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Articolo 1382 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Effetti della clausola penale

Dispositivo dell'art. 1382 Codice Civile

La clausola, con cui si conviene che, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento(1), uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione(2), ha l'effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore(3).

La penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno(4).

Note

(1) La penale opera in modo diverso a seconda che il danno sia dovuto all'inadempimento o al ritardo (v. 1383 c.c.).
(2) Normalmente la penale contempla l'obbligo di pagare una determinata somma.
(3) Se le parti convengono che sia risarcibile anche il danno ulteriore, il principio dell'onere della prova (2697 c.c.) torna ad operare normalmente, per cui tale danno ulteriore deve essere dimostrato dal creditore.
(4) Il creditore è esonerato dalla prova del danno (1223 c.c.) ma deve comunque dimostrare, o meglio allegare, l'inadempimento del debitore (v. 1218 c.c.). Inoltre, in base al combinato disposto della norma in esame e dell'art. 1229 del c.c., è nulla la clausola penale che abbia lo scopo di escludere la responsabilità debitoria per dolo o colpa grave.

Ratio Legis

La clausola penale ha la funzione, da un lato, di esonerare il creditore dall'onere di provare il danno da inadempimento, in quanto ne costituisce liquidazione anticipata e, dall'altro, di incentivare l'adempimento del debitore il quale conosce sin dall'inizio l'entità della prestazione cui è tenuto se inadempiente. A compensazione del fatto che il creditore è esonerato dall'onere di provare il danno, però, questi non può di regola ottenere risarcimento al pregiudizio ulteriore.

Brocardi

Quod a quoquam poenae nomine exactum est, id eidem restituere nemo cogitur
Stipulatio poenae

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

224 Per un ritorno al diritto romano (L. 41-42 D. 17, 2; L. 28 D. 19, 1) si è fatta riserva, a proposito della clausola penale, della possibilità di convenire il risarcimento del maggior danno (art. 248): non sempre, infatti, nello stipulare la penale si può prevedere esattamente l'importo del maggior danno, ed è opportuno lasciare all'uopo alle parti una maggiore autonomia, per evitare che la clausola penale fallisca al suo scopo, come avverrebbe se si impedisse in via assoluta il risarcimento di un danno superiore. Arbitri i contraenti di limitare questo risarcimento, dovranno imputare a se stessi e non alla norma il conseguimento eventuale di un danno minore.
Il progetto del 1936, all'art. 166 cpv., ammetteva il cumulo tra il credito principale e la penale quando questa era stata stipulata per il semplice ritardo o sotto forma di prestazione pecuniaria periodica: ho soppresso la previsione di quest'ultima ipotesi, che appare compresa nella prima (art. 248).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

632 Il valore giuridico dato alla clausola penale dall'art. 1382 del c.c. è quello di limitare il danno, salvo che le parti non ne abbiano convenuto il risarcimento integrale. Nell'art. 1382 non si allude alla funzione coercitiva che alla clausola assegnava l'art. 1209 cod. civ. del 1865, perciò tale funzione è solo indirettamente esercitata dalla penale, mentre direttamente la coazione all'adempimento viene dall'obbligo di risarcire il danno, di cui la clausola agevola l'esecuzione: la agevola evitando la prova del danno (art. 1382, secondo comma). Il risarcimento del danno superiore all'importo della pena è consentito (se le parti lo hanno convenuto), per un avvicinamento al sistema romanistico che, com'è noto, era contrario alla disposizione dell'art. 1230, secondo comma, cod. civ. del 1865. La penale non può esaurire sempre l'importo dei danni, perché talvolta le parti non hanno, al momento del contratto, una nozione esatta della lesione patrimoniale che potrà derivare dall'inadempimento. Se la pena si fosse considerata limite legale del risarcimento, si sarebbe frustrato l'accennato scopo di indiretta coazione che essa spiega: e infatti, quando l'importo della pena fosse inferiore al danno da risarcire, il debitore non avrebbe in essa uno stimolo ad adempiere. Si è conferito al giudice il potere di ridurre la penale eccessiva, ossia sproporzionata all'interesse che ha il creditore all'adempimento (art. 1384 del c.c.). Tale disposizione, fondata sulla equità, mira a contenere l'autonomia dei contraenti, in modo da impedire che il risultato dell'accordo sia usuraio (cfr. anche l'art. 1526 del c.c., secondo comma).

Massime relative all'art. 1382 Codice Civile

Cass. civ. n. 26286/2019

Nei rapporti bancari, gli interessi corrispettivi e quelli moratori contrattualmente previsti vengono percepiti ricorrendo presupposti diversi ed antitetici, giacchè i primi costituiscono la controprestazione del mutuante e i secondi hanno natura di clausola penale in quanto costituiscono una determinazione convenzionale preventiva del danno da inadempimento. Essi, pertanto, non si possono tra di loro cumulare. Tuttavia, qualora il contratto preveda che il tasso degli interessi moratori sia determinato sommando al saggio degli interessi corrispettivi previsti dal rapporto, un certo numero di punti percentuale, è al valore complessivo risultante da tale somma, non solo ai punti percentuali aggiuntivi, che occorre avere riguardo al fine di individuare il tasso degli interessi moratori effettivamente applicati.

Cass. civ. n. 22050/2019

La penale stabilita per l'inadempimento è ontologicamente diversa da quella pattuita per il semplice ritardo, posto che quest'ultima, per espressa previsione di legge, concorre con l'adempimento dell'obbligazione - cui è collegata - in quanto avvenuto, benché in ritardo. Di conseguenza è necessaria un'apposita pattuizione per ciascuno dei due tipi di penale, posto che la funzione della stessa risulta essere la preventiva forfetizzazione del ristoro del danno in relazione alla puntuale ipotesi prevista dalle parti e, cioè, o per il ritardo o per l'inadempimento. (Nella specie, la S.C. ha censurato la decisione della corte d'appello, che aveva utilizzato per due volte la medesima e unica previsione pattizia di penale, correlandola tanto all'inadempimento - come espresso dal tenore letterale della clausola del contratto - quanto al ritardo, ritenendo essersi in presenza di una pattuizione implicita).

Cass. civ. n. 13956/2019

Connotato essenziale della clausola penale è la sua connessione con l'inadempimento colpevole di una delle parti e, pertanto, essa non è configurabile allorché la relativa pattuizione sia collegata all'avverarsi di un fatto fortuito o, comunque, non imputabile all'obbligato, costituendo, in tale ultima ipotesi, una condizione o clausola atipica che può essere introdotta dall'autonomia contrattuale delle parti, ma resta inidonea a produrre gli effetti specifici stabiliti dal legislatore per la clausola penale. (In applicazione del principio, la S.C. ha escluso che fosse qualificabile come clausola penale la previsione, inserita in un contratto di "leasing" concernente una autovettura, con la quale al concedente era riconosciuto il diritto ad un indennizzo nel caso di furto o perdita del veicolo).

Cass. civ. n. 8571/2019

Qualora, anziché recedere dal contratto, la parte non inadempiente si avvalga dei rimedi ordinari della richiesta di adempimento ovvero di risoluzione del negozio, la restituzione della caparra è ricollegabile agli effetti restitutori propri della risoluzione negoziale, come conseguenza del venire meno della causa della corresponsione, giacché, in tale ipotesi, essa perde la suindicata funzione di limitazione forfettaria e predeterminata della pretesa risarcitoria all'importo convenzionalmente stabilito in contratto e la parte che allega di avere subito il danno, oltre che alla restituzione di quanto prestato in relazione al contratto od in esecuzione del medesimo, ha diritto anche al risarcimento dell'integrale danno subito, se e nei limiti in cui riesce a provarne l'esistenza e l'ammontare in base alla disciplina generale degli artt. 1453 ss. c.c.

Cass. civ. n. 18903/2018

In tema di imposte dei redditi, sono deducibili dal reddito d'impresa le penalità contrattuali per ritardata consegna alla clientela, stabilite in base all'art. 1382 c.c., in quanto, per la natura di patto accessorio del contratto, inidoneo ad interrompere il nesso sinallagmatico, non hanno finalità sanzionatorie o punitive ma, assolvendo la funzione di rafforzare il vincolo negoziale e predeterminare la misura del risarcimento in caso di inadempimento, sono inerenti all'attività d'impresa. Di talché sono deducibili nel conto economico anche i costi straordinari a contenuto risarcitorio derivanti dalle transazioni su clausole penali contrattuali.

Cass. civ. n. 18338/2018

La irrisorietà del danno pattuito preventivamente sotto forma di clausola penale costituisce elemento sintomatico dell'aggiramento del divieto di limitazione di responsabilità stabilito dall'art. 1229, comma 1, c.c.. Ne consegue che deve ritenersi illegittima una clausola penale, inserita in un contratto di vigilanza di un esercizio commerciale, contenente la previsione di limitazione dell'ammontare del danno risarcibile, cagionato dal mancato od inesatto adempimento della prestazione di vigilanza, in misura pari alla rata mensile del corrispettivo, di entità modesta, e nel contempo escluda la responsabilità dell'Istituto di vigilanza "per eventuali furti", così sostanzialmente interrompendo il nesso funzionale tra la corretta esecuzione del servizio e la prevenzione della commissione di furti ai danni del cliente.

Cass. civ. n. 10046/2018

La clausola penale ha una causa distinta da quella del contratto cui afferisce, rispetto al quale assume una sua rilevanza contrattuale autonoma, anche se collegata e complementare, sicché, anche quando il contratto ha ad oggetto la costituzione di diritti reali, la sua efficacia si trasmette anche a vantaggio degli aventi causa della parte in favore della quale era stata originariamente approntata. (Nella specie la S.C. ha qualificato come clausola penale la prestazione accessoria di "facere" imposta al proprietario di un fondo gravato da una servitù, ritenendo che la stessa si trasferisca insieme alla servitù e si estingua se viene a cessare quest'ultima).

Cass. civ. n. 10441/2017

In ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento e di condanna al pagamento della penale, che sia stata pattuita dalle parti anche per il solo ritardo nell'adempimento, nella determinazione dell'importo della detta penale, non deve tenersi conto del periodo successivo alla notificazione della citazione contenente la domanda di risoluzione quando, al momento della proposizione di tale domanda, il ritardo sia già di non scarsa importanza avuto riguardo all'interesse del creditore, e, quindi, sussista il requisito richiesto per l'operatività del limite posto all'adempimento tardivo dall'art. 1453, ultimo comma, c.c.

Cass. civ. n. 12188/2016

In tema di clausola penale, il debitore è tenuto a corrispondere, a decorrere dal momento della domanda, anche gli interessi legali sull’importo convenzionalmente pattuito fra le parti, trattandosi di somma dovuta a titolo di risarcimento del danno per inadempimento contrattuale.

Cass. civ. n. 7180/2012

La pattuizione di una clausola penale non sottrae il rapporto alla disciplina generale delle obbligazioni, per cui deve escludersi la responsabilità del debitore quando costui prova che l'inadempimento o il ritardo nell'adempimento dell'obbligazione, sia determinato dall'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, essendo connotato essenziale di tale clausola la sua connessione con l'inadempimento colpevole di una delle parti e non potendo, pertanto, essa configurarsi allorché sia collegata all'avverarsi di un fatto fortuito o, comunque, non imputabile alla parte obbligata.

Cass. civ. n. 23706/2009

La clausola penale mira a determinare preventivamente il risarcimento dei danni soltanto in relazione alla ipotesi pattuita, che può consistere nel ritardo o nell'inadempimento; ne consegue che, ove sia stata stipulata per il semplice ritardo e si sia verificato l'inadempimento, essa non è operante nei confronti di questo secondo evento.

Cass. civ. n. 21587/2007

In assenza di richiesta di applicazione della clausola penale, non può di ufficio il giudice statuire su di essa, neanche a seguito della pronuncia di risoluzione del contratto, attesa la natura autonoma della domanda di pagamento della penale rispetto a quella di risoluzione contrattuale.

Cass. civ. n. 18195/2007

In tema di leasing traslativo, in caso di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore il risarcimento del danno a favore del concedente può essere determinato anticipatamente, a norma dell'art. 1382 c.c., attraverso clausola penale, secondo una pattuizione che può comprendere la trattenuta delle rate versate, in quanto espressione dell'autonomia privata; il giudice peraltro, ai sensi dell'art. 1384 c.c., può ridurre equamente ed anche d'ufficio la prestazione assunta, in caso di manifesta eccessività della penale ovvero tenuto conto dell'entità dell'adempimento dell'obbligazione principale.

Cass. civ. n. 24299/2006

La condizione risolutiva, in quanto prescinde dalla colpa dell'inadempimento, è compatibile con la previsione di una penale, giacché le parti possono stabilire che la condizione sia posta nell'esclusivo interesse di uno soltanto dei contraenti, occorrendo al riguardo una espressa clausola (o quanto meno una serie di elementi idonei ad indurre il convincimento che l'altra parte non abbia alcun interesse); pertanto, la parte, nel cui interesse è posta la condizione, ha facoltà di rinunziarvi sia prima che dopo l'avveramento o il non avveramento di essa, senza che, comunque, l'altra parte possa ostacolarne la volontà.

Cass. civ. n. 18779/2005

Stante la natura accessoria della clausola penale rispetto al contratto che la prevede, l'obbligo che da essa deriva non può sussistere autonomamente rispetto all'obbligazione principale; ne consegue che, se il debitore è liberato dall'obbligo di adempimento della prestazione per prescrizione del diritto del creditore a riceverla, quest'ultimo perde anche il diritto alla prestazione risarcitoria prevista in caso di mancato adempimento del predetto obbligo.

Cass. civ. n. 15371/2005

La clausola penale, quando è prevista la risarcibilità del danno ulteriore, costituisce solo una liquidazione anticipata del danno destinata a rimanere assorbita, nel caso di prova di ulteriori e maggiori danni, nella liquidazione complessiva di questi. Ne consegue che, qualora la parte adempiente non voglia limitare la propria richiesta alla penale pattuita, ma intenda richiedere la liquidazione del danno subito, deve dimostrarne l'effettiva entità, non potendo altrimenti risultare provato il danno «ulteriore» cioè superiore all'entità della penale.

Cass. civ. n. 11748/2003

In tema di clausola penale, (in relazione alla quale trova applicazione la disciplina generale delle obbligazioni), la responsabilità del debitore è esclusa non solo nel caso in cui l'inadempimento o il ritardo nell'adempimento dell'obbligazione derivi da causa a lui non imputabile ma anche quando, in virtù dell'exceptio inadimpleti contractus, esso sia determinato dall'inadempimento della controparte.

Cass. civ. n. 625/2003

La condanna della parte inadempiente al pagamento della penale convenuta non presuppone necessariamente una pronuncia di risoluzione del contratto.

Cass. civ. n. 16492/2002

In ossequio al principio dell'autonomia contrattuale, le parti hanno facoltà di predeterminare con una clausola penale l'entità del risarcimento sia per l'ipotesi di inadempimento, sia per quella di ritardo nell'adempimento, nonché, cumulativamente, per entrambe, con la conseguenza che l'effetto proprio della clausola de qua (e cioè quello di limitare l'onere del risarcimento dei danni alla misura predeterminata dalle parti) non può operare se non con riferimento all'ipotesi prevista dalle stesse parti, sicché, ove la penale sia stata pattuita solo in funzione dell'inadempimento ed il creditore, interessato a conseguire (anche tardivamente) la prestazione dovuta, insti (come nella specie) per l'adempimento, legittimamente egli può domandare anche il risarcimento dei danni da ritardo, di talché la relativa liquidazione non dovrà necessariamente essere contenuta nei limiti predeterminati dalle parti con la clausola penale, dovendo per converso essere operata secondo i normali criteri di liquidazione.

Cass. civ. n. 9532/2000

In materia di clausola penale, non è consentito al giudice di dare rilievo alla scarsa importanza dell'inadempimento o del ritardo nell'adempimento per escludere il diritto alla prestazione della penale, essendo l'inadempimento o il ritardo nell'adempimento, quale che sia la sua importanza, condizione sufficiente a far sorgere tale diritto.

Cass. civ. n. 2941/1999

In caso di inadempimento di contratto preliminare, il giudice ben può, in assenza di domanda di risoluzione del contratto, condannare la parte inadempiente al pagamento della penale convenuta, senza pronunciare la risoluzione. La somma dovuta a tale titolo, nella sua funzione di liquidazione preventiva, convenzionale e forfettaria dei danni derivanti dall'inadempimento, costituisce debito di valuta, ed è, pertanto, insuscettibile di rivalutazione. Del pari insensibile al fenomeno della svalutazione monetaria, in quanto debito di valuta e non di valore, è l'obbligo del promittente venditore di restituire la somma ricevuta a titolo di prezzo.

Cass. civ. n. 771/1997

La richiesta di applicazione di una clausola penale contrattualmente prevista per il caso di inadempimento (richiesta senza la quale il giudice che pronunzi la risoluzione del contratto non può statuire sull'applicazione della clausola) non può considerarsi implicitamente contenuta nella domanda di risoluzione del contratto per inadempimento ovvero in quella di risarcimento del danno, stante l'indipendenza di tali domande da quella di pagamento della penale, la quale si configura come autonoma sia rispetto all'inadempimento (potendo trovare applicazione tanto in ipotesi di domanda di risoluzione del contratto quando in quella in cui venga proposta domanda di esecuzione coatta dello stesso) sia rispetto al danno (atteso che la penale può essere prevista anche in assenza di un concreto pregiudizio economico).

Cass. civ. n. 6356/1996

La clausola penale, quando è prevista la risarcibilità del danno ulteriore, costituisce solo una liquidazione anticipata del danno destinata a rimanere assorbita, nel caso di prova di ulteriori e maggiori danni, nella liquidazione complessiva di questi.

Cass. civ. n. 6298/1996

È legittima la clausola penale con cui le parti, nell'esercizio della libertà di autodeterminazione patrimoniale loro riconosciuta dall'ordinamento (art. 1322 codice civile), fissino, per il mero ritardo nell'adempimento, gli interessi in misura inferiore a quella legale, non restando pregiudicato, nel caso in cui l'inadempimento divenga definito, il diritto del creditore al risarcimento del danno ulteriore e diverso da quello convenzionalmente coperto dalla penale ovvero il diritto a chiedere la risoluzione del contratto (quando vi sia un termine essenziale o quando il ritardo ecceda i limiti normali di tollerabilità).

Cass. civ. n. 4126/1995

La clausola penale (art. 1382 c.c.) ha lo scopo di limitare il risarcimento alla prestazione pattuita e, qualora questa consista nell'obbligazione di pagare una somma di denaro predeterminata, il relativo debito è di valuta — non già di valore —, non incidendo su di esso la svalutazione monetaria sopravvenuta, salva l'applicabilità, ove ne ricorrano le condizioni, dell'art. 1224, secondo comma, c.c.

Cass. civ. n. 3033/1995

La penale, quando non sia stata prevista dalle parti anche per il semplice ritardo, può essere applicata solo per un inadempimento a cui sia seguita la risoluzione del, contratto e, nel caso in cui il creditore abbia dovuto — perché l'inadempimento era di scarsa importanza e tale da non giustificare la risoluzione del contratto, ai sensi dell'art. 1455 c.c. — o voluto — per la sua autonoma determinazione — accertare la prestazione tardiva, non preclude, quindi, la liquidazione del danno conseguente al ritardo secondo i criteri indicati dall'art. 1223 c.c.

Cass. civ. n. 12013/1993

La clausola penale con cui le parti, nell'esercizio della libertà di autodeterminazione patrimoniale loro riconosciuta dall'ordinamento, fissino la misura degli interessi moratori al di sotto di quella legale, non è affetta da nullità per contrarietà all'ordine pubblico economico, purché per effetto della clausola il risarcimento preconcordato del danno non si riveli a tal punto irrisorio da escludere o limitare la responsabilità del debitore in caso di dolo o colpa grave.

La clausola penale, configurando atta liquidazione preventiva e omnicomprensiva del danno da inadempimento, concordata al fine di esonerare il creditore dalla prova della sussistenza e dell'ammontare del danno stesso, è sempre suscettibile di deroga, sia in senso quantitativo, che in senso qualitativo, per cui è configurabile un patto circa l'ulteriore risarcibilità di un determinato tipo di danno, non compreso nella penale e quindi in aggiunta alla stessa, ma è a tal fine indispensabile una esplicita pattuizione.

Cass. civ. n. 7603/1991

Poiché la pattuizione della clausola penale, a norma dell'art. 1382 c.c., ha l'effetto di limitare la risarcibilità del danno nascente dall'inadempimento, ove non sia stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore, non può essere pronunciata la condanna del debitore inadempiente anche al risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria ex art. 1224 c.c.

Cass. civ. n. 6561/1991

La clausola penale è un patto accessorio del contratto con funzione sia di coercizione all'adempimento sia di predeterminazione della misura del risarcimento in caso di inadempimento. Essa, pertanto, a norma dell'art. 1453 comma primo c.c. trova applicazione sia nell'ipotesi che il contraente chieda la risoluzione del contratto sia in quella che egli proponga domanda volta a conseguire l'esecuzione coatta del negozio e vale unicamente come liquidazione convenzionale del danno fissata antecedentemente dalle parti. Diversa funzione va invece riconosciuta alla caparra penitenziale o pena del recesso disciplinata dall'art. 1386 c.c. quale corrispettivo del diritto di recesso pattiziamente consentito.

Cass. civ. n. 595/1989

La clausola penale, la quale costituisce una pattuizione accessoria diretta a rafforzare il vincolo contrattuale mediante una concordata e preventiva liquidazione del danno, può essere stipulata per il caso di inadempimento definitivo ovvero per il solo ritardo nell'adempimento, e in quest'ultima ipotesi, ove il creditore agisca per il pagamento della penale deducendo il ritardo nell'inadempimento, permane l'obbligazione di adempiere gravante sul debitore, con la conseguenza che quest'ultimo, se il suo inadempimento diviene definitivo, è tenuto a risarcire al creditore il danno ulteriore diverso da quello convenzionalmente coperto dalla penale.

Cass. civ. n. 5305/1984

La clausola penale è una pattuizione accessoria del contratto convenuta dalle parti per rafforzare, da un lato, il vincolo contrattuale e per stabilire, dall'altro, preventivamente, una determinata sanzione per il caso di inadempienza o di ritardo nell'adempimento, con l'effetto di limitare alla prestazione prevista il risarcimento del danno indipendentemente dalla prova dell'effettivo pregiudizio economico verificatosi.

Cass. civ. n. 4603/1984

Connotato essenziale della clausola penale è la sua connessione con l'inadempimento colpevole di una delle parti e pertanto essa non è configurabile allorché sia collegata all'avverarsi di un fatto fortuito o, comunque, non imputabile alla parte obbligata. Una siffatta pattuizione costituisce una condizione o clausola atipica che può essere introdotta dall'autonomia contrattuale delle parti, ma resta inidonea a produrre gli effetti specifici stabiliti dal legislatore per la clausola penale.

Cass. civ. n. 2601/1983

L'obbligo del debitore inadempiente di corrispondere gli interessi non resta escluso per il caso in cui sia prevista una penale, ove questa sia stata pattuita per ristorare il creditore del solo danno derivante dall'inadempimento, e non anche degli effetti del ritardo nell'adempimento.

Cass. civ. n. 590/1982

La pattuizione di una clausola penale è compatibile con la previsione di un termine non essenziale, in conseguenza della diversa funzione ed operatività nel rapporto contrattuale, poiché, mentre il termine (di adempimento) riguarda il tempus in cui l'obbligazione deve essere adempiuta, cioè l'attualità del dover adempiere, la clausola penale si configura solo come un mezzo rafforzativo del vincolo contrattuale sul diverso e successivo piano degli effetti dell'eventuale inadempimento e concreta una concordata liquidazione anticipata del danno derivatone, indipendentemente dalla prova della sua concreta esistenza, senza che la previsione di tale clausola sia collegata automaticamente al carattere necessariamente essenziale del termine previsto in contratto, in quanto sia l'art. 1382 c.c., che il successivo art. 1385 si limitano a collegare gli effetti delle clausole rispettivamente previste al fatto dell'inadempimento, ossia ad un fatto riferibile anche ad ipotesi diverse dalla scadenza del termine, e l'art. 1382 citato prevede la stipula della clausola penale per il solo ritardo, supponendo, quindi, la possibilità di un adempimento posteriore alla scadenza del termine, salvo il risarcimento forfettario preventivato del danno derivante dal ritardo.

Cass. civ. n. 3789/1981

Poiché la penale, prevista all'art. 1382 c.c., avendo lo scopo — ove non sia stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore — di limitare il risarcimento alla prestazione pattuita, si identifica con l'obbligazione di pagare una predeterminata quantità di danaro in misura invariabile e costituisce debito di valuta superando ogni finalità risarcitoria dell'obbligazione: conseguentemente i relativi interessi spettanti al suo creditore sono moratori e non compensativi, e per la loro attribuzione richiedono l'istanza di parte.

Cass. civ. n. 4664/1976

La clausola penale costituisce una pattuizione accessoria del contratto che svolge — anche limitatamente a una sola parte degli obblighi che ne derivano — la duplice funzione di rafforzare, da un lato, il vincolo contrattuale e di stabilire, in particolare, dall'altra, in via preventiva, la prestazione dovuta per il caso di inadempienza o ritardo, con l'effetto di determinare e limitare a tale prestazione (sempreché non sia stata pattuita la risarcibilità del danno ulteriore) la misura del risarcimento dovuto, indipendentemente dalla prova della concreta esistenza del danno effettivamente sofferto. La pattuizione di una penale non sottrae il rapporto obbligatorio alla disciplina generale delle obbligazioni, per cui deve escludersi la responsabilità del debitore se questi prova che l'inadempimento o il ritardo nell'adempimento dell'obbligazione, cui accede la clausola penale, sia stato determinato dall'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile o risulti comunque giustificato, in relazione all'exceptio inadimplenti contractus, dall'inadempienza dell'altra parte. Analogamente, per l'operatività della clausola penale pattuita per il caso di ritardo nell'adempimento è necessaria la mora del debitore secondo le regole di cui all'art. 1219 c.c., salvo che le parti non abbiano diversamente disposto.

Cass. civ. n. 3606/1975

La pattuizione di una clausola penale per il caso di ritardo nell'adempimento non ha efficacia impeditiva dell'azione di risoluzione del contratto, nel caso di termine essenziale o quando il ritardo ecceda la normale tollerabilità.

Cass. civ. n. 995/1972

Nel caso di clausola penale stipulata per il ritardo nell'inadempimento, al verificarsi del ritardo sorge l'obbligazione nascente dalla clausola penale, che diviene operativa; se poi intervenga l'inadempimento, in forza della legge sorgerà l'obbligo del risarcimento del danno. Nel secondo caso, il creditore avrà la scelta di chiedere la penale, senza dare alcuna prova del danno determinato dall'inadempimento, ma, in tal caso, dovrà provare il danno stesso, se ed in quanto vi sia stato. (Nella specie l'attore aveva chiesto la risoluzione del contratto per inadempimento ed il pagamento della penale, stabilita per il ritardo in una somma giornaliera, dalla data prevista nel contratto per l'inadempimento a quella della citazione).

Cass. civ. n. 724/1970

Secondo la disciplina positiva, la clausola penale si collega necessariamente alla duplice ipotesi dell'inadempimento o del ritardo nell'adempimento sul presupposto che l'uno e l'altro siano imputabili all'obbligato. Pertanto, tale disciplina è inapplicabile, qualora le parti abbiano contrattualmente previsto la facoltà dell'obbligato di prorogare il termine di adempimento della prestazione, pattuendo un compenso fisso per ogni giorno di proroga.

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P. V. chiede
martedì 15/10/2024
“In data 10 ottobre 2024 ho sottoscritto un contratto in esclusiva con Agenzia Immobiliare per la vendita di un appartamento.
Per una serie di motivi non considerati al momento della firma, mi sono preoccupata soprattutto per la "clausola penale a carico del venditore" che al punto (a) recita: Il Venditore dovrà corrispondere all'Agenzia una penale pari al 100% della provvigione pattuita nel caso receda prima della scadenza del contratto o rifiuti di consentire l'esecuzione del presente incarico....
Il valore è 109.000 Euro. La commissione pari al 3%, quindi la cifra supera i 3000 Euro. Il contratto è stato firmato in agenzia.
Ho diritto al recesso/ripensamento entro 14 giorni dalla stipula?

Preciso per dovere di completezza che il problema nasce da un episodio: la precedente agenzia, con contratto scaduto, ma con permesso di mantenere la pubblicità fino a nuova disposizione, in data precedente alla firma del contratto aveva fissato un appuntamento con un cliente, che dopo incontro nel loro ufficio, ha chiesto di vedere l'appartamento, cosa della quale ho avvisato il nuovo agente, che ha risposto con minaccia di rivalsa con applicazione della clausola penale, addirittura raddoppiata per mancato guadagno con il cliente "perso". Specifico che le due agenzie non intendono accordarsi, cosa che io auspicavo.
Pertanto, indipendentemente da come vada la trattativa, io vorrei recedere, ovviamente senza penale.”
Consulenza legale i 22/10/2024
L’art. 52 del Codice del Consumo (D.Lgs. n. 206/2005) attribuisce al cliente/consumatore il diritto di recesso - senza dover fornire alcuna motivazione - entro 14 giorni, ma solo con riferimento ai contratti a distanza o negoziati fuori dei locali commerciali. Va aggiunto che il termine sopra indicato è prolungato a 30 giorni in talune specifiche ipotesi, tra le quali rientrano i contratti conclusi nel contesto di visite non richieste di un professionista presso l'abitazione di un consumatore.
Nel quesito viene precisato che il contratto è stato firmato in agenzia; dunque il diritto di recesso non spetta.
Ad ogni modo, forse vale la pena approfondire la valutazione della clausola penale prevista nel contratto.
In primo luogo, infatti, è necessario verificare se la previsione della penale possa essere considerata clausola vessatoria ai sensi e per gli effetti dell’art. 33 del Codice del Consumo.
Sul punto si segnala che il Tribunale di Roma (Sez. X, sentenza 19/05/2016, n. 10118) ha considerato vessatoria “la clausola che prevede un corrispettivo per recesso anticipato a carico del cliente di valore prossimo alla provvigione” (sempre che, naturalmente, il cliente rivesta la qualifica di consumatore, ovvero agisca per scopi estranei all’attività professionale eventualmente esercitata).
Nel nostro caso, la penale è addirittura pari al 100% della provvigione.
Inoltre, anche qualora la penale non venisse considerata vessatoria, ricordiamo che l’art. 1384 c.c. attribuisce al giudice il potere di ridurre l’importo della penale, qualora lo ritenga manifestamente eccessivo.

S. M. chiede
mercoledì 03/07/2024
“Buon giorno

sono un agente immobiliare e mi succede quanto segue:

ho un incarico di mediazione in esclusiva per un immobile

- ad Aprile 2024 ritiro 1 proposta di acquisto a prezzo pieno, subordinata all'ottenimento del mutuo. Sottoposta alla proprietà, mi riferisce che alle stesse condizioni è interessata una Sua amica. Definisco la stessa proposta di acquisto con la sua amica, proposta che viene accettata dalla proprietà. La condizione sospensiva prevedeva che entro e non oltre giorni 60 dalla comunicazione dell'accettazione della proposta di acquisto il proponente avesse doveva dare conferma o meno che il mutuo è stato deliberato e che invece in mancanza di comunicazioni, decorsi i 60 giorni, il contratto è RISOLTO.

-decorsi 60 giorni, sta di fatto che il mutuo non è stato deliberato, il proponente non ha dato nemmeno alcuna comunicazione in merito, pertanto il contratto si e' RISOLTO quindi ha perso la sua efficacia.

-ho inviato una mail al venditore mettendolo al corrente, che non ho ricevuto nessuna comunicazione e che sentita la banca alla quale si è rivolto mi hanno riferito che in linea generale avrebbero potuto dare risposta tra il 15.07.2024 e il 30.07.2024.
Ho aggiunto inoltre che sarei andato avanti con gli appuntamenti sull'immobile.

-ho ricontattato l'acquirente che avevo trovato per primo e di fatto essendo ancora alla ricerca di un immobile, facendo presente che per quell'immobile la proposta di acquisto non era andata a buon fine, gli ho proposto, se ancora interessato di formularne una nuova sempre alle stesse condizioni di prezzo (prezzo pieno) ma senza la condizione sospensiva di richiesta mutuo. Abbiamo sottoscritto la proposta e l'ho inviata al venditore.

-DOMANDA

-se il venditore si rifiuta di accettare la proposta di acquisto, che E' CONFORME all'incarico di mediazione immobiliare sottoscritto, posto che sull'incarico c'è indicato testualmente "sarà riconosciuta dal venditore una penale pari alla provvigione nel caso in cui si rifiuti di accettare una proposta di acquisto immobiliare conforme al presente incarico", la provvigione è dovuta?

-posso chiedere al venditore anche il mancato guadagno derivante dalla non conclusione del contratto in merito alla provvigione che avrebbe dovuto pagarmi la parte acquirente, in quanto la proposta di acquisto immobiliare è pienamente conforme all'incarico di vendita?

-infine, se il venditore decidesse di non accettare questa proposta e decidesse di aspettare la Sua amica (delibera di mutuo) concludendo la vendita

DOMANDA
posso ulteriormente chiedere ad ambo le parti le provvigioni? (Sua amica-Venditore)


resto in attesa di un Vs riscontro


distinti saluti


Simone M.”
Consulenza legale i 10/07/2024
Il contratto di mediazione immobiliare sottoscritto dal venditore dell’immobile prevede il riconoscimento di una clausola penale a favore dell’agente in base ad alcune ipotesi, tra cui il rifiuto da parte del venditore di una proposta di acquisto conforme all’incarico.

Con la clausola penale, disciplinata dall’art. 1382 c.c., le parti determinano in via convenzionale e anticipata il ristoro economico in caso di inadempimento di una delle due parti.
La clausola penale costituisce, quindi, un limite al risarcimento del danno che le parti potrebbero richiedere, salvo che sia stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore.

Il primo dubbio che sorge riguarda gli eventuali profili di vessatorietà di tale clausola.

La Corte di cassazione ha ritenuto che le clausole penali non abbiano carattere vessatorio ai sensi dell’art. 1341 del c.c. (Cass. civ. n. 18550/2021).
Interessante a tal proposito una pronuncia recente del Tribunale di Milano che ha stabilito che la clausola penale, con il medesimo contenuto di quella del caso di specie, non sia vessatoria in base all’art. 1341 c.c. – come stabilito dalla già citata sentenza di Cassazione - e nemmeno in base all’art. 33 lett. f) Codice del Consumo.
Infatti, secondo il giudice di merito, il rifiuto di una proposta conforme all’incarico implica che il mediatore abbia svolto la sua attività quasi completamente e, quindi, la mancata conclusione del contratto per cause non imputabili al mediatore bensì al venditore, non giustifica un riconoscimento del danno subito dal mediatore in misura inferiore alla provvigione prevista in caso di conclusione del contratto (Tr. Milano n. 2169/2022).

Secondo lo scrivente, però, potrebbe essere opposto un altro profilo di vessatorietà ai sensi dell’art.34 comma 6 del Codice del Consumo.
Sembra, infatti, che il modulo con l’incarico di mediazione sia un formulario predisposto dal mediatore senza che risulti che ci sia stata una specifica trattativa con il venditore che in questo caso assume le vesti di consumatore.
La clausola potrebbe, dunque, essere ritenuta nulla per vessatorietà ai sensi dell’art. 36 del codice consumo.

Sebbene, quindi, il Tribunale di Milano abbia confermato come la clausola penale così predisposta non sia vessatoria in base alla disciplina civilistica (art. 1341 c.c.) e consumeristica (art. 33 lett. f Cod. consumo), si tenga presente l’eventuale contestazione di controparte ai sensi dell’art. 34 comma 6 Cod. consumo in un’ipotetica fase conflittuale successiva.


È invece illegittima la richiesta del mediatore al venditore del risarcimento per il mancato guadagno per la non conclusione del contratto e il mancato pagamento della provvigione di parte acquirente.
Infatti, la clausola penale ha come sua natura quella di limitare convenzionalmente il risarcimento del danno e non risulta che tra le parti sia stata concordata la possibilità di chiedere il maggior danno oltre alla clausola penale.

Se il venditore dovesse non accettare la proposta conforme all’incarico ma decidesse di accettare un’altra proposta, il mediatore può chiedergli alternativamente il pagamento della penale, per il rifiuto della prima proposta, oppure il pagamento della provvigione per l’accettazione della seconda proposta di acquisto.
L’art. 1383 del c.c. infatti stabilisce il divieto di cumulo tra la domanda di prestazione principale e di clausola penale.

Sarà invece possibile senza dubbio chiedere alla parte acquirente, amica del venditore, il pagamento della provvigione qualora si avveri la condizione inserita nella proposta di acquisto e cioè la delibera favorevole del mutuo o, in ogni caso, qualora le parti decidano di concludere il contratto definitivo anche senza mutuo.


P. D. S. chiede
lunedì 01/05/2023
“Ho appaltato la costruzione di una villetta a schiera ed il contratto prevedeva una data di consegna certa, oltre la quale scattava un penale a carico della ditta di costruzioni di 20.000€.
La casa è stata consegnata ben 9 mesi dopo la data pattuita facendo si che che la penale diventasse pienamente esecutiva.

Mio quindi richiesto la penale, ma ad oggi sono passati quattro anni senza alcun pagamento.

La ditta di costruzione, adduce che ha svolto lavori extra capitolato per 4.700 euro e quindi gia per questo l'importo della penale si sarebbe dovuto ridurre di conseguenza a 15.300e, però non hanno mai consegnato le fatture per questi lavori, e inoltre adduce che essendo passati quattro anni, oggi la penale netta non è comunque piu dovuta per intervenuta prescrizione.
Chiedo se il tutto risponde a verità e come posso esercitare i miei diritti al risarcimento.”
Consulenza legale i 08/05/2023
La clausola penale è un istituto giuridico previsto in via generale dall’art. 1382 del c.c., il quale prevede appunto che: “La clausola, con cui si conviene che, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l’effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore."
La funzione di questo strumento è quella di determinare in via preventiva e “forfettaria” il risarcimento per il danno cagionato dall’inadempimento di una delle parti contraenti, e può essere pattuita sia per l’inadempimento che per il semplice ritardo (come nel caso che occupa).
La clausola penale ha la funzione, da un lato, di esonerare il creditore dall'onere di provare il danno da inadempimento, in quanto ne costituisce liquidazione anticipata e, dall'altro, di incentivare l'adempimento del debitore il quale conosce sin dall'inizio l'entità della prestazione cui è tenuto se inadempiente. A compensazione del fatto che il creditore è esonerato dall'onere di provare il danno, però, questi non può di regola ottenere risarcimento al pregiudizio ulteriore.

Nel caso che occupa, si è senza dubbio verificato un inadempimento, o meglio un inesatto inadempimento, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1218 del c.c.. L’inadempimento comporta il diritto per la parte non inadempiente ad ottenere il risarcimento del danno. Se il contratto prevedeva una clausola penale per l’ipotesi di ritardo, allora è solo alla stessa che si dovrà fare riferimento.
Da quanto narrato, si evince che la parte non inadempiente si è correttamente attivata per richiedere la penale inserita nel contratto di appalto. La stessa, però, non è stata pagata dalla controparte.

Affrontando singolarmente le due questioni poste nel quesito, è possibile osservare che:
  • È di certo facoltà delle parti accordarsi per ridurre convenzionalmente la penale inizialmente pattuita; questo, naturalmente, se entrambe le parti sono d’accordo. Il contratto, infatti, è espressione di autonomia delle parti contraenti (v. art. 1322 c.c.) e pertanto le stesse sono libere di determinarne il contenuto come meglio credono, salvo il rispetto delle norme imperative ed inderogabili di legge. Anche il giudice potrebbe, eventualmente, ridurre la penale che dovesse rivelarsi manifestamente eccessiva, con riguardo all’interesse delle parti (art. 1384 c.c.). Se la ditta appaltatrice chiede la riduzione della penale a fronte dell’esecuzione di lavori non concordati ed extra-capitolato, il committente, a patto che ne riconosca l’utilità, può prendere in considerazione tale circostanza a fini “transattivi”, e valutare se effettivamente possa essere equo ridurre di qualche centinaio di euro la penale pattuita, a fronte della correttezza dei lavori eseguiti. Questa, lo si ripete, è una valutazione che deve effettuare il committente, che può essere astrattamente consigliabile al fine di una risoluzione bonaria della vertenza.
  • Scorretto è, viceversa, affermare che il diritto a riscuotere la penale si sia prescritto in quattro anni. Infatti, il termine di prescrizione del diritto a richiedere la somma determinata dalla penale è, in assenza di altre disposizioni di legge più specifiche, quello ordinario decennale. La giurisprudenza si è espressa in tal senso affermando che: “La clausola con cui ai sensi dell'art. 1382 cod. civ. si conviene che in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento il contraente è tenuto ad una determinata prestazione ha per effetto la limitazione ad essa del risarcimento dovuto, che è soggetto al termine ordinario decennale di prescrizione trattandosi di risarcimento danni da inadempimento contrattuale" (Cass. sent. 2656 del 8-2-2006). In ogni caso, a tale soluzione si giunge sulla base di una lineare interpretazione delle norme generali del Codice Civile. Ai sensi dell’art. 2946 del c.c., infatti, “Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni".

Michele chiede
martedì 08/03/2022 - Emilia-Romagna
“1) Tempo fa, una s.a.s. (in prosieguo società A) siglò nel 2019 un preliminare di vendita per un terreno di sua proprietà di 50 ettari, con una società agricola (in prosieguo società B), interessata all’acquisto di questo terreno di 50 ettari. Questo preliminare era condizionato all'ottenimento, da parte della società B, di un finanziamento dai fondi della Unione Europea per l'Agricoltura, entro il termine del 31 dicembre 2021. Qualora il finanziamento non fosse stato erogato, la società B non avrebbe comprato il terreno, ma avrebbe sborsato alla società A, una somma di € 25.000,00 a titolo di “PENALE risarcitoria”, per l’impegno assunto dalla società A, per non aver potuto contrarre altre trattative di vendita con terzi, per il periodo che va dal 2019 al 31/12/2021.

2) La società B, non riceve il finanziamento europeo e non compra il terreno di 50 ettari. Tuttavia non sborsa nemmeno i €25.000,00 alla società A, affermando che essendo quella una CLAUSOLA PENALE, e avendo eseguito la domanda per ottenere i fondi, in modo preciso e regolare, ai sensi dell’art. 1382 c.c. non essendoci stato alcuna responsabilità da parte della società B, non essendo colpa della società B se l’Europa non ha erogato il finanziamento, la società B non deve alcuna somma come penale risarcitoria alla società A. Pertanto, non si può parlare di inadempimento, perché se il finanziamento non è stato concesso, derivava da una causa non imputabile alla società B. Al contrario, se la società A avesse voluto la somma di €25.000, indipendentemente dalla responsabilità della società B, non avrebbe dovuto scrivere “penale risarcitoria”, ma semplicemente “risarcimento”. Pertanto non essendoci stato alcuna responsabilità da parte della società B, allora la società B non deve alla società A, alcun risarcimento a titolo di penale.

3) Vi è da dire che in questi 3 anni, si erano affacciati molti compratori, che avevano manifestato interessamento all’acquisto del terreno, ma a causa del preliminare con la società B, la società A non poté concludere la vendita del terreno con altri. Ora con la pandemia e la guerra, il valore del terreno si è notevolmente deprezzato e quindi il danno c’è stato.

LA DOMANDA E’ QUESTA:
E’ possibile che per aver aggiunto il termine “PENALE” alla parola “risarcimento”, la società B, che effettivamente ha compiuto tutto il necessario per ottenere questi finanziamenti europei, e pertanto non gli si può imputare alcuna responsabilità, non debba però più versare i €25.000,00 di risarcimento, tenuto conto che, anche se involontariamente, ha generato comunque un danno? La società A avrebbe realmente dovuto non scrivere il termine PENALE, per ottenere il risarcimento dalla società B, che senza colpa non aveva ottenuto i finanziamenti?


Vorrei, per favore, che la domanda come la risposta rimangano riservate. Grazie.”
Consulenza legale i 21/03/2022
L’istituto della clausola penale è previsto dall’art. 1382 del c.c., il quale prevede che “La clausola, con cui si conviene che, in caso d’inadempimento o di ritardo nell’adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l’effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore. La penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno”.

In altre parole, attraverso la clausola penale, le parti possono concordare in anticipo, fin dal momento della conclusione del contratto, quello che sarà l’importo del risarcimento nel caso di eventuale inadempimento dell’accordo da parte di uno dei contraenti. In tal modo, si raggiunge un duplice risultato: da una parte, si evitano le lungaggini dovute alla quantificazione e alla prova del danno in sede giudiziale, visto che l’importo è già stato predeterminato ex ante dalle parti stesse; in secondo luogo, tale determinazione del danno costituisce un vantaggio per la parte inadempiente la quale sa che, in mancanza di diversa pattuizione, sarà tenuta a corrispondere solo e solamente la cifra quantificata con la penale, anche se il danno dovesse, in ipotesi, rivelarsi maggiore.

È utile, al fine di meglio comprendere la soluzione del quesito, fare alcune considerazioni di carattere giuridico.
La clausola penale, come anzidetto, costituisce una liquidazione forfettaria e anticipata del danno risarcibile in caso di inadempimento di una delle parti. Il concetto di inadempimento, ai sensi dell’art. 1218 del c.c., tuttavia, si lega inestricabilmente a quello di responsabilità la quale presuppone, a sua volta, un atteggiamento almeno “colpevole” dell’inadempiente. Il concetto di responsabilità da inadempimento, infatti, sussiste solo allorquando l’inadempimento possa considerarsi “imputabile” alla parte, che vi ha dato origine con un suo comportamento colposo o doloso. A riprova di ciò, l’art. 1256 del c.c. prevede che: “l'obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile". In altre parole, se la parte non è responsabile, per colpa o per dolo, dell’inadempimento della prestazione, la stessa sarà liberata nei confronti del creditore.

Operate queste premesse giuridiche di carattere generale, è forse più facile comprendere come, nel caso che occupa, sia stata evidentemente utilizzata l'espressione in maniera atecnica.
Infatti, al di là del tenore letterale della locuzione “clausola penale”, ciò che la parti volevano sostanzialmente prevedere era la corresponsione di una somma (€ 25.000,00) a fronte del mancato acquisto del terreno, a prescindere dalla colpa della società B. Tale somma era dovuta poiché la società A avrebbe “tenuto fermo” il terreno per due anni. È evidente come la ragione di tale clausola consistesse nel sacrificio della società A nel non alienare il terreno per un considerevole lasso di tempo, con conseguente rinuncia ad altre occasioni di guadagno, al quale sarebbe corrisposto un equo impegno economico della società B, nel caso in cui l’acquisto non fosse andato, poi, a buon fine.
La clausola inserita dalle parti, quindi, non corrisponde ad una clausola penale in senso tecnico, né ad un risarcimento.
Ha ragione la società B quando afferma che il finanziamento non concesso deriva da una causa alla stessa non imputabile. Si contraddice, però, quando sostiene che le parti avrebbero allora dovuto parlare non di “penale risarcitoria” bensì di “risarcimento”: clausola penale e risarcimento, infatti, condividono la medesima natura risarcitoria.
Nel caso che occupa, invece, le parti hanno solo previsto il sacrificio economico di una parte nel caso di mancato verificarsi di una condizione oggettiva ed indipendente dalla volontà delle parti, ossia la mancata concessione del finanziamento.
Fa parte del principio di autonomia negoziale delle parti stabilire, ai sensi dell’art. 1322 del c.c. e nei limiti della legalità, tutto ciò che persegue nel miglior modo i loro interessi.

Nulla sarebbe cambiato se le parti avessero aggiunto il termine “penale” alla parola “risarcimento” poiché, in ogni caso, non c’è stato alcun inadempimento da parte della società B, ma solamente il mancato avverarsi di una condizione, a fronte della quale la società B si era impegnata a corrispondere un certo importo.

È utile ricordare come, ai sensi dell’art. 1362 del c.c., “nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole”.
La somma di 25.000,00 è quindi dovuta dalla società B, e la società A è senz’altro legittimata a richiederla.

L.O. chiede
giovedì 18/11/2021 - Lazio
“Avvocati, vorrei sapere se le parole sotto riportate sono contro legge.


Preliminare di compravendita immobile con riserva della proprietà sito in______, Foglio______particella_____sub____cat____ tra: _________ E _______________
================le parti concordano quanto segue: ====================
1) euro ______ al concedente alla firma del presente con l’assegno di c/c ………………………… Salvo buon fine.
2) euro ________ alla firma atto notarile con assegno circolare bancario intestato al concedente;
3) euro _______ mensili per 120 (centoventi) mesi da versare sul codice Iban _________ intestato__________il giorno …………. di ogni mese.
4) il conduttore il 17 Giugno e il 17 Dicembre di ogni anno verserà al venditore, tramite bonifico come per le rate, euro-------- per rimborso Imu;
5) “In caso d'inadempimento del venditore, l'acquirente rinuncia sin d'ora ad adire le vie legali, per ottenere il risarcimento dell'eventuale danno, conseguenza immediata e diretta del suddetto inadempimento”.
6) “Le parti concordano che in caso d'inadempimento dell'acquirente, il venditore non sarà tenuto a restituire le rate riscosse che saranno interamente trattenute a titolo di penale.
Poiché l'acquirente, al momento dell'acquisto, ha versato la caparra confirmatoria pari a euro xxxxxxxxx, in caso d'inadempimento dell'acquirente, il venditore, oltre a trattenere il suddetto importo a titolo di penale, avrà diritto di trattenere anche la caparra confirmatoria, fermo restando l'eventuale ulteriore risarcimento danni”.”
Consulenza legale i 26/11/2021
Esaminiamo le clausole contrattuali nello stesso ordine in cui vengono riportate nel quesito.
La prima, che prevede una rinuncia - da parte del solo acquirente - ad “adire le vie legali” è - almeno in astratto - una tipica clausola vessatoria ai sensi del secondo comma dell’art. 1341 c.c.; più precisamente, comporta una “limitazione di responsabilità” a favore di una sola parte.
La caratteristica fondamentale di questo tipo di clausole è che, per poter essere efficaci, devono essere “specificamente approvate per iscritto”: in altre parole, per la loro approvazione non basta la semplice firma apposta in fondo al contratto, ma devono essere firmate nuovamente a parte (indicandole specificamente).
Tuttavia, va precisato che la disciplina delle clausole vessatorie, contenuta nel comma 2 della norma che stiamo esaminando, si applica nel caso in cui le clausole contrattuali siano state predisposte da uno dei contraenti, e in modo tale da favorire proprio il contraente che le ha predisposte.
Riassumendo, nel nostro caso sarebbe utile esaminare il testo del contratto, per comprendere meglio se si tratta di condizioni contrattuali predisposte unilateralmente (cioè da un solo contraente) e, in tal caso, se siano state specificamente approvate per iscritto.
Inoltre, anche nel caso in cui non si rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 1341, comma 2 c.c., occorre tenere presente quanto stabilito dall’art. 1229 c.c., secondo cui non tutte le clausole di limitazione sono comunque valide: sono nulle, infatti, quelle che escludono o limitano preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave, o nel caso di violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico
La seconda clausola sottoposta al nostro esame richiede innanzitutto una spiegazione su cosa si intenda per “penale” e per “caparra confirmatoria”.
La clausola penale è prevista dagli artt. 1382 e ss. c.c.: si tratta, appunto, della clausola con cui le parti pattuiscono che, in caso d'inadempimento o di ritardo nell'adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione (ad es. pagare una somma di denaro). L'effetto della penale è quello di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, a meno che non sia stata pattuita la risarcibilità del danno ulteriore. Inoltre, la penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno.
In ogni caso, l’art. 1384 c.c. attribuisce al giudice il potere di ridurre la penale, se l'obbligazione principale è stata eseguita in parte oppure se l'ammontare della penale è manifestamente eccessivo.
Invece la caparra confirmatoria è prevista dall’art. 1385 c.c.: si tratta della somma di denaro che una parte consegna all’altra al momento della conclusione del contratto, con l’accordo che, in caso di adempimento, dovrà essere restituita o imputata alla prestazione dovuta. In sostanza, come spiega la norma stessa, se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto trattenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.
Tuttavia, secondo l’opinione prevalente (indirettamente confermata anche da Cass. Civ., Sez. II, sent. 10/05/2012, n. 7180), nel caso in cui il contratto preveda sia la caparra confirmatoria, sia la clausola penale, le stesse non sono cumulabili, nel senso che la parte non inadempiente non potrà pretendere entrambe.
Ad ogni modo, rimane pur sempre il menzionato potere del giudice di ridurre la penale il cui importo risulti manifestamente eccessivo (considerando in questo caso anche il versamento della caparra confirmatoria).
Per un esame più approfondito sarebbe senz’altro opportuna la lettura dell’intero testo contrattuale: tuttavia, già dalle clausole che abbiamo letto in questa sede, appare evidente un significativo squilibrio delle posizioni contrattuali, nettamente a vantaggio del venditore e a sfavore dell'acquirente.

Rodolfo B. chiede
venerdì 01/03/2019 - Marche
“Il promissario acquirente consegna a titolo di caparra confirmatoria al promittente venditore un assegno bancario dell'importo di Euro 100.000,00. Per accordo tra le parti, poiché tra la data del contratto preliminare e quella stabilita per il contratto definitivo di compravendita intercorre più di un anno, qualora il promittente venditore si astenga dal negoziare l'assegno bancario riscuotendo così l'importo della caparra il promissario acquirente gli riconoscerà una maggiorazione del corrispettivo di vendita dell'immobile in ragione dell'1% per ogni mese intero di mancata negoziazione dell'assegno. L'assegno rimarrà depositato, unitamente al contratto preliminare, presso l'agenzia di mediazione immobiliare che ha messo in contatto venditore e compratore. E' valida la caparra così rilasciata ai sensi dell'art.1385 Cod.Civ.?”
Consulenza legale i 06/03/2019
La disciplina della caparra confirmatoria è contenuta nell’art. 1385 del c.c. Questo tipo di caparra si configura quando, al momento della conclusione del contratto, una parte dà all'altra una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, con l’accordo che essa, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta.
In particolare, se ad essere inadempiente è la parte che ha dato la caparra, l'altra può recedere dal contratto, trattenendo la caparra. Se, invece, ad essere inadempiente è la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.
Se però la parte che non è inadempiente preferisce domandare l'esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali.
La caparra confirmatoria si distingue dalla caparra penitenziale (art. 1386 del c.c.), che è quella che viene data da una parte all’altra con funzione di corrispettivo del recesso: in questo caso, chi recede perde la caparra data o deve restituire il doppio di quella che ha ricevuto.
Dunque, a prescindere dai termini usati dalle parti, per stabilire se siamo di fronte ad una caparra confirmatoria o a una caparra penitenziale (oppure, per esempio, ad un semplice acconto) occorrerà verificare quale sia la funzione in concreto svolta dalla somma che viene consegnata da un contraente all’altro. Sarà pertanto necessario, in primo luogo, leggere il testo del contratto, per cui si chiarisce che la risposta fornita in questa sede viene resa sulla base di quanto riferito nel quesito.
Fatta questa doverosa premessa, effettivamente quella descritta nel quesito risulterebbe essere una caparra confirmatoria, dal momento che non sembra svolgere la funzione di “prezzo” del recesso.
La particolare caratteristica dell’accordo raggiunto dalle parti, in questo caso, è che, in caso di inadempimento dell’obbligo di concludere il contratto definitivo entro una determinata data (inadempimento, si presuppone, imputabile al promissario acquirente), il promittente venditore, il quale a questo punto potrebbe recedere dal contratto trattenendo la caparra ricevuta, avrà diritto ad una maggiorazione sul corrispettivo stabilito per la vendita.
Questa maggiorazione funge in sostanza da penale per l’ulteriore ritardo da parte del promissario acquirente.

Ai sensi dell’art. 1382 del c.c., la clausola penale è la clausola con cui si conviene che, in caso d'inadempimento o di ritardo nell'adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione. La penale produce l'effetto di limitare il risarcimento a tale prestazione, se non è stata pattuita la risarcibilità del danno ulteriore; anche per questo la penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno.
Nel caso descritto nel quesito si tratta di una penale un po’ particolare, in quanto “agganciata” al mancato incasso della caparra confirmatoria, che di per sé a sua volta è collegata alla questione dell’adempimento del contratto ed attribuisce una facoltà di recesso alla parte non inadempiente. Invece questa penale presuppone che il promittente venditore conceda di fatto un’ulteriore dilazione al promissario acquirente e non eserciti il diritto di recesso.
La stessa però, considerata l’autonomia negoziale di cui godono le parti, non sembra in linea di principio incompatibile con la natura e con le finalità dell’istituto della caparra confirmatoria.
Tuttavia, qualora si rendesse necessario rispondere in maniera più aderente alle caratteristiche di questo caso, sarebbe indispensabile leggere il testo del contratto stipulato tra le parti.

Marco chiede
mercoledì 23/09/2015 - Lazio
“Dopo mille vicissitudini che hanno impedito di poter stipulare un atto definitivo di compravendita, a fine novembre scadrà il mio preliminare trascritto nel 2012. Ad oggi il proprietario non è ancora pronto per fare il rogito e io mi trovo davanti a un bivio: depositare una domanda giudiziale per una esecuzione specifica, oppure fare un nuovo atto trascritto. Io sarei propenso per la seconda ipotesi e cioè concedere ulteriori 6 mesi, con un nuovo atto che preveda l'inequivocabilmente inadempienza del venditore è che, in caso di scadenza infruttuosa di tali ulteriori termini, sia pronto per presentare, una richiesta di esecuzione specifica praticamente dall'esito certo, che non preveda più da parte mia il pagamento residuo del saldo (attualmente di 75.000€) E che mi garantisca dal problema più grande grande: sull'immobile insiste un mutuo preesistente di 400.000€. Posso in qualche maniera vincolare alcuni immobili di proprietà del venditore (attigui al mio) alla liberazione dell'ipoteca? (Ho fatto tale domanda perché ho il timore che se dovessi presentare richiesta di esecuzione specifica il proprietario non paghi più le rate del mutuo e che mi veda spignorare l'immobile dalla banca) quindi volevo sapere : in tale caso estremo, è possibile sostituirmi al proprietario nel pagamento del mutuo alla banca e ottenere una sentenza che mi trasferisca anche altri appartamenti (che tra l'altro fanno parte del medesimo blocco su cui gravità tutto il mutuo preesistente). Diciamo che al momento sono in grado di far preparare il nuovo atto come meglio credo, ( il proprietario non ha altra scelta se vuole evitare una causa) ma io voglio approfittare della situazione per preparare un atto di ferro a garanzia del credito versato!!”
Consulenza legale i 29/09/2015
Il quesito sottende due problematiche: la prima legata alla redazione di un atto di "proroga" che possa garantire nel modo migliore il promissario acquirente; la seconda relativa alla possibilità di subentrare nell'ipoteca in modo da scongiurare possibili azioni recuperatorie della banca che ha concesso il mutuo.

Partendo dalla seconda questione, in generale, si può procedere in uno dei modi seguenti:
- pagare il residuo del mutuo alla banca, e liberare così l'immobile da ogni vincolo (si ha un caso di surrogazione legale, ex art. 1203 del c.c.): ipotesi impensabile se il residuo è ancora molto elevato o se comunque è superiore al prezzo che resta da pagare al promissario acquirente;
- accollo del mutuo frazionato: in questo caso, l'acquirente subentra nel rapporto con la banca, escludendo l'originario debitore, ma solo relativamente all'immobile acquistato. Quando il venditore era anche il costruttore del complesso immobiliare e ha contratto mutuo per l'intero edificio, è possibile ipotizzare la stipulazione con la banca mutuante di un atto di frazionamento, in base al quale il mutuo viene suddiviso in modo da far gravare sul singolo acquirente la quota di competenza della sua unità immobiliare, frazionando così anche l'ipoteca (che rimarrebbe sul singolo immobile ma stavolta a nome dell'acquirente, che quindi, sapendo di poter pagare, scongiurerebbe il rischio di farsi pignorare il bene).
L'ipotesi è contemplata espressamente, anche per immobile da costruire (cioè per il caso in cui il preliminare o l'atto di acquisto siano precedenti all'ultimazione dei lavori dell'edificio) dall'art. 39 del d.lgs. 385/1993, Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, che sancisce un vero e proprio diritto al frazionamento, tra gli altri soggetti, anche al promissario acquirente ("In caso di edificio o complesso condominiale per il quale può ottenersi l'accatastamento delle singole porzioni che lo costituiscono, ancorché in corso di costruzione, il debitore, il terzo acquirente, il promissario acquirente o l'assegnatario del bene ipotecato o di parte dello stesso, questi ultimi limitatamente alla porzione immobiliare da essi acquistata o promessa in acquisto o in assegnazione, hanno diritto alla suddivisione del finanziamento in quote e, correlativamente, al frazionamento dell'ipoteca a garanzia").

Attualmente interesse del promissario acquirente è quello di guadagnare ancora un po' di tempo ed ottenere il trasferimento dell'immobile senza ricorrere in giudizio - con ulteriori prevedibili spese -, redigendo a tal fine un atto di proroga ad hoc.

Si deve, quindi, innanzitutto, fare pressione sul promittente venditore affinché ottenga la liberazione dell'immobile dall'ipoteca (cioè paghi il suo debito). Poiché ciò difficilmente avverrà, ci si deve rivolgere alla banca per ottenere il frazionamento del mutuo e dell'ipoteca ai sensi del sopra citato art. 39 del T.U.B.

Circa la possibilità di assoggettare a ipoteca, in favore del promissario acquirente, altri beni del promittente venditore, va ricordato che l'ipoteca ha tre possibili fonti:
1. l'ipoteca volontaria è quella che il creditore ha il potere di iscrivere in base a un contratto o a una dichiarazione unilaterale di volontà da parte del concedente (art. 2821 del c.c.);
2. l'ipoteca legale è quella accordata ex lege a specifici creditori in forza della causa del credito o della qualità o posizione assunta da loro stessi, anche se non si aggiunge il concorso della volontà del debitore (art. 2817 del c.c.);
3. l'ipoteca giudiziale è l'ipoteca che il creditore ha il potere di iscrivere qualora abbia ottenuto una sentenza di condanna al pagamento di una somma o all'adempimento di un'altra obbligazione ovvero al risarcimento dei danni da liquidarsi successivamente (art. 2818 del c.c.).
Nel caso di specie si può ipotizzare una ipoteca volontaria, se il debitore presta il consenso a concederla, mentre sono allo stato attuale da escludere le altre due ipotesi (la terza sarà realizzabile solo se il promissario acquirente ottiene una sentenza di risarcimento a suo favore).

Quanto all'atto di proroga da far sottoscrivere al promittente venditore, vista la posizione di vantaggio del promissario acquirente, si può pensare di inserire nell'atto una clausola che preveda, in caso di difetto della stipulazione del rogito entro il nuovo termine, il pagamento da parte del venditore di una penale pari al residuo del prezzo da versare, con consenso alla compensazione tra le due obbligazioni, in modo che il promissario acquirente non sia obbligato a versare più alcunché. La penale è contemplata dall'art. 1382 del c.c., che sancisce: "La clausola, con cui si conviene che, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l'effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore.
La penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno
".
Si può formulare la clausola anche come prestazione del consenso da parte del promittente venditore a ridurre il prezzo dell'immobile di € 75.000 qualora la stipulazione del contratto definitivo non avvenga entro il termine.
E' consigliabile consultare un legale al fine di redigere un atto il più possibile aderente alle esigenze del promissario acquirente.

P. D. S. chiede
sabato 12/10/2024
“Ho eseguito una ristrutturazione, appaltando i lavori a una ditta con contratto di appalto che prevedeva una penale se i lavori non terminavano entro un certo termine.
I lavori sono stati ultimati ben oltre il termine, ragione per cui a tutti gli effetti ho diritto al risarcimento come da penale espressamente disciplinata nell'importo nel contratto di appalto in parola.
La società appaltatrice, pur mai contestando il mio legittimo diritto a ricevere l'importo, semplicemente ignora da anni ogni richiesta non rispondendo mai ad alcuna richiesta di pagamento, che ho sempre regolarmente trasmesso per PEC diffidando al pagamento della penale unitamente agli interessi di mora. Tuttavia, per una serie di ragioni, non ho mai intrapreso una azione civile, per cui non ho in mano una sentenza di un Giudice. Al momento sono passati otto anni, e mi sarei finalmente deciso a intraprendere un'azione vigile. Senonché mi sorge il dubbio che il credito sia andato in prescrizione, per mancanza di una sentenza, nonostante io a intervalli regolari - ogni due anni - inviassi una PEC formale con diffida al pagamento e interessi.
Il mio quesito è dunque se per l'interruzione della prescrizione siano state sufficienti le mie formali richieste, oppure avrei dovuto entro il termine di cinque anni ottenere un titolo da un Giudice?”
Consulenza legale i 21/10/2024
È pacifico che il diritto a ricevere il pagamento della clausola penale - di cui all'art. 1382 c.c. - sia soggetto al termine ordinario di prescrizione, cioè quello decennale.
Pertanto il periodo di tempo entro cui vanno compiuti eventuali atti interruttivi della prescrizione è, appunto, di dieci anni.
Peraltro, per quanto riguarda il momento da cui iniziare a conteggiare il termine (il c.d. dies a quo), in base al principio stabilito dall’art. 2935 c.c., la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere: quindi, nella fattispecie in esame, dal giorno in cui si è verificato l’inadempimento, ossia è scaduto il termine fissato per l’esecuzione dei lavori.
Ad ogni modo, nel nostro caso risulterebbero effettivamente posti in essere degli atti di interruzione della prescrizione: infatti, ai sensi dell’art. 2943 c.c., la prescrizione non viene interrotta solo dalla notificazione dell’atto introduttivo di un giudizio, ma altresì da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore.

G. S. chiede
lunedì 29/07/2024
“Spettabile Brocardi,
circa un anno fa ho firmato, forse incautamente, quello che sembrava un preliminare di acquisto per una cucina,
emettendo un assegno a garanzia di 500 euro "valido come caparra" registrato in aggiunta alla "proposta di commissione" da me firmata.
Successivamente, non ho proseguito con l'acquisto della cucina (era legata a una ristrutturazione che non sono riuscito a organizzare, per cui ho cambiato i miei piani).
In pratica, non ho effettuato nessun versamento di acconto, e non c'e` stata nessuna fattura a mio carico.

Ero convinto che avrei perso soltanto la caparra con cui mi ero esposto.
Invece, recentemente si e` fatta viva la parte venditrice e mi ha scritto quanto segue:

"""il cliente ha 2 possibilità.

1 – arriva al 30% dell’acconto e congeliamo la situazione fino a che troverà una nuova casa e faremo la cucina nella nuova abitazione (entro i 2 anni)

2 – paga la penale del 20% del contratto oltre a quello già lasciato e si svincola come scritto nel punto 13 del contratto.

Se dovesse scegliere la seconda va avvisata l’amministrazione e pagherà la penale.

"""

Per il momento, ho risposto che la compravendita era ancora nella fare preliminare, in particolare l'ordine non era mai andato in lavorazione perche' non era stato fatto alcun versamento di acconto (citando il punto 5 delle condizioni di vendita), e che quindi ritenevo la richiesta di penale una pretesa ingiustificata.

Inoltre, dalla rilettura delle carte del preliminare non ho trovato in alcun punto il riferimento alla scadenza di un anno (che ricordavo che mi era stata detta a voce), e neppure altre scadenze.

E` giustificata la richiesta del venditore di una penale, in aggiunta alla perdita di caparra, oppure e` un tentativo di raggiro?
Nel caso di tentativo di raggiro ai miei danni, posso rivalermi in qualche modo, per esempio trattenendo la caparra, che forse non e` stata ancora incassata con l'assegno?

Posso fornire copia del documento che ho firmato, seguendo "le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento" a Brocardi.

Grazie per l'attenzione.
Distinti saluti.”
Consulenza legale i 06/08/2024
Per rispondere al quesito è necessario fare una breve premessa sulla natura e sulle finalità della caparra, da un lato, e della penale (o clausola penale), dall’altro.
Riguardo alla caparra, dobbiamo dire che essa non è espressamente contemplata nelle condizioni di contratto firmate dall’acquirente; tuttavia, risulta - dalla documentazione fornita - che il compratore ha consegnato al venditore un assegno dell’importo di 500 euro, “a garanzia”, e che lo stesso sarebbe “valido come caparra”.

In realtà, però, il codice civile prevede due tipi di caparra: la caparra confirmatoria (art. 1385 c.c.) e la caparra penitenziale (art. 1386 c.c.).
La prima consiste nell’accordo con cui i contraenti pattuiscono che una data somma di denaro, che viene consegnata da una parte all’altra al momento della conclusione del contratto:
  • in caso di adempimento venga rispettivamente restituita o imputata alla prestazione dovuta;
  • in caso di inadempimento, se ad essere inadempiente è la parte che ha dato la caparra, l'altra può recedere dal contratto, trattenendo la caparra medesima. Se, invece, è inadempiente la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.
Invece la caparra penitenziale presuppone che nel contratto sia attribuito il diritto di recesso ad una o a entrambe le parti: in tal caso la caparra rivestirà la sola funzione di corrispettivo del recesso. In sostanza, chi recede perde la caparra data o deve restituire il doppio della caparra ricevuta. Non è però, chiaramente, il nostro caso, mancando nel contratto esaminato una clausola di questo tipo.

Ma la somma di 500 euro versata da chi pone il quesito può essere davvero qualificata come caparra confirmatoria, o si tratta di un semplice acconto sul prezzo, privo della funzione propria della caparra?
La formula utilizzata potrebbe lasciare, in realtà, qualche dubbio: se, da un lato, l’espressione “a garanzia, valido come caparra” sembra lasciare poco margine per contestare la natura del versamento, dall’altro nella ricevuta leggiamo che l’importo “verrà restituito contestualmente alla ricezione tramite bonifico e stampa fattura di acconto”, frase che difficilmente si concilia con la presunta natura di caparra. Si tenga presente, peraltro, che nel linguaggio comune il termine “caparra” viene impropriamente utilizzato, spesso, come sinonimo di acconto.

Nel contratto, però, al punto 13, è prevista anche una clausola penale, che consiste nell’accordo con cui le parti pattuiscono che, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, uno dei contraenti sia tenuto ad eseguire una determinata prestazione (solitamente pagare una somma di denaro, appunto), che sarà dovuta indipendentemente dalla prova del danno. L’effetto della penale è quello di limitare il risarcimento del danno da inadempimento o da ritardo alla penale promessa, salvo che sia stata espressamente prevista la risarcibilità del danno ulteriore (art. 1382 c.c.).
Un primo problema che si pone in merito al rapporto tra caparra confirmatoria e clausola penale riguarda la possibilità che esse coesistano nello stesso contratto, vista la diversità di funzione e di presupposti.
A tale interrogativo ha dato risposta la Cassazione che, con l’ordinanza 29/11/2022, n. 35068, ha affermato il principio secondo cui “in uno stesso contratto ben può essere stipulata una clausola penale, in aggiunta alla caparra confirmatoria; in tale ipotesi, la clausola penale ha la funzione di limitare preventivamente il risarcimento del danno nel caso in cui la parte che non è inadempiente preferisca, anziché recedere dal contratto, domandarne l'esecuzione o la risoluzione”.
Nella motivazione della predetta pronuncia, la Suprema Corte spiega che “ove ciò sia, i due istituti mantengono comunque funzioni diverse. La caparra confirmatoria, oltre a dimostrare esteriormente la conclusione del contratto e ad integrare una anticipata parziale esecuzione della prestazione convenuta, ha la funzione di rappresentare un anticipato risarcimento del danno in caso di mancato adempimento. Sotto tale aspetto essa si accosta alla clausola penale, stipulata per il caso d'inadempimento, per il fine che essa rivela di indurre l'obbligato ad eseguire la prestazione. Peraltro, l'accostamento tra caparra confirmatoria e clausola penale, stipulata per il caso d'inadempimento, non può andare oltre il rilievo del comune intento che esse rivelano di indurre l'obbligato all'adempimento, in quanto esse hanno un diverso ambito di applicazione. Mentre la prima è applicabile al caso che il contratto non debba essere più adempiuto per l'avvenuto esercizio del diritto di recesso, la seconda è, invece, applicabile al caso che il diritto di recesso non sia stato esercitato.
Pertanto, in uno stesso contratto ben può essere stipulata una clausola penale, in aggiunta alla caparra confirmatoria. In tale ipotesi, la clausola penale ha la funzione di limitare preventivamente il risarcimento del danno nel caso in cui la parte che non è inadempiente preferisca, anziché recedere dal contratto, domandarne l'esecuzione o la risoluzione”.

Per tirare le fila del discorso, dobbiamo ribadire, innanzitutto, che occorre in primo luogo qualificare correttamente la somma già corrisposta, come caparra confirmatoria o come acconto, per la diversità di effetti che consegue a tale qualificazione.
Infatti, se si tratta di caparra confirmatoria e l’acquirente - come nel nostro caso - decide di non dar corso alle obbligazioni assunte, perderà la caparra medesima. Va precisato, infatti, che quello concluso tra le parti non è un “contratto preliminare”, ma un vero proprio contratto di compravendita: il contratto preliminare è l’accordo con cui le parti si impegnano a stipulare un futuro contratto, detto appunto definitivo, e non è questo il nostro caso.
Il semplice acconto, inteso quale anticipo sul prezzo, va invece restituito laddove non si dia esecuzione al contratto.

In ogni caso, sia che si tratti di caparra che di acconto, il venditore non potrà pretendere di trattenere i 500 euro ed esigere anche la penale, proprio perché si tratterebbe - in entrambe le ipotesi - di scelte incompatibili tra loro, come abbiamo evidenziato in precedenza.
Tuttavia, nel contratto che abbiamo esaminato, il punto 13 prevede proprio la possibilità per il venditore di trattenere la "caparra" versata e di richiedere la penale. È ipotizzabile una valutazione della legittimità o meno di tale clausola; ad ogni modo, l'art. 1384 c.c. attribuisce al giudice il potere di ridurre la penale che sia "manifestamente eccessiva".
Come si vede, la situazione è intricata e non priva di incertezze, motivo per cui, laddove non si raggiunga un accordo con il venditore, è consigliabile consultarsi con un legale per stabilire la linea difensiva più opportuna.

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