Un’importante innovazione introdotta dal codice del consumo nella disciplina delle
clausole vessatorie è quella prevista dalla norma in esame, relativa alla c.d. nullità di protezione, così definita proprio perché volta a proteggere il
consumatore contraente debole.
Prima che entrasse in vigore il codice del consumo, si discuteva su quale dovesse essere la sanzione da applicare alle clausole vessatorie, ed in particolare se l’annullabilità (nel quale caso il contratto produce i suoi effetti fin quando non viene esperita con successo l’
azione di annullamento da parte del soggetto danneggiato), la nullità (la quale può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e determina il venir meno di tutti gli effetti prodotti dal contratto, come se lo stesso non fosse mai esistito) o la semplice
inefficacia.
Con il codice del consumo il legislatore ha voluto prevedere una specifica ipotesi di nullità, la quale si caratterizza per il fatto che può essere fatta valere solo dal consumatore o rilavata d’ufficio dal giudice, ma sempre e solo per tutelare il contraente debole.
Come è facile desumere dalla lettura del primo comma, si tratta di una ipotesi di nullità parziale, in quanto è soltanto la clausola vessatoria a non produrre effetti, mentre il resto del contratto rimane pienamente valido ed efficace; la ragione per cui si è preferito optare per una nullità parziale si ritiene debba rinvenirsi nel fatto che una nullità totale, anziché tutelare il consumatore (il quale ha comunque interesse a mantenere valido il contratto, eliminando solo la condizione che provoca lo squilibrio), lo avrebbe al contrario danneggiato.
Come è stato appena osservato, oltre che parziale, la nullità qui prevista si caratterizza per il fatto che non può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse, ma soltanto da una parte, ovvero il contraente debole.
Il secondo comma della norma, poi, elenca una serie di clausole che fanno parte di una c.d. “lista nera”, ossia clausole che, anche se sono il frutto di
trattativa individuale tra
professionista e consumatore, vanno in ogni caso dichiarate nulle per la loro intrinseca pericolosità.
In particolare, sono tali:
a) le clausole che prevedono una esclusione o limitazione della
responsabilità del professionista in caso di morte o di danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da una omissione del professionista stesso;
b) le clausole che prevedono una esclusione o limitazione delle azioni del consumatore nei confronti del professionista in caso di inadempimento parziale o di inadempimento inesatto da parte del professionista;
c) le clausole che il consumatore non ha avuto modo di conoscere prima della conclusione del contratto, come quelle in cui il professionista si limita a rinviare a norme che di fatto il consumatore non è in grado di visionare direttamente.
L’ultimo comma, invece, si preoccupa di sanzionare con la nullità la clausola con cui si sceglie come legge applicabile al contratto quella di un paese extracomunitario, allorché da tale scelta ne derivi la privazione, in danno del consumatore, delle tutele di cui lo stesso godrebbe a livello comunitario.
Il quarto comma, disciplinante il
diritto di regresso del venditore, riproduce sostanzialmente il contenuto dell’art. 1469 quinquies c.c., con la differenza che alla inefficacia viene adesso sostituita la nullità.
Il regresso non trova applicazione nei seguenti casi:
1. clausola abusiva introdotta autonomamente dal venditore;
2. clausola negoziata da fornitore e venditore per cui il rischio della nullità sia già stato considerato dalle due parti;
3. clausola nulla nel contratto tra fornitore e venditore in base ad un’altra ipotesi di nullità.