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Articolo 52 Codice del consumo

(D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206)

[Aggiornato al 31/12/2023]

Diritto di recesso

Dispositivo dell'art. 52 Codice del consumo

1. Fatte salve le eccezioni di cui all'articolo 59, il consumatore dispone di un periodo di quattordici giorni per recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali senza dover fornire alcuna motivazione e senza dover sostenere costi diversi da quelli previsti all'articolo 56, comma 2, e all'articolo 57.

1-bis. Il periodo di recesso di quattordici giorni di cui al comma 1 è prolungato a trenta giorni, per i contratti conclusi nel contesto di visite non richieste di un professionista presso l'abitazione di un consumatore oppure di escursioni organizzate da un professionista con lo scopo o con l'effetto di promuovere o vendere prodotti ai consumatori. La disposizione di cui al presente comma non si applica ai contratti conclusi nel contesto di visite domiciliari da parte di un professionista, richieste da un consumatore e non organizzate dal medesimo in forma collettiva(1).

2. Fatto salvo l'articolo 53, il periodo di recesso di cui al comma 1 del presente articolo termina dopo quattrodici giorni, o, nei casi di cui al comma 1-bis, dopo trenta giorni a decorrere:

  1. a) nel caso dei contratti di servizi, dal giorno della conclusione del contratto;
  2. b) nel caso di contratti di vendita, dal giorno in cui il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico dei beni o:
  3. 1) nel caso di beni multipli ordinati dal consumatore mediante un solo ordine e consegnati separatamente, dal giorno in cui il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico dell'ultimo bene;
  4. 2) nel caso di consegna di un bene costituito da lotti o pezzi multipli, dal giorno in cui il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico dell'ultimo lotto o pezzo;
  5. 3) nel caso di contratti per la consegna periodica di beni durante un determinato periodo di tempo, dal giorno in cui il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico del primo bene;
  6. c) nel caso di contratti per la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, di teleriscaldamento o di contenuto digitale non fornito su un supporto materiale, dal giorno della conclusione del contratto(2).

3. Le parti del contratto possono adempiere ai loro obblighi contrattuali durante il periodo di recesso. Tuttavia, nel caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, il professionista non può accettare, a titolo di corrispettivo, effetti cambiari che abbiano una scadenza inferiore a quindici giorni dalla conclusione del contratto per i contratti di servizi o dall'acquisizione del possesso fisico dei beni per i contratti di vendita e non può presentarli allo sconto prima di tale termine.

3-bis. Nel caso di cui al comma 1-bis, il professionista non può accettare, a titolo di corrispettivo, effetti cambiari che abbiano una scadenza inferiore a trentuno giorni dalla conclusione del contratto per i contratti di servizi o all'acquisizione del possesso fisico dei beni per i contratti di vendita e non può presentarli allo sconto prima di tale termine(1).

Note

(1) Comma inserito dal D. Lgs. 7 marzo 2023, n. 26.
(2) Comma modificato dal D. Lgs. 7 marzo 2023, n. 26.

Spiegazione dell'art. 52 Codice del consumo

La norma in esame accorpa, sotto il profilo della disciplina del diritto di recesso, sia i contratti a distanza che quelli negoziati fuori dai locali commerciali.
La ratio, su cui si fonda il riconoscimento dell’esercizio del diritto di recesso, può individuarsi per le vendite a distanza nella circostanza che il consumatore non è in grado di vedere i beni prima di concludere il contratto (ciò che si ritiene essenziale per stabilirne la natura, le caratteristiche ed il funzionamento), mentre nel caso dei contratti negoziati fuori dei locali commerciali, il consumatore dovrebbe disporre del diritto di recesso in virtù del potenziale elemento di sorpresa e/o di pressione psicologica.
Si vuole sostanzialmente riequilibrare la posizione di disuguaglianza strutturale delle parti, al fine di consentire al consumatore una scelta più consapevole e razionale.

Il diritto di recesso disciplinato da questa norma, definito di “protezione”, non può essere ricondotto al tradizionale istituto del recesso preso in considerazione dal nostro codice civile.
Diverse sono le tesi elaborate in ordine alla sua natura giuridica.
Da alcuni è stato qualificato come una revoca della dichiarazione contrattuale del consumatore, da altri come condizione sospensiva negativa, nel senso che l’efficacia del contratto rimarrebbe sospesa fino al termine stabilito per esercitare il recesso, sicché gli effetti dello stesso inizierebbero a prodursi a seguito del mancato esercizio del recesso nel termine normativamente previsto.
Altri lo hanno qualificato come una vera e propria condizione risolutiva, ricollegando al positivo esercizio del diritto di recesso, nel termine previsto dalla legge, la cessazione degli effetti del contratto, o, ancora, come una sorta di opzione ex art. 1331 del c.c. o come figura riconducibile per certi versi al rifiuto espresso di cui all’art. 1333 del c.c..

In ogni caso, ciò che è certo è che l’ effetto del recesso sarà quello di far cessare le obbligazioni delle parti sia di adempiere al contratto a distanza o concluso fuori dai locali commerciali sia di perfezionare il relativo accordo nel caso in cui la proposta provenga dal consumatore ed abbia un carattere vincolante.

Rispetto all’analoga previsione della disciplina previgente, la norma in esame innalza a quattordici giorni il termine breve per l’esercizio del diritto di recesso ad nutum, facendolo decorrere, sia per i contratti a distanza che per quelli negoziati fuori dei locali commerciali, dalla consegna dei beni o, in caso di servizi, dalla conclusione del contratto (non viene fatto alcun riferimento a “ giorni lavorativi”).
Viene precisato che il recesso si esercita “senza dover fornire alcuna motivazione e senza dover sostenere costi diversi da quelli previsti dall’ art. 56, co. 2, e all’ art. 57”; il consumatore, dunque, non è esonerato da tutti i costi, dovendo sostenere quelli supplementari di consegna, nonché quelli ordinari, relativi alla successiva restituzione dei beni al professionista, conseguente all’esercizio del diritto di recesso, salvo che il professionista non abbia concordato di sostenerli in proprio o abbia omesso di informare il consumatore che tali costi diretti di restituzione dei
beni sono a suo carico.

Si tenga, comunque, presente che nel caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, con beni consegnati al domicilio del consumatore al momento della conclusione del contratto, il professionista è comunque tenuto a ritirare tali beni a proprie spese qualora, per loro natura, gli stessi non possano essere restituiti a mezzo posta.

Il secondo comma contiene un’articolata statuizione per ciò che concerne il computo del termine utile all’esercizio del diritto di recesso.
Durante la pendenza del termine per l’esercizio del recesso, le parti possono decidere di adempiere alle rispettive obbligazioni, non potendo tale circostanza costituire un ostacolo per lo ius poenitendi (anzi, argomentando a contrario dall’ art. 59, lett. A), neanche la circostanza che le prestazioni siano state eseguite per intero fa da schermo allo scioglimento del contratto).
Va soltanto evidenziato che, durante quest’arco temporale, al professionista è precluso, nel caso si sia in presenza di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, di accettare a titolo di corrispettivo effetti cambiari aventi scadenza inferiore a quindici giorni dalla conclusione del contratto (per i contratti di servizi) o dall’acquisizione del possesso fisico dei beni (per i contratti di vendita), né di presentare i medesimi effetti allo sconto prima di tale termine.

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Consulenze legali
relative all'articolo 52 Codice del consumo

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

D. L. chiede
venerdì 04/10/2024
“Buongiorno, a Luglio 2023 ho stipulato una polizza casa protezione maltempo infissi etc con XXX con rinnovo annuale per un valore di 750 euro circa. A giugno 2024 scopro di avere una polizza praticamente uguale inclusa nel mutuo con la mia banca, per cui credendo fosse inutile averne 2 uguali e ignorando il fatto di dover dare una disdetta, a luglio non mi sono presentato in filiale per il rinnovo credendo che fosse come con le auto nel senso bastava non pagare per chiuderla li. da li in poi vengo contattato dalla filiale che mi spiega che comunque avrei dovuto dare disdetta etc etc, mail e teleofnate fino ad arrivare alla "minaccia" di azioni legali per il recupero del credito. Domanda se io pago con bonifico quindi come rinnovo dopo più di due mesi dalla scadenza e poi invio raccomandata per il recesso ho diritto all'annullamento della polizza e al rimborso ? Preciso che non è la polizza con la banca che voglio recede in quanto fa parte del mutuo ed è inclusa nello stesso ma è quella con l'altra compagnia ovvero XXX che voglio recedere. Comunque posso inviarvi entrambe: polizza banca Allianz e polizza che ho attivato successivamente ignaro di avere già la copertura con la banca XXX. Vi allego condizioni delle polizze e quietanza del pagamento che ho fatto l'8 ovvero oggi senza mai recarmi in filiale, solo tramite botta e risposta via mail che di fatto è l'oggetto della domanda ovvero se posso recedere nei 14 gg e ricevere rimborso”
Consulenza legale i 11/10/2024
Esaminata la documentazione allegata, possiamo affermare che non è possibile procedere come indicato nel quesito: ovvero recedere - con contestuale rimborso - entro 14 giorni dal pagamento del premio relativo all’ultimo rinnovo annuale.
Infatti l’art. 13.8 delle Condizioni di Assicurazione, inserito nella parte relativa alle “Norme comuni a tutte le garanzie”, stabilisce espressamente che:
  • la durata del contratto di assicurazione è quella indicata nel certificato di polizza, da considerarsi parte integrante del contratto di assicurazione stipulato. Nel nostro caso la durata è, appunto, annuale, come si evince dalla quietanza prodotta;
  • il contratto di durata annuale si rinnova tacitamente di anno in anno, ad ogni scadenza annuale, salvo che sia preventivamente inviata disdetta da una delle parti. La disdetta va comunicata mediante lettera raccomandata spedita almeno trenta giorni prima della scadenza.
Nel nostro caso, tale disdetta non risulta inviata, per cui il contratto deve intendersi tacitamente rinnovato fino alla prossima scadenza annuale, trenta giorni prima della quale potrà essere data comunicazione della volontà di recedere.

Quanto alla facoltà di recesso entro 14 giorni, essa è prevista dall’art. 13.15 delle Condizioni generali, ma con riferimento al contratto concluso mediante “tecniche di comunicazione a distanza”.
Ora, l’art. 45, comma 1, lett. g) del Codice del Consumo definisce «“contratto a distanza”: qualsiasi contratto concluso tra il professionista e il consumatore nel quadro di un regime organizzato di vendita o di prestazione di servizi a distanza senza la presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore, mediante l'uso esclusivo di uno o più mezzi di comunicazione a distanza fino alla conclusione del contratto, compresa la conclusione del contratto stesso».
Nel nostro caso, non viene specificato come sia stato concluso il contratto, se a distanza o in agenzia (si accenna soltanto a uno scambio di email per quanto riguarda il rinnovo della polizza): ad ogni modo, qui non si parla di conclusione del contratto, bensì di successivo rinnovo alla scadenza annuale.

È pur vero che l’art. 65 bis del Codice del Consumo, di recentissima introduzione, prevede che “nei contratti di servizi stipulati a tempo determinato con clausola di rinnovo automatico, il professionista, trenta giorni prima della scadenza del contratto, è tenuto ad avvisare il consumatore della data entro cui può inviare formale disdetta. La comunicazione di cui al primo periodo è inviata per iscritto, tramite sms o altra modalità telematica indicata dal consumatore, e la sua mancanza consente al consumatore, sino alla successiva scadenza del contratto, di recedere in qualsiasi momento senza spese”. Tuttavia, ad avviso di chi scrive, tale disposizione non è applicabile al contratto oggetto del quesito, stipulato prima dell’entrata in vigore della nuova norma.

N. C. chiede
mercoledì 11/09/2024
“Salve sono un privato,
ho firmato un contratto per acquisto auto usata presso concessionaria ufficiale, dando caparra di 1.500 euro per un prezzo complessivo di 33.000 euro.
Da una visura al PRA della targa del veicolo risulta che la concessionaria ha pagato alla VW il riscatto del leasing gravante sull'auto per 17.000 euro;
Da una valutazione presso più operatori commerciali risulta un prezzo di mercato della macchina di 25.000 euro circa e la stessa concessionaria che mi ha predisposto il contratto mi ha detto con mail, di avere speso 27.000 euro per prendere possesso della vettura tramite accordo col locatario del leasing.
Chiedo di sapere se il Codice Civile o il codice Consumatori prevede che in questi casi il contratto è un contratto capestro e posso recedere poichè la macchina ha valore commerciale di 25.000 euro mentre il contratto è di 33.000 euro.
Esiste anche per il mercato dell'auto un articolo del CC simile a quello nr 1538 ?
Posso chiedere al concessionario di rivedere il prezzo in ribasso ?
saluti”
Consulenza legale i 23/09/2024
In linea generale, non esiste un limite ai prezzi applicati da commercianti e rivenditori, posto che i compratori sono liberi di acquistare o meno i prodotti da coloro che applicano le condizioni migliori.

L’art. 52 del Codice del Consumo consente ai consumatori di recedere dai contratti di compravendita (entro 14 giorni dalla ricezione del bene) soltanto quando questi sono conclusi a distanza o al di fuori dei locali commerciali, come gli acquisti porta a porta, gli acquisti online, le televendite, ecc. (cioè fuori dai negozi fisici o da stand di fiere e mercati).
Se il contratto è stato concluso all’interno dei locali commerciali della concessionaria, non è riconosciuto il diritto di recesso a dette condizioni.

Per annullare il contratto stipulato sarà, pertanto necessario che sussista una delle cause di annullamento disciplinate dall’art. 1425 e ss. del c.c.: incapacità legale o naturale di uno dei contraenti; il consenso di un contraente è stato dato per errore (essenziale e riconoscibile dall'altro contraente), estorto con violenza, o carpito con dolo; oltre ad altre cause specifiche per determinati contratti.
Nel caso di specie, non sembra ricorrere nessuna delle cause di annullamento del contratto.

Altri casi in cui un contratto può essere posto nel nulla sono i casi de rescissione del contratto concluso in stato di pericolo (art. 1447 del c.c.) o in stato di bisogno (art. 1448 del c.c.).
Neppure queste ipotesi sembrano individuabili nel caso in esame.

L’ultima possibilità per liberarsi dal vincolo contrattuale consiste nella risoluzione del contratto, perseguibile per:
- inadempimento (art. 1453 e ss. del c.c.);
- impossibilità sopravvenuta (art. 1463 e ss. del c.c.);
- eccessiva onerosità (art. 1467 e ss. del c.c.).
Nell’ipotesi di cui al quesito avanzato non si rinvengono le condizioni per risolvere il contratto per nessuna delle cause suesposte.

Il contratto che ci ha fornito non contiene, peraltro, alcuna clausola vessatoria che ne consente l’annullamento.
Si segnala soltanto la facoltà di recedere ai sensi dell’art. 3 in caso di ritardo superiore ai 15 giorni rispetto al termine di consegna indicato dalla concessionaria.

Infine, residua soltanto la possibilità, nell’eventualità in cui ne ricorrano le condizioni, di una querela per truffa; ciò è possibile quando il venditore ha nascosto, con artifici o raggiri, il valore reale del bene, facendo volontariamente cadere in errore l’acquirente, mediante un comportamento doloso e malizioso, anche tramite la semplice reticenza.

Massimo C. chiede
mercoledì 10/08/2016 - Puglia
“Se il consumatore, in vigenza del codice del consumo antecedente l'anno 2014, allega in giudizio, in qualità di attore, di aver esercitato il diritto di recesso da un contratto di fornitura di un servizio (frequenza corso d'inglese), omettendo tuttavia di precisare di averlo stipulato presso la sede del fornitore-convenuto, su quale parte incombe l'onere di provare la circostanza omessa che, all'epoca, escludeva l’esperibilità del recesso?
Preciso, per completezza, che il giudice della causa - nonostante la puntuale contestazione del fornitore che ha negato l’esistenza stessa del fatto costitutivo la pretesa attorea per l’avvenuta stipulazione del contratto presso la propria sede – ha condannato il convenuto per non aver sufficientemente provato quanto eccepito.”
Consulenza legale i 17/08/2016
Va fatta una doverosa premessa a parziale correzione di quanto viene detto nel quesito.
I contratti del consumatore trovano, in effetti, una differente disciplina sostanziale a seconda che essi siano negoziati all'interno dei locali commerciali oppure al di fuori di essi (inclusi i contratti a distanza e del commercio elettronico): i primi sono quelle intese negoziali concluse nei luoghi in cui il commerciante-professionista esercita abitualmente la propria attività e che sono chiaramente individuati e conosciuti come esercizi commerciali aperti al pubblico. Per “locale commerciale” deve intendersi quello posto all'interno di un edificio che può essere individuato come esercizio commerciale aperto al pubblico, ove il commerciante-professionista esercita abitualmente e stabilmente la propria attività commerciale. A questi si applica la disciplina contenuta nel Decreto Legislativo n. 114/1998 (“Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59”), mentre ai contratti conclusi fuori dai locali commerciali si applica la differente disciplina, notevolmente più garantista, contenuta nel "Codice del Consumo" (D.Lgs n. 206/2005), sul presupposto che in tali casi il consumatore tende a prestare una minore attenzione al regolamento negoziale ed alla convenienza economica dell'affare.
Questi contratti sono stati disciplinati in sede comunitaria dalla Direttiva 85/577/CEE che incentra la tutela in capo al consumatore nel riconoscimento al diritto di "ripensamento" dell'affare, con l'esercizio del diritto di recesso dal contratto.

Il "Codice del Consumo" ha poi subito rilevanti modifiche in seguito all’emanazione del Decreto Legislativo n. 21 del 21 febbraio 2014 (che ha recepito anche in Italia la direttiva n. 2011/83/UE).

Tale codice costituisce la normativa di riferimento posta a protezione dei diritti dei consumatori ma, si noti bene, non tutte le norme del medesimo, anche dopo la novella del 2014, si applicano indistintamente a tutti i contratti: la riforma ha certamente ampliato l’ambito di applicazione del "Codice del Consumo" anche ai contratti conclusi all’interno dei locali commerciali, ma la disciplina relativa all’esercizio del diritto di recesso rimane differente per le varie tipologie di contratto.
Per quanto riguarda il caso concreto in esame, quindi, se il contratto era stato effettivamente concluso nei locali del fornitore – secondo la predetta definizione di locale commerciale – il recesso previsto dal "Codice del Consumo" era escluso.

Per quanto riguarda, nello specifico, la domanda posta nel quesito, la regola generale sull’onere della prova è quella dettata dall’art. 2697 cod. civ.: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto di è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.”.

Anche nel caso di specie, pertanto, troverà applicazione la suddetta regola.

Il consumatore che intenda far valere il suo diritto al recesso avrà, così, l’onere di provare le circostanze di fatto che hanno giustificato il recesso, i presupposti e le regole per il legittimo esercizio dello stesso ed infine le circostanze comprovanti l’avvenuto rispetto di tali regole.
Viceversa, il convenuto fornitore che intenda contestare il recesso come illegittimo, avrà l’onere di provare che non esistevano, nella fattispecie concreta, i presupposti per l’esercizio o per l’esercizio legittimo del medesimo: pertanto, ad esempio, dovrà provare che la transazione era stata conclusa all’interno dei locali commerciali e che quindi la disciplina applicabile non era quella di cui al "Codice del Consumo" ed escludeva le restituzioni.

Gli elementi di prova sono fondamentali all’interno del processo per ottenere il riconoscimento delle proprie pretese: pertanto, quand’anche – come pare a chi scrive di aver inteso nel caso di specie – l’attore abbia omesso una circostanza importante ai fini del giudizio perché a sé sfavorevole, sarà la controparte ad avere l’onere di dedurla in atti al fine di far rigettare la domanda avversaria e se non lo farà, potrà risultare soccombente: probabilmente ciò è quanto avvenuto nel procedimento descritto, nel quale il convenuto non è riuscito a provare in maniera convincente né sufficiente che i fatti escludevano l’applicazione della normativa a maggior tutela del consumatore.

Va per completezza aggiunto che il Giudice è tenuto a conoscere solamente la legge, mentre spetta alle parti provare i fatti (è il cosiddetto principio del iura novit curia, facta sunt probanda): pertanto, il Giudice sarà tenuto, nel caso in esame, a conoscere la normativa applicabile alle fattispecie coinvolte nel giudizio ("Codice del Consumo" e disciplina sui contratti commerciali), ma non potrà, evidentemente, applicarla correttamente al caso concreto se le parti non gli forniscono le circostanze di fatto che consentono di ricondurre la fattispecie sotto il campo di applicazione di una norma piuttosto che di un’altra.


P. V. chiede
martedì 15/10/2024
“In data 10 ottobre 2024 ho sottoscritto un contratto in esclusiva con Agenzia Immobiliare per la vendita di un appartamento.
Per una serie di motivi non considerati al momento della firma, mi sono preoccupata soprattutto per la "clausola penale a carico del venditore" che al punto (a) recita: Il Venditore dovrà corrispondere all'Agenzia una penale pari al 100% della provvigione pattuita nel caso receda prima della scadenza del contratto o rifiuti di consentire l'esecuzione del presente incarico....
Il valore è 109.000 Euro. La commissione pari al 3%, quindi la cifra supera i 3000 Euro. Il contratto è stato firmato in agenzia.
Ho diritto al recesso/ripensamento entro 14 giorni dalla stipula?

Preciso per dovere di completezza che il problema nasce da un episodio: la precedente agenzia, con contratto scaduto, ma con permesso di mantenere la pubblicità fino a nuova disposizione, in data precedente alla firma del contratto aveva fissato un appuntamento con un cliente, che dopo incontro nel loro ufficio, ha chiesto di vedere l'appartamento, cosa della quale ho avvisato il nuovo agente, che ha risposto con minaccia di rivalsa con applicazione della clausola penale, addirittura raddoppiata per mancato guadagno con il cliente "perso". Specifico che le due agenzie non intendono accordarsi, cosa che io auspicavo.
Pertanto, indipendentemente da come vada la trattativa, io vorrei recedere, ovviamente senza penale.”
Consulenza legale i 22/10/2024
L’art. 52 del Codice del Consumo (D.Lgs. n. 206/2005) attribuisce al cliente/consumatore il diritto di recesso - senza dover fornire alcuna motivazione - entro 14 giorni, ma solo con riferimento ai contratti a distanza o negoziati fuori dei locali commerciali. Va aggiunto che il termine sopra indicato è prolungato a 30 giorni in talune specifiche ipotesi, tra le quali rientrano i contratti conclusi nel contesto di visite non richieste di un professionista presso l'abitazione di un consumatore.
Nel quesito viene precisato che il contratto è stato firmato in agenzia; dunque il diritto di recesso non spetta.
Ad ogni modo, forse vale la pena approfondire la valutazione della clausola penale prevista nel contratto.
In primo luogo, infatti, è necessario verificare se la previsione della penale possa essere considerata clausola vessatoria ai sensi e per gli effetti dell’art. 33 del Codice del Consumo.
Sul punto si segnala che il Tribunale di Roma (Sez. X, sentenza 19/05/2016, n. 10118) ha considerato vessatoria “la clausola che prevede un corrispettivo per recesso anticipato a carico del cliente di valore prossimo alla provvigione” (sempre che, naturalmente, il cliente rivesta la qualifica di consumatore, ovvero agisca per scopi estranei all’attività professionale eventualmente esercitata).
Nel nostro caso, la penale è addirittura pari al 100% della provvigione.
Inoltre, anche qualora la penale non venisse considerata vessatoria, ricordiamo che l’art. 1384 c.c. attribuisce al giudice il potere di ridurre l’importo della penale, qualora lo ritenga manifestamente eccessivo.

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