indeterminato di volte, in quanto la pattuizione della rinnovazione è valida ed efficace soltanto nei limiti temporali del trentennio, altrimenti realizzandosi attraverso la pattuizione di successive rinnovazioni proprio ciò che la norma ha inteso escludere in occasione della prima stipulazione del rapporto, con conseguente elusione del divieto dalla stessa norma stabilito. Pertanto, qualora le parti (come nella specie) abbiano inserito nel contratto la clausola secondo cui il locatore sia vincolato a non fare cessare il contratto alla scadenza se non per determinate proprie necessità, il decorso di un trentennio dal suo inizio comporta che, ove il rapporto alla scadenza si sia rinnovato per il periodo successivo, di esso ben può legittimamente darsi disdetta indipendentemente dal verificarsi delle indicate necessità. (Nella specie, la S.C., nel confermare la sentenza di merito che aveva affermato la legittimità della disdetta della locazione, ha anche ritenuto manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 1573 c.c., sollevata dal conduttore ricorrente in relazione agli artt. 3 e 41 Cost., osservando, da un lato, che la diversa disciplina rispetto al contratto di comodato è giustificato dalla diversa funzione dei due negozi e, comunque, il concedente può far cessare il comodato in qualunque momento e, dall'altro, che una eccessiva durata della locazione comprimerebbe il diritto di iniziativa economica che è garantito proprio dal predetto art. 41 Cost.).

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Consulenze legali
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A. C. chiede
lunedì 18/12/2023
“Buonasera, sono già stato vostro cliente con ottima soddisfazione. Vi sintetizzo la circolare di Airbnb (il colosso americano delle affittanze brevi) che vi allego di seguito, con la quale il sito ci annuncia che nel 2024 inizierà a trattenere e versare la ritenuta (che loro chiamano cedolare secca) sui redditi degli Host.
A mio avviso ci sono diverse asserzioni superficiali e non corrette sotto il profilo fiscale e commerciale:
1) la prima di tutte è che il regime della cedolare secca è un regime opzionale che lo Stato offre ai proprietari di immobili che danno in locazione i loro appartamenti e questi proprietari possono liberamente OPTARE per questo tipo di tassazione, ma possono anche RIMANERE nella normale tassazione IRPEF. A mio avviso, quindi, il sito dovrebbe chiedere, uno per uno, ai suoi organizzati Host se vogliono ADERIRE alla cedolare secca o se NON lo vogliono.

2) La seconda consiste nel fatto che tra gli Host c’è una MOLTITUDINE di operatori (tra i quali mio figlio) che operano in virtù di un regolare contratto di locazione e che a loro volta locano l’immobile per brevi periodi ai turisti. In questi casi il proprietario dell’immobile paga la cedolare secca (o l’IRPEF) sul canone che percepisce dall’Host e quest’ultimo paga l’IRPEF sui redditi che trae dalle affittanze ai turisti.
A mio avviso il Sito Airbnb NON PUO’ APPLICARE nessuna cedolare secca a questi Host per il motivo che NON SONO PROPRIETARI in quanto il regime di cui sopra è riservato solo ai proprietari !

3) Aggiungo inoltre che applicando indiscriminatamente la cedolare secca a tutti i loro Host, palesemente creeranno una turbativa nel mercato degli affitti brevi penalizzando gli Host affittuari in quanto gli Host proprietari pagano soltanto la cedolare secca mentre gli Host affittuari dovranno pagare la cedolare secca ed anche l’affitto al loro locatore.
Mi piacerebbe, in punto di diritto, sapere se le mie perplessità hanno un fondamento legale.
A disposizione per eventuali chiarimenti
Cordiali saluti

CIRCOLARE EX AIRBNB
Gentile ...,

Ti contattiamo per darti un aggiornamento riguardo la ritenuta sui redditi degli host in Italia.

Airbnb ha firmato un accordo con l'Agenzia delle Entrate relativo alla ritenuta sui redditi degli host non professionali derivanti da locazioni brevi (“cedolare secca”) in relazione agli anni fiscali dal 2017 al 2021 ( n.d.r.:per un totale di 579 milioni di euro). Airbnb non cercherà di recuperare dagli host le ritenute fiscali per questo periodo.

L'accordo stipulato da Airbnb non comprende gli anni fiscali 2022 e 2023. I termini per pagare le imposte sul reddito per il 2022 e per presentare la relativa dichiarazione sono scaduti. Invitiamo gli host che non l’abbiano ancora fatto a rivolgersi al proprio consulente fiscale al fine di valutare l'opportunità di utilizzare il ravvedimento operoso entro il 28 febbraio 2024 per beneficiare di sanzioni ridotte a fronte di un versamento e dichiarazione delle tasse tardivi.

Nell'ottobre 2023, il Governo italiano ha presentato la Legge di Bilancio per il 2024 che, nella sua versione attuale, chiarisce come le piattaforme dovrebbero effettuare in futuro la ritenuta delle imposte sul reddito degli host non-professionali in Italia. Intendiamo iniziare a trattenere e versare la ritenuta (“cedolare secca”) sui redditi degli host rilevanti in Italia in relazione a soggiorni a breve termine fino a 30 giorni. Condivideremo maggiori informazioni sul punto all'inizio di gennaio.

L'Italia è un mercato importante per Airbnb e ti ringraziamo di essere un host straordinario. L'accordo di oggi significa che possiamo concentrarci nella continuazione della nostra collaborazione con le autorità italiane in materia di tasse, regole per le locazioni brevi e turismo sostenibile, a vantaggio degli host e degli ospiti.

Cordiali saluti,
Il team Airbnb”
Consulenza legale i 29/12/2023
Per rispondere ai quesiti posti, è necessario fare riferimento alla normativa introdotta dal Decreto Legge 24.04.2017 n.50.
Ai sensi dell’art. 4 della citata normativa, si definiscono "locazioni brevi" i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali, stipulati da persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare”.
Ai fini della predetta normativa, sono assimilati ai contratti di locazione breve anche i contratti di sublocazione, se stipulati alle condizioni che configurano una locazione breve.
Il comma 2 dell’art. 4 stabilisce che i redditi derivanti dai contratti di locazione breve, come sopra definiti, sono soggetti ad una ritenuta con aliquota del 21% in caso di opzione per la cedolare secca a decorrere dal 1.06.2017. Trattasi quindi di una normativa già vigente da anni.
La normativa prevede, a carico degli intermediari (tra cui rientra Airbnb),
  • l’obbligo di raccolta e comunicazione alle autorità fiscali dei dati relativi ai contratti di locazione stipulati per il loro tramite e
  • l’obbligo di ritenuta dell’imposta dovuta sulle somme versate dai conduttori ai locatori, ove l’intermediario sia intervenuto nel pagamento, ed il conseguente versamento dell’imposta all’erario.
    La ritenuta operata dall’intermediario può assumere la veste della ritenuta d’acconto o della cedolare secca a seconda della scelta effettuata dai locatori in sede dichiarativa.
Pertanto Airbnb è obbligato ad operare, in qualità di sostituto d’imposta, una ritenuta del 21% qualora la piattaforma intervenga nella fase del pagamento, e il locatore sceglierà se optare in dichiarazione per la cedolare secca oppure in assenza di opzione verrà considerata ritenuta d’acconto. L’opzione spetta al contribuente il cui regime naturale (in assenza di opzione per la cedolare) è quello dell’Irpef, con possibile scomputo della ritenuta a titolo d’acconto subita e trattenuta dall’intermediario.

Rispondendo pertanto al punto 1 del quesito, il regime della cedolare secca è un regime opzionale, ma l’intermediario non ha alcun onere di chiedere a ciascun host il trattamento che ciascuno intende utilizzare; sarà il contribuente in sede dichiarativa a optare o meno per la cedolare secca.
Rispondendo al punto 2 del quesito, si ricorda che la normativa delle locazioni brevi sopra esposta è applicabile anche alle sublocazioni. Pertanto l’intermediario applicherà la ritenuta del 21% sul reddito percepito dal locatore, sia esso proprietario o no.
Rispondendo al punto 3 invece, non si rilevano turbative nel mercato degli affitti brevi. Quello che viene tassato è sempre il reddito percepito, a nulla rilevando gli eventuali costi che il percettore del reddito stesso deve sostenere per la produzione del reddito. Pertanto se il provente è conseguito senza l’aggravio di oneri di locazione a carico del locatore, lo stesso potrà certamente godere di un reddito netto maggiore, ma ciò non configura una turbativa di mercato. Il proprietario che è anche host è chiaro che non avrà il costo che dovranno invece sostenere tutti quelli che, come suo figlio, non operano con un immobile proprio ma in virtù di un contratto di locazione con cui si sono procurati la disponibilità di un immobile di altro soggetto. La situazione, invero, non è dissimile da quella di un albergatore che gestisce la sua attività all'interno di un immobile che non è suo e per il quale paga il canone al legittimo proprietario. Chiaro che se fosse suo ... il reddito sarebbe assai maggiore, perché verrebbe meno una importante voce di costo.

G.P.P. chiede
giovedì 22/07/2021 - Piemonte
“Buongiorno, mi trovo a dover gestire un vecchio e "dimenticato" contratto di locazione (regolarmente registrato con "prima registrazione") per un posto auto stipulato il 01/01/2012 per un periodo di 36 mesi fino al 31/12/2014. Alla fine di detto periodo, salvo disdetta di una delle parti entro tre mesi dalla scadenza, il contratto si sarebbe automaticamente rinnovato per un medesimo periodo temporale. Nessuna delle parti ha dato disdetta e pertanto il contratto si è rinnovato per ulteriori 36 mesi fino al 31/12/2017. Come detto sopra il contratto è stato "dimenticato" dalle parti: non è stato più registrato, ma il conduttore ha continuato ad occupare il posto auto e a pagare il canone fino ad oggi. In allegato trasmetto la pagina contrattuale inerente la durata. Il mio quesito è: il contratto si è automaticamente rinnovato di 36 mesi in 36 mesi fino ad oggi (e quindi con prossima scadenza al 31/12/2023) o rimane valido contrattualmente solo il primo automatico rinnovo contrattuale fino al 31/12/2017? Posso dare disdetta al conduttore in qualsiasi momento?
Grazie”
Consulenza legale i 26/07/2021
Occorre premettere che la la locazione di un posto auto non è soggetta alle norme inderogabili della legge 431/1998 (locazioni abitative) e della legge 392/1978 (locazioni a uso diverso).
Pertanto, è sufficiente far riferimento agli articoli 1571 e seguenti del Codice civile.
Conseguentemente, sia la durata che il canone del contratto sono liberamente determinabili dalle parti (con l'unica limitazione dell'art. 1573 c.c.).

Ciò posto, nella presente vicenda è stata stabilità una durata di trentasei mesi con tacito rinnovo di egual periodo laddove non intervenga una disdetta di una delle parti da inviare almeno tre mesi prima della scadenza.
Il conduttore continua ad occupare il posto auto e a pagare regolarmente il canone non essendo intervenuta alcuna disdetta.

In risposta alla prima domanda, possiamo quindi affermare che il contratto si è automaticamente rinnovato sino ad oggi con prossima scadenza al 31.12.2023.
La circostanza che non sia stata data comunicazione alla Agenzia delle Entrate della proroga del contratto costituisce un inadempimento fiscale sanzionabile ma non impedisce il tacito rinnovo.

Quanto alla seconda domanda contenuta nel quesito, la risposta deve intendersi affermativa nel senso che la disdetta può essere inviata in qualsiasi momento (purché almeno tre mesi prima della scadenza) e comporterà il mancato tacito rinnovo alla prossima scadenza del 2023.