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Articolo 1144 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Atti di tolleranza

Dispositivo dell'art. 1144 Codice Civile

Gli atti compiuti con l'altrui tolleranza non possono servire di fondamento all'acquisto del possesso(1).

Note

(1) Il codice non regola in modo esauriente l'acquisto del possesso, ma si limita a brevi richiami contenuti in varie disposizioni.
È possibile, tuttavia, sostenere che l'acquisto del possesso si verifica qualora venga in essere il potere di fatto sulla cosa (il c.d. corpus del possesso) e nasca la volontà di possederla (il c.d. animus possidendi).
Ciò suppone, allo scopo di dar vita ad un rapporto materiale con la cosa, la disponibilità della stessa, che può essere conseguenza del contributo del precedente possessore, per esempio tramite la consegna della cosa, oppure della materiale apprensione della cosa da parte del nuovo possessore.
L'acquisto del possesso può, altresì, aversi tramite la successione o l'accessione nello stesso (v. 1146).

Ratio Legis

Il codice non prevede la perdita del possesso.
Si può sostenere, al contrario, che esso viene meno in assenza di almeno uno degli elementi che lo compongono (il corpus o l'animus).
La perdita del possesso può essere conseguenza di un fatto riconducibile al possessore, oppure a terzi, o essere dovuto a cause oggettive.
Nella prima ipotesi, essa deriva da un'espressione di volontà manifesta o meno (per esempio l'abbandono della cosa), dalla quale si possa evincere l'intenzione di non possedere più la cosa.
Nella seconda, invece, la perdita del possesso fa seguito ad una vicenda relativa al terzo, quale potrebbe essere lo spoglio del bene. In questo caso l'effetto di essa è immediato, ma esiste pur sempre la possibilità di recuperare il potere di fatto sulla cosa esercitando l'azione di reintegrazione, il cui esperimento nel rispetto dei termini può comportare che il possesso preso in considerazione, ai fini dell'usucapione, come non interrotto.
Nell'ultima ipotesi, la perdita del possesso è conseguenza delle più varie circostanze oggettive, come, per esempio, il perimento della cosa, lo smarrimento di un bene mobile, l'occupazione della cosa da parte della pubblica amministrazione.

Brocardi

Possessio ad usucapionem

Spiegazione dell'art. 1144 Codice Civile

Gli atti di tolleranza

Il concetto di « atti compiuti con l'altrui tolleranza » non ha bisogno di essere illustrato: è invece da notare da un lato come nel nuovo codice il principio abbia una portata più vasta che non nel codice del 1865, dove era stato accolto con riferimento al solo possesso legittimo; dall'altro come sia stato, per contro, soppresso l'accenno agli « atti meramente facoltativi » che l'art. 688 abbinava, quanto agli effetti, agli atti di semplice tolleranza.

La soppressione è logica poiché, come giustamente rileva la Relazione al Re Imperatore, se gli atti facoltativi si identificano con le facoltà che rientrano nella sfera del diritto di cui alcuno è titolare, è ovvio che sull'astensione dall'esercizio di tali facoltà non possa altri fondare il suo possesso; se invece si identificano con gli atti che si compiono per mera concessione, essi non si differenziano dagli atti di tolleranza che per la forma espressa, anziché tacita, della concessione.

Può avvenire che l'essere gli atti compiuti con l'altrui tolleranza influisca sull'animus o sul corpus del possesso: questa non è pero che una conseguenza necessaria della tolleranza, la quale è pienamente compatibile con l'esistenza dell'uno e dell'altro requisito. L' impedimento che essa costituisce alla nascita del possesso è, infatti, di carattere del tutto estrinseco.
A ciò consegue che, sebbene in materia non trovino applicazione le presunzioni esaminate precedentemente, l'onere della prova sul punto incombe, secondo i principi generali, a chi allega la tolleranza.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

536 La regola del codice del 1865 (art. 688), relativa alla inidoneità degli atti meramente facoltativi o di semplice tolleranza a servire di fondamento all'acquisto del possesso legittimo, è riprodotta solo in parte nell'art. 1144 del c.c.. Ho soppresso il riferimento di questa regola ai possesso legittimo, il quale nel nuovo sistema non costituisce più una categoria o un grado del possesso. Ho anche ritenuto inutile fare cenno degli atti facoltativi, poiché, se questi atti s'identificano con quelle facoltà che rientrano nella sfera del diritto di cui alcuno è titolare, è ovvio che sull'astensione dall'esercizio di tali facoltà non può altri fondare il suo possesso; se invece si identificano con quegli atti che si compiono per mera concessione, essi non si differenziano dagli atti di tolleranza che per la forma espressa, anziché tacita, della concessione medesima.

Massime relative all'art. 1144 Codice Civile

Cass. civ. n. 17880/2019

Al fine di stabilire se la relazione di fatto con il bene costituisca una situazione di possesso ovvero di semplice detenzione - dovuta a mera tolleranza di chi potrebbe opporvisi, come tale inidonea, ai sensi dell'art. 1144 c.c., a fondare la domanda di usucapione - assume rilievo la circostanza che l'attività svolta sul bene abbia avuto durata non transitoria e sia stata di non modesta entità, circostanza che assume efficacia di valore presuntivo circa l'esclusione dell'esistenza di una mera tolleranza e che non ricorre nel caso in cui la suddetta relazione di fatto si fondi su rapporti caratterizzati da vincoli particolari tra le parti, quali quelli scaturenti da un rapporto societario. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 12/02/2014).

Cass. civ. n. 9275/2018

In materia di acquisto per usucapione di diritti reali immobiliari, poiché l'uso prolungato nel tempo di un bene non è normalmente compatibile con la mera tolleranza, essendo quest'ultima configurabile, di regola, nei casi di transitorietà ed occasionalità, in presenza di un esercizio sistematico e reiterato di un potere di fatto sulla cosa spetta a chi lo abbia subito l'onere di dimostrare che lo stesso è stato dovuto a mera tolleranza.

Cass. civ. n. 9661/2006

Al fine di stabilire se la relazione di fatto con il bene costituisca una situazione di possesso ovvero di semplice detenzione dovuta a mera tolleranza di chi potrebbe opporvisi, come tale inidonea, ai sensi dell'art. 1144 c.c., a fondare la domanda di usucapione, la circostanza che l'attività svolta sul bene abbia avuto durata non transitoria e sia stata di non modesta entità, cui normalmente può attribuirsi il valore di elemento presuntivo per escludere che vi sia stata tolleranza, è destinata a perdere tale efficacia nel caso in cui i rapporti tra le parti siano caratterizzati da vincoli particolari, quali quelli di parentela o di società, in forza di un apprezzamento di fatto demandato al giudice di merito (nel caso di specie, la S.C., in applicazione di tale principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso ogni efficacia presuntiva alla suddetta circostanza, con riferimento alla domanda di usucapione di un terreno che, durante il periodo interessato, era stato di proprietà di una società per azioni di cui l'attore era uno dei due soci).

Cass. civ. n. 17876/2003

In materia di possesso, non è configurabile un atteggiamento di tolleranza del proprietario, che — come tale — esclude una situazione possessoria a favore del terzo, allorché l'uso del bene da parte di quest'ultimo sia prolungato nel tempo o, avvenendo contro la volontà del proprietario, non possa fondarsi sull'altrui compiacenza. (La Corte, nel formulare il principio sopra riportato, ha confermato la decisione dei giudici di appello che — accogliendo l'azione di reintegrazione nel possesso della servitù di passaggio esercitata per alcuni anni nonostante l'opposizione dei proprietari del fondo servente — avevano ritenuto l'esistenza di una situazione di possesso tutelabile, dovendo escludersi che, per le modalità indicate l'uso del bene fosse avvenuto per mera tolleranza dei proprietari del fondo servente).

Cass. civ. n. 16956/2002

Gli atti di tolleranza, ai sensi dell'art. 1144 c.c., rilevano solo come ragione ostativa dell'acquisto del possesso, ma non incidono su di un possesso già costituito.

Cass. civ. n. 1384/1998

Il principio per cui, in materia di possesso, l'atteggiamento di tolleranza del proprietario del bene rispetto ad un determinato uso che un terzo ne faccia, esclude la configurabilità di una situazione possessoria in capo al terzo solo quando la condotta tollerante non sia prolungata nel tempo, non è applicabile allorché l'atteggiamento del proprietario trovi giustificazione nella mancanza di un interesse ad opporsi al suddetto specifico uso. (Nella fattispecie i giudici del merito — con decisione confermata dalla S.C. — avevano ritenuto non costitutivo di una situazione possessoria in capo agli utilizzatori, il prolungato uso, quale parcheggio, di un'area di proprietà condominiale, per mera tolleranza dei titolari della stessa).

Cass. civ. n. 12133/1997

La mera conoscenza dell'altrui potere di fatto sulla cosa non implica tolleranza del suo esercizio, la quale è caratterizzata dalla condiscendenza del dominus derivante da rapporti di buon vicinato, di parentela, di amicizia, di cortesia o di opportunità manifestata al destinatario in modo che quest'ultimo ne abbia consapevolezza e nell'usufruire del bene abbia sempre presente l'eventualità e la legittimità del sopravveniente divieto.

Cass. civ. n. 1015/1996

Gli atti di tolleranza traendo origine dall'altri condiscendenza, da rapporti di familiarità, amicizia o buon vicinato, integrano un elemento di transitorietà e di saltuarietà, per cui in mancanza di una prova contraria specifica deve escludersi che sia stato esercitato per tolleranza il passaggio sul fondo altrui, praticato per parecchi anni.

Cass. civ. n. 3563/1991

Dopo l'adozione ed esecuzione del provvedimento di occupazione d'urgenza, l'eventuale protrarsi del godimento del fondo da parte del privato deve ascriversi a mera tolleranza della P.A., e, pertanto, non può integrare possesso, come tale tutelabile davanti al giudice ordinario.

Cass. civ. n. 4631/1990

Gli atti di tolleranza, che secondo l'art. 1144 c.c. non possono servire di fondamento all'acquisto del possesso, sono quelli che implicano un elemento di transitorietà e saltuarietà comportando un godimento di modesta portata, incidente molto debolmente sull'esercizio del diritto da parte dell'effettivo titolare o possessore, e soprattutto traggono la loro origine da rapporti di amicizia o familiarità (o da rapporti di buon vicinato sanzionati dalla consuetudine), i quali, mentre a priori ingenerano e giustificano la permissio, conducono per converso ad escludere nella valutazione a posteriori la presenza di una pretesa possessoria sottostante al godimento derivatone. Pertanto nell'indagine diretta a stabilire, alla stregua di ogni circostanza del caso concreto, se una attività corrispondente all'esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l'altrui tolleranza e quindi sia inidonea all'acquisto del possesso, la lunga durata dell'attività medesima può integrare un elemento presuntivo, nel senso dell'esclusione di detta situazione di tolleranza, qualora si verta in tema di rapporti non di parentela, ma di mera amicizia o buon vicinato, tenuto conto che nei secondi, di per sé labili e mutevoli, è più difficile il mantenimento di quella tolleranza per un lungo arco di tempo.

Cass. civ. n. 4117/1990

In tema di servitù di passaggio, la sporadicità dell'esercizio dell'uso relativo non denota che questo si verifichi per mera tolleranza, allorquando sia accertato che il passaggio corrisponde ad un interesse che non richiede una frequente utilizzazione del transito. (Nella specie passaggio attraverso una chiostrina di proprietà esclusiva per accedere al tetto di proprietà condominiale al fine di procedere alla manutenzione dello stesso).

Cass. civ. n. 3487/1978

Allorquando il passaggio sul fondo altrui, in mancanza di un'opera stabile od anche soltanto di un sentiero, non venga esercitato sempre su un medesimo percorso, ma su percorsi diversi, a seconda dell'avvicendamento delle colture che il proprietario o il possessore (o detentore) del fondo sul quale il passaggio viene esercitato crede di operarvi, manca l'oggetto di una servitù e, quindi, il passaggio esercitato sul fondo altrui, lungi dall'esprimere in tal caso un possesso corrispondente all'esercizio di un diritto di servitù, rimane circoscritto, se consentito, nella sfera dei fatti giuridicamente irrilevanti, rientrando nella previsione dell'art. 1144 c.c., secondo cui gli atti compiuti con l'altrui tolleranza non possono servire di fondamento all'esercizio del possesso.

Cass. civ. n. 1307/1975

Il passaggio esercitato sul fondo altrui, in base a concessione (espressa o tacita) fondata su condiscendenza dettata da rapporti di parentela, amicizia, buon vicinato, e non dovuta a mera inerzia del proprietario, è incompatibile, ancorché protrattosi per lungo tempo, con l'intenzione di attuare un potere di fatto sulla cosa corrispondente al contenuto della proprietà o di altro diritto reale e, conseguentemente, non può servire all'acquisto del possesso.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1144 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

C. D. B. chiede
martedì 22/02/2022 - Veneto
“Spett. Studio Brocardi
ho ereditato un appartamento in montagna da mia madre. L'appartamento è stato ricavato assieme ad altri appartamenti, all'atto della costruzione dalla società che costruiva, in un ala che in origine doveva essere destinata all'albergo ma durante la costruzione fu trasformata in un condominio.
Il problema consiste che tutto il condominio di fatto sorge su un area di esclusiva proprietà dell'albergo, anche l'area attorno a tutto lo stabile , adibita a parcheggio per lo stesso.
All'atto dell'acquisto però sia mia madre che altri condomini avevano messo nell'atto un obbligo, da parte della società venditrice , di concedere un posto auto dietro corresponsione di un canone. (vedi allegato 1 atto di compravendita.)
Alle prime assemblee di condominio (1976e1975) alla richiesta di definire tale canone la società dell'albergo ha definito il canone nell'autorimessa pari a quello degli ospiti -anno 1976- (allegato 2 verbale assemblea di condominio)
Inoltre l'albergo ha sempre concesso l'uso gratuito del posto auto all' esterno senza chiedere alcun canone, addirittura definendo l'area per il condominio, a fronte di un contributo da parte del condominio per l'asfaltatura del terreno stesso (vedi allegato 3 verbale assemblea 1988)
In seguito l'albergo è stato venduto a terzi. Il nuovo proprietario ha locato l'albergo , ma non è mai stata negata la concessione di parcheggiare fino ad oggi, salvo possibilità di posti, ma solo ha tolo la disposizione di assegnare l'area per il parcheggio condominiale al condominio.
Avendo trovato il contratto d' acquisto di mia madre, posso rivendicare al nuovo proprietario il diritto parcheggio definito nel contratto?
Evidenzio che il nuovo proprietario mia ha negato tale diritto asserendo che si tratta di un vincolo che vincola solo le partii che hanno pattuito tale vincolo, quindi il primo proprietario e mia madre.
Inoltre ho sollevato il problema dell'eventuale diritto di parcheggiare a titolo gratuito da parte del condominio acquisito negli anni, usucapito, in quanto dal 1975 ad oggi il condominio non solo ha da sempre avuto tale concessione mai interrotta , anche se limitata alla disponibilità per chi non l'aveva in contratto, ma che addirittura per tale concessione il condominio aveva contribuito all'asfaltazione di tale area.

Il mio quesito pertanto consiste:
1-Il vincolo contrattuale nell'atto di compravendita è ancora in essere essendo un vincolo che di fatto condizionava l'acquisto dell'immobile oltre ad essere un accordo non extra contratto ma all'interno del contratto stesso?
2- posso ritenere inoltre nel caso affermativo di aver usucapito il diritto di parcheggiare gratuitamente all'esterno e ha fronte del canone degli ospiti nell'autorimessa, condizioni mai mutate dal 1976 ad oggi e tutte verbalizzate nei verbali delle assemblee che allego? (all.4 e seguenti)
Allego oltre che la documentazione sopra descritta anche un sunto di tali verbalizzazzioni
saluti”
Consulenza legale i 03/03/2022
La clausola racchiusa nel rogito di acquisto del 1976 rappresenta un semplice obbligo, riconducibile nel contratto di locazione, che la società venditrice si era assunta nei confronti degli allora acquirenti.
Ai sensi dell’art.1372 del c.c. il contratto è un vincolo che ha effetto solo tra le parti che lo hanno sottoscritto e non ha efficacia nei confronti dei terzi. In forza di tale principio fondamentale, l’obbligo assunto dai venditori nel rogito del 1974 non può estendersi ai futuri proprietari dell’albergo.

La cosa sarebbe stata diversa se in tale rogito si fosse costituita una vera e propria servitù di parcheggio a carico dell’albergo e a favore delle unità immobiliari che furono all’epoca acquistate. In questo caso, la servitù si sarebbe trasferita unitamente al fondo su cui grava, ovvero l’albergo, e quindi si sarebbe potuto opporre il diritto di parcheggio anche nei confronti dei successivi acquirenti.

Probabilmente all’epoca del rogito del 1974 si scelse di optare per un semplice vincolo obbligatorio in luogo di una più sicura costituzione di servitù di parcheggio per meri motivi fiscali.

Non è neppure possibile sostenere l’usucapione del posto auto.

In primo luogo, ai sensi degli artt. 1158 e ss. del c.c., per aversi usucapione è necessario esercitare sul bene un possesso ininterrotto per venti anni, che diventano quindici ai sensi dell’art.1159 del c.c. se il bene è sito in un comune classificato montano dalla legge, ma nel caso specifico non si è mai esercitato sul posto auto alcun possesso. Secondo l’art. 1140 del c.c. si esercita il possesso nel momento in cui un determinato soggetto, pur non essendo proprietario, esercita una attività sul bene corrispondente al diritto di proprietà o ad altro diritto reale. Il successivo art. 1144 del c.c. ci dice però che gli atti compiuti con l’altrui tolleranza non sono idonei all’acquisto del possesso e quindi non possono essere posti a fondamento della usucapione.
Dalla lettura dei verbali assembleari dati in visione si evince chiaramente come la possibilità di parcheggio fu gentilmente concessa dall’allora proprietario, il quale cedette l’area precariamente e in via bonaria per uso parcheggio (vedasi verbale assemblea del 1991, chiarissimo e molto “tranchant” in questo senso). In altre parole il proprietario dell’area ben si è guardato di fare in modo che si potesse eccepire a lui o a suoi successivi aventi causa una qualche possibile usucapione.

In secondo luogo, ammesso e non concesso che si possa sostenere l’esercizio di un valido possesso idoneo ad usucapire, sicuramente non si potrebbe sostenere che oggetto della usucapione sia stata la proprietà dell’area, ma al massimo il diritto a parcheggiare su di essa. Il problema è che un tale tipo di servitù ai sensi del 2°co. dell’art. 1061 del c.c. deve considerarsi non apparente: per il suo esercizio, infatti, non sono necessarie la realizzazione di opere permanenti e durevoli. Orbene, il medesimo art. 1061 del c.c. espressamente esclude che tali tipologie di servitù possano essere acquisite per usucapione

In conclusione sulla base dei documenti dati in visione non è possibile muovere all’attuale proprietario dell’albergo nessuna contestazione giuridicamente fondata.


C.C. chiede
giovedì 02/09/2021 - Sicilia
“Buongiorno
La situazione. Sono proprietario da più di 20 anni di una seconda casa con accesso alla strada pubblica, accesso delimitato dalla casa del vicino in particolare da un muro in cattive condizioni. tale accesso consente anche l'accesso al cortile del vicino che è a sua volta collegato alla strada da un altro accesso.
Al momento dell'acquisto ho predisposto un cancello per chiudere questo accesso e lascio le chiavi al vicino in caso di difficoltà perché ero presente in loco solo una volta all'anno in estate.
Ho eseguito lavori di abbellimento su questo accesso 5 anni fa e ho creato un ulteriore confine di separazione con il cortile del vicino, lasciando sempre la chiave in caso di problemi, in particolare sul muro del vicino, al quale non si può accedere da questo percorso (lui era così in grado di eseguire lavori di circolazione dell'acqua).
4 anni fa il vicino ha lavorato direttamente in casa mia, in particolare rompendo le tubature dell'acqua perché voleva impostare un codice digitale sulla mia porta di accesso. Abbiamo avuto un primo conflitto e ho chiesto, tramite un avvocato, di interrompere questo lavoro e ho anche vietato il passaggio attraverso la mia proprietà per posta di un avvocato.
Da allora, e più recentemente, ha continuato a usare il passaggio, quindi ho cambiato le serrature per impedirgli di passare.
Oggi porta la causa in tribunale invocando l'articolo 1168 del codice civile
Ci tengo a precisare che non c'è diritto di passaggio nei miei documenti di proprietà o nei suoi che lui ha presentato al giudice.
la sua casa ha diverse possibili uscite sulla pubblica via senza passare per casa mia. Anche con la chiave usa questo passaggio in modo molto discontinuo e sporadico, infatti lo usa per accedere ad una delle sue dipendenze che si trova sulla pubblica via.
il suo argomento è dire che è sempre passato di lì (oltre agli altri accessi) da quando era piccolo anche se è tornato in regione solo 3 anni fa e non ci abita
per l'articolo del codice civile, chiede la restituzione del passaggio, ma per me il passaggio non è legittimo
quale strategia efficace posso mettere in atto per evitare la restituzione di un passaggio che gli avevo concesso per tolleranza.”
Consulenza legale i 09/09/2021
Va premesso che non è stato possibile, in questo caso, esaminare copia del ricorso ex art. 1168 c.c., per cui verrà fornita una risposta di ordine generale rispetto al quesito posto. In altre parole, senza esaminare gli atti e documenti richiesti non ci è possibile ipotizzare in concreto una “strategia” difensiva.
Quel che possiamo dire è che le cosiddette azioni possessorie - vale a dire l’azione di reintegrazione o di spoglio ex art. 1168 c.c., e l’azione di manutenzione, ex art. 1170 c.c. - sono previste a tutela, appunto, del possesso, cioè di una situazione di fatto (“potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale”, secondo la definizione dell’art. 1140 c.c.).
Ora, la tutela del possesso (situazione di fatto considerata meritevole di tutela dal legislatore) è questione distinta dalla eventuale tutela petitoria (ossia la tutela del diritto di proprietà o di altro diritto reale). Anzi, nel rapporto tra le due, l’art. 705 c.p.c. stabilisce che “il convenuto nel giudizio possessorio non può proporre giudizio petitorio, finché il primo giudizio non sia definito e la decisione non sia stata eseguita”.
Ai fini del giudizio possessorio, dunque, non ha rilevanza la “legittimità” del passaggio, né la circostanza che la controparte abbia a disposizione altre vie di accesso, né che dagli atti non risulti alcun “diritto” di passaggio: si tratta infatti di aspetti che riguardano la tutela petitoria, non la possessoria.
La sostituzione delle chiavi di accesso costituisce un “tipico” esempio di condotta di spoglio, contro la quale può essere concessa (ricorrendone i presupposti di legge) la tutela possessoria.
In quest’ottica, l’eventuale richiamo alla “tolleranza” dell’avente diritto si fonda sul disposto dell’art. 1144 c.c., secondo cui “gli atti compiuti con l'altrui tolleranza non possono servire di fondamento all'acquisto del possesso”.
La giurisprudenza ha, tuttavia, chiarito che la “tolleranza” (che escluderebbe l’acquisto del possesso tutelabile) può ritenersi sussistente solo nel caso di comportamenti a carattere occasionale e saltuario.
Si veda ad esempio Cass. Civ., Sez. II, Sentenza, 16/04/2018, n. 9275: “poiché l'uso prolungato nel tempo di un bene non è normalmente compatibile con la mera tolleranza, essendo quest'ultima configurabile, di regola, nei casi di transitorietà ed occasionalità, in presenza di un esercizio sistematico e reiterato di un potere di fatto sulla cosa spetta a chi lo abbia subito l'onere di dimostrare che lo stesso è stato dovuto a mera tolleranza”.
Ed ancora, secondo Cass. Civ., Sez. II, 24/11/2003, n. 17876, “in materia di possesso, non è configurabile un atteggiamento di tolleranza del proprietario, che - come tale - esclude una situazione possessoria a favore del terzo, allorché l'uso del bene da parte di quest'ultimo sia prolungato nel tempo o, avvenendo contro la volontà del proprietario, non possa fondarsi sull'altrui compiacenza” (nel nostro caso, risulta esservi stata anche una diffida da parte di un avvocato).
Un ultimo profilo da analizzare è quello delle caratteristiche del possesso che può essere tutelato con l’azione di reintegrazione; tuttavia, l’art. 1168 c.c. non richiede una durata minima o una continuità del possesso, al contrario di quanto avviene con l’azione di manutenzione, che può essere proposta solo se “il possesso dura da oltre un anno, continuo e non interrotto, e non è stato acquistato violentemente o clandestinamente”. In proposito si veda Cass. Civ., Sez. II, 28/03/2007, n. 7579: “in tema di azione di spoglio, il possesso (o compossesso) di un bene, concretandosi in un potere di fatto sulla cosa, che si manifesta in una attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, non presuppone l’effettiva e continua utilizzazione della cosa in ogni sua parte”.