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Articolo 1367 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Conservazione del contratto

Dispositivo dell'art. 1367 Codice Civile

Nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno(1).

Note

(1) La regola contemplata nella norma ha valore residuale, poichè opera solo se non risultano utili i criteri interpretativi soggettivi (1362, 1363, 1364, 1365 c.c.). Inoltre, tale regola deve comunque rispettare la volontà delle parti, per cui non può operare se, ad esempio, è chiaro che le parti non intendono conservare gli effetti del negozio.

Ratio Legis

In base al principio di conservazione del negozio giuridico deve essere preferita, nel dubbio, l'interpretazione contrattuale che produca effetti utili rispetto a quella che non produca alcuna utilità (1419, 1420, 1446 c.c.).

Brocardi

Commodissimum est in ambiguis id accipi, quo res, de qua agitur, magis valeat quam pereat (vel in tuto sit)
Cum quaeritur in stipulatione quid acti sit, ambiguitas contra stipulatorem est
Potius ut valeant quam ut pereant
Ubi est verborum ambiguitas, valet quod acti est

Spiegazione dell'art. 1367 Codice Civile

Presupposti per l’applicazione dell’art. 1367, relativi alla validità del contratto

Il principio della conservazione del contratto, posto all'art. 1367, si applica in caso di dubbio sul senso del contratto o delle singole clausole. Tale dubbio presuppone la sicurezza che il contratto esista e sia valido, e d'altro canto l'impossibilità di stabilirne un senso sicuro, attraverso le ricerche previste agli articoli 1362-1366.

Di qui due conseguenze:
a) che l'art. 1367 non serve a sanare un contratto inefficace, ma ad evitare che un contratto efficace rimanga inutile;
b) che l’art. 1367 interviene solo allorché il senso del contratto sia rimasto ambiguo, nonostante le ricerche previste agli articoli 1362-1366.

La prima conseguenza vuole essere brevemente illustrata. Un contratto che non si è formato non può produrre effetti; affinché ne produca deve conseguirsi la prova sicura della sua costituzione (art. 2697, 1° comma). Raggiunta tale prova, nessun vizio lo infirma, se non sia provato a sua volta (art. 2697, 2° comma); provato il vizio, la cosiddetta conversione del contratto (art. 1424) non si opera se non ne siano sicuramente provati gli estremi (art. 2697, 1° comma). Fin qui l'articolo 1367 non ha motivo d'intervenire e non interviene, neanche per indurci a scartare l'interpretazione possibile ma non certa, che darebbe luogo al vizio, perché tale interpretazione, appunto in quanto dubbia, non costituisce la prova sicura che l'art. 2697, 2° comma, richiede.

Invece l’art. 1367, che si fonda su un contratto sicuramente valido, (tenuto presente l'art. 2697) concerne non il tema della validità del vincolo, ma quello delle sue concrete conseguenze: il patto che può intendersi in molti sensi, tutti giuridicamente meritevoli di protezione, si deve, nel dubbio, intendere in quel senso che dia alla parte una reale ed utile pretesa. Non è impossibile che le parti abbiano usato parole improprie od ambigue, ovvero che esse abbiano inserito in un contratto delle clausole, senza volere che esse spieghino effetto, a scopo di simulazione, ma l'art. 1367 non permette che se ne tenga conto soltanto in base a dubbi o sospetti, senza prova sicura. Può anche accadere che il sopraggiungere di eventi inattesi creino per le parti vari modi di far fronte ad insospettate difficoltà, nell'adempimento dei loro doveri; in tal caso la modalità, da scegliersi fra le molte, non è stata prevista dal contratto originario, ma l'art. 1367 esige che non si scelga quella modalità per la quale i1 dovere resterebbe privo di pratica efficacia.

La seconda conseguenza conduce ad applicare l'art. 1367 solo quando il dubbio rimanga dopo esaurite le ricerche da compiere in virtù degli articoli anteriori, onde l'art. 1367, come bene fu osservato, concerne non la volontà contrattuale concreta, della quale occorre ottenere sicurezza, ma una volontà astratta che interviene sussidiariamente, in difetto di quella concreta, sicuramente accertata.

Raffronto fra il testo del 1865 e quello del 1942 – Rilievi sull’applicazione dell’art. 1367 e sulla sua efficacia

La norma dell'art. 1367 ha origini antiche; già nel Digesto si riportava un patto di Giuliano, secondo il quale «quoties.... ambigua oratio est...» si doveva dare un'interpretazione per la quale «res de qua agitur magis valeat quam pereat». La norma si trovava già nel codice del 1865 e fu conservata in quello del 1942.

Ma fra il testo del 1865 e quello del 1942 vi è differenza, perché quello del 1865 concerneva soltanto la clausola contrattuale singola, mentre quello del 1942 concerne il contratto e le clausole particolari, mentre la ricordata Relazione avverte che, con la innovazione, si vuole «significare che l'interpretazione complessiva delle clausole deve essere fatta in modo che questo (il contratto) risulti efficace anziché senza effetto».

L'innovazione allude al coordinamento delle varie clausole che possono essere contraddittorie fra loro. In tal caso, se l'art. 1363 fascia dubbio sul significato complessivo del contratto, è sempre da escludersi una interpretazione che lo renda inefficace. Già abbiamo visto che inefficace o senza effetto qui non vuol dire viziato; tuttavia l'inefficacia di cui si tratta può essere di diritto o di fatto; è di diritto, se, ferma restando la validità del contratto, ne resta escluso un vincolo obbligatorio che si aggiunga ad altri effetti contrattuali, ovvero restano esclusi altri effetti giuridici che si aggiungono al vincolo; il vizio è di fatto invece, se il vincolo rimane privo di pratico risultato.

Allorché, in osservanza dell'art. 1367, è esclusa l'interpretazione distruttiva degli effetti contrattuali, tale articolo ha esaurito la funzione sua. Ma può rimanere aperta la scelta tra varie possibili interpretazioni, in diverso grado efficaci. Come è stato giustamente osservato, l'art. 1367 non obbliga a preferire l'interpretazione più feconda. Altri criteri soccorrono, forniti dagli articoli seguenti.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

216 Il c.d. principio di conservazione scolpito nell'articolo 1132 cod. civ. andava formulato in modo tale che ne risultasse la sua attinenza non solo alle singole clausole, ma anche all'intero contratto; ho accennato, perciò, nell'art. 236, a tutta la convenzione, e così, al principio conservativo si è data quella formulazione che riesce a farlo intendere nel suo massimo contenuto utile.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

625 L'art. 1367 del c.c. applica in modo più comprensivo il principio di conservazione, già contenuto nell'art. 1132 del vecchio codice civile, e che risponde ad un'esigenza dell'intero ordinamento giuridico. In. forza di questo suo carattere fondamentale, la portata del principio, per quanto attiene all'interpretazione, si è estesa all'intero contratto, e non solo alle singole clausole, allo scopo di significare che l'interpretazione complessiva delle clausole del contratto deve essere fatta in modo che questo risulti efficace anzichè senza effetto. A tale regola si deve anche ricollegare, per alcuni aspetti, l'altra dell'art. 1371 del c.c., secondo comma, per cui la comune intenzione delle parti deve essere interpretata nel senso più conforme ai principi dell'ordine corporativo; con che si orienta l'interpretazione dei contratti nella direzione del dovere di solidarietà posto dall'art. 1175 del c.c.. Le pratiche generali, che si contrappongono agli usi suppletivi dell'art. 1340 del c.c., sono richiamate nell'art. 1368 del c.c. anche con riferimento ai contratti dell'imprenditore, allo scopo di escludere l'applicazione degli usi interpretativi del luogo in cui il contratto è stato concluso nell'ipotesi in cui solo uno dei contraenti sia imprenditore: il nuovo codice richiama, in tal caso, la pratica del luogo in cui è la sede dell'impresa pure quando il contratto si è perfezionato in altro luogo, e così soddisfa quell'esigenza di uniformità nel contenuto dei contratti d'impresa, alla quale si è accennato a proposito dei contratti per adesione (n. 612). Se poi entrambi i contraenti sono imprenditori, vien meno evidentemente l'eccezione e si applica la regola che richiama gli usi del locus contractus.

Massime relative all'art. 1367 Codice Civile

Cass. civ. n. 16079/2022

In tema di procura alle liti, a seguito della riforma dell'art. 83 c.p.c. disposta dalla l. n. 141 del 1997, il requisito della specialità, richiesto dall'art. 365 c.p.c. come condizione per la proposizione del ricorso per cassazione (del controricorso e degli atti equiparati), è integrato, a prescindere dal contenuto, dalla sua collocazione topografica, nel senso che la firma per autentica apposta dal difensore su foglio separato, ma materialmente congiunto all'atto, è in tutto equiparata alla procura redatta a margine o in calce allo stesso; tale collocazione topografica fa sì che la procura debba considerarsi conferita per il giudizio di cassazione anche se non contiene un espresso riferimento al provvedimento da impugnare o al giudizio da promuovere, purché da essa non risulti, in modo assolutamente evidente, la non riferibilità al giudizio di cassazione, tenendo presente, in ossequio al principio di conservazione enunciato dall'art. 1367 c.c. e dall'art. 159 c.p.c., che nei casi dubbi la procura va interpretata attribuendo alla parte conferente la volontà che consenta all'atto di produrre i suoi effetti.

Cass. civ. n. 24901/2021

Poiché il giudice del merito ha il dovere di aderire, tra le interpretazioni possibili, ad una lettura delle pattuizioni contrattuali che ne conservi l'attitudine a produrre effetti ex art. 1367 c.c., con il limite della impossibilità di procedere ad una interpretazione sostitutiva della volontà delle parti, dovendo in tal caso il giudice dichiarare la nullità del contratto o della clausola, deve essere cassata con rinvio la decisione di merito che ha dichiarato la nullità per impossibilità dell'oggetto di due contratti collegati (un patto di opzione di vendita ed un contratto di locazione di un bene immobile) perfezionati in un contesto negoziale in cui il bene oggetto dell'opzione non è pacificamente di proprietà dell'alienante-locatore sin dall'origine (essendo l'utilizzatore in base ad un contratto di leasing), senza che sia stata preliminarmente sperimentata l'opzione ermeneutica proclive a riconoscere la suscettibilità del congegno negoziale a realizzare in concreto l'effetto traslativo programmato dalle parti, tenendo conto che la vicenda negoziale è riconducibile allo schema della vendita di cosa altrui ex art. 1478 c.c.

Cass. civ. n. 10984/2021

Ai fini della determinazione dello scaglione degli onorari di avvocato per la liquidazione delle spese di lite a carico della parte la cui domanda di pagamento di somme o di risarcimento del danno sia stata rigettata, il valore della causa, che va determinato in base al "disputatum", deve essere considerato indeterminabile quando, pur essendo stata richiesta la condanna di controparte al pagamento di una somma specifica, vi si aggiunga l'espressione "o di quella maggiore o minore che si riterrà di giustizia" o espressioni equivalenti, poiché, ai sensi dell'art. 1367 c.c., applicabile anche in materia di interpretazione degli atti processuali di parte, non può ritenersi, "a priori" che tale espressione sia solo una clausola di stile senza effetti, dovendosi, al contrario, presumere che in tal modo l'attore abbia voluto indicare solo un valore orientativo della pretesa, rimettendone al successivo accertamento giudiziale la quantificazione.

Cass. civ. n. 16079/2020

Ai fini della validità di una disposizione testamentaria, non è necessario che il beneficiario sia indicato nominativamente, essendo sufficiente che lo stesso sia determinabile in base ad indicazioni desumibili dal contesto complessivo della scheda testamentaria nonché da elementi ad essa estrinseci, come la cultura, la mentalità e l'ambiente di vita del testatore, dovendosi improntare l'operazione ermeneutica alla valorizzazione del criterio interpretativo di conservazione previsto dall'art. 1367 c.c., da ritenersi applicabile anche in materia testamentaria. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO MILANO, 26/06/2017).

Cass. civ. n. 19493/2018

Quando il senso del contratto o di una sua clausola sia rimasto oscuro o ambiguo nonostante l'utilizzo dei principali criteri ermeneutici (letterale, logico e sistematico), deve trovare applicazione il principio della conservazione degli effetti utili del contratto, previsto dall'art. 1367 c.c.; ne consegue che qualora le espressioni contenute nel contratto siano ritenute inidonee a consentire una inequivoca interpretazione, si deve comunque accertare se le contrapposte versioni delle parti siano corredate da buona fede, valutandone il comportamento complessivo, tenendo conto anche degli effetti, con il limite comune agli altri criteri sussidiari, secondo cui la conservazione del contratto non può mai comportare una interpretazione sostitutiva della volontà delle parti, dovendo in tal caso il giudice dichiarare, ove ne ricorrano gli estremi, la nullità del contratto o della clausola (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva interpretato una clausola contrattuale, che prevedeva la facoltà di recesso solo in caso di colpa grave, nel senso di privarne del tutto la produzione di effetti).

Cass. civ. n. 6116/2013

L'esigenza di conservazione del contratto presuppone una verifica giudiziale (di mero fatto ed in applicazione dei criteri generali dell'ermeneutica contrattuale) sulla estensione dell'effettiva e reale volontà delle parti, alla quale dovrà riconoscersi prevalenza - senza che sia possibile addivenire all'annullamento del contratto per errore ostativo, pur in presenza di erronea formulazione, redazione o trascrizione di elementi di fatto nel documento contrattuale - ove si identifichi un accordo effettivo e reale su tutti gli elementi del contratto, in primo luogo il suo oggetto. Per contro, ove il contenuto apparente di singole clausole risulti diverso da quello realmente voluto dalle parti, dovrà ritenersi mancante il requisito dell'"in idem placitum consensus", indispensabile per la configurabilità, sul punto, di un accordo contrattuale.

Cass. civ. n. 28357/2011

In tema di interpretazione del contratto, il criterio ermeneutico contenuto nell'art. 1367 c.c. - secondo il quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno - va inteso non già nel senso che è sufficiente il conseguimento di qualsiasi effetto utile per una clausola, per legittimarne una qualsivoglia interpretazione pur contraria alle locuzioni impiegate dai contraenti, ma che, nei casi dubbi, tra possibili interpretazioni, deve tenersi conto degli inconvenienti cui può portare una (o più) di esse e perciò evitando di adottare una soluzione che la renda improduttiva di effetti. Ne consegue che detto criterio - sussidiario rispetto al principale criterio di cui all'art. 1362, primo comma, c.c. - condivide il limite comune agli altri criteri sussidiari, secondo cui la conservazione del contratto, cui esso è rivolto, non può essere autorizzata attraverso una interpretazione sostitutiva della volontà delle parti, dovendo in tal caso il giudice evitarla e dichiarare, ove ne ricorrano gli estremi, la nullità del contratto.

Cass. civ. n. 27564/2011

Il principio della conservazione degli effetti utili del contratto o di una sua clausola, previsto dall'art. 1367 c.c., avendo carattere sussidiario, può e deve trovare applicazione solo quando siano stati utilizzati i criteri letterale, logico e sistematico di indagine e, nonostante ciò, il senso del contratto o della clausola sia rimasto oscuro o ambiguo. Ne consegue che il giudice di merito, una volta ritenute oscure ed inidonee a consentire un'inequivoca interpretazione le espressioni contenute nel contratto, deve comunque accertare se le contrapposte versioni delle parti siano corredate da buona fede, valutandone il comportamento complessivo, nonché verificare, all'esito di eventuale istruttoria, quali effetti la scrittura produca per le parti, anziché ritenere tali espressioni prive di ogni effetto. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, la quale, seguendo il criterio interpretativo del senso letterale delle parole, aveva dichiarato la nullità di un contratto di compravendita per l'indeterminatezza del prezzo d'opzione, stabilito in parte in contanti ed in parte mediante accollo delle rate di mutuo ancora da versare, così trascurando di utilizzare gli altri criteri ermeneutici sussidiari, indispensabili al fine di evitare di adottare una soluzione che rendesse la scrittura improduttiva di effetti).

Cass. civ. n. 19104/2009

In materia contrattuale, è rimesso all'apprezzamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua e corretta motivazione, lo stabilire se una determinata clausola contrattuale sia soltanto di stile ovvero costituisca espressione di una concreta volontà negoziale con efficacia normativa del rapporto. Tuttavia, sia per il principio di conservazione delle clausole contrattuali, sia perché rispondente all'interesse dell'acquirente di un immobile a non esser limitato nella disponibilità e nel godimento del medesimo, non può ritenersi generica ed indeterminata, e pertanto di stile, senza ulteriori argomenti al riguardo, la clausola secondo la quale l'alienante garantisce la libertà del bene da ipoteche, pesi e trascrizioni pregiudizievoli, pur se essa è sintetica e onnicomprensiva.

Cass. civ. n. 3293/1997

In tema di interpretazione del contratto, l'art. 1367 c.c. non impone di attribuire all'atto un significato tale da assicurare la sua più estesa applicazione, ma richiede soltanto, per il principio di conservazione cui attende, che il significato attribuitogli possa avere un qualche effetto, specie se l'interpretazione comportante la più estesa applicazione dell'atto è da escludersi sulla base di una lettura che tenga conto degli altri, prioritari, criteri ermeneuti codificati. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza d'appello che aveva interpretato la clausola di un contratto intervenuto tra una società di costruzioni e il Comune di Fiuggi non come deroga convenzionale alla competenza arbitrale prevista dall'art. 43 D.P.R. n. 1063 del 1962, bensì come semplice indicazione del foro competente nelle ipotesi di responsabilità extracontrattuale per danni cagionati a terzi).

Cass. civ. n. 2773/1996

Nel caso in cui un contratto (nella specie, di assicurazione contro i danni) contenga due clausole che disciplinano in modo diverso, e ciascuno esaustivo, lo stesso fatto, correttamente il giudice del merito attribuisce prevalenza a quella che ritiene più congrua alla soddisfazione degli interessi di entrambe le parti, atteso che, così operando, egli osserva sia il principio di conservazione del contratto (art. 1367 codice civile) — perché se le parti hanno attribuito ad un fatto una tale rilevanza da fame oggetto di due diverse clausole, entrambe esaustive, deve ritenersi che sia conforme alla volontà delle parti che almeno una clausola rimanga efficace — sia il principio di buona fede (art. 1366 codice civile), che nella scelta impone di preferire la clausola che soddisfi (meglio) l'interesse di entrambe le parti.

Cass. civ. n. 5862/1987

Il contratto verbale costitutivo di una società di fatto, senza determinazione di tempo, con il conferimento del godimento di beni immobili essenziali al raggiungimento dello scopo sociale, è affetto da nullità, ai sensi dell'art. 2251 c.c., in relazione all'art. 1350 n. 9 c.c. il quale contempla la forma scritta ad substantiam per detti conferimenti immobiliari ove siano ultranovennali od a tempo indeterminato. Per escludere detta nullità non è invocabile il principio della conservazione del negozio giuridico, di cui all'art. 1367 c.c., al fine di circoscrivere il patto societario nei limiti del novennio per cui non è necessaria la forma scritta, in quanto ciò esulerebbe dalla mera interpretazione della volontà delle parti, traducendosi in un'arbitraria sostituzione del loro effettivo intento.

Cass. civ. n. 6896/1983

Alla stregua del generale principio della conservazione, il quale importa che, attraverso l'interpretazione, debba attribuirsi al negozio la portata conforme alla effettiva volontà del suo autore, ancorché manifestata in forma impropria ed imprecisa e non perfettamente adeguata allo scopo perseguito, un atto formulato quale semplice ricognizione o conferma (o anche quale convalida o ratifica) di un precedente atto nullo ben può implicarne la rinnovazione con effetti costitutivi ex nunc, ove in via di interpretazione si possa ritenere ordinata a tale fine la manifestata volontà della parte (o delle parti), in funzione della sua intrinseca essenza.

Cass. civ. n. 1348/1977

Il disposto dell'art. 1367 c.c., secondo cui, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno, non può essere inteso nel senso di escludere assolutamente, e in ogni caso, che le parti possano aver impiegato dei mezzi negoziali oggettivamente inidonei a costituire qualsiasi vincolo giuridico.

Cass. civ. n. 1100/1977

L'interprete deve ricorrere al criterio ermeneutico integrativo fissato dall'art. 1367 c.c. soltanto quando, esaurita l'interpretazione ricognitiva, rimanga ancora in dubbio, il che non si verifica se alla clausola da interpretare egli abbia già attribuito con certezza un senso determinato, ancorché tale da svelarne il carattere pleonastico.

Cass. civ. n. 869/1977

Il criterio di ermeneutica contrattuale contenuto nell'art. 1367 c.c. circa la conservazione delle clausole contrattuali dubbie, va inteso non già nel senso che è sufficiente il conseguimento di un qualsiasi effetto per una clausola che può dar luogo a più conseguenze possibili, bensì nel senso che deve preferirsi l'effetto di maggiore e più sicura ampiezza sulle varie ipotesi prospettate come possibili e perciò dubbie.

Cass. civ. n. 2130/1975

Ai fini dell'interpretazione di una dichiarazione unilaterale di volontà oscura ed ambigua, rispetto alla quale sia dubbio se la parte abbia inteso porre in essere una rinunzia abdicativa ovvero una mera proposta contrattuale, il principio della conservazione del contratto, applicabile anche all'interpretazione, degli atti unilaterali, secondo cui, a norma dell'art. 1367 c.c., il negozio deve essere interpretato nel senso in cui possa avere qualche effetto, anziché in quello secondo il quale non ne avrebbe alcuno, non può essere utilizzato al fine di attribuire all'anzidetta dichiarazione — in mancanza di ogni altro elemento — il valore di rinunzia invece che di semplice proposta, poiché le proposte contrattuali non sono, di per sé, prive di qualsiasi effetto giuridico, potendo comportare a carico dei loro autori, quanto meno una responsabilità precontrattuale.

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