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Articolo 33 Codice del consumo

(D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206)

[Aggiornato al 31/12/2023]

Clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore

Dispositivo dell'art. 33 Codice del consumo

1. Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

2. Si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di:

  1. a) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un'omissione del professionista;
  2. b) escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di un'altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista;
  3. c) escludere o limitare l'opportunità da parte del consumatore della compensazione di un debito nei confronti del professionista con un credito vantato nei confronti di quest'ultimo;
  4. d) prevedere un impegno definitivo del consumatore mentre l'esecuzione della prestazione del professionista è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà;
  5. e) consentire al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest'ultimo non conclude il contratto o recede da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest'ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere;
  6. f) imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d'importo manifestamente eccessivo;
  7. g) riconoscere al solo professionista e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal contratto, nonché consentire al professionista di trattenere anche solo in parte la somma versata dal consumatore a titolo di corrispettivo per prestazioni non ancora adempiute, quando sia il professionista a recedere dal contratto;
  8. h) consentire al professionista di recedere da contratti a tempo indeterminato senza un ragionevole preavviso, tranne nel caso di giusta causa;
  9. i) stabilire un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto per comunicare la disdetta al fine di evitare la tacita proroga o rinnovazione;
  10. l) prevedere l'estensione dell'adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto;
  11. m) consentire al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato nel contratto stesso;
  12. n) stabilire che il prezzo dei beni o dei servizi sia determinato al momento della consegna o della prestazione;
  13. o) consentire al professionista di aumentare il prezzo del bene o del servizio senza che il consumatore possa recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quello originariamente convenuto;
  14. p) riservare al professionista il potere di accertare la conformità del bene venduto o del servizio prestato a quello previsto nel contratto o conferirgli il diritto esclusivo d'interpretare una clausola qualsiasi del contratto;
  15. q) limitare la responsabilità del professionista rispetto alle obbligazioni derivanti dai contratti stipulati in suo nome dai mandatari o subordinare l'adempimento delle suddette obbligazioni al rispetto di particolari formalità;
  16. r) limitare o escludere l'opponibilità dell'eccezione d'inadempimento da parte del consumatore;
  17. s) consentire al professionista di sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti dal contratto, anche nel caso di preventivo consenso del consumatore, qualora risulti diminuita la tutela dei diritti di quest'ultimo;
  18. t) sancire a carico del consumatore decadenze, limitazioni della facoltà di opporre eccezioni, deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria, limitazioni all'adduzione di prove, inversioni o modificazioni dell'onere della prova, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi;
  19. u) stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore;
  20. v) prevedere l'alienazione di un diritto o l'assunzione di un obbligo come subordinati ad una condizione sospensiva dipendente dalla mera volontà del professionista a fronte di un'obbligazione immediatamente efficace del consumatore. È fatto salvo il disposto dell'articolo 1355 del codice civile;
  21. v-bis) imporre al consumatore che voglia accedere ad una procedura di risoluzione extragiudiziale delle controversie prevista dal titolo II-bis della parte V, di rivolgersi esclusivamente ad un'unica tipologia di organismi ADR o ad un unico organismo ADR;
  22. v-ter) rendere eccessivamente difficile per il consumatore l'esperimento della procedura di risoluzione extragiudiziale delle controversie prevista dal titolo II-bis della parte V.

3. Se il contratto ha ad oggetto la prestazione di servizi finanziari a tempo indeterminato il professionista può, in deroga alle lettere h) e m) del comma 2:

  1. a) recedere, qualora vi sia un giustificato motivo, senza preavviso, dandone immediata comunicazione al consumatore;
  2. b) modificare, qualora sussista un giustificato motivo, le condizioni del contratto, preavvisando entro un congruo termine il consumatore, che ha diritto di recedere dal contratto.

4. Se il contratto ha ad oggetto la prestazione di servizi finanziari il professionista può modificare, senza preavviso, sempreché vi sia un giustificato motivo in deroga alle lettere n) e o) del comma 2, il tasso di interesse o l'importo di qualunque altro onere relativo alla prestazione finanziaria originariamente convenuti, dandone immediata comunicazione al consumatore che ha diritto di recedere dal contratto.

5. Le lettere h), m), n) e o) del comma 2 non si applicano ai contratti aventi ad oggetto valori mobiliari, strumenti finanziari ed altri prodotti o servizi il cui prezzo è collegato alle fluttuazioni di un corso e di un indice di borsa o di un tasso di mercato finanziario non controllato dal professionista, nonché la compravendita di valuta estera, di assegni di viaggio o di vaglia postali internazionali emessi in valuta estera.

6. Le lettere n) e o) del comma 2 non si applicano alle clausole di indicizzazione dei prezzi, ove consentite dalla legge, a condizione che le modalità di variazione siano espressamente descritte.

Spiegazione dell'art. 33 Codice del consumo

La norma in esame è dedicata alle c.d. clausole vessatorie, intendendosi come tali quelle clausole che prevedono un grave squilibrio tra la posizione del consumatore e quella del professionista, in quanto favoriscono il secondo e limitano i diritti del primo.
A questa particolare tipologia di clausole si è fatto per la prima volta riferimento con la Direttiva della Comunità europea n. 93/13, a cui l’Italia si è adeguata inserendo nel codice civile l’art. 1469 bis, successivamente trasposto nella norma in commento.

Il primo comma di essa individua il campo di applicazione della disciplina mediante il riferimento a quattro elementi di cui l’interprete deve tenere conto nel valutare la vessatorietà o meno di una clausola, e precisamente:
1. l’ambito oggettivo: ci si riferisce alla posizione che assumono le parti a seguito della conclusione del contratto, in relazione a tutti gli obblighi, i diritti, i poteri e le facoltà che discendono dal regolamento contrattuale. Si prescinde da ogni valutazione in ordine al tipo contrattuale che le parti hanno scelto di adottare così come dalla natura della prestazione dedotta in contratto, in quanto ciò che rileva è soltanto il fatto che si sia in presenza di un contratto tra consumatore e professionista.
Inoltre, la disciplina delle clausole vessatorie si estende anche alle ipotesi di contratto unilaterale predisposto dal professionista.

2. l’ambito soggettivo: la disciplina in esame si applica soltanto nell’ipotesi di contratto concluso tra un consumatore (inteso esclusivamente come persona fisica) ed un professionista.

3. la buona fede (la norma usa l’espressione “malgrado la buona fede”). Discusso è se detta espressione debba intendersi in senso oggettivo o soggettivo (in favore di questa seconda scelta si pone la giurisprudenza comunitaria).
In realtà, i dubbi interpretativi sono connessi ad una formulazione poco felice della versione italiana della dir. 93/13/CEE, in quanto l’inciso “malgrado la buona fede”, contenuto nella norma in esame, equivale a “ if, contrary to the requirement of good faith” della versione inglese, a “ en dépit de l’exigence de bonne foi ” della francese e “ entgegen dem Gebot von Treu und Glauben” di quella tedesca (è facile intuire, dunque, che avrebbe trovato una corrispondenza più letterale nell’espressione “in contrasto con il requisito della buona fede”).
Ad ogni modo, secondo l’orientamento che può ritenersi più convincente, il controllo di vessatorietà implicherebbe l’accertamento della violazione da parte del professionista di regole oggettive di correttezza e buona fede, le quali si concretizzano nell’imposizione di un regolamento contrattuale eccessivamente squilibrato a danno del consumatore.
E’ anche discusso se la buona fede costituisca un requisito in senso proprio, in aggiunta a quello dello “squilibrio giuridico”, ossia se una clausola possa considerarsi abusiva solo allorché risulti in contrasto con entrambi; in effetti, si fa osservare che il significativo squilibrio è di per sé un’ipotesi sintomatica di contrarietà alla buona fede, il che rende superfluo effettuare un doppio controllo, essendo sufficiente accertare lo squilibrio fra i diritti e obblighi che derivano dal contratto.

4. l’effetto (a tale elemento si fa riferimento nella parte in cui è detto “determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”). La sussistenza di tale squilibrio dovrà essere valutata di volta in volta dal giudice, avendo riguardo alle circostanze e al contesto nel quale il contratto è stato stipulato, nonché al complesso delle disposizioni contrattuali.
Occorre precisare che nell’accertare lo squilibrio fra i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto il giudice non deve considerare solo quelli facenti capo al consumatore, ma quelli di entrambi e che, in ogni caso, il sindacato di vessatorietà non può estendersi a quei profili contrattuali che rientrano nella piena disponibilità delle parti, come, per esempio, la convenienza economica dell’affare (l’autonomia delle parti non può essere sindacata dal giudice).
Viene precisato che lo squilibrio è rilevante solo laddove sia “a carico del consumatore”; ciò significa che non saranno da considerare vessatorie le clausole che determinano un assetto del rapporto contrattuale significativamente sbilanciato a danno del professionista, il quale, pertanto, non potrà avvalersi di tale previsione.
Allo stesso modo, non occorre che ad uno svantaggio del consumatore corrisponda un vantaggio del professionista, poiché in caso contrario si arriverebbe ad escludere la vessatorietà di clausole che impongono irragionevoli svantaggi in capo al consumatore per il solo fatto dell’assenza di un qualsivoglia vantaggio a beneficio del professionista.

Accanto a questi che possono considerarsi quali criteri generali per stabilire la vessatorietà o meno di una clausola, il secondo comma della norma disciplina alcune ipotesi concrete, ossia esempi di condizioni che, per la loro pericolosità, sono in ogni caso considerate vessatorie (c.d. lista grigia).
In questi casi si assiste ad un inversione dell’onere della prova, in quanto mentre sul consumatore non grava alcun onere di dimostrare le ragioni per cui una clausola contrattuale è vessatoria, di contro sarà il professionista a dover dimostrare che la condizione posta non crea uno squilibrio contrattuale.
Le diverse ipotesi elencate nella norma possono suddividersi in due gruppi generali, e precisamente:

1. il primo attiene alle condizioni che incidono negativamente sui diritti dei consumatori, sia limitandoli (lettere c, i, t, r) che penalizzandoli (lettere e, f);

2. il secondo gruppo ricomprende le condizioni che rafforzano la posizione del professionista, all’interno del quale, poi, possono individuarsi tre distinti casi:
2.a) clausole che attribuiscono ampi poteri al professionista. Si tratta delle ipotesi di cui alle lettere d, m, n, o, p, v (ad esempio le clausole che permettono al professionista di aumentare il prezzo del bene o servizio senza che al consumatore venga concessa la facoltà di poter ripensare se aderire o meno);
2.b) clausole in forza delle quali si prevede una riduzione della responsabilità del professionista. E’ questo il caso previsto alla lettera q), la quale fa riferimento a quelle clausole che limitano la responsabilità del professionista per tutti gli obblighi derivanti da accordi che altri soggetti a lui legati (i mandatari) hanno fatto con i consumatori.
2.c) clausole in forza delle quali si riconosce un aumento dei poteri in favore del professionista. Si tratta delle ipotesi di cui alle lettere g, h, s, u, come, ad esempio, la clausola con la quale si prevede che, nell’ipotesi di controversia insorta tra professionista e consumatore, ci si debba rivolgere al tribunale del luogo in cui si trova la sede del professionista (in deroga alla regola generale secondo cui giudice competente in caso di contestazione è quello del luogo di residenza o domicilio del consumatore).

Recita la norma che si presumono vessatorie le clausole che “hanno a oggetto o per effetto” le previsioni ivi elencate, il che lascia intendere che, ai fini del giudizio di vessatorietà non si deve prendere in considerazione esclusivamente il contenuto della clausola specifica, bensì gli effetti, anche indiretti, che la stessa è idonea a produrre.

La presunzione sancita nella lettera a) del comma secondo riprende quanto già previsto nell’abrogato comma 3 n. 1 dell’art. 1469 bis c.c.

La presunzione di cui alla lett. b), che riprende quanto previsto al n. 2 comma 3 dell’art. 1469 bis c.c., e si ritiene, sia in dottrina che in giurisprudenza, che trovi applicazione a tutte le garanzie previste per ogni forma di inadempimento o inesatto adempimento.

La clausola di cui alla lett. c) traspone in questa norma, in maniera quasi letterale, il punto b) dell’allegato 1 alla direttiva 1993/13/CEE e trova applicazione in tutte le ipotesi di compensazione legale (non può, invece, presumersi la vessatorietà di una clausola che escluda la possibilità di opporre la compensazione convenzionale). La ratio di questa presunzione viene individuata negli inevitabili effetti prevaricatori di un pactum de non compensando tra soggetti che godono di un potere contrattuale sbilanciato.

La lett. d) va analizzata congiuntamente alla lett. v) per la somiglianza dei contenuti. Entrambe le disposizioni, infatti, si riferiscono a clausole condizionali, cioè clausole che incidono sull’efficacia del contratto stipulato tra professionista e consumatore.
In particolare, con quanto disposto alla lett. d) si intende evitare lo squilibrio che può derivare dall’inserimento di clausole che, ponendo il consumatore in una posizione di soggezione, garantiscono al professionista la possibilità di subordinare l’esecuzione della propria prestazione all’esercizio di un diritto potestativo.
In relazione alla lett. v), invece, mentre la prevalente dottrina considera il suo inserimento del tutto ripetitivo, altra parte della dottrina è dell’opinione che tale norma sarebbe volta a sancire l’abusività della condizione sospensiva unilaterale semplice o meramente potestativa, disposta nell’esclusivo interesse del professionista.

La lett. e) contiene due distinti previsioni: da un lato viene preso in considerazione il pagamento, da parte del consumatore, di somme di denaro destinate ad essere trattenute dal professionista in caso di mancata conclusione del contratto.
Dall’altro si fa riferimento alle somme di denaro che il consumatore corrisponde al professionista affinchè quest’ultimo possa trattenerle nel caso in cui il primo decida di recedere dal contratto.

La lett. f) estende il campo di applicazione della norma alla clausola penale di importo manifestamente eccessivo, ipotesi dapprima esclusa in considerazione della funzione svolta da essa, ossia di mera liquidazione anticipata e forfettaria del danno.

In relazione alla lett. g) deve osservarsi che mentre la prima parte della norma si riferisce al recesso unilaterale del professionista, presumendo la vessatorietà di quella clausola che attribuisce al solo professionista la facoltà di recedere dal contratto, la seconda sancisce l’abusività di quelle clausole che attribuiscono al professionista il diritto di trattenere determinate somme a titolo di corrispettivo per prestazioni non ancora eseguite (per garantire maggiore tutela al consumatore, è stato affermato che questa seconda parte della norma debba estendersi anche alle ipotesi in cui il corrispettivo sia rappresentato da un bene diverso da una somma di denaro, nonché alle ipotesi in cui il professionista recede dal contratto dopo aver eseguito un’attività preparatoria della prestazione finale dovuta).
Si evidenzia, sia in dottrina che in giurisprudenza, che la bilateralità della facoltà di recesso non esclude di per sé il carattere vessatorio della clausola che la prevede; anche in questo caso, infatti, ne può conseguire un significativo squilibrio a carico del consumatore allorchè quella clausola corrisponda ad un interesse prevalente del professionista e di scarsa rilevanza per il consumatore.

La disposizione di cui alla lettera h) è considerata superflua da parte della dottrina, in quanto ciò che in essa risulta previsto riprenderebbe tre regole fondamentali disciplinate dalla normativa nazionale, e precisamente: 1) la facoltà di recesso spettante a tutte le parti di un contratto a tempo indeterminato; 2) l’obbligo di preavviso posto in capo al recedente; 3) l’esonero del recedente dall’obbligo di preavviso laddove sussistano ragioni che giustificano un’immediata interruzione del rapporto contrattuale.
Anche in questa ipotesi la bilateralità del recesso non vale ad escludere di per sé l’abusività della clausola, se si realizza comunque uno squilibrio a carico del consumatore.

La ratio della lettera h) va individuata, da un lato, nell’intento di evitare che il contraente possa rimanere vincolato al contratto indesiderato e, dall’altro, nell’esigenza di evitare che il consumatore possa trovarsi costretto a decidere se prolungare o meno l’efficacia del negozio in un momento in cui non sarebbe in condizione di operare una scelta consapevole, perchè troppo anticipata rispetto alla naturale scadenza del contratto.
L’eccessivo anticipo deve essere valutato in base alle circostanze del caso concreto.

Con la lettera i) si mira a sanzionare i meccanismi di integrazione per relationem del contenuto del contratto, dovendosi tuttavia precisare che, a differenza della tutela di cui all’art. 1341 del c.c., l’interprete è tenuto a verificare che il consumatore abbia avuto in concreto la possibilità di conoscere tutte le clausole che disciplinano il rapporto contrattuale.

La disposizione di cui alla lettera m) deve inquadrarsi tra quelle disposizioni che sanzionano le clausole (particolarmente diffuse nel settore bancario) in forza delle quali si attribuisce al professionista un potere unilaterale di modifica delle condizioni contrattuali. Infatti, sebbene il legislatore italiano riconosca la liceità dello ius variandi, lo stesso si preoccupa di circoscriverne l’applicazione subordinando il giudizio di non abusività della clausola all’indicazione di un giustificato motivo; inoltre, lo ius variandi del professionista dovrebbe sempre essere bilanciato dal riconoscimento del diritto di recesso in favore del consumatore.

Con la lettera n) viene sancita la presunzione di vessatorietà per quelle pattuizioni per mezzo delle quali la determinazione del prezzo dei beni e dei servizi viene rinviata al momento della relativa consegna o esecuzione (si vuole così impedire che, mancando un prezzo iniziale determinato, il consumatore non possa riuscire ad avere effettiva consapevolezza del rischio economico che viene ad assumere con il contratto).
La clausola contemplata da questa lettera rientra nella categoria delle previsioni che attribuiscono al professionista poteri unilaterali; occorre precisare che per espressa previsione del comma 3 della stessa norma in esame, la presunzione di cui alla lettera n) non si applica ai contratti aventi ad oggetto valori mobiliari, strumenti finanziari ed altri prodotti o servizi.

Al pari della previsione di cui alla lettera n), la ratio di quella prevista alla successiva lett. o) è quella di evitare il c.d. effetto sorpresa che deriva dalle clausole in forza delle quali al professionista è attribuita la facoltà di richiedere un prezzo diverso da quello che il consumatore poteva ragionevolmente aspettarsi al momento della conclusione del contratto, nonché quella di salvaguardare la trasparenza nei rapporti contrattuali tra professionisti e consumatori.
Elementi essenziali perché possa configurarsi una clausola quale quella qui prevista sono:
- il potere del professionista di aumentare il prezzo del bene o del servizio;
- la mancata previsione del diritto di recesso in favore del consumatore qualora l’ammontare del prezzo raggiunto, a seguito della modifica, diventi eccessivamente elevato rispetto a quello inizialmente pattuito.
Anche la presunzione in esame non si applica ai contratti aventi ad oggetto valori mobiliari, strumenti finanziari ed altri prodotti o servizi (art. 33 commi 3, 4 e 5).

La lettera p) prende in considerazione due diverse fattispecie, entrambe attributive di poteri unilaterali al professionista:
- il caso della clausola che preclude al consumatore di attivare le azioni previste a sua difesa nell’ipotesi di mancata conformità della prestazione a quella promessa (si tratta delle azioni previste per i casi di vizi o di mancanza di qualità della cosa venduta, o anche di aliud pro alio e di cattivo funzionamento);
- il caso della clausola che attribuisce al solo professionista il potere di interpretare altre clausole del contratto. I profili critici di una clausola di tale tipo sarebbero superati dal potere del giudice di discostarsi dall’interpretazione convenzionale che del contratto forniscono le parti, considerato che il sindacato giudiziale non potrebbe mai essere limitato da una convenzione contrattuale delle parti.
E’ stato osservato che sebbene la norma faccia riferimento al “bene venduto”, essa deve ritenersi applicabile in via estensiva anche a contratti diversi dalla compravendita, come la locazione o la somministrazione di beni.

La disposizione di cui alla lettera q) è volta a tutelare il consumatore nell’ipotesi di conclusione del contratto con un soggetto incaricato dal professionista; sebbene si faccia specifico riferimento al mandatario, si ritiene che nel concetto di mandatario debbano intendersi incluse anche figure diverse, quali il promotore finanziario, l’agente immobiliare, ecc., così come i soggetti privi di potere di rappresentanza, compresi il commissario e lo spedizioniere (ciò che conta è che il soggetto sia legato al professionista da un rapporto di mandato o di dipendenza e che l’attività negoziale sia riferibile al professionista).

Quanto previsto alla lettera r) fa riferimento sia all’ipotesi di inadempimento imputabile al professionista che al mancato adempimento dovuto all’impossibilità sopravvenuta della prestazione non imputabile al professionista.

Alla fattispecie di cui alla lett. s) devono essere ricondotte quelle clausole che attribuiscono al professionista il potere di sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti dal contratto stipulato con il consumatore per effetto di meccanismi negoziali il cui perfezionamento o la cui efficacia non possono prescindere dal consenso del consumatore (es. la cessione del contratto ex art. 1406 del c.c.).

Nella disposizione di cui alla lettera t) la presunzione di vessatorietà si fa discendere dallo squilibrio determinato a carico del consumatore per effetto dell’inserimento delle clausole qui previste.
Questa disposizione si applica alle clausole che prevedono decadenze a carico del consumatore, a quelle da cui ne discendono limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, nonché alle clausole che prevedono deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria (tra queste si ricordano le pattuizioni per effetto delle quali la controversia viene rimessa al giudice di un luogo diverso da quello previsto dalla legge o a quelle che stabiliscono un foro esclusivo).

La lettera u) riprende il contenuto dell’abrogato art. 1469 bis del c.c. comma 3 n. 18, confermando la presunzione di vessatorietà della clausola che stabilisce come sede del foro competente sulle controversie relative a contratti conclusi tra il consumatore e il professionista, una località diversa da quella di residenza o di domicilio elettivo del consumatore.
Questa presunzione costituisce una autonoma scelta del legislatore italiano, volta a garantire maggiore tutela al consumatore, come già previsto per le controversie inerenti ai contratti conclusi fuori dai locali commerciali, ai contratti stipulati a distanza ed a quelli di timesharing immobiliare.
Sulla sua interpretazione si sono delineati contrasti sia in dottrina sia in giurisprudenza, in quanto mentre secondo un primo orientamento va esclusa la configurabilità di un’ipotesi di foro esclusivo del consumatore, secondo un diverso orientamento si deve optare per la sua introduzione, anche se derogabile mediante trattativa individuale.
Su tale contrasto è intervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, aderendo alla tesi del foro esclusivo del consumatore e stabilendo che la disposizione di cui all’ art. 1469-bis, c. 3, n. 19, c.c. va interpretata nel senso che il legislatore, nelle controversie tra consumatore e professionista, ha introdotto la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo della sede o del domicilio elettivo del consumatore.

Con le lettere V bis e V ter il legislatore italiano si adegua alle finalità della direttiva, consistenti nell’offrire ai consumatori strumenti di risoluzione non giurisdizionale delle controversie con i professionisti, da attivare mediante la presentazione di reclami a organismi abilitati ed espressamente preposti a tale compito.
L’ obbligo di aderire alla procedura può riguardare sia il consumatore che il professionista, mentre l’iniziativa per proporre il reclamo compete in linea generale al consumatore. Le ipotesi in cui tale adesione risulta obbligatoria sono due, e precisamente:
- quando il legislatore impone al consumatore l’esperimento della procedura quale condizione di accesso alla giurisdizione;
- quando il professionista è costretto a parteciparvi, una volta attivata dal consumatore.

Nessuna efficacia può avere un accordo, concluso fra consumatore e professionista prima dell’insorgere della controversia, per mezzo del quale il primo si impegna a rivolgersi a un organismo; tuttavia, va precisato che, siccome il limite riguarda esclusivamente il consumatore, nulla vieta al professionista di obbligarsi preventivamente a partecipare al procedimento di reclamo instaurato dal consumatore.

La parte finale della norma in esame introduce delle deroghe che riguardano i contratti aventi a oggetto prestazioni di servizi finanziari, in considerazione della loro peculiare natura.
Tale parte della norma non rappresenta altro che un’applicazione di quanto previsto dall’ art. 34 del codice consumo. che collega la valutazione della vessatorietà della clausola alla natura del bene o del servizio oggetto del contratto
Per quanto concerne l’espressione “ servizi finanziari”, in dottrina si è discusso se in tale concetto debbano essere ricompresi o meno anche i contratti bancari.
La soluzione più accreditata risolve il problema in senso affermativo, anche se altri autori preferiscono una diversa interpretazione, affermando che per “prestazione di servizi finanziari” deve intendersi ogni prestazione che in qualche modo o forma, diretta o indiretta, procuri un finanziamento al soggetto (tramite erogazione del credito e/o investimento in prodotti finanziari).

Il terzo comma dell’ art. 33 fa riferimento ai contratti a tempo indeterminato di servizi finanziari che contengono disposizioni per effetto delle quali, al ricorrere di un giustificato motivo, il professionista ha:
- diritto di recesso dal contratto con contestuale comunicazione al consumatore (lett. a). Tale diritto, per essere legittimo, non deve necessariamente essere oggetto di contrattazione
- il potere di modificare le condizioni del contratto, dandone un congruo preavviso al consumatore, che può esercitare il diritto di recesso (lett. b). Tale lettera legittima lo ius variandi del professionista in presenza di un giustificato motivo.

Il comma 4 dell’ art. 33, che riproduce il contenuto dell’abrogato art. 1469-bis, c. 5, c.c., trova applicazione nei contratti a tempo determinato e indeterminato e prevede, derogando alle disposizioni di cui alle lett. n) e o) del comma 2, la possibilità per il professionista di modificare le condizioni economiche in presenza di un giustificato motivo, dandone comunicazione immediata al consumatore, il quale, a sua volta, ha diritto di recedere dal contratto.

Il comma 5, che riproduce il contenuto dell’abrogato art. 1469-bis, c. 5, c.c., sancisce che le disposizioni di cui alle lett. h), m), n), o) del c. 2 (ovvero, le presunzioni di vessatorietà volte a limitare l’uso dello ius variandi del professionista) non si applicano ai contratti aventi a oggetto valori mobiliari, strumenti finanziari e prodotti e servizi (quindi anche quelli bancari).
Ciò si giustifica per il fatto che in simili ipotesi la modifica delle condizioni contrattuali non sarebbe determinata da una scelta discrezionale del professionista, ma da parametri oggettivi certi e di agevole riscontro.

L’ultimo comma (riproducente il comma 7 dell’abrogato art. 1469-bis c.c.) dispone un’ulteriore deroga, ossia l’applicazione delle presunzioni di vessatorietà previste dalle lett. n) e o) del comma 2 nei casi di clausole di indicizzazione dei prezzi, a condizione che le modalità di variazione, ove consentite dalla legge, siano espressamente previste e descritte dal contratto.
Ci si riferisce alla c.d. clausole di salvaguardia monetaria, ossia quei patti a cui si fa ricorso per aggiornare il valore nominalistico delle obbligazioni pecuniarie attraverso il richiamo di determinati indici di riferimento.
Si ritiene, inoltre, che l’espressione “ove consentite dalla legge” debba essere interpretata nel senso che la previsione di tali clausole è sempre ammessa tranne nei casi in cui non sia espressamente vietato dalla legge.

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In attesa di un Vs riscontro porgo distinti saluti.


Consulenza legale i 01/10/2024
La Corte di Cassazione (Sez. III Civ., 05/05/2017, n. 10910) ha riconosciuto la natura “presuntivamente vessatoria” della “clausola contrattuale che sanziona indiscriminatamente il recesso dell'allievo, assistito o meno da un giustificato motivo, a maggior ragione quando la somma dovuta dall'allievo nel caso di recesso sostanzialmente viene a integrare una penale, e non trova riscontro in analoga sanzione a carico del professionista. Una simile clausola, invero, riserva implicitamente al professionista un trattamento differenziato e migliore, in contrasto, tra l'altro, con l'art. 1469-bis, n. 7, c.c., oggi corrispondente alla lett. g) dell'art. 33 del Codice del Consumo”.
Come spiega la Suprema Corte nella medesima sentenza appena citata, infatti, “la presunzione di vessatorietà di cui all'articolo 33, lettera g, del Codice del consumo prevede che si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto o per effetto di riconoscere al solo professionista e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal contratto, nonché di consentire al professionista di trattenere anche solo in parte la somma versata dal consumatore a titolo di corrispettivo per prestazioni non ancora adempiute, quando sia il professionista a recedere dal contratto”.
Tuttavia, per fornire una risposta concreta al quesito, è indispensabile esaminare il testo del contratto sottoscritto nel caso in esame (contratto che abbiamo chiesto in visione, ma senza ottenere riscontro).

S. D. P. chiede
mercoledì 12/10/2022 - Campania
“Vi contatto per avere supporto in una procedura di rimborso per un noleggio auto non effettuato. In data 29/06 ho effettuato, online, con carta di debito, il pagamento di un noleggio auto sul sito alfa.com, da ritirare presso l'aeroporto di XXX, da fruire nel periodo dal 16/07 al 21/07. L'importo di 399 euro è stato totalmente prepagato online con carta di debito, sottoscrivendo due polizze denominate "superelax" e "megarelax", le quali mi esentavano dal pagamento di eventuali franchigie e mi garantivano assistenza stradale completa. Poiché il pagamento era stato accettato senza alcun problema, ed il caricamento dei miei documenti sembrava essere andato a buon fine, non ho provveduto immediatamente e minuziosamente alla lettura del voucher di prenotazione inviatomi via mail dalla compagnia di noleggio. Difatti questa cosa mi si è ritorta contro, poichè giunto all'aeroporto di XXX il 16/07,alle ore 15e30, mi sono prontamente diretto al "totem" per il ritiro chiavi auto della Alfa. Giunto sul posto, mi si richiedeva il rilascio di una carta di credito, non in mio possesso ed i documenti d'identità, per stipulare un contratto definitivo di noleggio, cosa non esplicitata nel voucher, ma solo nei termini del servizio. Infatti nel voucher si menzionavano "i metodi di pagamento ammessi", cosa che ritenevo di aver già effettuato integralmente online. Inoltre la pubblicità on line spingeva sul fatto di poter ritirare le chiavi semplicemente passando per il totem. Per mancanza della carta di credito a garanzia, non mi veniva proposta nessun'altra soluzione, se non richiedere assistenza, la quale si limitava ad informarmi dell'impossibilità di richiedere il rimborso perché, ad insindacabile giudizio dell'operatore sul posto, non avevo i documenti idonei. Inoltre, avendo ricontattato l'assistenza clienti Alfa, tre giorni piu tardi,mi veniva esposto che non avrei più avuto diritto neanche ad un parziale rimborso perché avrei dovuto annullare la prenotazione 1 ora prima, cosa non possibile durante il viaggio verso XXX e la somma sarebbe stata interamente trattenuta così come stabilito dai termini del servizio Alfa. Ad oggi, la compagnia di noleggio, dopo varie sollecitazioni continua ad oppormi il mio mancato rispetto delle clausole apposte sul voucher di prenotazione. Mi sono rivolto anche ad un organismo di risoluzione delle controversie online della commissione europea, la quale dopo essersi interfacciato con la compagnia di noleggio con sede principale in Y, mi ha riferito che la suddetta non intendeva procedere ad alcun rimborso perchè i termini di noleggio erano chiari e la questione poteva essere risolta solo in ambito giudiziario.

Alla luce dei fatti esposti, vi chiedo se sulla base di un voucher e non di un contratto sia lecito un così pesante squilibrio a carico del consumatore e se sia lecito esperire un ulteriore richiesta di risarcimento, stragiudiziale o giudiziale che sia, anche parziale, per un servizio che ho anticipatamente ed integralmente pagato, ma mai fruito. Inoltre, a quali costi potrei andare in contro qualora dovessi procedere giudizialmente e dovessi risultare soccombente?

In attesa di una risposta in merito vi porgo distinti saluti.


Consulenza legale i 26/10/2022
Va premesso che, per scrupolo, chi scrive ha provveduto a ricercare sul sito della società di noleggio Alfa le condizioni contrattuali applicabili al nostro caso, vale a dire quelle relative al ritiro presso l’aeroporto di XXX. Ciò ha confermato quanto già segnalato nella mail con cui sono stati inviati i documenti allegati al quesito: ossia, è evidente che, quanto meno nella comunicazione della società Alfa che è stata inviata in copia a questa Redazione, l’operatore fa riferimento ad altre condizioni di contratto, che non combaciano con quelle pubblicate sul sito con specifico riferimento al luogo di ritiro del veicolo.
Ora, esaminiamo le condizioni relative al ritiro presso l’aeroporto di XXX.
In primo luogo, nei “Termini e condizioni di prenotazione”, all’art. 4 vengono disciplinati la modifica e l’annullamento delle prenotazioni, distinguendo tra prenotazioni non prepagate, prenotazioni tramite Call Center (con pagamento all’arrivo) e prenotazioni prepagate.
Nel caso oggetto del quesito la prenotazione è stata pagata anticipatamente per intero, quindi dobbiamo fare riferimento a quanto stabilito nel punto c) del citato art. 4.
Ivi si attribuisce al cliente la possibilità di “visualizzare, modificare o cancellare la propria prenotazione online pagata in anticipo, successivamente alla sua conferma, entro l’orario stabilito per il ritiro del veicolo, facendo clic sul link indicato nell’e-mail di conferma ricevuta”.
Inoltre, si prevede anche che, “in caso di mancato annullamento della prenotazione e di mancato ritiro del veicolo all’ora e data di inizio del noleggio, [la società di noleggio] provvederà al rimborso dell’importo prepagato al netto di una penale cd.“No show”, pari al costo di 5 giorni di noleggio alla tariffa applicata alla prenotazione, o dell’importo prepagato in caso di prenotazioni per noleggi di durata inferiore a 5 giorni, per le quali non è previsto alcun rimborso”.
Come si vede, si tratta di previsioni diverse rispetto a quelle menzionate dall’operatore che ha risposto alla richiesta di rimborso, anche se non esattamente favorevoli al cliente.
Quanto alla necessità di fornire una carta di credito valida, nei Termini e condizioni di noleggio applicabili al ritiro presso l’aeroporto di XXX, all’art. 20 si legge chiaramente che l’uso della carta di credito viene richiesto a titolo di deposito, quale garanzia per gli eventuali addebiti indicati dalla medesima clausola.
Peraltro, si specifica anche che “l’importo finale del deposito è indicato nell’e-mail di conferma [...] inviata al momento della prenotazione”: nel nostro caso, invece, stando almeno alla documentazione inviata, nella mail di conferma non risulta quantificato alcun importo; è presente soltanto la seguente dicitura: “all'inizio del noleggio viene bloccata sulla tua carta una cauzione associata alla Politica di Rifornimento di Carburante (si tratta soltanto di un blocco se utilizzi una carta di credito; di un vero e proprio addebito se utilizzi una carta di debito). Questo importo bloccato/addebitato ti verrà rimborsato al momento della restituzione del veicolo, qualora quest'ultimo venga restituito con il pieno”.
La questione, in realtà, è complessa e meriterebbe di essere approfondita sotto diversi aspetti, considerata la natura di consumatore del cliente. In particolare, però, in questa sede possiamo soffermarci sulla penale prevista per il mancato annullamento (che poteva avvenire “entro l’orario stabilito per il ritiro del veicolo”, come abbiamo visto sopra, e non fino a un’ora prima dell’inizio del periodo di noleggio, come sostenuto dall’operatore). Tale penale corrisponderebbe effettivamente all’importo di 5 giorni di noleggio.
Una simile clausola potrebbe in astratto rientrare tra le clausole vessatorie, previste dagli artt. 33 e ss. del Codice del Consumo (e specificamente tra quelle previste alla lettera f) del cit. art. 33, ossia quelle clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di “imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d'importo manifestamente eccessivo”. La valutazione del carattere vessatorio di una clausola deve essere effettuata secondo i criteri di cui all’art. 34 del codice consumo, e comporta la nullità della stessa ex art. 36 del codice consumo.
Ad ogni modo, in ragione della necessità di esaminare diversi profili della questione (non ultimo quella della chiarezza o meno delle informazioni fornite al consumatore prima e durante il procedimento di conclusione del contratto online), si consiglia di rivolgersi ad una associazione di tutela dei consumatori o ad un legale specializzato nella materia.
Purtroppo non è possibile, in questa sede, preventivare i costi e le spese di una eventuale azione giudiziaria (che potrebbero anche essere superiori rispetto all’importo di cui si chiede la restituzione): anche qui andrà compiuta una valutazione di opportunità, dopo aver preso in considerazione tutti gli aspetti del caso.


A. V. chiede
mercoledì 27/04/2022 - Sardegna
“Ho firmato un contratto di vendita di una pergola con Alfa senza leggere le varie clausole e senza che il rappresentante mi illustrasse il fatto che non era possibile il recesso prima della firma. Il giorno dopo la firma, ignaro, ho chiesto con raccomandata il recesso. Posso avere indietro la caparra pagata?”
Consulenza legale i 11/05/2022
Il presente quesito richiede una risposta articolata, che deve essere preceduta da alcune precisazioni.
Innanzitutto, il contratto oggetto del quesito rientra nell’ambito di applicazione del D. Lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo), in quanto stipulato tra un consumatore e un professionista, secondo le definizioni contenute nell’art. 3 della medesima legge, laddove per “consumatore” si intende la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta, mentre il professionista viene definito come la persona fisica o giuridica che agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario.
Si tratta, inoltre, chiaramente di un contratto negoziato fuori dei locali commerciali: ora, per tale tipo di contratto l’art. 52 del Codice del consumo, com’è noto, attribuisce al consumatore un diritto di recesso, da esercitarsi entro quattordici giorni (la cui decorrenza è diversa a seconda della tipologia di contratto).
Ora, sempre riguardo ai contratti negoziati fuori dei locali commerciali, l’art. 49 del Codice del consumo pone a carico del professionista una dettagliata serie di obblighi informativi, che vanno adempiuti prima della conclusione del contratto (recita la norma: "prima che il consumatore sia vincolato da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali”). Tali informazioni precontrattuali devono essere fornite, come precisa l’articolo in commento,”in maniera chiara e comprensibile”.
La lettera h) del comma 1 dell’art. 49 Codice del consumo prevede che l’informativa, in caso di sussistenza di un diritto di recesso, debba precisare “le condizioni, i termini e le procedure per esercitare tale diritto” in conformità delle disposizioni del Codice stesso. Invece, se non è previsto un diritto di recesso ai sensi dell'articolo 59, il consumatore deve essere preventivamente informato del fatto che non beneficerà di un diritto di recesso" (art. 49, comma 1, lett. m).
Inoltre, il comma 5 dello stesso art. 49 stabilisce che le informazioni precontrattuali costituiscono parte integrante del contratto negoziato fuori dei locali commerciali, e non possono essere modificate se non con accordo espresso delle parti.
L’art. 50 del Codice del consumo stabilisce che, nei contratti negoziati fuori dei locali commerciali, “il professionista fornisce al consumatore le informazioni di cui all'articolo 49, comma 1, su supporto cartaceo o, se il consumatore è d'accordo, su un altro mezzo durevole. Dette informazioni devono essere leggibili e presentate in un linguaggio semplice e comprensibile”.
Dalla lettura della documentazione allegata (contratto, corrispondenza intercorsa tra le parti) è emerso altresì che, secondo il professionista, il diritto di recesso sarebbe escluso ai sensi dell’art. 59 del Codice del consumo.
Tale norma prevede appunto una serie di ipotesi in cui il consumatore non beneficia del diritto di recesso, pur nei contratti a distanza o negoziati fuori dai locali commerciali. In particolare, la fattispecie che ci interessa è quella indicata dalla lettera c): “fornitura di beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati”.
Nel nostro caso, l’informativa circa la mancata sussistenza del diritto di recesso è contenuta nell’art. 6 delle “condizioni generali di fornitura”, consegnate al cliente unitamente al contratto, e sottoscritte per accettazione in calce allo stesso (ove si legge “Accettazione Condizioni Contrattuali - Firma Cliente"); tuttavia, le condizioni generali di fornitura, pur allegate al contratto, non sono state specificamente firmate dal consumatore. In realtà, però, la mancata sottoscrizione specifica della clausola può determinare, semmai, un problema di prova, poiché spetta al professionista dimostrare di aver correttamente informato il consumatore; ma, nel caso della “clausola” che informa il consumatore dell’inesistenza del diritto di recesso, il fatto che essa non sia stata singolarmente firmata non incide sulla sua validità o efficacia in quanto non si tratta di clausola vessatoria (art. 34, comma 3 Codice del consumo: “non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge”).
A conclusione di questa lunga premessa, possiamo affermare che, nel nostro caso, il cliente è stato messo nella condizione di conoscere l'inesistenza del diritto di recesso normalmente previsto in favore del consumatore.
Passiamo, però, alla specifica domanda formulata nel quesito: si chiede infatti se il cliente abbia diritto alla restituzione della caparra versata.
Anche qui bisogna fare chiarezza: nel contratto viene definita “caparra confirmatoria”; ora, per l’art. 1385 c.c., la caparra confirmatoria consiste in una somma di danaro che una parte consegna all’altra al momento della conclusione del contratto, con l’accordo che, in caso di adempimento, essa verrà restituita o imputata alla prestazione dovuta. In caso di inadempimento, invece, se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, trattenendo la caparra; se inadempiente è la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.
Nel nostro caso, nelle condizioni generali di fornitura allegate al contratto si legge (art. 2) che “la caparra si trasformerà in conto prezzo in caso di mancato pagamento del saldo da parte del cliente”. Si tratta di una formulazione non del tutto felice né chiara, rispetto a cui si pone un problema di interpretazione, onde stabilire se, al di là dei termini usati nel contratto, si tratti effettivamente di caparra confirmatoria.
Oltre a ciò, occorre prestare attenzione al valore percentuale della caparra rispetto al prezzo complessivo risultante dal contratto: sul punto, Cass. Civ., Sez. V, 01/07/2015, n. 13495 ha ricordato come “in tema di caparra confirmatoria, la Corte Costituzionale, nel respingere l'eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 1385, comma 2°, c.c., ha espressamente attribuito rilevanza, ai fini del necessario e coerente giudizio di corrispondenza del nomen iuris rispetto all'effettiva funzione della caparra confirmatoria, alla sproporzione tra caparra ed intero valore delle prestazioni oggetto del contratto”.
Ma, soprattutto, occorre considerare che la clausola contrattuale riguardante la caparra si limita a contemplare l’ipotesi del mancato pagamento del prezzo da parte del cliente, e non quella, opposta, dell’inadempimento del venditore. Si tratta chiaramente, dunque, di una clausola vessatoria ai sensi e per gli effetti dell’art. 33 Codice del consumo, che considera vessatorie fino a prova contraria, tra le altre, le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di “consentire al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest'ultimo non conclude il contratto o recede da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest'ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere”.
Ora, l’art. 36 del Codice del consumo prevede la nullità delle clausole vessatorie, mentre il contratto rimane valido per il resto.
Concludendo, alla luce delle osservazioni svolte, appare fondata la richiesta del cliente di restituzione della caparra, proprio sulla base del rilievo della vessatorietà della clausola stessa.

ALESSANDRO M. A. chiede
giovedì 14/05/2020 - Lombardia
“Buongiorno,
In data 29.02.2020 a seguito di un invito telefonico di un'azienda che vende divani e letti , ci siamo recati c/o un negozio, abbiamo stipulato un contratto d' acquisto per un letto motorizzato al prezzo di euro 4.800,00 da pagare con un finanziamento a tasso 0 in 48 rate, senza versare nessun acconto.
La consegna, doveva essere effettuata dopo 7/15 c/o la nostra abitazione dal loro personale con montaggio e collaudo.
Poi sono subito intervenuti i vari divieti e chiusure che di fatto hanno impedito la regolare consegna nel caso la merce fosse stata disponibile.
In seguito non ho più ricevuto nessuna comunicazione ne telefonica, ne scritta, ne verbale dall'azienda.
Il 13/03/2020 ho telefonato all'azienda senza nessuna risposta.
Il 14/04/2020 ho inviato una mail chiedendo se fosse stato possibile annullare l'ordine, visto purtroppo i problemi economici che si erano creati anche nella nostra famiglia, e che dovevamo fa fronte, ma non abbiamo ricevuto nessuna risposta.
Il 20/04/2020 ripetevo la mail mettendola anche per conoscenza alla finanziaria, ancora senza risposta da entrambi.
Poi varie telefonate: il 20/04 - 24/04 e il 29/04 anche queste senza risposta.
IL giorno 07/05 vengo contattato da una Signora che dice di essere il consegnatario, chiedendomi di accordarci per la consegna della merce.
Ho chiesto di avere prima una risposta alla mia richiesta e di conseguenza di farmi contattare dal proprietario.
Il giorno 11 /05, mia moglie riceve via whatsapp un messaggio irridente e offensivo (che posso inviarVi assieme al testo della mia mail) e che se oltretutto volevo recedere dal contratto dovevo versare una penale del 25% come da contratto, e, che di fatto io sul contratto non ho trovato.
Richiamo la Signora e Le spiego del messaggio offensivo e che comunque non avevo intenzione di far entrare in casa nessuno, visto ancora la situazione di emergenza e comunque se non prima di aver chiarito la mia situazione rispetto al contratto in essere.
Il giorno dopo vengo chiamato da un'altra persona per chiedermi quando poteva consegnare.
Abbiamo detto basta, siamo già esasperati come tutti dalla situazione sia economica che per molti di salute, subire anche offese gratuite no.
Pertanto siamo a chiedere se, è possibile recedere da questo tipo di contratto, e, se è dovuta una penale e in che misura.
In attesa di una Vostra risposta,si porgono distinti saluti .”
Consulenza legale i 20/05/2020
Esaminata la copia del contratto e le relative condizioni di vendita, possiamo preliminarmente osservare quanto segue.
Nelle condizioni particolari di vendita alla lettera A è espressamente specificato che il venditore, laddove la merci non si trovi nel magazzino, ha 90 giorni di tempo (con un margine di tolleranza di ulteriori 15 giorni) per consegnare la merce.
Essendo l’ordine stato sottoscritto il 29 febbraio, dal punto di vista delle tempistiche la parte venditrice è pienamente nei termini.

Per quanto riguarda invece l’aspetto del recesso e della penale, occorre far riferimento alla clausola n.11 delle condizioni generali di contratto.
Tale clausola appare vessatoria in alcuni punti in quanto prevede per il venditore delle facoltà che non sono previste anche per il compratore.
Come infatti espressamente indicato dal primo comma dell’art. 33 del codice del consumo: “nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.”

Per quanto concerne la penale in caso di recesso anticipato, la determinazione del suo ammontare è rimessa alla libera determinazione delle parti. Tuttavia, ciò può avvenire entro un certo limite che è quello dell’importo manifestatamente eccessivo come espressamente previsto dall’art. 33 del Codice del Consumo e, in particolare, nella fattispecie prevista dalla lettera f (è vessatorio “imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d'importo manifestamente eccessivo”).
Ciò significa che un tale tipo di clausola deve ritenersi nulla fino a prova contraria: il professionista che vuole avvalersene deve cioè provare che essa sia stata oggetto di specifica trattativa tra le parti (articoli 34 e 36 del codice del consumo).
Nella presente vicenda, un importo pari al 25% , maggiorato anche di ulteriori spese, potrebbe in effetti essere ritenuto eccessivo e, quindi, vessatorio. Tuttavia, tale clausola rientra tra quelle nulle fino a prova contraria. Significa che se specificatamente approvata dal consumatore ed oggetto di trattativa (come parrebbe in questo caso essendoci una specifica doppia sottoscrizione) essa è pienamente valida ed efficace.
La Cassazione esclude infatti la specifica sottoscrizione solo laddove la doppia firma sia stata apposta su di un richiamo in blocco delle condizioni contrattuali o di gran parte di esse (Cfr. le sentenze Cass. n. 9492/2012, Cass. n. 2970/2012, Cass. n. 24262/2008, Cass. n. 5733/2008, Cass. n. 7748/2007, Cass. n. 4452/2006, Cass. n. 13890/2005, Cass. n. 2719/2005, Cass. n. 18680/2003, Cass. n. 6510/2001, Cass. n. 2849/1998), ma non appare essere il caso in questione.
Ad ogni modo, anche escludendo la tutela del codice consumo, in ipotesi di una ipotetica controversia giudiziale riteniamo che in via residuale sarebbe comunque applicabile l’art. 1384 del codice civile secondo cui il giudice può diminuire equamente l’importo della penale laddove l’ammontare di quest’ultima sia manifestamente eccessivo.

Per quanto riguarda invece l’aspetto dell’esercizio del diritto di recesso si osserva altresì quanto segue.
La sopra citata clausola n.11 delle condizioni generali di vendita prevede per il compratore la facoltà di recedere nelle ipotesi di impossibilità o eccessiva onerosità sopravvenuta.
Nella presente vicenda, tale motivazione potrebbe essere effettivamente sostenuta anche alla luce della sopravvenuta situazione di emergenza legata al coronavirus. Del resto, una tale argomentazione trova conforto in quanto espressamente previsto dall’art. 1467 del codice civile.
Rimane però da valutare l’aspetto di come sia stato esercitato il diritto di recesso.
L’art. 15 delle condizioni generali prevede che tutte le comunicazioni debbano avvenire a mezzo raccomandata a/r. Sicuramente, una comunicazione tramite pec sarebbe parimenti valida ma nella presente vicenda leggiamo che tutte le comunicazioni, recesso compreso, sono avvenute tramite telefono o mail ordinaria.
Secondo l’art. 1352 del codice civile “Se le parti hanno convenuto per iscritto di adottare una determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si presume che la forma sia stata voluta per la validità di questo". Tale principio, secondo la Suprema Corte (ordinanza n.1814 del 2019) non si applica solo alla costituzione del contratto ma anche alla sua disdetta.
Dunque, se una comunicazione di recesso viene inviata con email semplice (come nel presente caso) quando il contratto prevede esclusivamente la raccomandata, tale comunicazione dovrebbe intendersi non efficace.

Da ultimo, riguardo il contratto di finanziamento (non in nostro possesso) possiamo dire che si tratta di un contratto collegato a quello dell’acquisto del bene (art.121 lett. D TUB).
Ciò significa che venendo meno uno (il contratto di acquisto) decade anche l’altro: “simul stabunt, simul cadent” diceva un antico brocardo.
Sul punto, si cita la sentenza della Cassazione n.19000 del 2016 che ha ribadito che sussiste “tra i contratti di credito al consumo finalizzati all'acquisto di determinati beni o servizi ed i contratti di acquisto dei medesimi, un collegamento negoziale di fonte legale”.

Alla luce di tutte le osservazioni che precedono, in risposta al quesito possiamo dunque affermare quanto segue.
Il recesso per come esercitato, senza rispettare la forma prescritta nelle condizioni generali di contratto, appare inefficace.
Ad ogni modo, anche volendo discostarci dall’interpretazione della Suprema Corte e considerarlo valido ed efficace, riteniamo che la penale prevista pari al 25% andrebbe comunque corrisposta essendo stata oggetto di specifica approvazione contrattuale.
Se ci si rifiutasse di pagarla, in un ipotetico contenzioso l’unica argomentazione sarebbe la richiesta in via residuale della tutela prevista dall’art. 1384 c.c. sopra citato secondo cui il giudice può diminuire equamente l’importo della penale laddove l’ammontare di quest’ultima sia manifestamente eccessivo.
Suggeriamo in ogni caso di inviare intanto quanto prima una lettera raccomandata a/r al venditore in cui si ribadisce l'esercizio del diritto di recesso già comunicato con la mail del 20.04.20.

Claudio S. chiede
mercoledì 11/03/2020 - Piemonte
“Buongiorno,
devo recedere anticipatamente il contratto con l'agenzia immobiliare incaricata di vendere il mio immobile e volevo sapere se la penale da pagare in caso di recesso anticipato (2.800,00 € fissi) non risulta essere sproporzionata in confronto alla provvigione (3.000,00 € I.V.A. compresa) e come mi devo comportare.
Grazie”
Consulenza legale i 12/03/2020
Alcune brevi premesse.
Intanto precisiamo che la durata ed il compenso del mediatore possono essere liberamente determinati dalle parti contrattuali, non essendovi alcun obbligo di legge in tal senso. Infatti, con riguardo alla misura della provvigione, il secondo comma dell’art. 1755 c.c. si limita a stabilire che “la misura della provvigione e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti , in mancanza di patto, di tariffe professionali o di usi, sono determinate dal giudice secondo equità”.

Al contratto di mediazione è sicuramente applicabile la disciplina del codice del consumo.

Per quanto concerne la penale in caso di recesso anticipato, è rimessa anche essa alla libera determinazione delle parti.
Tuttavia, ciò può avvenire entro un certo limite che è quello dell’importo manifestatamente eccessivo come espressamente previsto dall’art. 33 del Codice del Consumo e, in particolare, nella fattispecie prevista dalla lettera f (“imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d'importo manifestamente eccessivo”).
Ciò significa che un tale tipo di clausola deve ritenersi nulla fino a prova contraria: il professionista che vuole avvalersene deve cioè provare che essa sia stata oggetto di specifica trattativa tra le parti (articoli 34 e 36 del codice del consumo).
Tale aspetto è stato oggetto anche di una sentenza del Tribunale di Roma (la n.10118/2016) la quale ha evidenziato che una penale non possa avere un importo prossimo a quello della provvigione (“in misura identica (o vicina) a quella stabilita per l’ipotesi di conclusione dell’affare, si verifica uno squilibrio fra i diritti e gli obblighi delle parti”). Ne consegue che l’agente immobiliare dovrebbe provare che la clausola in questione sia stata oggetto di una specifica trattativa tra le parti in causa, come previsto dal codice del consumo; in difetto, la clausola deve considerarsi nulla.
A ciò si aggiunga che in base al comma 5 dell’art. 34 del codice del consumo, laddove vi sia stata sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali incombe sul professionista l'onere di provare che le clausole malgrado siano dal medesimo unilateralmente predisposte, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore. Se tale prova non viene fornita, la clausola vessatoria è nulla (mentre il contratto rimane valido per il resto).

Ciò premesso, veniamo allo specifico della presente vicenda.

L’importo della provvigione appare manifestatamente eccessivo.
Laddove la clausola in questione non sia stata specificatamente sottoscritta (la doppia firma apposta su di un richiamo in blocco delle condizioni contrattuali o di gran parte di esse non sarebbe sufficiente) difficilmente l’agente potrebbe sostenere che essa sia stata oggetto di una trattativa individuale (tale principio è stato oggetto di svariate pronunce: Cass. n. 9492/2012, Cass. n. 2970/2012, Cass. n. 24262/2008, Cass. n. 5733/2008, Cass. n. 7748/2007, Cass. n. 4452/2006, Cass. n. 13890/2005, Cass. n. 2719/2005, Cass. n. 18680/2003, Cass. n. 6510/2001, Cass. n. 2849/1998).
Al contrario, laddove invece essa sia stata specificatamente approvata per iscritto in un ipotetico giudizio ciò costituirebbe sicuramente una valida argomentazione per l’agente immobiliare.

Ad ogni modo, anche escludendo la tutela del codice consumo, in ipotesi di una ipotetica controversia giudiziale riteniamo che in via residuale sarebbe comunque applicabile l’art. 1384 del codice civile secondo cui il giudice può diminuire equamente l’importo della penale laddove l’ammontare di quest’ultima sia manifestamente eccessivo.

Ciò posto, allo stato, contestualmente al formale invio del recesso anticipato suggeriamo di richiedere in ogni caso la diminuzione dell’importo della clausola relativa alla penale, contestandone la sua manifesta eccessiva onerosità rispetto all’importo della provvigione.
In caso di proposta di soluzione amichevole, un importo congruo potrebbe essere pari al 50% della provvigione prevista nel contratto.

Marco B. chiede
mercoledì 22/05/2019 - Lombardia
“Buongiorno,

con la mia compagna abbiamo iscritto nostra figlia presso un asilo nido privato in data 11 aprile 2019. L'iscrizione è stata fatta per il periodo compreso da settembre 2019 a luglio 2020. Per questioni personali sovraggiunte in modo del tutto imprevisto (la madre della mia compagna è malata, è vedova e necessita della vicinanza della figlia) ci vediamo costretti a trasferirci dall'attuale comune Omissis al comune di Omissis. Abbiamo infatti iniziato a cercare casa su quel territorio per trasferire la nostra residenza e domicilio il prima possibile.

Ho contattato l'asilo chiedendo la possibilità, a fronte dell'ampio preavviso e del fatto che tale decisione dipende da fattori esterni alla nostra volontà, di poter recedere dal contratto. Tale contratto presenta infatti una clausola che prevede che " i genitori del bambino, entrambi e in solido tra loro, che dovrà frequentare il nido si impegnano, sottoscrivendo il presente contratto, a far frequentare il nido per l'intero anno scolastico, ossia da settembre a luglio/agosto secondo il regolamento stabilito dalla struttura impegnandosi, comunque in caso di ritiro del bambino, all'inderogabile pagamento di tutte le undici rette mensili previste contrattualmente o, in caso di iscrizione in corso d'anno, al pagamento delle rette dal momento dell'iscrizione fino a luglio/agosto....(qui indica solo ed esclusivamente 2 mesi di penale per gravi motivi di salute del bambino certificati) ... in caso di ritiro per altri motivi dipendenti dalla volontà dei genitori, incluso il passaggio in altre strutture pubbliche o private, sarà dovuta la corresponsione di tutte le rate mensili dalla data del ritiro sino al mese di luglio, salvo diversa insindacabile valutazione da parte della direzione". Mi è stato risposto dalla direttrice della struttura che tale contratto è vincolante, che potrebbero eventualmente liberarci se dovessero arrivare altre iscrizioni (attualmente 4 posti liberi), ma solo ed esclusivamente mandando una raccomandata con spiegazione della situazione e allegati certificati sullo stato di salute della signora, che avrebbero poi inoltrato al loro studio legale per avere un parere.

Vi aggiungo alcuni dati e considerazioni:

- abbiamo versato acconto di euro 180 + 2 euro di marca da bollo in data 14/4, sollecitata via mail la produzione della ricevuta e richiesta conferma dell'iscrizione in data 26/4, risposto nella stessa data che stanno in questi giorni producendo la fattura. Ad oggi ancora nulla;
- abbiamo dato un preavviso di oltre 3 mesi dalla data di inizio della prestazione;
- all'atto dell'iscrizione ci hanno detto che con l'iscrizione di nostra figlia avrebbero terminato i posti disponibili per i lattanti;
- sempre in fase di iscrizione la direttrice ci ha dichiarato di essere accreditati per 32 bambini, ma per garantire una qualità alta del servizio non prendono più di 28 bambini (numero raggiunto ad oggi);
- la richiesta di fornire dati sanitari su una persona non presente all'interno del contratto non mi sembra del tutto lecita;
- la bambina ad oggi non ha usufruito di nemmeno un minuto del servizio che ci viene chiesto di pagare per un anno;
- informandomi online ho trovato che tali clausole " per essere valida, necessita:
della specifica approvazione per iscritto della detta clausola. (e abbiamo firmato)
dell’avvenuta trattativa e raggiungimento di accordo sulla medesima. (cosa che non c'è stata e non è nemmeno riportata sul contratto)"

Vorrei chiedervi a questo punto come procedere, premesso che non desidereremmo pagare nulla oltre all'acconto versato.

Resto a disposizione per ulteriori informazioni o chiarimenti”
Consulenza legale i 31/05/2019
Nel caso in esame siamo in presenza di un contratto concluso mediante sottoscrizione di condizioni generali di contratto predisposte unilateralmente da uno dei contraenti. Si tratta però anche di un negozio inquadrabile nei “contratti del consumatore”, laddove per “consumatore” si intende la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta (art. 3 del Codice del Consumo); pertanto, come disposto dall’art. 1469 bis del c.c., la disciplina contenuta nel codice civile andrà integrata con quella prevista dal D. Lgs. n. 206/2005, il c.d. “Codice del Consumo”.
Il problema concreto da risolvere è quello della validità ed efficacia della clausola, contenuta nel contratto in questione, che impone ai genitori, anche nel caso in cui decidano di “ritirare” il proprio figlio dal nido privato, di pagare comunque tutte le rette mensili fino al termine dell’anno scolastico.

Innanzitutto, occorre stabilire se tale clausola abbia o meno carattere vessatorio.
Ai sensi dell’art. 33 del Codice del Consumo, “nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.
Il secondo comma della norma elenca una serie di clausole che si presumono vessatorie fino a prova contraria; tra queste vi sono, tra le altre, quelle che hanno per oggetto, o per effetto, di: “d) prevedere un impegno definitivo del consumatore mentre l'esecuzione della prestazione del professionista è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà; e) consentire al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest'ultimo non conclude il contratto o recede da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest'ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere;”, ed ancora “f) imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d'importo manifestamente eccessivo; g) riconoscere al solo professionista e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal contratto, nonché consentire al professionista di trattenere anche solo in parte la somma versata dal consumatore a titolo di corrispettivo per prestazioni non ancora adempiute, quando sia il professionista a recedere dal contratto”.
Quanto all’accertamento del carattere vessatorio delle clausole, l’art. 34 del Codice del Consumo stabilisce che non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale. Se il contratto è stato concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, incombe sul professionista l'onere di provare che le clausole, o gli elementi di clausola, malgrado siano dal medesimo unilateralmente predisposti, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore.

In realtà la questione del pagamento delle rette di una scuola privata, e in particolar modo della validità della clausola che obbliga al pagamento dell’intera retta per tutta la durata dell’anno scolastico anche in caso di ritiro dell’alunno, è stata affrontata più volte dalla giurisprudenza.
In particolare, la recente Cass. Civ., Sez. III, 10910/2017, nel pronunciarsi su una fattispecie del tutto analoga a quella oggetto del presente quesito, ha affermato che una simile clausola rientra tra quelle previste dall'articolo 33, lettera g, del Codice del Consumo, il quale prevede che si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto o per effetto di riconoscere al solo professionista e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal contratto, nonché di consentire al professionista di trattenere anche solo in parte la somma versata dal consumatore a titolo di corrispettivo per prestazioni non ancora adempiute, quando sia il professionista a recedere dal contratto. Secondo la Cassazione, pertanto, ha “natura presuntivamente vessatoria la clausola contrattuale che sanzioni indiscriminatamente il recesso dell'allievo, assistito o meno da un giustificato motivo, per di più quando la somma dovuta dall'allievo nel caso di recesso - che viene sostanzialmente ad integrare una penale - non trovi riscontro in analoga sanzione a carico del professionista". Una simile clausola riserva implicitamente al professionista - che, in applicazione dei principi generali in materia contrattuale, risponde solo nel caso di recesso colpevole - un trattamento differenziato e migliore, in contrasto, tra l'altro, con l'articolo 33, lettera g, del Codice del Consumo”.

Tornando al caso concreto, qualora la direzione della struttura insista nella propria richiesta di pagamento e non intenda giungere ad un accordo, possibilmente scritto (liberando espressamente i genitori dall’obbligo di corrispondere ulteriori somme), si consiglia di comunicare alla scuola, a mezzo raccomandata A/R o posta elettronica certificata, il proprio recesso menzionando espressamente le norme e la giurisprudenza di cui sopra.
Naturalmente, è preferibile che i genitori si rivolgano sin d’ora, per essere assistiti, ad un consulente, che potrà essere sia un legale sia un’associazione di tutela dei consumatori.

ANDREA L. C. chiede
martedì 03/04/2018 - Calabria
“Le chiedo un parere in merito ad una clausola vessatoria apposta in un contratto di formazione per la preparazione al Concorso Nazionale SSM 2017 organizzato da una società.
Il contratto è stato siglato su ogni pagina, nonchè è stata apposta una seconda firma su un foglio separato dove il partecipante prendeva atto ed accettava alcune clausole tra cui la 6.4.
Veniva pattuito un costo complessivo di 2480,00 euro con il pagamento di euro 480,00 subito e i successivi 2000,00 da versare solo all'eventuale superamento del concorso.
La clausola 6.4 del contratto però prevede che qualora il partecipante al corso non avesse comunicato entro 3 giorni le graduatorie (post concorso) lo stesso sarebbe stato comunque obbligato a versare i 2000,00 euro anche in caso di non superamento del concorso.
Il contratto però prevede espressamente che in caso di non superamento del concorso il partecipante non è obbligato a pagare i 2000,00 euro.

Vorrei sapere se posso appellarmi alla vessatorietà (con conseguente nullità ) della clausola 6.4 ai sensi del 1341 e/o del art 33 codice consumo?”
Consulenza legale i 05/04/2018
Il contratto in esame ha ad oggetto l’erogazione di un corso di formazione. Rientra pertanto nel contratto di servizi di cui alla lettera f dell’art. 45 del Codice del Consumo con conseguente applicabilità della disciplina prevista da quest’ultimo (richiamata peraltro anche nel contratto medesimo).
Come espressamente previsto dall’art. 33 del Codice del Consumo “nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.”

Ciò posto, andando nella specifico della clausola oggetto del quesito, si osserva quanto segue.

La circostanza che venga richiesto il pagamento di euro 2000 qualora il partecipante al corso non abbia comunicato entro 3 giorni le graduatorie anche in caso di non superamento del concorso può essere inquadrata tra le clausole vessatorie di cui al punto f dell’art. 33 del Codice del Consumo: “imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d'importo manifestamente eccessivo”.
Infatti, nel caso in esame, a fronte dell’inadempimento contrattuale da parte del consumatore/corsista di invio della comunicazione richiesta viene domandata una somma di denaro (addirittura corrispondente al saldo del corso) che appare di importo manifestatamente eccessivo laddove il concorso non sia stato superato.
Pertanto, sotto tale aspetto appare corretto supporre una vessatorietà della clausola.

Quanto invece alle clausole espressamente sottoscritte dal consumatore (tra cui rientra anche quella oggetto del quesito) si osserva quanto segue.
Le clausole nulle anche a seguito di trattativa tra le parti sono quelle di cui ai punti a, b e c di cui all’art. 36 del Codice del Consumo. La clausola in esame parrebbe non rientrare in nessuna delle tre. Tuttavia, come ha osservato la Suprema Corte "Il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle prive di carattere vessatorio, e la loro sottoscrizione indiscriminata, non ne determina la validità ed efficacia, non potendosi ritenere che con tale modalità sia garantita l'attenzione del contraente debole verso la clausola a lui sfavorevole compresa tra le altre richiamate" (Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 2970/12).
Nel caso in esame, si potrebbe tentare di sostenere che le clausole del contratto, tra cui la 6.4, siano state sottoscritte quasi in blocco con doppia firma e che quindi tale duplice sottoscrizione così effettuata non sani la nullità.
In ogni caso, teniamo presente che per espressa previsione normativa è onere del professionista provare che le clausole vessatorie siano state oggetto di specifica trattativa con il consumatore (art. 34 Codice del Consumo).

Fermo quanto precede, occorre altresì tenere conto di quanto previsto dall’art. 35 del Codice del Consumo. Infatti, come è stato rilevato anche nel quesito, vi sarebbero due disposizioni in contrasto tra loro all’interno dello stesso contratto: il punto 3 e il punto 4 dell’art. 6.
Secondo la prima disposizione laddove “il concorso non venga superato, il corsista nulla dovrà pagare”. Ciò è palesemente contraddittorio rispetto al contenuto di cui al punto 6.4. sopra esaminato.
In tal caso, riteniamo possa applicarsi appunto quanto previsto dal sopra citato art. 35 del Codice del Consumo secondo cui “Nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile. In caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l'interpretazione più favorevole al consumatore.”
Nel caso in esame, riteniamo possa prevalere la circostanza che in ipotesi di mancato superamento del concorso nulla sarà dovuto dal corsista anche laddove abbia omesso di trasmettere la comunicazione prevista nel contratto.

Tutto ciò premesso, in risposta alla domanda contenuta nel quesito, riteniamo dunque che possa sostenersi la vessatorietà della clausola di cui al punto 6.4 del contratto per le ragioni sopra esaminate.

Italo Q. chiede
giovedì 05/03/2015 - Umbria
“Spett.le Redazione giuridica
mi rivolgo a Voi per la competenza e completezza della Vostra consulenza dimostrata in precedenti interventi di cui ringrazio.
Quesito: il tentativo di mediazione - per un contratto bancario di gestione patrimoniale mobiliare -nei confronti di una Banca (che aveva sede legale in Roma e che è stata cancellata dall'albo delle banche in data 31/03/2012)
1- deve essere espletato in Italia presso un ODM competente per territorio quale
a)quello della residenza del cliente consumatore
b) o quello della ex Sede della banca?
oppure in Olanda ove tuttavia ha sede la Casa Madre?
2) E nella verosimile ipotesi che non dia risultati la successiva azione giudiziaria potrà essere portata dinanzi al tribunale della residenza del cliente-consumatore?
Ringraziando per un cortese sollecito riscontro porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 11/03/2015
Come noto, le Banche, per operare in Italia, devono essere iscritte nell'albo delle banche, su cui ha obbligo di vigilare la Banca d'Italia: la cancellazione dall’albo è prevista, tra gli altri, nel caso di cessazione dell'attività bancaria. Nel caso di specie, si trattava di succursale italiana di banca estera comunitaria (sede in Olanda).

Il rapporto che si instaura tra banca e cliente è pressoché sempre qualificabile come rapporto con un consumatore, salvo che si possa dimostrare che il contratto è stato stipulato per uno scopo connesso all'esercizio dell'attività professionale della persona fisica (non sembra essere questo il caso).
Pertanto, la competenza territoriale spetta al giudice del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo (v. "foro del consumatore", cfr. art. 33 codice del consumo), presumendosi vessatoria la clausola che preveda una diversa località come sede del foro competente, ancorché coincidente con uno di quelli individuabili sulla base del funzionamento dei vari criteri di collegamento stabiliti dal codice di procedura civile per le controversie nascenti da contratto.
Ciò, per quanto riguarda una eventuale azione giudiziale.

Per quanto concerne il tentativo di mediazione, ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis del d.lgs. n. 28/2010, a decorrere dal 20 settembre 2013 "Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. [...]".

Ai fini del sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari finanziari (v. deliberazione 29.7.2008 del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio), affinché l'intermediario possa ritenersi legittimato passivo, è necessario che lo stesso non risulti cancellato dagli albi di cui agli artt. 13, 114-bis, 114-septies T.U.B. (Testo Unico Bancario) ovvero dagli elenchi di cui agli artt. 106, 107 T.U.B. (nel testo previgente alla riforma introdotta con d. Lgs. n. 141/2010) prima del deposito del ricorso.
Nel caso di specie, l'intermediario bancario risulta cancellato nel 2012.

Quindi, si ricorrerà alla mediazione civile prevista dal d.lgs. 28/2010, che deve svolgersi presso organismi, pubblici e privati, iscritti in un apposito registro tenuto dal Ministero della giustizia. La legge non prevede criteri di competenza territoriale: per questo motivo, la parte istante, in assenza di una clausola di mediazione concordata tra le parti, è libera di depositare la sua domanda presso qualsiasi organismo, scegliendo quindi, di norma, quello che le è più comodo da raggiungere.

E' consigliabile, comunque, in via preliminare, prendere contatto con l'organismo di mediazione scelto, per chiedere se lo stesso è provvisto di mediatori competenti in materia bancaria.

P. V. chiede
martedì 15/10/2024
“In data 10 ottobre 2024 ho sottoscritto un contratto in esclusiva con Agenzia Immobiliare per la vendita di un appartamento.
Per una serie di motivi non considerati al momento della firma, mi sono preoccupata soprattutto per la "clausola penale a carico del venditore" che al punto (a) recita: Il Venditore dovrà corrispondere all'Agenzia una penale pari al 100% della provvigione pattuita nel caso receda prima della scadenza del contratto o rifiuti di consentire l'esecuzione del presente incarico....
Il valore è 109.000 Euro. La commissione pari al 3%, quindi la cifra supera i 3000 Euro. Il contratto è stato firmato in agenzia.
Ho diritto al recesso/ripensamento entro 14 giorni dalla stipula?

Preciso per dovere di completezza che il problema nasce da un episodio: la precedente agenzia, con contratto scaduto, ma con permesso di mantenere la pubblicità fino a nuova disposizione, in data precedente alla firma del contratto aveva fissato un appuntamento con un cliente, che dopo incontro nel loro ufficio, ha chiesto di vedere l'appartamento, cosa della quale ho avvisato il nuovo agente, che ha risposto con minaccia di rivalsa con applicazione della clausola penale, addirittura raddoppiata per mancato guadagno con il cliente "perso". Specifico che le due agenzie non intendono accordarsi, cosa che io auspicavo.
Pertanto, indipendentemente da come vada la trattativa, io vorrei recedere, ovviamente senza penale.”
Consulenza legale i 22/10/2024
L’art. 52 del Codice del Consumo (D.Lgs. n. 206/2005) attribuisce al cliente/consumatore il diritto di recesso - senza dover fornire alcuna motivazione - entro 14 giorni, ma solo con riferimento ai contratti a distanza o negoziati fuori dei locali commerciali. Va aggiunto che il termine sopra indicato è prolungato a 30 giorni in talune specifiche ipotesi, tra le quali rientrano i contratti conclusi nel contesto di visite non richieste di un professionista presso l'abitazione di un consumatore.
Nel quesito viene precisato che il contratto è stato firmato in agenzia; dunque il diritto di recesso non spetta.
Ad ogni modo, forse vale la pena approfondire la valutazione della clausola penale prevista nel contratto.
In primo luogo, infatti, è necessario verificare se la previsione della penale possa essere considerata clausola vessatoria ai sensi e per gli effetti dell’art. 33 del Codice del Consumo.
Sul punto si segnala che il Tribunale di Roma (Sez. X, sentenza 19/05/2016, n. 10118) ha considerato vessatoria “la clausola che prevede un corrispettivo per recesso anticipato a carico del cliente di valore prossimo alla provvigione” (sempre che, naturalmente, il cliente rivesta la qualifica di consumatore, ovvero agisca per scopi estranei all’attività professionale eventualmente esercitata).
Nel nostro caso, la penale è addirittura pari al 100% della provvigione.
Inoltre, anche qualora la penale non venisse considerata vessatoria, ricordiamo che l’art. 1384 c.c. attribuisce al giudice il potere di ridurre l’importo della penale, qualora lo ritenga manifestamente eccessivo.

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