In tale disposizione viene definito l'ambito di applicazione della legge
de quo rimandando, quanto alla qualificazione delle diverse tipologie di
locazione, al successivo art.
2 della Legge sulle locazioni abitative, rispettivamente ai commi 1 e 3. Si tratta dei cosiddetti contratti "liberi" e "agevolati".
Le lettere a), b) e c), poi, scandiscono una serie di contratti di locazione che restano esclusi dall'applicazione della disciplina di cui alla L. 431/1998. È opportuno notare come, tra le disposizioni non applicabili contemplate dal comma 2 del presente articolo, non figuri l'art.
5 (e nemmeno l'art.
11). Da ciò si deduce la possibilità teorica di stipulare contratti di locazione di natura transitoria per gli immobili generalmente "esclusi" dall'ambito di applicazione della presente legge.
Il comma 2, inoltre, prevede la possibilità, per gli
immobili storico-artistici, di stipulare contratti di locazione non solo in virtù dell'art.
1571 e seguenti c.c., ma anche secondo la prevista "modalità agevolata" di cui al comma 3 dell'art.
2 della L. 431/1998.
Passando in rassegna le categorie catastali contemplate dalla disposizione, la A/l si riferisce alle "abitazioni di tipo signorile", la A/8 alle "abitazioni in villa" e la A/9 ai "castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici".
Non facile risulta l'
interpretazione della lettera c) del comma 2 del presente articolo. Infatti, innanzitutto, la legge non chiarisce espressamente cosa debba intendersi per "
finalità turistiche"; in secondo luogo, non viene precisata la disciplina applicabile agli alloggi locati per tali scopi, dovendosene quindi dedurre una generica applicabilità degli articoli
1571 e seguenti c.c.
Attualmente, la parola "turismo" comprende, oltre alle manifestazioni del viaggio intese in senso lato, anche tutti quei servizi e attività relative al trasferimento di soggetti dalla località di residenza abituale presso altri luoghi, non solo a fini di svago, ma anche di istruzione, religione, cultura, sport, ecc.
Una certa parte della dottrina, non comunque pacifica, suggerisce una
interpretazione restrittiva della nozione di "finalità turistica", alla luce della quale non rientrerebbe in tale concetto la c.d. "villeggiatura", poiché il turista sarebbe solamente colui che viaggia per motivi di istruzione o anche di svago, ma non per semplice riposo.
Altri studiosi, in contrapposizione alla tesi appena esposta, hanno invece sostenuto un'opinione maggiormente estensiva, volta a ricomprendere nella espressione
de quo anche la semplice villeggiatura, la quale rientrerebbe, assieme ai motivi di svago, ma anche di riposo o semplice divertimento e tempo libero, all'interno della finalità turistica.
Oltre al turismo c.d. "stagionale", si ritiene che rientri nella finalità turistica anche quello "religioso", e quindi i pellegrinaggi, oltre che il turismo ricorrente per le festività o quello effettuato in occasione di manifestazioni sportive.
Nel caso in cui dovesse essere stipulata, da parte del conduttore, una
locazione turistica simulata, al fine di
eludere l'applicazione della L. 431/1998, il conduttore potrebbe chiedere al giudice la conversione del
contratto in locazione ordinaria c.d. "libera"
La natura turistica della locazione andrà provata avendo riguardo alla volontà espressa dai contraenti nel momento della conclusione dell'accordo, e spetterà al conduttore l'onere di dimostrare la sussistenza di un accordo simulatorio, oppure la consapevolezza, da parte del
locatore, delle reali esigenze per le quali il contratto era stato stipulato.
Cosa accade nel caso di uso "promiscuo" dell'immobile, ovvero un utilizzo non esclusivamente turistico? Visto che il legislatore ha precisato che, ai fini dell'esclusione dell'applicabilità della L. 431/1998, gli immobili devono essere locati "esclusivamente" per finalità turistiche, allora l'uso promiscuo dell'immobile da parte del conduttore dovrebbe comportare la completa applicabilità della L. 431/1998.
Se le esigenze del conduttore dovessero mutare nel tempo, passando per esempio da finalità turistiche a vere e proprie esigenze abitative, la dottrina ritiene applicabile l'
art. 80 della l. equo canone, il quale espressamente prevede la possibilità per il locatore di chiedere la risoluzione del contratto entro tre mesi dal momento in cui ha avuto conoscenza dell'intenzione del locatore di destinare l'immobile ad un uso diverso rispetto a quello pattuito.
Ai sensi dell'art.
13 comma 3, il contratto turistico che sia simulato al fine di aggirare le norme sulla durata del contratto, è da considerarsi
radicalmente nullo.
Un'opinione di matrice giurisprudenziale, inoltre, ha definito la locazione turistica come un contratto volto a soddisfare una "
esigenza di vita primaria" da stipularsi normalmente nelle forme ordinarie, ad esclusione delle locazioni turistiche "
di breve durata"; queste ultime, e solo queste, saranno assoggettate viceversa alla disciplina di cui all'art.
1521 e seguenti c.c.
Il comma 3, infine, è stato previsto dal legislatore per superare gli stringenti limiti di durata previsti dall'art.
42 della
Legge equo canone.
Ed è necessario notare che, a differenza di quanto occorso nel comma 2, l'art.
8 non viene contemplato tra le disposizioni escluse.
Per comprendere tale difformità di disciplina, basti osservare quanto previsto dal comma 3 dell'art.
8 citato, il quale prevede espressamente la possibilità per tale tipologia di contratti di fruire dei benefici fiscali previsti dalla L. 431/1998, se concernenti comuni a c.d. "alta tensione abitativa".
Di estrema rilevanza appare la disposizione contenuta nel quarto comma dell'articolo
de quo. Con tale previsione, infatti, viene espressamente superato il dato normativo di cui all'art.
1350 comma 8 c.c., che sanciva l'obbligo della forma scritta solamente per i contratti di locazione di durata ultranovennale.
Tale necessità della
forma scritta ad substantiam per qualunque contratto di locazione, a prescindere dalla durata, va considerato come un vero e proprio
requisito di validità.
Dal combinato - disposto di tale norma con quella di cui all'art.
13 comma 6, terzo periodo, si ricava che il conduttore potrà chiedere all'
autorità giudiziaria la conversione delle eventuali locazioni "di fatto", concluse omettendo quindi la formalità della scrittura, ad una locazione conforme a quanto previsto dal comma 1 dell'art.
2 ovvero dal comma 3 dell'art.
2.
La dottrina ha discusso a lungo sulla
natura della nullità derivante dalla
mancata osservanza della forma scritta per la stipulazione del contratto. Alcuni hanno argomentato per la natura relativa della stessa, sostenendo che essa è posta per l'esclusiva tutela del conduttore, il quale unicamente sarebbe quindi legittimato ad esperire l'azione di nullità.
Viceversa, altra opinione rileva come tale nullità debba intendersi come assoluta, e per questo rilevabile anche d'ufficio dal giudice.
Inoltre, la
violazione dell'obbligo di registrazione va coordinato con tale previsione della
nullità del contratto di locazione in mancanza di forma scritta. Più in particolare, esiste un meccanismo di "recupero" del contratto nullo per omessa registrazione, che si può applicare anche qualora non sia stato rispettato il vincolo della forma scritta, ed è disciplinato dal comma 6 dell'art.
13. Quest'ultima disposizione prevede, a tal riguardo, che il conduttore può richiedere la restituzione delle somme indebitamente versate o, in alternativa, che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo
2 ovvero dal comma 3 dell'articolo
2.
La disposizione si riferisce ai "contratti di locazione abitativi", dovendosi quindi concludere che, per box auto e garages, anche pertinenziali, saranno esclusivamente applicabili le norme del
Codice Civile.