Cass. civ. n. 20840/2022
La clausola di un contratto di appalto, nella quale si preveda che tutti i danni che i terzi dovessero subire dall'esecuzione delle opere siano a totale ed esclusivo carico dell'appaltatore, rimanendone indenne il committente, non può essere da quest'ultimo invocata quale ragione di esenzione dalla propria responsabilità risarcitoria nei confronti del terzo danneggiato per effetto di quei lavori, atteso che tale clausola, operando esclusivamente nei rapporti fra i contraenti, alla stregua dei principi generali sull'efficacia del contratto fissati dall'art 1372 c.c., non può vincolare il terzo a dirigere verso l'una, anziché verso l'altra parte, la pretesa nascente dal fatto illecito occasionato dall'esecuzione del contratto.
Cass. civ. n. 11320/2022
Il rapporto contrattuale tra il paziente e la struttura sanitaria o il medico non produce, di regola, effetti protettivi in favore dei terzi, perché, fatta eccezione per il circoscritto campo delle prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione, trova applicazione il principio generale di cui all'art. 1372, comma 2, c.c., con la conseguenza che l'autonoma pretesa risarcitoria vantata dai congiunti del paziente per i danni ad essi derivati dall'inadempimento dell'obbligazione sanitaria, rilevante nei loro confronti come illecito aquiliano, si colloca nell'ambito della responsabilità extracontrattuale. (Nella specie, la S.C. ha escluso la spettanza dell'azione contrattuale "iure proprio" alla moglie di un soggetto che, affetto da Morbo di Parkinson, si era allontanato dalla struttura sanitaria presso cui era ricoverato e non era stato mai più ritrovato, precisando che la stessa avrebbe potuto eventualmente beneficiare della tutela aquiliana, con le conseguenti regole in tema di ripartizione dell'onere della prova).
Cass. civ. n. 27999/2019
In caso di scioglimento per mutuo consenso del contratto di leasing traslativo non trova applicazione - nemmeno in via analogica - il disposto dell'art. 1526 c.c. (che prevede il ripristino delle originarie posizioni delle parti attraverso la restituzione all'utilizzatore delle rate versate e il riconoscimento al concedente del diritto all'equo compenso per l'uso del bene), mancando il presupposto dell'inadempimento imputabile all'utilizzatore determinante la risoluzione, sicchè l'accordo solutorio - ove non contenga ulteriori previsioni concernenti il rapporto estinto - produce il solo effetto di liberare i contraenti dall'obbligo di eseguire le ulteriori prestazioni ancora dovute in virtù del contratto risolto. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 16/06/2017).
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In tema di risoluzione consensuale del contratto, il mutuo dissenso, realizzando per concorde volontà delle parti la ritrattazione bilaterale del negozio, dà vita a un nuovo contratto, di natura solutoria e liberatoria, con contenuto eguale e contrario a quello del contratto originario; pertanto, dopo lo scioglimento, le parti non possono proporre domande ed eccezioni relative al contratto risolto, giacché ogni pretesa o eccezione può essere fondata esclusivamente sul contratto solutorio e non su quello estinto.
Cass. civ. n. 30851/2018
Ai fini della configurabilità di un vincolo contrattuale definitivo, è necessario che l'accordo delle parti si formi su tutti gli elementi di cui all'art. 1325 c.c., non potendosene ravvisare la sussistenza ove i contraenti abbiano raggiunto un'intesa soltanto sugli elementi essenziali, rinviando ad un momento successivo la determinazione di quelli accessori. Ciò non di meno, in base al generale principio dell'autonomia contrattuale di cui all'art. 1322 c.c., un contratto con gli effetti di cui all'art. 1372 c.c. può considerarsi perfezionato ove, alla stregua della comune intenzione delle parti, possa ritenersi che le stesse abbiano inteso come vincolante un determinato assetto, anche se per taluni aspetti siano necessarie ulteriori specificazioni, il cui contenuto sia, però, da configurare come mera esecuzione del contratto già concluso. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha ritenuto che tra le parti di un giudizio risarcitorio si fosse perfezionato un accordo transattivo con l'accettazione, da parte dell'attore, della proposta della convenuta di definire la lite mediante la corresponsione di una somma di denaro, senza che assumesse rilevanza la mancata determinazione delle modalità e dei termini del versamento dell'importo, avuto riguardo al comportamento delle parti e, in particolare, al fatto che l'attore non aveva svolto alcuna precisazione su tali aspetti).
Cass. civ. n. 30446/2018
La risoluzione consensuale di un contratto preliminare riguardante il trasferimento, la costituzione o l'estinzione di diritti reali immobiliari è soggetta al requisito della forma scritta "ad substantiam" e, pertanto, non può essere provata mediante deferimento di giuramento decisorio, inammissibile ai sensi dell'art. 2739 c.c.
Cass. civ. n. 23586/2018
La risoluzione consensuale del contratto non costituisce oggetto di eccezione in senso stretto, essendo lo scioglimento per mutuo consenso un fatto oggettivamente estintivo dei diritti nascenti dal negozio bilaterale, desumibile dalla volontà in tal senso manifestata, anche tacitamente, dalle parti, che può essere accertato d'ufficio dal giudice anche in sede di legittimità, ove non vi sia necessità di effettuare indagini di fatto.
Cass. civ. n. 27321/2017
Il patto obbligatorio di non concorrenza, consistente in un vincolo di modo nell'utilizzo di un cespite immobiliare, astringe il soggetto che l'ha stipulato, ma non il suo avente causa; esso, per produrre effetti anche nei confronti del nuovo acquirente, deve essere specificamente richiamato nell'atto di acquisto del terzo, in quanto la realità di un vincolo può configurarsi solo ove sia ipotizzabile un rapporto tra fondi mentre l'esclusione della concorrenza è utile non al fondo acquistato ma all'azienda che l'acquirente esercita su esso cosicché deve escludersi la sussistenza di una servitù.
Cass. civ. n. 8604/2017
In tema di mutuo consenso alla risoluzione del rapporto di lavoro, non costituisce elemento idoneo ad integrare la fattispecie di tacita risoluzione consensuale il fatto che il lavoratore abbia, nelle more, percepito il TFR, ovvero cercato o reperito un'altra occupazione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto irrilevante lo svolgimento di altra attività lavorativa, per soli quindici giorni, circa quattro anni dopo il licenziamento intimato in forma orale).
Cass. civ. n. 3471/2017
Lo statuto di una società “in house”, che ha natura negoziale, non produce effetto rispetto ai terzi, se non nei casi previsti dalla legge, ai sensi dell’art. 1372 c.c. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto applicabile, al direttore generale di una siffatta società, la clausola di decadenza automatica alla cessazione dalla carica dell’amministratore unico, prevista dallo statuto, pur in carenza di un suo richiamo nel contratto individuale).
Cass. civ. n. 22489/2016
In tema di mutuo consenso alla risoluzione del rapporto di lavoro, non è sufficiente il mero decorso del tempo fra il licenziamento e la relativa impugnazione giudiziale, essendo necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze, della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro; non costituisce elemento idoneo ad integrare la fattispecie di tacita risoluzione consensuale il fatto che il lavoratore abbia, nelle more, percepito il tfr, ovvero cercato o reperito un'altra occupazione.
Cass. civ. n. 6900/2016
Il comportamento del titolare di una situazione creditoria che per lungo tempo trascuri di esercitarla, e generi un affidamento della controparte nell'abbandono della relativa pretesa, è idoneo a determinare la perdita della stessa, sicché l'inerzia del lavoratore può ingenerare nel datore di lavoro un ragionevole affidamento in ordine ad una sua volontà di recedere dal rapporto. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva dedotto la volontà di non dare seguito al rapporto dall'inerzia del lavoratore che, sottoposto ad un intervento chirurgico, era rientrato al lavoro dopo un mese senza inviare alcuna certificazione medica attestante il suo stato di salute, né comunicare anche oralmente alcuna notizia al riguardo).
Cass. civ. n. 2732/2016
Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell'illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, il decorso di un significativo lasso temporale tra la cessazione dell'ultimo contratto e la messa in mora del datore da parte del lavoratore, in uno al reperimento, nelle more, di altra occupazione a tempo indeterminato, costituiscono indici sufficienti della volontà delle parti di porre definitivamente fine a ogni rapporto lavorativo e da configurare la risoluzione del rapporto per mutuo consenso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza della corte d'appello che aveva accertato la risoluzione consensuale del rapporto atteso il decorso di cinque anni tra la cessazione dell'ultimo contratto e la contestazione stragiudiziale della legittimità del termine, nonché l'avvenuta assunzione della ricorrente a tempo indeterminato da parte di altro datore prima dell'instaurazione del giudizio).
Cass. civ. n. 21764/2015
In materia contrattuale, la semplice modifica della clausole di un contratto per il quale la forma scritta è richiesta solo "ad probationem" e non "ad substantiam" (nella specie, contratto di affitto di azienda stipulato in forma pubblica ex art. 2556 c.c.), così come la risoluzione consensuale, non deve essere pattuita necessariamente con un accordo esplicito dei contraenti, potendo risultare anche da un comportamento tacito concludente.
Cass. civ. n. 20704/2015
Nel giudizio instaurato per la dichiarazione di nullità del termine apposto ad un contratto di lavoro a tempo determinato, affinché possa configurarsi la risoluzione del rapporto per mutuo consenso, che costituisce pur sempre una manifestazione di volontà negoziale, anche se tacita, è necessaria una chiara e certa volontà consensuale di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, mentre non è sufficiente un atteggiamento meramente remissivo del lavoratore, che non può essere inteso come acquiescenza se finalizzato a favorire una nuova chiamata o addirittura una possibile stabilizzazione.
Cass. civ. n. 13290/2015
La risoluzione consensuale di un contratto preliminare riguardante il trasferimento, la costituzione o l'estinzione di diritti reali immobiliari è soggetta al requisito della forma scritta "ad substantiam", al pari del contratto risolutorio di un definitivo, rientrante nell'espressa previsione dell'art. 1350 cod. civ., in quanto la ragione giustificativa dell'assoggettamento del preliminare alla forma ex art. 1351 cod. civ. - da ravvisare nell'incidenza che esso spiega su diritti reali immobiliari, sia pure in via mediata, tramite l'assunzione di obbligazioni - si pone in termini identici per il contratto risolutorio del preliminare stesso.
Cass. civ. n. 2906/2015
Nel giudizio instaurato per la dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro a tempo determinato, affinché possa ritenersi risolto il rapporto per mutuo consenso, rileva la mancata offerta della prestazione lavorativa per un periodo la cui valutazione è rimessa al giudice di merito, trattandosi di comportamento socialmente valutabile in modo tipico e oggettivo avente valore di dichiarazione negoziale risolutiva. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto la risoluzione per mutuo consenso sulla base della totale assenza di un'offerta di prestazione da parte del lavoratore, protrattasi per oltre cinque anni, ossia per un periodo eccedente il termine prescrizionale).
Cass. civ. n. 6125/2014
La risoluzione del contratto per mutuo consenso può essere rilevata anche d'ufficio (nella specie, da un collegio di arbitri irrituali).
Cass. civ. n. 14209/2013
Il contratto di lavoro può essere dichiarato risolto per mutuo consenso anche in presenza non di dichiarazioni, ma di comportamenti significativi tenuti dalle parti, spettando al giudice del merito la valutazione sulla loro efficacia solutoria, in base ad un apprezzamento che, se congruamente motivato sul piano logico-giuridico, si sottrae a censure in sede di legittimità. In particolare, è suscettibile di essere sussunto nella fattispecie legale di cui all'art. 1372, primo comma, c.c., il comportamento delle parti che determini la cessazione della funzionalità di fatto del rapporto lavorativo, in base a modalità tali da evidenziare il loro disinteresse alla sua attuazione, trovando siffatta operazione ermeneutica supporto nella crescente valorizzazione, che attualmente si registra nel quadro della teoria e della disciplina dei contratti, del piano "oggettivo" del contratto, a discapito del ruolo e della rilevanza della volontà dei contraenti, intesa come momento psicologico dell'iniziativa contrattuale, con conseguente attribuzione del valore di dichiarazioni negoziali a comportamenti sociali valutati in modo tipico, là dove, nella materia lavoristica, operano, proprio nell'anzidetta prospettiva, principi di settore che non consentono di considerare esistente un rapporto di lavoro senza esecuzione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto risolto tacitamente un rapporto di lavoro, in ragione dell'inerzia del lavoratore per ben sei anni dopo il collocamento a riposo e dell'avvenuta percezione del trattamento pensionistico per il quale aveva raggiunto il massimo dell'anzianità contributiva).
Cass. civ. n. 12781/2012
Per il principio di relatività dell'efficacia del contratto, accolto dall'art. 1372 c.c., la conciliazione giudiziale di una controversia attinente al rapporto di lavoro vincola solo gli stipulanti. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha respinto il ricorso del lavoratore che, avendo conciliato con l'azienda municipalizzata Centrale del Latte di Roma una controversia per superiore inquadramento, pretendeva di opporre la transazione al Comune di Roma, presso il quale era transitato a seguito di accordo sindacale prevedente la costituzione del rapporto "ex novo").
Cass. civ. n. 10201/2012
La risoluzione consensuale del contratto non costituisce oggetto di eccezione in senso proprio, essendo lo scioglimento per mutuo consenso un fatto oggettivamente estintivo dei diritti nascenti dal negozio bilaterale, desumibile dalla volontà in tal senso manifestata, anche tacitamente, dalle parti, che può essere accertato d'ufficio dal giudice pure in sede di legittimità, ove non vi sia necessità di effettuare indagini di fatto.
Cass. civ. n. 3245/2012
La risoluzione consensuale di un contratto, per il quale la legge non prescriva alcuna forma particolare, può avvenire anche con una manifestazione tacita di volontà.
Cass. civ. n. 2363/2012
La clausola di un contratto di appalto, nella quale si preveda che tutti i danni che i terzi dovessero subire dall'esecuzione delle opere siano a totale ed esclusivo carico dell'appaltatore, rimanendone indenne il committente, non può essere da quest'ultimo invocata quale ragione di esenzione dalla propria responsabilità risarcitoria nei confronti del terzo danneggiato per effetto di quei lavori, atteso che tale clausola, operando esclusivamente nei rapporti fra i contraenti, alla stregua dei principi generali sull'efficacia del contratto fissati dall'art. 1372 c.c., non può vincolare il terzo a dirigere verso l'una, anziché verso l'altra parte, la pretesa nascente dal fatto illecito occasionato dall'esecuzione del contratto.
Cass. civ. n. 20445/2011
Il mutuo dissenso costituisce un atto di risoluzione convenzionale (o un accordo risolutorio), espressione dell'autonomia negoziale dei privati, i quali sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio, anche indipendentemente dall'esistenza di eventuali fatti o circostanze sopravvenute, impeditivi o modificativi dell'attuazione dell'originario regolamento di interessi, dando luogo ad un effetto ripristinatorio con carattere retroattivo, anche per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali; tale effetto, infatti, essendo espressamente previsto "ex lege" dall'art. 1458 c.c. con riguardo alla risoluzione per inadempimento, anche di contratti ad effetto reale, non può dirsi precluso agli accordi risolutori, risultando soltanto obbligatorio il rispetto dell'onere della forma scritta "ad substantiam".
Cass. civ. n. 16287/2011
Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato sul presupposto dell'illegittima apposizione di un termine a numerosi contratti intervallati da periodi di inattività, é necessario, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo dissenso, che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e comune volontà delle parti di porre fine ad ogni rapporto lavorativo, con la precisazione che, a tal fine, non è sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto, né l'accettazione del trattamento di fine rapporto e la mancata offerta della prestazione, né la mera ricerca di occupazione a seguito della perdita del lavoro per causa diversa dalle dimissioni; la valutazione del significato e della portata del complesso degli elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità, se non sussistono vizi logici o errori di diritto. (Principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis, comma 1, c.p.c.).
Cass. civ. n. 8504/2011
Lo scioglimento per mutuo consenso di un contratto di trasferimento della proprietà immobiliare, per il quale la legge richiede la forma scritta a pena di nullità, deve anch'esso risultare da atto scritto.
Cass. civ. n. 8124/2010
In tema di appalti pubblici, qualora un consorzio di cooperative di produzione e lavoro (costituito ai sensi del r.d. 25 giugno 1909, n. 422), aggiudicatario di un appalto, abbia assegnato ad una cooperativa consorziata l'esecuzione dei lavori appaltati e quest'ultima ne abbia subappaltato una parte ad altra impresa estranea al consorzio, in caso di inadempimento dell'impresa consorziata subappaltante nei confronti dell'impresa fornitrice, il consorzio non ne è responsabile in solido con l'impresa assegnataria consorziata, atteso che - in assenza di disposizioni di legge speciali contrarie e non potendo trovare applicazione l'art. 13 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, rilevante "ratione temporis", che si riferisce alla partecipazione alle procedure di affidamento di imprese e consorzi in "associazione temporanea" - valgono la regola generale di cui all'art. 1372, secondo comma, c.c., a norma del quale il contratto non produce effetti rispetto ai terzi se non nei casi previsti dalla legge, e quella di cui all'art. 1292 c.c., per il quale la solidarietà passiva nel rapporto obbligatorio presuppone una specifica previsione della legge o del titolo.
Cass. civ. n. 24133/2009
L'erede è vincolato dal contratto, anche se non trascritto, concluso dal "de cuius" e dalle obbligazioni dallo stesso nascenti, atteso che soltanto l'avente causa a titolo particolare "mortis causa" o per atto fra vivi è terzo e, come tale, non è tenuto, senza il suo consenso, a subire il debito del suo dante causa.
Cass. civ. n. 10741/2009
Gli effetti del contratto debbono essere individuati avendo riguardo anche alla sua funzione sociale, e tenendo conto che la Costituzione antepone, anche in materia contrattuale, gli interessi della persona a quelli patrimoniali. Ne consegue che il contratto stipulato tra una gestante, una struttura sanitaria ed un medico, avente ad oggetto la prestazione di cure finalizzate a garantire il corretto decorso della gravidanza, riverbera per sua natura effetti protettivi a vantaggio anche del concepito e del di lui padre, i quali in caso di inadempimento, sono perciò legittimati ad agire per il risarcimento del danno.
Cass. civ. n. 15603/2007
Il principio secondo cui il contratto non può avere effetto che tra le parti, salvo che nei casi previsti dalla legge, esclude che possano ritenersi legittimati ad agire per la nullità di una clausola arbitrale i garanti di una delle parti contrattuali, coobbligati in virtù di altro contratto, non potendo i medesimi essere convenuti innanzi all'arbitro né farsi promotori di un giudizio arbitrale.
Cass. civ. n. 17503/2005
In tema di risoluzione consensuale del contratto, il mutuo dissenso, realizzando per concorde volontà delle parti la ritrattazione bilaterale del negozio, dà vita a un nuovo contratto, di natura solutoria e liberatoria, con contenuto eguale e contrario a quello del contratto originario; pertanto, dopo lo scioglimento, le parti non possono invocare cause di risoluzione per inadempimento relative al contratto risolto giacché ogni pretesa od eccezione può essere fondata esclusivamente sul contratto solutorio e non su quello estinto.
Cass. civ. n. 3122/2003
La transazione intervenuta tra lavoratore e datore di lavoro è estranea al rapporto tra quest'ultimo e l'Inps, avente ad oggetto il credito contributivo derivante dalla legge in relazione all'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, giacché alla base del credito dell'ente previdenziale deve essere posta la retribuzione dovuta e non quella corrisposta, in quanto l'obbligo contributivo del datore di lavoro sussiste indipendentemente dal fatto che siano stati in tutto o in parte soddisfatti gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d'opera, ovvero che questi abbia rinunziato ai suoi diritti. Pertanto, attesa l'autonomia tra i due rapporti, la transazione suddetta non spiega effetti riflessi nel giudizio con cui l'Inps fa valere il credito contributivo.
Cass. civ. n. 12476/1998
L'efficacia del negozio di risoluzione per mutuo dissenso non può decorrere da un momento successivo alla sua stipulazione, attribuendo così efficacia ultrattiva al precedente contratto, in quanto ciò contraddirebbe l'essenza del negozio solutorio e la natura degli interessi che, in riferimento alla sua causa, esso è destinato a soddisfare.
Cass. civ. n. 7270/1997
Il negozio risolutorio ha, per sua natura, efficacia ex nunc, nel senso che da esso deriva la caducazione delle obbligazioni scaturenti dal contratto originario relative alla prosecuzione del rapporto, onde non può configurarsi responsabilità in relazione al mancato adempimento delle ulteriori prestazioni previste; nessun effetto liberatorio, invece, esplica la risoluzione consensuale in ordine ad eventuali aspetti di responsabilità per un corretto adempimento relativo a prestazioni già eseguite, ovvero per danni cagionati da comportamenti accessori in cui una delle parti possa incorrere nell'esecuzione dello stesso accordo risolutorio, ferma restando, ovviamente, la possibilità per le parti di prevedere, nell'esercizio della loro autonomia contrattuale, l'estensione dell'effetto liberatorio dell'accordo risolutorio ad altri titoli di responsabilità, al di là dei limiti propri di detto accordo.
Cass. civ. n. 2713/1996
Con riguardo alla risoluzione del contratto per mutuo dissenso, l'obbligo di restituzione della somma ricevuta a titolo di anticipo del corrispettivo costituisce debito di valuta insensibile, come tale, al fenomeno della svalutazione monetaria, salvo che il creditore non dimostri di avere risentito a causa della indisponibilità della somma anticipata eventuali ulteriori danni e perciò anche quello sofferto in conseguenza della svalutazione monetaria.
Cass. civ. n. 8341/1995
Qualora l'acquirente di un immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione si trovi in regime di comunione legale dei beni con il coniuge, il giudizio di riscatto iniziato dall'avente diritto alla prelazione ai sensi dell'art. 39 della L. 27 luglio 1978 n. 392 deve essere promosso nei confronti di entrambi, ancorché il coniuge sia rimasto estraneo al contratto stipulato dall'acquirente, posto che il coniuge, in forza dell'art. 177 c.c. ed in conformità della previsione contenuta nell'art. 1372 secondo comma c.c., assume
ope legis le vesti di destinatario diretto dello stesso effetto traslativo verificatosi in favore del contraente, di modo che le situazioni giuridiche soggettive di entrambi i coniugi nell'ambito del rapporto giuridico originato dal contratto rivestono carattere di inscindibilità, essendo l'un coniuge divenuto, in forza dello stesso contratto, comproprietario del bene acquistato dall'altro.
Cass. civ. n. 6656/1993
L'accordo risolutorio di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta
ad substantiam è soggetto alla stessa forma stabilita per la conclusione di esso. L'anzidetto requisito formale può ritenersi sussistente solo in presenza di un documento che contenga in modo diretto la dichiarazione della volontà negoziale e che venga redatto al fine specifico di manifestare tale volontà.
Cass. civ. n. 5065/1993
Poiché la cosiddetta risoluzione del contratto per mutuo dissenso, a differenza dalla risoluzione per inadempimento, non ha, in difetto di specifica pattuizione negoziale, l'effetto retroattivo che per questa ultima è invece previsto dall'art. 1458, primo comma, c.c., alla stessa non consegue il ripristino delle
status quo ante, che deve, anzi, ritenersi implicitamente escluso per effetto della globale valutazione datane dalle parti all'atto dello scioglimento del contratto. Ne consegue che in caso di contratto di compravendita in difetto di contraria pattuizione gli interessi sulle somme dovute in restituzione dalla parte venditrice devono ritenersi compensati dal godimento della cosa che la parte compratrice abbia
medio tempore avuto (
ex art. 1282 ultimo comma c.c.).
Cass. civ. n. 100/1991
Il patto che concerne l'adozione di una determinata forma per la futura conclusione di un contratto (o anche per porre validamente in essere un negozio unilaterale) non può estendersi in via analogica ad altre convenzioni non specificamente previste, come la risoluzione consensuale del rapporto, la quale non soggiace ai limiti di prova testimoniale previsti dall'art. 2723 c.c. con riguardo ai «patti posteriori alla formazione del documento», dovendosi considerare tali solo quelli che apportano alle clausole contrattuali, stipulate in forma scritta, aggiunte o modifiche destinate a regolare diversamente per il futuro particolari aspetti dei rapporto tra le parti, nel presupposto della persistenza e prosecuzione del medesimo. In tema di contratto di agenzia, la sostanziale diversità, per natura ed effetti, fra il recesso il quale consiste in una dichiarazione unilaterale ricettizia, volta a far cessare il rapporto a tempo indeterminato, che non richiede accettazione della controparte e produce effetto solo che quest'ultima ne abbia avuto conoscenza (salvo,
ex art. 1350 c.c., l'obbligo della parte recedente di dare il prescritto preavviso o di corrispondere l'indennità sostitutiva) e la risoluzione consensuale, che è invece un negozio bilaterale volto a porre fine al vincolo contrattuale (art. 1372 c.c.) comporta che la prescrizione dell'uso della forma scritta (nella specie, raccomandata con ricevuta di ritorno e preavviso di trenta giorni), pattuita per l'esercizio del recesso, non è estensibile all'ipotesi di risoluzione per mutuo consenso, la cui manifestazione di volontà non solo non è soggetta ad alcuna prescrizione di forma, che non risulti previamente pattuita con specifico riferimento al negozio in questione, ma può anche implicitamente desumersi dal comportamento delle parti che concordemente cessino di dare ulteriore corso alle prestazioni reciproche.
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La regola dettata dall'art. 157 c.p.c., secondo cui la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa, è propria della materia processuale ma è estranea alla materia sostanziale, nella quale l'azione è concessa anche a chi abbia partecipato alla stipulazione del contratto nullo. In tema di contratto di agenzia, la sostanziale diversità, per natura ed effetti, fra il recesso - il quale consiste in una dichiarazione unilaterale ricettizia, volta a far cessare il rapporto a tempo indeterminato, che non richiede accettazione della controparte e produce effetto solo che quest'ultima ne abbia avuto conoscenza (salvo,
ex art. 1350 c.c., l'obbligo della parte recedente di dare il prescritto preavviso o di corrispondere l'indennità sostitutiva) - e la risoluzione consensuale - che è invece un negozio bilaterale volto a porre fine al vincolo contrattuale (art. 1372 c.c.) - comporta che la prescrizione dell'uso della forma scritta (nella specie, raccomandata con ricevuta di ritorno e preavviso di trenta giorni), pattuita per l'esercizio del recesso, non è estensibile all'ipotesi di risoluzione per mutuo consenso, la cui manifestazione di volontà non solo non è soggetta ad alcuna prescrizione di forma, che non risulti previamente pattuita con specifico riferimento al negozio in questione, ma può anche implicitamente desumersi dal comportamento delle parti che concordemente cessino di dare ulteriore corso alle prestazioni reciproche.
Cass. civ. n. 6118/1990
Nella disciplina del diritto di famiglia, introdotta dalla L. 19 maggio 1975, n. 151, l'obbligazione assunta da un coniuge, per soddisfare bisogni familiari, non pone l'altro coniuge nella veste di debitore solidale, difettando una deroga rispetto alla regola generale secondo cui il contratto non produce effetti rispetto ai terzi. Il suddetto principio opera indipendentemente dal fatto che i coniugi si trovino in regime di comunione dei beni, essendo la circostanza rilevante solo sotto il diverso profilo dell'invocabilità da parte del creditore della garanzia dei beni della comunione o del coniuge non stipulante, nei casi e nei limiti di cui agli artt. 189 e 190 (nuovo testo) c.c.
Cass. civ. n. 4600/1983
La volontà negoziale diretta allo scioglimento di un contratto per mutuo consenso non può essere desunta dal comportamento di chi, pur senza chiedere in via riconvenzionale l'adempimento del contratto o la sua risoluzione per colpa dell'attore, si opponga alla domanda di risoluzione per inadempimento proposta nei suoi confronti, e neppure di chi non si costituisca in giudizio per contrastare attivamente la domanda avversaria, poiché anche in quest'ultimo caso il giudice dovrà verificare se sussistano in concreto le condizioni dell'azione fatta valere dall'attore, e se queste manchino, dovrà limitarsi a respingere la domanda di risoluzione del contratto.
Cass. civ. n. 329/1983
Il giudice, adito con contrapposte domande di risoluzione per inadempimento del medesimo contratto, può accogliere l'una e rigettare l'altra, ma non anche respingere entrambe e dichiarare l'intervenuta risoluzione consensuale del rapporto, implicando ciò una violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, mediante una regolamentazione del rapporto stesso difforme da quella perseguita dalle parti.
Cass. civ. n. 1939/1982
La risoluzione consensuale di un contratto, che l'attore pone a fondamento di una sua pretesa, costituendo fatto successivo al contratto stesso ed estintivo delle obbligazioni da esso derivanti, non è rilevabile ex officio, ma deve formare oggetto di una eccezione «propria», con il conseguente onere probatorio a carico del convenuto.
Cass. civ. n. 3885/1977
L'accordo per lo scioglimento di un contratto per mutuo consenso richiede la forma scritta, solo quando la stessa forma sia richiesta ad substantiam per il contratto che si vuole sciogliere.
Cass. civ. n. 1496/1977
La risoluzione per mutuo consenso di un contratto per il quale non sia richiesta la forma scritta
ad substantiam può risultare - oltre che da un esplicito accordo dei contraenti diretto a sciogliere il rapporto - anche dalla lor comune tacita volontà di non dare ulteriore corso al contratto, liberandosi delle rispettive obbligazioni.
Cass. civ. n. 1109/1977
I contratti di compravendita di autoveicoli possono essere conclusi anche con il solo scambio orale del consenso, del quale può darsi dimostrazione con ogni mezzo di prova ammesso dalla legge, comprese le presunzioni semplici, costituendo la trascrizione dell'atto nel pubblico registro soltanto un mezzo di pubblicità inteso a dirimere gli eventuali conflitti fra più aventi causa dal medesimo venditore. Ne consegue che la forma scritta non è necessaria, né
ad substantiam né
ad probationem, neanche per l'accordo con il quale le parti sciolgono per mutuo consenso un precedente contratto di vendita di un autoveicolo.
Cass. civ. n. 3772/1976
Se in astratto il negozio risolutivo per mutuo consenso ha efficacia
ex nunc, spetta però al giudice, con indagine di fatto, accertare se le parti, nel concludere il negozio risolutivo di un contratto, abbiano inteso attribuire ad esso anche carattere liberatorio rispetto agli effetti del primo negozio, ed eventualmente rispetto alle conseguenze di una pretesa inadempienza della parte, e se perciò intesero o meno far sopravvivere l'azione di danni.
Cass. civ. n. 1142/1976
L'erede, subentrando nella posizione giuridica del
de cuius soltanto a partire dalla morte di questi, non può essere considerato parte dei contratti conclusi dal defunto per il periodo anteriore al suddetto evento, ma, al contrario, conserva la sua posizione di terzo rispetto a tutti gli effetti non aventi carattere di durata che siano ricollegabili al momento della conclusione dei detti contratti; ne consegue che, ai fini dell'opponibilità al nudo proprietario delle locazioni poste in essere dall'usufruttuario, anche nel caso in cui il nudo proprietario sia succeduto
mortis causa a quest'ultimo dopo la rinunzia all'usufrutto, il contratto di locazione resta opponibile al nudo proprietario soltanto se e dal momento in cui abbia acquistato, per effetto della registrazione, data certa.
Cass. civ. n. 1666/1975
A norma dell'art. 1372 c.c., il contratto produce effetti soltanto nei confronti delle parti e dei loro eredi e non anche nei confronti dei successori a titolo particolare
mortis causa o per atto fra vivi; pertanto le obbligazioni assunte dal proprietario di un immobile nei confronti di un terzo non si trasferiscono - tranne che siano configurabili come obbligazioni
propter rem, costituenti
numerus clausus all'acquirente dello stesso immobile, se non attraverso uno degli strumenti negoziali tipici all'uopo predisposti dall'ordinamento (delegazione, espromissione, accollo e cessione del contratto).
Cass. civ. n. 2274/1971
Il contratto preliminare, come qualsiasi altro contratto, non può essere sciolto, se non per volontà concorde delle parti o per cause ammesse dalla legge.