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Articolo 1256 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Impossibilità definitiva e impossibilità temporanea

Dispositivo dell'art. 1256 Codice Civile

L'obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore(1), la prestazione diventa(2) impossibile(3) [1218, 1463].

Se l'impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell'adempimento(4) [1219]. Tuttavia l'obbligazione si estingue se l'impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell'obbligazione [1325 n. 2] o alla natura dell'oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione(5) ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla(6).

Note

(1) Se l'impossibilità è imputabile al debitore egli è tenuto al risarcimento del danno (1218 c.c.).
(2) Se l'impossibilità è originaria viene impedita la nascita stessa dell'obbligazione.
(3) Si ritiene che la prestazione sia impossibile quando la situazione sopravvenuta non possa essere superata con lo sforzo diligente (1176 c.c.) a cui il debitore è tenuto, non essendo sufficiente una maggior difficoltà, ma nemmeno necessaria un'impossibilità assoluta o oggettiva. La questione, quindi, diviene quella di stabilire quale sforzo possa essere preteso dal debitore.
(4) Il debitore è esonerato dalla responsabilità per il ritardo nel caso di impossibilità temporanea ma egli deve adempiere appena la prestazione diviene possibile.
(5) E' liberato, ad esempio, il cantante che sarebbe costretto a modificare le altre date in programma per eseguire la prestazione inadempiuta o a sostenere spese ingenti per prolungare il suo soggiorno all'estero; ancora, l'addestratore di un animale raro che non può essere obbligato ad eseguire lo spettacolo dopo che l'unico esemplare di cui è proprietario è morto.
(6) Si può pensare, ad esempio, all'esibizione di un personaggio famoso programmata per capodanno ma che diviene possibile solo dal 3 gennaio.

Ratio Legis

L'estinzione si spiega in ragione del fatto che l'inadempimento non è imputabile al debitore: se, invece, lo fosse, questi ne sopporterebbe le conseguenze. Infatti, anche se l'impossibilità è temporanea, il debitore è liberato solo dopo che non può più essere obbligato ad eseguire la prestazione divenuta possibile o che è venuto meno l'interesse del creditore a conseguirla ma non lo è se, venuta meno l'impossibilità, non sussiste una di queste situazioni.

Brocardi

Ad impossibilia nemo tenetur
Debitor speciei liberatur interitu rei
Extinguitur obligatio si in eum casum inciderit, a quo incipere non potest
Factum principis
Fortuitus casus est, qui nullo humano consilio praevideri potest
Magna difficultas impossibilitati aequiparatur
Maior casus, cui humana infirmitas resistere non potest
Nemo potest ad impossibile obligari
Non semper videtur dolo facere qui reposcenti non reddit
Vis maior

Spiegazione dell'art. 1256 Codice Civile

I requisiti della impossibilità estintiva. Concetto della assolutezza e della oggettività

Come si è già accennato, questo articolo, il cui secondo comma non ha preciso riscontro nelle norme del vecchio codice, viene a sostituire il primo comma dell'art. #1298# (perdita della cosa senza colpa del debitore) e, per quanto riguarda il solo effetto estintivo, anche le norme integrative degli articoli #1224# e #1225#. Tutte le vecchie formule vengono ora condensate in quella ampia e comprensiva del primo comma; impossibilita della prestazione per una causa non imputabile al debitore. Nel progetto del 1936 (art. 96) era conservata la formula integrale dell'articolo #1225#, e quindi, accanto alle non imputabilità, vi era il requisito della estraneità. In una prima redazione del progetto ministeriale si leggevano nel primo comma anche le parole «in modo assoluto e definitivo». Nel testo ultimo risulta eliminato l'aggettivo «assoluto» mentre quello «definitivo», tolto dal primo comma si legge invece nella intitolazione, contrapposto al «temporaneo».

Una dottrina formatasi sotto il vecchio codice aveva voluto giustificare il requisito della estraneità, osservando che se la impossibilità risale ad un fatto proprio del debitore, sia pure a lui non imputabile, questi rimane egualmente obbligato. Si citavano gli esempi dell'erede che consuma in buona fede la cosa dovuta e del debitore personale che la danneggi per improvvisa pazzia. Altri interpretava la estraneità come riferita alla volontà del debitore; il che secondo una giusta obiezione si risolveva in una pura tautologia di fronte alle «non imputabilità». Restava, poi, da spiegare il concetto della non imputabilità che si faceva coincidere con quelli del caso fortuito e della forza maggiore; i quali ultimi, però, si solevano distinguere nel senso che il fortuito consistesse in un avvenimento imprevedibile o comunque inevitabile (fulmine, terremoto, inondazione); mentre la forza maggiore dipendesse da un fatto umano irresistibile (grassazione, atto di autorità come la requisizione, etc.). Tutto questo è ora espresso nella nuova formula dell'articolo in esame, alla cui analisi giova ora passare.

Il concetto di impossibilità della prestazione è implicito a quello della causa non imputabile al debitore. Pure eliminate le vecchie tautologie, la impossibilità, in sé stessa, resta concepita come un impedimento assoluto e non già come una pur intensa e personale difficoltà. Ciò è ora tanto più rigorosamente esatto in quanto le questioni sulla più o meno intensa difficoltà sopravvenuta sono espressamente regolate in una apposita sezione nuova della eccessiva onerosità (art. 1467 per le prestazioni corrispettive e 1468 per quelle unilaterali). La eliminazione dell'espresso requisito della assolutezza non ha, avuto dunque lo scopo di aprire lo spiraglio alle difficoltà personali, pur gravi, del debitore, bensì fosse quello di non ribattere troppo un concetto già di per sé rigido e di non cadere, perciò, nell'eccesso opposto.

Alla assolutezza della impossibilità, cioè a dire al suo grado massimo che implica la imprevedibilità ed inevitabilità, fa riscontro il requisito della oggettività che scaturisce dalla stessa formula, oltre che dalla denominazione. Causa non imputabile al debitore è quella che risiede in fatti estranei alla sua persona ed alla sua sfera aziendale. Non solo, perciò, è indifferente lo stato psicologico del debitore, ma qualunque sua difficoltà od impossibilità personale. Onde, il vecchio concetto del fortuito, estraneo alla persona oltre che alla volontà del debitore, rimane sempre utilizzabile al fine di interpretare rettamente la nuova formula dell'art. 1256, V, comma.


Gli effetti della impossibilità definitiva e di quella temporanea

La impossibilità definitiva estingue dunque l'obbligazione. Se questa consisteva in un facere, occorre che la prestazione non sia possibile anche a costo di maggiore dispendio e svantaggio. Nelle obbligazioni di non fare, sempre, nello stesso grado e qualità, possono utilizzarsi i concetti derivabili dalle norme nuove in tema di fatti illeciti sulla legittima difesa e sullo stato di necessità (articoli 2044 e 2047). Se l'obbligazione era di dare, occorrerà distinguere le prestazioni generiche da quelle di specie. Nelle prime non si può verificare normalmente il perimento, e quindi l'impossibilita della prestazione. La specie, cioè la cosa determinata, può invece perire per uno dei casi espressi nell'art. #1228# del codice abrogato, ed ora compresi nella formula generica dell'art. 1256; perimento materiale, posizione fuori commercio, smarrimento.

Alla impossibilita definitiva, che estingue e pone il rischio a carico del creditore, fa riscontro, nel secondo comma, quella temporanea, che, impedendo solo la tempestività della esecuzione, scagiona il debitore dal ritardo. Senonché non era prudente lasciare in sospeso e senza alcun criterio direttivo la posizione rispettiva delle due parti in ordine ad una possibile esecuzione in tempo successivo. E perciò la seconda parte del comma medesimo stabilisce che la estinzione si verifica egualmente per l'impedimento temporaneo quando le cose sono giunte al punto che, pur prevedendosi una ulteriore possibilità, sarebbe eccessivamente gravoso per il debitore, od inutile per il creditore, stare rispettivamente impegnati a dare e ricevere la prestazione. Il momento della estinzione sarà dichiarato dal giudice tenendo in considerazione il titolo della obbligazione o la natura dell'oggetto.

Si intende, poi, che, anche per questa ipotesi di impossibilità temporanea si rendono applicabili, in caso di obbligazioni contrattuali corrispettive, le norme espresse negli articoli 1463, 1464 e 1465 per la impossibilita definitiva.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

151 Si è fatta coincidere detta impossibilità con il so­pravvenire di una causa estranea incidente sulla prestazione, non imputabile al debitore e che impedisce definitivamente
l'esecuzione della prestazione (art. 175).
Con questa formula si è voluto significare:
a) che l'impedimento non deve avere causa dalle con­dizioni e dalle vicende soggettive, personali e patrimoniali, del debitore, bensì da eventi estranei alla sua persona e alla
sua sfera aziendale;
b) che esso non deve incidere sulle condizioni sogget­tive, personali e patrimoniali, del debitore, ma deve cadere direttamente sulla prestazione, così da rendere questa ineseguibile in sé e per sé, prescindendo in modo pieno dalle con­dizioni soggettive del debitore;
c) che l'impedimento non solo non deve essere rimovibile attualmente, ma deve essere insuperabile anche per tutto il tempo in cui il creditore può avere interesse alla prestazione e il debitore possa ritenersi tenuto ad eseguirla. Se l'impossibilita è temporanea e non dura oltre il tempo con­siderato essenziale per l'esecuzione nell'interesse di ciascuna parte o di entrambe, si darà solo l'effetto di esentare il debitore da responsabilità per ritardo: e infatti solo la tempesti­vità dell'esecuzione è in tali casi impossibile, non l'esecuzione stessa.

Massime relative all'art. 1256 Codice Civile

Cass. civ. n. 20152/2022

L'impossibilità idonea ad estinguere l'obbligazione, ex art. 1256 c.c., deve intendersi in senso assoluto ed obiettivo e consiste nella sopravvenienza di una causa, non imputabile al debitore, che impedisce definitivamente l'adempimento e che, alla stregua del principio "genus nunquam perit", può evidentemente verificarsi solo quando la prestazione abbia per oggetto la consegna di una cosa determinata o di un genere limitato, e non già quando si tratti di una somma di denaro.

Cass. civ. n. 36329/2021

L'impossibilità sopravvenuta della prestazione, che derivi da causa non imputabile al debitore ai sensi dell'art. 1218 c.c., opera, paralizzandola, più propriamente in relazione ad una domanda di adempimento, determinando, essa, di diritto, nei contratti con prestazioni corrispettive, se definitiva, con la estinzione della relativa obbligazione, la risoluzione del contratto, ai sensi degli artt. 1463 e 1256, comma 1, c.c., con la conseguente applicazione delle norme generali sulla risoluzione ed in particolare di quella sulla retroattività, senza che si possa parlare di inadempimento colpevole.

Cass. civ. n. 8766/2019

In tema di risoluzione del contratto, l'impossibilità sopravvenuta della prestazione è configurabile qualora siano divenuti impossibili l'adempimento della prestazione da parte del debitore o l'utilizzazione della stessa ad opera della controparte, purché tale impossibilità non sia imputabile al creditore ed il suo interesse a ricevere la prestazione medesima sia venuto meno, dovendosi in tal caso prendere atto che non può più essere conseguita la finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto, con la conseguente estinzione dell'obbligazione. (In applicazione del principio, la S.C. ha rigettato il ricorso proposto avverso sentenza che aveva ritenuto il debitore liberato dalla prestazione divenuta impossibile - nella specie la rappresentazione di un'opera lirica all'aperto che, pur dopo l'esecuzione del solo primo atto, era stata interrotta a causa di gravi avverse condizioni atmosferiche - con esclusione per la parte liberata della possibilità di chiedere la controprestazione ed obbligo di restituzione di quella già ricevuta). (Rigetta, TRIBUNALE TARANTO, 13/10/2015).

Cass. civ. n. 14915/2018

La liberazione del debitore per sopravvenuta impossibilità della prestazione può verificarsi, secondo la previsione degli artt. 1218 e 1256 c.c., solo se ed in quanto concorrano l'elemento obiettivo della impossibilità di eseguire la prestazione medesima, in sè considerata, e quello soggettivo dell'assenza di colpa da parte del debitore riguardo alla determinazione dell'evento che ha reso impossibile la prestazione. Pertanto, nel caso in cui il debitore non abbia adempiuto la propria obbligazione nei termini contrattualmente stabiliti, egli non può invocare la predetta impossibilità con riferimento ad un ordine o divieto dell'autorità amministrativa ("factum principis") sopravvenuto, e che fosse ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all'atto della assunzione della obbligazione, ovvero rispetto al quale non abbia, sempre nei limiti segnati dal criterio della ordinaria diligenza, sperimentato tutte le possibilità che gli si offrivano per vincere o rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità.

Cass. civ. n. 23618/2004

Mentre l'impossibilità giuridica dell'utilizzazione del bene per l'uso convenuto o per la sua trasformazione secondo le previste modalità, quando derivi da disposizioni inderogabili già vigenti alla data di conclusione del contratto, rende nullo il contratto stesso per l'impossibilità dell'oggetto, a norma degli artt. 1346 e 1418 c.c., nella diversa situazione in cui la prestazione sia divenuta impossibile per causa non imputabile al debitore ai sensi degli artt. 1256 e 1463 c.c., l'obbligazione si estingue; con la conseguenza che colui che non può più rendere la prestazione divenuta, intanto, definitivamente impossibile, non può chiedere la relativa controprestazione, né può agire con l'azione di risoluzione allegando l'inadempimento della controparte. (Nella specie, relativa a contratto di fornitura di prodotti per l'industria farmaceutica, la Corte Cass. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la pretesa risarcitoria avanzata da produttrice di ferritina di origine animale nei confronti di azienda farmaceutica che, a seguito della sopravvenuta non commerciabilità del prodotto — derivante da provvedimento del Ministro della sanità aveva cessato di richiedere la fornitura).

Cass. civ. n. 4016/2004

Può farsi ricorso all'istituto della risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta solo qualora la circostanza sopravvenuta (la quale deve rivestire i caratteri della assolutezza e dell'oggettività) non sia prevedibile al momento della conclusione del contratto, sì da escludere qualsiasi profilo di colpa imputabile. (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto che la corte di merito fosse incorsa in violazione di legge sotto il profilo della erronea applicazione dell'art. 1464 c.c., avendo ritenuto configurabile un'ipotesi di impossibilità — parziale — sopravvenuta in una vendita di una struttura alberghiera constante di 19 posti — letto in relazione alla quale, successivamente al trasferimento della proprietà, il Comune aveva rilasciato una licenza per soli 13 posti letto).

Cass. civ. n. 11916/1999

In base agli artt. 1218 e 1256 c.c. la sospensione unilaterale del rapporto da parte del datore di lavoro è giustificata ed esonera il medesimo datore di lavoro dall'obbligazione retributiva soltanto quando non sia imputabile a fatto dello stesso, non sia prevedibile ed evitabile e non sia riferibile a carenze di programmazione o di organizzazione aziendali ovvero a contingenti difficoltà di mercato. (Nel caso di specie la sentenza impugnata cassata sul punto dalla S.C. aveva ritenuto senza motivazione adeguata che per un datore di lavoro appaltatore di opere pubbliche una perizia di variante in corso d'opera costituisse un evento facilmente prevedibile e quindi probabile anziché semplicemente possibile e che l'appaltatore medesimo avrebbe potuto imporre all'appaltante, al momento della stipulazione del contratto, una clausola di accollo da parte dello stesso dei costi relativi alle retribuzioni da corrispondere ai dipendenti nel corso di un'eventuale sospensione dei lavori, senza specificare quale era stato nella specie il difetto di diligenza gestionale imputabile all'impresa in considerazione anche della disciplina regolatrice delle modalità di conclusione dei contratti con la pubblica amministrazione).

Cass. civ. n. 10690/1999

In tema di impossibilità temporanea della prestazione per causa non imputabile al debitore, l'art. 1256 c.c. si limita ad escludere, finché detta impossibilità perduri, la responsabilità del debitore per il ritardo nell'adempimento, ma non disciplina eventuali effetti riflessi sul rapporto contrattuale da cui, in ipotesi, l'obbligazione tragga origine, nel senso di una proroga del rapporto sinallagmatico tra le parti per un tempo corrispondente alla durata dell'impossibilità temporanea. (Nella specie, affidata in subconcessione la gestione di servizi aeroportuali per tre anni, ed essendo l'aeroporto rimasto chiuso per buona parte di tale periodo per lavori di rifacimento della pista, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso il diritto della subconcessionaria ad una proroga del contratto per un periodo corrispondente alle sospensioni verificatesi nell'attività aeroportuale).

Cass. civ. n. 5347/1998

L'impossibilità sopravvenuta, in quanto causa di estinzione delle obbligazioni avente portata generale, esplica la sua efficacia estintiva anche in relazione alla promessa del fatto del terzo. (Nella specie, una persona fisica si era impegnata a far assumere, con una determinata retribuzione, un lavoratore da una società edile per lo svolgimento dei lavori alla medesima appaltati per la costruzione della centrale nucleare di Montalto di Castro, ma, sopravvenuta l'interruzione dei lavori a seguito del referendum sulle centrali nucleari, detto lavoratore era stato posto in cassa integrazione come le altre maestranze; la S.C. ha confermato sul punto la sentenza impugnata, che aveva escluso l'obbligo di detta persona fisica di corrispondere in proprio la retribuzione prevista).

Cass. civ. n. 9304/1994

La sopravvenuta impossibilità che, ai sensi dell'art. 1256 c.c., estingue l'obbligazione, è quella che concerne direttamente la prestazione e non quella che pregiudica le possibilità della sua utilizzazione da parte del creditore. (Nella specie, l'acquirente di un forno da installare in un panificio aveva rifiutato di dare esecuzione al contratto sostenendo che, non avendo ottenuto le autorizzazioni necessarie per l'ampliamento dei locali, non aveva la possibilità di utilizzazione del forno).

Cass. civ. n. 8249/1990

La liberazione del debitore per sopravvenuta impossibilità della sua prestazione in tanto può verificarsi in quanto, secondo le previsioni degli artt. 1218 e 1256 c.c., concorrano l'elemento obiettivo dell'impossibilità di eseguire la prestazione, in sé e per sé considerata, e quello (subiettivo) dell'assenza di colpa da parte del debitore riguardo alla determinazione dell'evento che ha reso impossibile la prestazione. Pertanto, nel caso in cui il debitore non abbia adempiuto la propria obbligazione nei termini contrattualmente stabiliti, egli non può invocare la predetta impossibilità con riferimento ad un evento verificatosi in un momento successivo.

Cass. civ. n. 2691/1987

L'impossibilità che, ai sensi dell'art. 1256 c.c., estingue la obbligazione è da intendere in senso assoluto ed obiettivo e consiste nella sopravvenienza di una causa, non imputabile al debitore, che impedisce definitivamente l'adempimento; il che - alla stregua del principio secondo cui genus numquam petit - può evidentemente verificarsi solo quando la prestazione abbia per oggetto la consegna di una cosa determinata o di un genere limitato, e non già quando si tratta di una somma di denaro.

Cass. civ. n. 7580/1983

La sopravvenuta impossibilità della prestazione, se non è imputabile al debitore, determina l'estinzione dell'obbligazione, mentre, se è imputabile al debitore, determina la conversione dell'obbligazione di adempimento in quella di risarcimento del danno e, se costituisce l'oggetto di un contratto a prestazioni corrispettive, dà luogo, altresì, all'azione di risoluzione per inadempimento. Pertanto, ove il creditore abbia proposto domande limitate soltanto all'esecuzione specifica della prestazione dedotta in contratto ed al risarcimento dei danni conseguenti al mero ritardo nell'adempimento, l'accertata sopravvenuta impossibilità, totale e definitiva, di esecuzione della prestazione determina l'improponibilità delle domande stesse, entrambe presupponendo necessariamente che la prestazione sia ancora eseguibile, senza che a tal fine sia rilevante l'imputabilità o meno al debitore della sopravvenuta impossibilità di adempimento, che ha rilievo, invece, esclusivamente in relazione alla responsabilità per danni da inadempimento definitivo ed alla risoluzione per inadempimento.

Cass. civ. n. 1139/1982

In ipotesi di preliminare di vendita di costruzione ancora da realizzare poi non ultimata perché in contrasto con le norme di piano regolatore, non si ha nullità del contratto, ai sensi degli artt. 1256, 1463 e 1472 c.c., non vertendosi in tema di totale mancanza della cosa e, quindi, di impossibilità totale della prestazione, bensì di venuta ad esistenza parziale della cosa stessa e di corrispondente impossibilità solo parziale della prestazione, a fronte della quale unicamente il creditore è arbitro di stabilire la rispondenza al proprio interesse della parte della prestazione possibile (art. 1464 c.c.), senza che il debitore possa liberarsene, adducendo l'impossibilità parziale (art. 1258 c.c.). Né la difformità del manufatto, rispetto a quello contemplato in contratto, è ostativa alla pronunzia ex art. 2932 c.c., ove essa non incida sull'identità della cosa ed il promissario non pretenda in dipendenza della medesima, alcuna modificazione della propria controprestazione, nel qual caso viene meno ogni interesse del promittente ad invocare quella situazione per sottrarsi alla propria obbligazione, giacché nonostante ciò, egli riceve esattamente quanto pattuito, rimanendo in tal modo la difformità in questione confinata entro l'ambito di una valutazione soggettiva del proprio interesse contrattuale da parte del promissario.

Cass. civ. n. 1012/1978

L'impossibilità sopravvenuta della prestazione libera il debitore, purché il fatto che la determina abbia diretta e sicura incidenza causale sulla sua esecuzione. Conseguentemente, se per l'adempimento è prefisso un termine, ovvero se esso è dilazionato nel tempo, l'eventuale causa impediente può esimere da responsabilità solo se perdura tutta la durata del termine entro il quale la prestazione deve essere eseguita.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1256 Codice Civile

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Paolo G. chiede
venerdì 21/05/2021 - Lombardia
“Buongiorno. Casa di corte, a novembre abbiamo effettuato rifacimento parte di tetto comune a 3 famiglie. Il preventivo era di 27000 euro da dividere in tre, quindi 9900 euro cad. Avevamo concordato per iscritto che avrei dato a fine lavori 3000 euro, il resto in 3 rate. Il preventivi era stato fatto molto mesi prima, poi con la pandemia tutto si era fermato. Io avevo espressamente detto che per un notevole calo lavorativo dovuto al Covid non potevo far fronte a tali spese. Detto ciò, l'impresario, a fine ottobre mi ha già chiesto anticipo, poi è passato a chiedere direttamente i 9900 euro. Io ho fatto di tutto per trovare almeno i 3000 euro, ma mi creda in questo momento non posso far fronte a ciò. Oltretutto la segretaria ha scritto dicendo che dovevamo assolutamente pagare perché il titolare era molto arrabbiato, andava calmato, sinceramente mia moglie si è spaventata, io poi ho 3 figli di cui 2 minori e mia mamma di 90 anni in casa con noi che anche lei si è molto spaventata quando con modi non proprio gentili il signore si è presentato. Mia moglie ha proposto di iniziare a dare 200 euro al mese, sappiamo che non è nulla in confronto ai 9900 euro, ma di tutta risposta ci è arrivata una lettera da avvocato con intimazione di pagamento di 27000 euro, poi con le scuse dopo aver fatto notare che noi paghiamo solo 1/3. Ma questo può succedere un errore.
Sono qui per capire se possiamo fare qualcosa. Noi vogliamo eccome pagare, ma in questo momento non possiamo accollarsi un simile onere assolutamente. Attendo un Vs. riscontro. Buona giornata
Paolo G.”
Consulenza legale i 24/05/2021
Tralasciando in questa sede considerazioni sul comportamento dell’impresario che si è presentato a casa a chiedere il pagamento del dovuto, si osserva quanto segue.

L’art. 91 del D.L. n. 18/2020, ha introdotto, all’art. 3 del D.L. n. 6/2020, il comma 6-bis, il quale dispone che “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”: si tratta, in sostanza, di una causa di esclusione della responsabilità del debitore.
Sotto questo profilo, in alcuni casi si è applicato l’art. 1256 c.c. (che prevede che se l'impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell'adempimento: ciò significa che il debitore è in sostanza esonerato dalla responsabilità per il ritardo nel caso di impossibilità temporanea ma egli deve comunque adempiere appena la prestazione diviene possibile) in combinato disposto con gli articoli 1463 e 1464 c.c.

Nella presente vicenda, ci pare di capire che vi sia una difficoltà economica legata al momento pandemico che ha determinato un grave calo lavorativo.
In tal caso, appare legittimo richiedere al creditore una ulteriore dilazione del pagamento senza che questo venga aggravato da ulteriori richieste per il ritardo nell’adempimento.
Alla luce di ciò, suggeriamo di far intervenire un legale per una comunicazione formale alla parte creditrice con cui si rappresenta la temporanea impossibilità di pagamento e con cui si chiede un dilazione superiore alle tre rate previste nella scrittura privata.

E’ indubbiamente preferibile cercare di risolvere in via stragiudiziale che sopportare onerose lungaggini processuali.
A tal proposito, facciamo comunque presente che laddove l’impresario chieda ed ottenga un decreto ingiuntivo per l’importo dovuto, sarà possibile interporre opposizione sostenendo appunto la temporanea impossibilità di adempimento.

D. V. chiede
lunedì 20/04/2020 - Basilicata
“Buonasera,
mio figlio Gennaro, Maestro di Tennis, aveva, prima della pandemia, un contratto (del tipo a ritenuta d'acconto) con una società sportiva. Sia nel mese di Marzo che in quello di aprile non ha percepito alcun reddito considerato che l'associazione sportiva ha dovuto chiudere l'impianto sportivo a seguito dei DCPM governativi. Mio figlio ha contratto un prestito personale con l'U. il quale tratteneva mensilmente dal suo stipendio (che veniva accreditato dal suo datore di lavoro sul c/c della stessa U.) una somma di circa 900 euro. Mio figlio si è premurato di telefonare spiegando la situazione ed avvertendo che non era in grado di mantenere l'impegno assunto ed ha chiesto che le rate mensili fossero sospese fino a quando non avesse ripreso a lavorare. Gli hanno risposto che non potevano fare nulla e che in ogni caso, non pagando, sarebbe andato "a rosso". Gli ho fatto fare una mail invocando il dispositivo dell'art. 1256 del Codice civile ma anche alla mail hanno risposto picche. Cosa mi consigliate di fare? Cordiali saluti. Domenico Volturo.”
Consulenza legale i 27/04/2020

La situazione prospettata rientra nella casistica dei cosiddetti eventi riconducibili a causa di forza maggiore di cui all’art. 1256 del c.c., alla cui lettura si rimanda.

Tali eventi rappresentano una causa di non imputabilità dell'inadempimento. Infatti, il mutuatario (nel caso di specie il Maestro di tennis), percependo redditi solamente (a quanto risulta dalla ricostruzione dei fatti) da una attività che è stata oggetto di sospensione in forza dei provvedimenti legislativi emanati a causa del Covid-19, si è trovato nell’impossibilità, per causa a lui non imputabile (forza maggiore), di adempiere alle obbligazioni derivanti dal prestito contratto con la banca.

La conseguenza della possibilità dell’invocare, come è stato fatto, l’esimente di cui all’art. 1256 c.c. da parte del mutuatario è che quest’ultimo non potrà essere considerato inadempiente per il ritardo nell’eseguire la prestazione ai sensi dell’art. 1218 del c.c., alla cui lettura si rimanda.

Tale interpretazione è conforme, peraltro, all’art. 91 del Decreto-Legge del 17 marzo 2020, n. 18, a mente del quale “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti".

Come si può agevolmente dedurre dalla disposizione sopra citata, l’impossibilità di poter eseguire la prestazione nei confronti della società, da cui deriverebbero poi le somme necessarie per pagare le rate del prestito, a causa del rispetto “delle misure di contenimento”, comporta la possibilità di invocare l’art. 1256 sopra richiamato, con la conseguenza che la banca non può addebitare penali o altre commissioni derivanti dallo sconfino nel conto corrente fintanto che dura questa impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile.

In conclusione, appare corretto, come risulta dai fatti prospettati, la lettera formale trasmessa alla Banca, con cui viene comunicata questa impossibilità sopravvenuta. Laddove la Banca dovesse non tener conto di tale impossibilità con comportamenti concreti, come, ad esempio le segnalazioni in Centrale Rischi o altre azioni legali incardinate avanti all’Autorità Giudiziaria, occorrerà predisporre una opportuna difesa fondata sull’eccezione di impossibilità sopravvenuta ex art. 1256 c.c. legata ai ben noti eventi Codiv-19.