Concetto di frutto. Tradizionale distinzione fra i frutti naturali e i frutti civili. Le idee della riforma nelle relazioni della Commissione reale e del Ministro
Il codice del 1865 conteneva la distinzione tra i frutti naturali e quelli civili nel titolo sulla proprietà, al capo dedicato al diritto di accessione sui prodotti della cosa. La Commissione reale propose di inserire la disposizione nel capo concernente le cose, sulla base della considerazione secondo cui « il frutto è il provento economico della cosa, del cui valore perciò costituisce un elemento integrante; in ciò risiede il rapporto di subordinazione giuridica fra la cosa madre ed i frutti ».
La Relazione ministeriale, illustrando il testo definitivo del codice, aggiunse: « La nozione dei frutti naturali coincide con la nozione che ne dava il vecchio codice (art. 444 , comma 2). Frutti naturali sono quelli the provengono direttamente dalla cosa, vi concorra o non vi concorra l'opera dell'uomo (art. 820, comma 1). Riceve formulazione espressa (art. 820, comma 2) il principio enunciato dal vecchio codice soltanto in modo indiretto in tema di usufrutto (art. 480), che i frutti, finchè restano attaccati alla cosa che li produce, non hanno entità autonoma, ma formano parte della cosa stessa, il che non impedisce che di essi si possa disporre come di cosa mobile futura. L'acquirente non avrà che il diritto alla separazione, solo quando questa si sarà effettuata, la proprietà dei frutti verrà a scindersi dalla proprietà della cosa fruttifera. Nel definire i frutti civili (art. 820, comma 1), sostituendo la forma del vecchio codice (art. 444, 3° comma), che definiva tali i frutti che si ottengono « per occasione della cosa », ha posto in luce il rapporto giuri-dico di cui la cosa è oggetto, come quello attraverso il quale la cosa diviene fonte di reddito economico »
I frutti nella concezione romanistica. L'evoluzione. La dottrina dedotta dalla casistica
L'evoluzione del concetto di frutto in diritto romano, accuratamente studiata, dimostra che inizialmente si consideravano frutti le sole produzioni vegetali; successivamente si cominciarono a considerare tali anche le altre produzioni organiche, poi si giunse ad abbracciare nel concetto di frutto i prodotti inorganici, infine si inclusero nello stesso concetto con le formazioni naturali e periodiche anche quelle civili e giuridiche. Le prime furono chiamate fructus naturales, le seconde fructus civiles, quali i redditi che il proprietario riscuote da chi gode dei suoi beni, redditi che pel passato erano soltanto equiparati ai frutti.
Si è cercato di elaborare una definizione unitaria dei frutti naturali e di quelli civili, ma invano. Tuttavia, per quanto concerne i frutti naturali, è parsa possibile abbandonando il concetto di organicità del prodotto, e dando importanza, invece, agli usi sociali. In tal modo per frutti naturali si considerano quelle parti staccate dalle cose, che secondo gli usi si considerano redditi della stessa. Coloro invece che hanno preferito mantenere il concetto dell'organicità hanno a loro volta distinto in due categorie i frutti naturali: a) quelle produzioni naturali che la cosa somministra senza diminuzione della sua sostanza e la cui somministrazione (reddito) determina la sua importanza economica; b) quelle utilità che una cosa somministra come reddito, anche quando non appartengono alla produzione organica. Le conseguenze di queste elaborazioni giuridiche, sebbene dovute ad eminenti maestri, non sono idonee a semplificare e precisare il concetto di frutti naturali, che invece emerge chiaramente dalla ricca casistica dei testi di diritto romano.
I frutti secondo il nuovo codice. La nuova definizione dei frutti civili
Il nuovo codice non ha voluto modificare l'impostazione adottata dal codice del 1865 relativamente ai frutti naturali (art. 444), e poichè vecchio codice non si era allontanato dal concetto romanistico, anche oggi restiamo fedeli alla tradizione, e cioè al criterio naturalistico.
Sono, dunque,
frutti naturali quelli che provengono direttamente dalla cosa, vi concorra o no l'opera dell'uomo. L'art. 820 menziona i prodotti agricoli (forma sintetica della biada, del fieno ecc. del codice del 1865) e fra essi vanno ricomprese la lava delle pecore, il latte, le uova, il miele degli alveari, le piantine dei vivai, ecc. Indica poi la legna, che ricomprende anche il taglio degli alberi nei boschi cedui, come conferma l'art.
989 c.c. in tema di usufrutto. Quindi, i parti degli animali e infine, passando dai frutti organici agli inorganici, i prodotti delle miniere, cave e torbiere.
Ora, mentre i primi frutti indicati nell'articolo si producono e si riproducono, gli ultimi col continuo sfruttamento esauriscono la cosa madre o vengono a cessare. Malgrado ciò sono assimilati ai frutti naturali, perchè la tecnica mineraria ne assicura una durata naturale, quasi fisiologica, come quella delle capacità produttive degli animali.
Quanto ai frutti civili, il nuovo codice ha abbandonato a ragione la definizione datane dal codice del 1865 (« quelli che si ottengono per occasione della cosa »), in quanto costituiva una formula oscura ed inesatta. Oggi, infatti, si precisa che sono da considerarsi frutti civili quelli che si traggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia. Ne costituiscono esempi gli interessi sui capitali, i canoni enfiteutici, le rendite vitalizie e ogni altra rendita, il prezzo delle locazioni di cose, ecc. Si possono aggiungere il reddito da lavoro di un animale, che non natura pervenit sed iure percipitur, e gli utili netti dell'esercizio di un'azienda.
Non sono, invece, da considerarsi frutti civili gli interessi moratori o compensativi, poichè nel primo caso si tratta di un'obbligazione che mira a ristabilire un equilibrio economico turbato dall'inadempimento; nel secondo caso di risarcimento del danno. Lo stesso dicasi per i premi che si ottengono per sorteggio sui titoli di Stato o su altri titoli analoghi, trattandosi infatti di un beneficio aleatorio, che non è in rapporto all'impiego del capitale, ma serve come incoraggiamento all'impiego. Si deve dire altrettanto della quota di ammortamento compresa nella corresponsione di interessi su capitale dato a mutuo, giacchè si tratta di restituzione di capitale e non di reddito.
Disponibilità dei frutti naturali non separati come cosa futura. Vane categorie dei frutti naturali
I frutti naturali rappresentano una parte della cosa finchè non avviene la separazione. Essi sono da considerarsi come un insieme economico con la cosa che li produce, e quindi in linea di massima seguono le sorti giuridiche della stessa; ma come le pertinenze o come le cose componenti un' universitas possono essere oggetto di separati rapporti ed atti giuridici. In tal caso il capoverso dell'art. 815 stabilisce che di essi si deve disporre come di cosa mobile futura. L'autonomia della cosa mobile (frutti) si ha con la separazione della stessa dall'albero o dalla terra.
È pertanto necessario considerare la condizione dei frutti rispetto a quella della cosa madre. Sotto questo punto di vista si configurano tre diverse categorie di frutti: a) i frutti pendenti, che si contrappongono a quelli separati; b) i frutti percetti (che sono quelli non solo separati, ma dei quali si è ottenuto il possesso, in contrapposizione a quelli percipiendi, che sono invece quelli che si sarebbero potuti raccogliere e non lo sono stati per negligenza); c) i frutti esistenti o exitantes, in contrapposizione a quelli consumati.
Bisogna tener presente che la separazione può aver luogo spontaneamente per effetto della maturazione o dell'azione atmosferica, oppure per opera dell'uomo. In quest'ultimo caso, la separazione e la percezione avvengono contemporaneamente.