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Articolo 1337 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Trattative e responsabilità precontrattuale

Dispositivo dell'art. 1337 Codice Civile

Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto(1), devono comportarsi secondo buona fede [1175](2).

Note

(1) Il contratto può formarsi gradualmente anche sul piano documentale, in quanto le parti possono scegliere di redigere dei documenti, detti minute o puntuazioni, nei quali mettono per iscritto i punti sui quali hanno già raggiunto l'accordo.
(2) La violazione del dovere di buone fede genera responsabilità precontrattuale. Le condotte che possono integrarla sono: abbandonare le trattative senza giusta causa, quando queste siano giunte ad un punto tale da far confidare la controparte sulla conclusione del contratto; non rendere note alla controparte cause di invalidità del contratto conosciute (1338 c.c.); indurre la controparte a stipulare un contratto con inganno; indurre la controparte a concludere un contratto pregiudizievole (1440 c.c.). In tale ultima ipotesi, a differenza delle altre, il contratto è valido ma la parte subisce un danno per le condizioni svantaggiose della stipula.
La natura della responsabilità precontrattuale è dibattuta tra chi ritiene si tratti di illecito aquiliano (2043 c.c.) e chi la riporta a quello contrattuale (1218 c.c.). Essa è posta a tutela dell'interesse, negativo, a non essere coinvolti in trattative inutili, a differenza di quanto accade nella responsabilità contrattuale (1218 c.c.) che sanziona la lesione dell'interesse positivo ad ottenere la prestazione dovuta. Anche nella responsabilità precontrattuale, comunque, devono essere risarciti sia il danno emergente (spese e perdite dovute alle trattative) sia il lucro cessante (perdita del vantaggio che si sarebbe potuto conseguire impiegando il tempo in contrattazioni fruttuose in luogo di quella inutile; v. art. 1223 c.c.).

Ratio Legis

Le parti non hanno l'obbligo di concludere il contratto poiché la libertà contrattuale è tutelata dall'ordinamento; tuttavia, esse hanno il dovere di comportarsi secondo correttezza cioè in modo da non recarsi alcun danno.

Brocardi

Bona fides quae in contractibus exigitur, aequitatem summam desiderat
Culpa in contrahendo

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

164 Nuovo è pure l'art. 190 che impone alle parti, nelle trattative e nella formazione del contratto, l'obbligo di un comportamento di buona fede.
Questo obbligo difficilmente si ricavava dal diritto vigente, nonostante che il principio di buona fede dominasse l'esecuzione dei contratti. [...]
Ne risulta che la conoscenza di una causa di invalidità del contratto impone alla parte l'obbligo di darne notizia all'altra: il ripromettersi qualche effetto dalla altrui manifestazione invalida malgrado che il vizio fosse palese, è tale atto contra bona mores che, per più aspetti di analogia, potrebbe assimilarsi ad un dolo di omissione, esplicantesi nel non impedire che la controparte si affidi, per la sua inconsapevolezza della realtà, su un'aspettativa che deve rimanere delusa. Donde l'obbligo di risarcire i danni che la parte inconsapevole abbia risentito per avere confidato nella validità del contratto; i danni, cioè, derivanti dal fatto che non può condursi ad esecuzione un contratto sul cui effetto si sperava.
E' chiaro, tuttavia, che la responsabilità non esiste quando la parte inconsapevole avrebbe potuto superare da se l'ignoranza usando la diligenza normale in contrahendo: la parte consapevole tacendo, in tal caso, circa la causa di invalidità si affida ai dati dell'esperienza, che le fanno supporre la conoscenza della controparte della causa stessa, e le danno la convinzione dell'inutilità di rivelarla.
Che questi principi si applicano anche alle ipotesi di invalidità parziale sembra inutile chiarire.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

612 E' dominata dall'obbligo di correttezza e da quello di buona fede (in senso oggettivo) la materia delle trattative contrattuali e quella concernente i contratti c. d. per adesione. L'obbligo predetto è richiamato in via generale nell'art. 1337 del c.c. come base del comportamento delle parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto. Questo obbligo esige dai soggetti di un rapporto contrattuale, nella sfera del rapporto stesso, un comportamento ispirato dal senso della probità, sia nella rappresentazione leale e non cavillosa dei diritti e degli obblighi che ne derivano, sia nel modo di farli valere o di osservarli, con riguardo in ogni caso allo scopo che il contratto vuol soddisfare, all'armonia degli interessi delle parti e di quelli superiori della nazione, i quali richiedono una pacifica collaborazione produttiva. Esso, riferito alla fase precontrattuale, sbocca in una responsabilità in contrahendo quando una parte conosca e non rivela all'altra l'esistenza di una causa di invalidità del contratto (art. 1338 del c.c. n. 638). Formalità speciali sono state poi previste per la conclusione dei contratti su moduli e formulari predisposti da una sola parte o dei contratti con rinvio a condizioni generali (art. 1341 del c.c. e art. 1342 del c.c.). Il bisogno di assicurare l'uniformità del contenuto di tutti i rapporti di natura identica, per una più precisa determinazione dell'alea che vi è connessa, la difficoltà che si oppone alle trattative con i clienti, alle quali non potrebbero attendere se non agenti e produttori privi di legittimazione a contrarre, l'esigenza di semplificare l'organizzazione e la gestione delle imprese, inducono l'imprenditore a prestabilire moduli il cui testo non può essere discusso dal cliente, se il cliente non voglia rinunziare all'affare. Un tal metodo di conclusione dal contratto non deve ritenersi illegittimo solo perché non dà luogo a trattative e a dibattiti di clausole, ma costringe ad accettare patti preordinati. La realtà economica odierna si fonda anche su una rapida conclusione degli affari, che è condizione di un acceleramento del fenomeno produttivo; a questa esigenza va sacrificato il bisogno di una libertà di trattativa, che importerebbe intralci spesso insuperabili. Ma la pratica dei contratti per adesione ha dato luogo ad abusi nei casi in cui gli schemi prestabiliti contengono clausole che mettono i clienti alla merce dell'imprenditore. La giurisprudenza ha reagito come ha potuto contro detti abusi, allargando talora il concetto di illiceità e altre volte affermando la mancanza di consenso su alcuni patti onerosi, per il riflesso che questi dovettero sfuggire all'attenzione dell'aderente essendo stampati in caratteri microscopici. Gli articoli art. 1341 del c.c. e art. 1342 del c.c. vogliono ovviare ad ogni abuso, anzitutto dando efficienza giuridica solo alle condizioni generali che al momento della conclusione del contratto il cliente aveva conosciuto o avrebbe dovuto conoscere (art. 1341 del c.c., primo comma), in secondo luogo dichiarando nulle le clausole di particolare gravità, se sulle stesse non sia stata specificatamente richiamata la sua attenzione (art. 1341 del c.c., secondo comma, e art. 1342 del c.c., secondo comma). Delle clausole dei moduli o formulari che devono essere specificatamente approvate per iscritto l'art. 1341 del c.c. secondo comma, fa un'elencazione suscettibile bensì di interpretazione estensiva ma non di estensione analogica; l'aderente deve specificatamente approvarle per iscritto, non soltanto quando trovano sede in formulari, ma anche quando sono collocate in capitolati generali cui il contratto si richiama. E' ovvio che, per quanto muovano dagli inconvenienti verificatisi nel campo dei contratti di impresa, le norme citate si devono osservare anche all'infuori di detta sfera, tutte le volte in cui una delle parti usa formulari predisposti, anche se non si tratti di un imprenditore, e qualunque sia il tipo di contratto concluso.

Massime relative all'art. 1337 Codice Civile

Cass. civ. n. 7288/2023

In tema di intermediazione finanziaria, l'onere probatorio a carico dell'intermediario di aver adempiuto agli obblighi informativi nei confronti del cliente sussiste indipendentemente dalla valutazione di adeguatezza dell'operazione; la carenza di prova di avere dato adeguate informazioni, peraltro, determina una presunzione in ordine alla esistenza di un danno risarcibile a carico del cliente, posto che l'inosservanza dei doveri informativi da parte dell'intermediario è, in ogni caso, fattore di disorientamento dell'investitore, che condiziona le sue scelte di investimento. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in contrasto con il suindicato principio, aveva ritenuto inammissibile l'appello sul presupposto che l'invarianza del livello di rischio e il difetto di prova in merito al nesso di causalità tra violazione degli obblighi informativi e danno costituivano autonome "rationes decidendi" rispetto alla dedotta violazione degli obblighi stessi).

Cass. civ. n. 4715/2022

La regola di cui all'art. 1337 c.c. non si riferisce alla sola ipotesi di rottura ingiustificata delle trattative ma ha valore di clausola generale e la violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell'altrui comportamento scorretto.

In tema di responsabilità precontrattuale, qualora il danno derivi da un contratto valido ed efficace ma sconveniente, il risarcimento deve essere ragguagliato al minor vantaggio o al maggior aggravio economico determinato dal contegno sleale di una delle parti.

In tema di responsabilità precontrattuale, qualora il danno derivi dalla conclusione di un contratto valido ed efficace ma sconveniente, il risarcimento deve essere ragguagliato al minore vantaggio o al maggiore aggravio economico determinato dal contegno sleale di una delle parti, restando irrilevante che la violazione del dovere di buona fede sia intervenuto cronologicamente a valle e non a monte della conclusione del contratto, salvo la prova di ulteriori danni che risultino collegati a tale comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto.

Cass. civ. n. 34510/2021

Per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale occorre che tra le parti siano in corso trattative; che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l'altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità; che, infine, pur nell'ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto. La verifica della ricorrenza di tutti tali elementi si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, ove non inficiato da omesso esame circa un fato decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Cass. civ. n. 29188/2020

Nell'ipotesi in cui la P.A. arbitrariamente coinvolga il privato in una trattativa su un piano paritetico, al di fuori della necessaria procedura di evidenza pubblica, creando un ingiustificato affidamento poi frustrato da pur legittimi provvedimenti di autotutela, la domanda risarcitoria formulata dal privato non deriva dalla lesione di un interesse legittimo ma di un diritto soggettivo, deducendosi non già il cattivo esercizio del potere ma la violazione degli obblighi di correttezza e buona fede nel corso delle trattative, con conseguente possibilità di devolvere ad arbitri la controversia.

Cass. civ. n. 20989/2020

Il contratto preliminare, avendo superato lo stadio precontrattuale, costituisce un accordo perfettamente compiuto, benché proteso alla stipulazione di un ulteriore contratto, quello definitivo, con la conseguenza che allo stesso preliminare non è applicabile l'art. 1337c.c. art. 1337 - Trattative e responsabilità precontrattuale c.c. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto esente da critiche la sentenza che non aveva limitato al mero interesse negativo il danno risarcibile in favore del promittente locatore, ma aveva impiegato quale parametro di riferimento l'utilità perduta dal medesimo in seguito alla mancata conclusione del contratto definitivo, individuata nel canone di locazione che sarebbe stato corrisposto per un periodo di sei mesi, lasso di tempo considerato utile per il reperimento di un nuovo conduttore sul mercato). (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 07/05/2018).

Cass. civ. n. 24738/2019

La responsabilità precontrattuale derivante dalla violazione della regola di condotta, posta dall'art. 1337 c.c. a tutela del corretto dipanarsi dell'iter formativo del negozio, costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, cui vanno applicate le relative regole in tema di distribuzione dell'onere della prova. Ne consegue che, qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, non grava su chi recede l'onere della prova che il proprio comportamento corrisponda ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull'altra parte l'onere di dimostrare che il recesso esuli dai limiti della buona fede e correttezza postulati dalla norma "de qua". (Rigetta, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 09/05/2014).

Cass. civ. n. 10413/2017

La responsabilità precontrattuale della P.A. è configurabile in tutti i casi in cui l’ente pubblico, nelle trattative con i terzi, abbia compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buona fede, alla cui puntuale osservanza anch’esso è tenuto, nell’ambito del rispetto dei doveri primari garantiti dall’art. 2043 c.c.; in particolare, il recesso dalle trattative è sindacabile, ai sensi dell’art. 1337 c.c., ove l’ente predetto sia venuto meno ai doveri di buona fede, correttezza, lealtà e diligenza, in rapporto anche all’affidamento ingenerato nel privato circa il perfezionamento del contratto, a prescindere dalle ragioni che abbiano indotto il primo ad interrompere le trattative o a rifiutare la conclusione nel contratto.

Cass. civ. n. 14188/2016

In tema di contratti conclusi con la P.A., l'eventuale responsabilità di quest'ultima, in pendenza dell'approvazione ministeriale, deve qualificarsi come precontrattuale, ai sensi degli artt. 1337 e 1338 c.c., ed è inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale da "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ex art. 1173 c.c., e dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell'art. 1174 c.c., bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta gli artt. 1175 e 1375 c.c., con conseguente applicabilità del termine decennale di prescrizione sancito dall'art. 2946 c.c.

Cass. civ. n. 7545/2016

Per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale occorre che tra le parti siano in corso trattative; che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l'altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità; che, infine, pur nell'ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto. La verifica della ricorrenza di tutti tali elementi si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivato.

Cass. civ. n. 5762/2016

La violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, previsto dagli artt. 1337 e 1338 c.c., assume rilievo in caso non solo di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche di contratto validamente concluso quando, all'esito di un accertamento di fatto rimesso al giudice di merito, alla parte sia imputabile l'omissione, nel corso delle trattative, di informazioni rilevanti le quali avrebbero altrimenti, con un giudizio probabilistico, indotto ad una diversa conformazione del contratto stesso.

Cass. civ. n. 4718/2016

In tema di liquidazione del danno, la locuzione "perdita subita", con la quale l'art. 1223 c.c. individua il danno emergente, non può essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti, bensì include anche l'obbligazione di effettuare l'esborso, in quanto il "vinculum iuris, nel quale l'obbligazione stessa si sostanzia, costituisce già una posta passiva del patrimonio del danneggiato, consistente nell'insieme dei rapporti giuridici, con diretta rilevanza economica, di cui una persona è titolare.

La responsabilità precontrattuale prevista dall'art. 1337 c.c., coprendo nei limiti del cd. interesse negativo tutte le conseguenze immediate e dirette della violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase preparatoria del contratto, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1223 e 2056 c.c., si estende al danno per il pregiudizio economico derivante dalle rinunce a stipulare un contratto, ancorché avente un contenuto diverso rispetto a quello per cui si erano svolte le trattative, se la sua mancata conclusione si manifesti come conseguenza immediata e diretta del comportamento della controparte, che ha lasciato cadere le dette trattative quando queste erano giunte al punto di creare un ragionevole affidamento nella conclusione positiva di esse.

Cass. civ. n. 24625/2015

In tema di responsabilità precontrattuale, il pregiudizio risarcibile è circoscritto al solo interesse negativo, costituito sia dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative ed in vista della conclusione del contratto, sia dalla perdita di altre occasioni di stipulazione contrattuale, pregiudizio liquidabile anche in via equitativa, sulla base di criteri logici e non arbitrari. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto corretta la liquidazione del danno da rottura delle trattative per la cessione di alcuni punti vendita di una catena di supermercati, equitativamente determinata nella misura del 5 per cento del prezzo pattuito, fissato nella misura del 37 per cento degli incassi lordi degli ultimi esercizi, trattandosi di liquidazione motivatamente ancorata a parametri non illogici, costituiti dalla rilevanza dei flussi di cassa dei supermercati e, nel contempo, dalla loro mutevolezza in ragione dell'andamento del mercato, nonché dallo stato embrionale in cui si trovavano le trattative avviate, in alternativa, con altro potenziale acquirente).

Cass. civ. n. 15260/2014

La responsabilità precontrattuale della P.A. è configurabile in tutti i casi in cui l'ente pubblico, nelle trattative con i terzi, compia azioni o incorra in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buona fede, alla cui puntuale osservanza è tenuto già nel procedimento amministrativo strumentale alla scelta del contraente, ossia nel momento in cui entra in contatto con una pluralità di offerenti, instaurando con ciascuno di essi trattative (multiple o parallele) idonee a determinare la costituzione di rapporti giuridici, nel cui ambito è tenuto al rispetto di principi generali di comportamento posti dalla legge a tutela indifferenziata degli interessi delle parti. Ne consegue che l'inosservanza di tale precetto, anche prima della conclusione della gara, determina l'insorgere della responsabilità della P.A. per violazione del dovere di correttezza previsto dall'art. 1337 cod. civ., a prescindere dalla prova dell'eventuale diritto all'aggiudicazione del partecipante.

Cass. civ. n. 477/2013

La responsabilità precontrattuale della P.A. è configurabile in tutti i casi in cui l'ente pubblico, nelle trattative con i terzi, abbia compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buona fede, alla cui puntuale osservanza anch'esso è tenuto, nell'ambito del rispetto dei doveri primari garantiti dall'art. 2043 cod.civ.; in particolare, se non è ipotizzabile una responsabilità precontrattuale, per violazione del dovere di correttezza di cui all'art. 1337 c.c. rispetto al procedimento amministrativo strumentale alla scelta del contraente, essa è ammissibile con riguardo alla fase successiva alla scelta, in cui il recesso dalle trattative dell'ente è sindacabile sotto il profilo della violazione del dovere del "neminem laedere", ove lo stesso sia venuto meno ai doveri di buona fede, correttezza, lealtà e diligenza, in rapporto anche all'affidamento ingenerato nel privato circa il perfezionamento del contratto. Spetta al giudice di merito accertare se il comportamento della P.A. abbia ingenerato nei terzi, anche per mera colpa, un ragionevole affidamento in ordine alla conclusione del contratto. (La S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha cassato la sentenza di merito, la quale, pur avendo ritenuto che le trattative intercorse tra le parti, in relazione ad un pubblico avviso di ricerca di un immobile da destinare a sede di uffici regionali, fossero state in grado di ingenerare, nell'unico soggetto che aveva risposto a quell'avviso, un ragionevole affidamento circa la conclusione dell'accordo, aveva poi affermato che il recesso della P.A. risultasse sorretto da un giustificato motivo, costituito dalla presentazione di una successiva proposta tardiva da parte di un terzo, tale da indurre l'acquirente ad un repentino generale ripensamento sull'idoneità dell'immobile offerto per primo, sulla base di elementi, peraltro, non sopravvenuti, ma già intrinseci alla stessa richiesta formulata con l'avviso pubblico).

Cass. civ. n. 18932/2012

Nel giudizio sulla responsabilità precontrattuale di una P.A. (nella specie, di un Comune), devono essere considerate le regole dell'evidenza pubblica, le quali implicano la rilevanza delle sole trattative riferibili agli organi rappresentativi dell'ente o agli organi cui è istituzionalmente devoluta la formazione della sua volontà o, al più, ai funzionari delegati da questi organi, restando irrilevanti gli atti interni alla P.A. (nella specie, delibere della Giunta municipale), sui quali non può fondarsi un incolpevole affidamento dell'altro contraente (nella specie, aspirante all'incarico per i servizi assistenziali ai minori ex artt. 23 e 25 del d.p.r. n. 616 del 1977).

Cass. civ. n. 6526/2012

La responsabilità precontrattuale prevista dall'art. 1337 c.c. può derivare, oltre che dalla rottura ingiustificata delle trattative, anche dalla violazione dell'obbligo di lealtà reciproca, il quale comporta un dovere di completezza informativa circa la reale intenzione di concludere il contratto, senza che alcun mutamento delle circostanze possa risultare idoneo a legittimare la reticenza o la maliziosa omissione di informazioni rilevanti nel corso della prosecuzione delle trattative finalizzate alla stipulazione del negozio.

Cass. civ. n. 27648/2011

In tema di responsabilità precontrattuale, la parte che agisca in giudizio per il risarcimento del danno subito ha l'onere di allegare, ed occorrendo provare, oltre al danno, l'avvenuta lesione della sua buona fede, ma non anche l'elemento soggettivo dell'autore dell'illecito, versandosi - come nel caso di responsabilità da contatto sociale, di cui costituisce una figura normativamente qualificata - in una delle ipotesi previste dall'art. 1173 c.c..

Alle ipotesi di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. - configurabile anche nei rapporti tra privato e P.A. che agisca "iure privatorum" - si applica l'art. 1223 c.c., con la conseguenza che il risarcimento deve comprendere sia la perdita subita che il mancato guadagno, purché in relazione immediata e diretta con la lesione dell'affidamento, e non del contratto, consistendo quindi il danno emergente nelle spese sostenute ed il lucro cessante nelle occasioni di lavoro mancate, mentre resta, in ogni caso, escluso quanto sarebbe stato dovuto in forza del contratto non concluso. Ne deriva che, per il professionista che svolga la sua attività in modo autonomo, il tempo dedicato, senza corrispettivo, all'esecuzione dell'opera intellettuale non costituisce, di per sé, un danno emergente risarcibile, in quanto esso è, al più, valutabile come danno non patrimoniale, che in tal caso non è suscettibile di risarcimento.

Cass. civ. n. 6735/2011

La responsabilità precontrattuale derivante dalla violazione della regola di condotta, posta dall'art. 1337 c.c. a tutela del corretto dipanarsi dell'iter formativo del negozio, costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, cui vanno applicate le relative regole in tema di distribuzione dell'onere della prova. Ne consegue che, qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, grava non su chi recede la prova che il proprio comportamento corrisponde ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull'altra parte l'onere di dimostrare che il recesso esula dai limiti della buona fede e correttezza postulati dalla norma "de qua".

Cass. civ. n. 9916/2011

Con riferimento alle sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità, è violato il principio informatore della responsabilità precontrattuale, rinvenibile nell'art. 1337 c.c., qualora la regola equitativa applicata ravvisa tale responsabilità nella mancata informazione su circostanze sopravvenute alla conclusione del contratto. (Nella specie, una società erogatrice di gas per uso domestico era stata condannata dal giudice di pace al risarcimento del danno, per non avere informato il consumatore sulle diverse aliquote IVA applicabili al corrispettivo dovuto per solo uso domestico, per uso riscaldamento o per uso promiscuo. La S.C. ha cassato tale decisione, osservando che il contratto oggetto di causa era stato stipulato nel 1995, che a quella data l'aliquota IVA applicabile alle cessioni di gas metano a uso domestico nei territori del Mezzogiorno era pari al 9% quale che fosse l'uso cui l'utente destinava il gas e che tale disciplina rimase immutata dal 1988 sino al 31 dicembre 1996).

Cass. civ. n. 11135/2009

L'approvazione ministeriale del contratto stipulato con la P.A., prevista dagli artt. 19 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 e 337 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, costituisce "condicio iuris", che incide non sulla formazione ma sulla efficacia del contratto, ed il suo diniego non consente di ravvisare una responsabilità precontrattuale della P.A., qualora la mancata approvazione derivi dalla violazione di norme di carattere generale, di cui può presumersi la conoscenza e la cui ignoranza avrebbe potuto essere superata attraverso l'uso della normale diligenza, non essendo in tal caso configurabile un affidamento incolpevole del privato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva affermato la responsabilità precontrattuale della P.A. in un caso in cui la mancata approvazione di un contratto, ambiguamente indicato talora come "licitazione privata per appalto dei lavori" e talora come "atto di cottimo fiduciario", era dovuta alla violazione di norme imperative disciplinanti figure negoziali inconciliabili fra loro, anche ai fini della scelta del contraente).

Cass. civ. n. 24795/2008

In tema di responsabilità precontrattuale, il risarcimento del danno deve essere ragguagliato al minor vantaggio o al maggior aggravio economico determinato dal comportamento tenuto dall'altra parte in violazione dell'obbligo di buona fede, salvo che sia dimostrata l'esistenza di ulteriori danni che risultino collegati a detto comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto.

La regola posta dall'art. 1337.cod. civ. non si riferisce alla sola ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative ma ha valore di clausola generale, il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso ed implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l'ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto. Ne consegue che la violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell'altrui comportamento scorretto. (In applicazione del riportato principio, la S.C. ha confermato la sentenza dei giudici di merito per i quali costituiva violazione del canone di buona fede di cui agli artt. 1337 e 1338 cod. civ. il comportamento di una società di leasing che aveva omesso di informare la controparte circa la già avvenuta sospensione delle agevolazioni fiscali di cui alla legge n. 341 del 1995 e, anzi, aveva fornito assicurazioni circa la possibilità di far ricorso alle dette agevolazioni, per le quali la controparte medesima si era indotta alla stipula del contratto di locazione finanziaria).

Cass. civ. n. 23393/2008

In tema di attività negoziale fra la P.A. ed il privato, il contratto stipulato, pur essendo già perfetto nei suoi elementi costitutivi, richiede per la sua operatività l'approvazione dell'autorità di controllo, che agisce come "condicio iuris" sospensiva dell'efficacia del negozio, con la conseguenza che il diniego dell'autorità tutoria lo rende non più eseguibile. In tal caso, tuttavia, il comportamento dell'amministrazione medesima, la quale abbia preteso l'adempimento della prestazione prima dell'approvazione del contratto stesso da parte della competente autorità di controllo, è suscettibile di dar luogo, ove tale approvazione non sia intervenuta, a responsabilità precontrattuale, secondo la previsione dell'art 1337 cod. civ., in considerazione dell'affidamento ragionevolmente ingenerato nell'altra parte. (Nella specie, con riferimento ad un contratto di appalto di servizi, la S.C. ha cassato la sentenza della corte territoriale, la quale, valorizzando la natura legale della condizione e la sua conseguente conoscibilità da parte di tutti i contraenti ma ignorando le conseguenze dell'affidamento ingenerato nell'altra parte dalla delibera che aveva dichiarato l'esecutività del contratto, aveva riconosciuto al contraente privato soltanto la rifusione dei costi affrontati per iniziare l'esecuzione del contratto, negando la risarcibilità del danno sofferto).

Cass. civ. n. 2479/2007

Non costituisce ipotesi di responsabilità precontrattuale la fattispecie in cui l'accordo tra le parti si è formato, ma a condizioni diverse da quelle che si sarebbero avute se la parte venditrice non avesse tenuto nei confronti degli acquirenti un comportamento contrario alla buona fede, in quanto la configurabilità della responsabilità precontrattuale è preclusa dalla intervenuta conclusione del contratto.

Cass. civ. n. 23289/2006

In tema di responsabilità precontrattuale, qualora in prossimità della messa in scena il committente di uno spettacolo receda ingiustificatamente dalle trattative per la conclusione del relativo contratto, il danno subito dagli artisti che abbiano eseguito le attività necessarie per la preparazione della rappresentazione, pur essendo limitato al c.d. interesse negativo, deve necessariamente tenere conto della peculiarità della condotta illecita, sicché il pregiudizio consiste, oltreché nel mancato guadagno per le altre occasioni contrattuali perdute, anche nella congrua retribuzione della sola opera intellettuale già eventualmente anticipata (alla stessa stregua delle spese sostenute durante le trattative); infatti, il mancato pagamento di una prestazione eseguita per giustificabile affidamento costituisce una perdita per chi vive di lavoro autonomo, atteso che le capacità e il tempo produttivo sarebbero stati destinati ad altro remunerato lavoro.

Cass. civ. n. 4635/2006

In tema di responsabilità ex art. 1337 c.c., se la causa di invalidità del negozio deriva da una norma imperativa o proibitiva di legge, o da altre norme aventi efficacia di diritto obiettivo, tali — cioè — da dover essere note per presunzione assoluta alla generalità dei cittadini e — comunque — tali che la loro ignoranza bene avrebbe potuto o dovuto essere superata attraverso un comportamento di normale diligenza, non si può configurare colpa a carico dell'altro contraente, che abbia omesso di far rilevare alla controparte l'esistenza delle norme stesse. Alla stregua di tale principio, qualora detta responsabilità venga invocata verso una P.A., in relazione a causa di invalidità per difetto di forma scritta ad substantiam deve escludersi la configurabilità della mala fede della P.A. ai fini della sussistenza di detta responsabilità (nella specie la S.C. ha anche condiviso l'argomento con cui il giudice di merito aveva rilevato che l'altro contraente non poteva nemmeno considerarsi in buona fede, atteso che, dato il suo status di dipendente pubblico, non poteva ignorare la necessità di quella forma).

Cass. civ. n. 2525/2006

La responsabilità precontrattuale è configurabile in tutti i casi in cui un soggetto abbia compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buona fede, alla cui osservanza sono tenuti anche la P.A. e gli enti pubblici, nell'ambito del rispetto dei principi garantiti dall'art. 2043 c.c. . Pertanto, ai fini dell'affermazione di tale responsabilità, è sufficiente il comportamento non intenzionale o meramente colposo della parte che - senza giusto motivo - abbia interrotto le trattative eludendo cosa le aspettative della controparte, la quale, confidando nella conclusione del contratto, sia stata indotta a sostenere spese o abbia rinunciato ad occasioni più favorevoli. In caso di violazione della norma di cui all'art. 1337 c.c. il risarcimento del danno è limitato al c.d. «interesse negativo» con la conseguenza che esso è cumulabile con risarcimento del maggior danno previsto dall'art. 1591 c.c.

Cass. civ. n. 19024/2005

La violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, stabilito dall'art. 1337 c.c., assume rilievo non soltanto nel caso di rottura ingiustificata delle trattative, ovvero qualora sia stipulato un contratto invalido o inefficace, ma anche, quale dolo incidente (art. 1440 c.c.), se il contratto concluso sia valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto; in siffatta ipotesi, il risarcimento del danno deve essere commisurato al "minor svantaggio", ovvero al "maggior aggravio economico" prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell'obbligo di buona fede, salvo che sia dimostrata l'esistenza di ulteriori danni che risultino collegati a detto comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto.

Cass. civ. n. 13164/2005

La responsabilità precontrattuale per violazione dell'art. 1337 c.c., costituente una forma di responsabilità extracontrattuale, che si collega alla violazione della regola di condotta stabilita a tutela del corretto svolgimento dell'iter formativo dell'accordo, presuppone che tra le parti siano intercorse trattative per la conclusione di un contratto. Ciò conduce ad escludere la configurabilità della responsabilità precontrattuale in relazione ad un procedimento di licitazione privata, atteso che nel corso di questo gli interessati non hanno la qualità di possibili futuri contraenti cui si riferisce il cit. art. 1337 c.c., ma soltanto quella di partecipanti alla gara, cui è riconnesso l'interesse legittimo al corretto esercizio del potere di scelta da parte dell'amministrazione stessa , senza che possa configurarsi quella relazione specifica tra soggetti consistente nello svolgimento delle trattative, che nella norma del codice costituisce il presupposto dell'obbligo di comportamento secondo buona fede, valido anche per l'autorità amministrativa.

Cass. civ. n. 7522/2005

Attiene alla vincolatività stessa dell'impegno, e non già alla regola di correttezza ex art.1175 c.c., che anche la P.A. è tenuta ad osservare nei rapporti con i privati, la clausola contrattuale nella quale, secondo l'insindacabile apprezzamento del giudice di merito, risulti espressa una mera dichiarazione d'intenti, priva di portata obbligatoria. Principio affermato con riferimento ad accordo transattivo tra l'I.N.P.S. e società operanti nel campo dell'informatica con il quale l'Istituto rinunciava ai gravami proposti avverso la condanna a pagare una somma determinata all'esito di impugnazione di lodi arbitrali, impegnandosi a pagare una minor somma di cui queste ultime avevano chiesto la risoluzione deducendo — tra l'altro — che l'Istituto medesimo aveva disatteso l'impegno assunto in una specifica clausola di tale accordo transattivo ove si dichiarava interessato a futuri rapporti di collaborazione in considerazione della loro elevata professionalità nel settore.

Cass. civ. n. 15040/2004

La responsabilità precontrattuale derivante dalla violazione della regola di condotta posta dall'art. 1337 c.c. a tutela del corretto dipanarsi dell'iter formativo del negozio costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, cui vanno applicate le relative regole in tema di distribuzione dell'onere della prova. Ne consegue che, qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati (come nella specie) dal recesso ingiustificato di una parte (in un contesto connotato dall'affidamento dell'altra parte nella conclusione del contratto), grava non su chi recede la prova che il proprio comportamento corrisponde ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull'altra parte l'onere di dimostrare che il recesso esula dai limiti della buona fede e correttezza postulati dalla norma de qua.

Non è legittimamente configurabile un'ipotesi di responsabilità precontrattuale tutte le volte in cui la rottura delle trattative e la mancata conclusione del contratto siano state in anticipo programmate, e costituiscano, pertanto, l'esercizio di una facoltà legittima da parte del recedente.

Cass. civ. n. 8723/2004

La responsabilità precontrattuale per violazione dell'art. 1337 c.c., che costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, la quale si collega alla violazione della regola di condotta stabilita a tutela del corretto svolgimento dell'iter formativo del contratto, presuppone che tra le parti siano intercorse trattative per la conclusione di un contratto giunte ad uno stadio tale da giustificare oggettivamente l'affidamento nella conclusione del contratto, inoltre che una delle parti abbia interrotto le trattative così eludendo le ragionevoli aspettative dell'altra, la quale, avendo confidato nella conclusione finale del contratto, sia stata indotta a sostenere spese o a rinunciare ad occasioni più favorevoli, e infine che il comportamento della parte inadempiente sia stato determinato, se non da malafede, almeno da colpa, e non sia quindi assistito da un giusto motivo. La verifica circa la sussistenza di tali condizioni impone un accertamento di fatto, riservato, come tale, al giudice del merito, il cui apprezzamento è incensurabile in sede di legittimità se scevro da vizi di illogicità della motivazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, escluso che la lettera con la quale la Gestione Straordinaria Trasporti Irpini aveva richiesto al ricorrente, che aveva sostenuto le prove di un concorso per l'assunzione di conducenti, collocandosi utilmente in graduatoria, la produzione della documentazione prevista dal bando di concorso, rivestisse carattere di proposta contrattuale, e ciò alla stregua della formulazione letterale della stessa, che conteneva la «riserva di procedere all'assunzione in servizio in base alle necessità dell'Azienda ed alle disponibilità di organico» sicché questa veniva prospettata come eventuale, con la conseguenza che nessun affidamento la lettera medesima era in grado di suscitare su una sicura conclusione del contratto).

Cass. civ. n. 10160/2003

In fattispecie di giudizio pendente anteriormente al 30 giugno 1998, l'azione di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale — che costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale — nei confronti della P.A. in relazione all'affidamento di appalto di lavori pubblici, è devoluta alla cognizione del giudice ordinario, avendo la pretesa al risarcimento del danno natura di diritto soggettivo.

Cass. civ. n. 12147/2002

La responsabilità precontrattuale nello svolgimento delle trattative di cui all'art. 1337 c.c. non presuppone necessariamente la malafede consistente nell'intenzione di uno dei contraenti di arrecare pregiudizio all'altro, essendo, invece, sufficiente anche il comportamento solo colposo della parte che, senza giustificato motivo, abbia interrotto le trattative, eludendo le aspettative della controparte che, confidando nella conclusione del contratto, sia stata indotta a sostenere spese od a rinunciare ad altre favorevoli occasioni.

Cass. civ. n. 9645/2001

La responsabilità precontrattuale, configurabile per violazione del precetto posto dall'art. 1337 c.c. — a norma del quale le parti, nello svolgimento delle trattative contrattuali, debbono comportarsi secondo buona fede —, costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, che si collega alla violazione della regola di condotta stabilita a tutela del corretto svolgimento dell'iter di formazione del contratto, sicché la sua sussistenza, la risarcibilità del danno e la valutazione di quest'ultimo debbono essere vagliati alla stregua degli artt. 2043 e 2056 c.c., tenendo peraltro conto delle caratteristiche tipiche dell'illecito in questione.

Cass. civ. n. 1632/2000

La responsabilità precontrattuale ai sensi dell'art. 1337 c.c. può conseguire tanto in relazione al processo formativo del contratto quanto in rapporto alle semplici trattative, riguardate come qualcosa di diverso da esso, ossia come quella fase anteriore in cui le parti si limitano a manifestare la loro tendenza verso la stipulazione del contratto, senza ancora porre in essere alcuno di quegli atti di proposta e di accettazione che integrano il vero e proprio processo formativo. Se lo svolgimento delle trattative è, per serietà e concludenza, tale da determinare un affidamento nella stipulazione del contratto, la parte che ne receda senza giusta causa, violando volontariamente l'obbligo di comportarsi secondo buona fede, è tenuta al risarcimento dei danni nei limiti dell'interesse negativo.

Cass. civ. n. 5830/1999

Qualora i contatti intercorsi fra due soggetti non siano tali, per mancanza di univocità dei comportamenti, da determinare la conclusione del contratto, essi possono tuttavia configurare delle trattative giunte ad un tale punto di sviluppo da ingenerare in una parte un giustificato affidamento sulla conclusione del contratto; in tal caso, il recesso ingiustificato dà luogo solo a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcire il danno. Del resto l'avvenuto perfezionarsi di intese su alcuni punti dello stipulando contratto o gli eventuali accordi parziali, per il loro carattere provvisorio e la loro efficacia subordinata all'esito positivo delle trattative, non esulano dall'ambito della fase precontrattuale, e non provano certo la conclusione di un contratto.

Cass. civ. n. 4299/1999

Poiché la violazione dei doveri di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c. dà luogo a responsabilità extracontrattuale, il conseguente debito del responsabile deve ritenersi di valore e non di valuta, comporta la maturazione di interessi dal fatto illecito e non solo dalla domanda, ed è sottratto, in linea di principio, quanto al riconoscimento della rivalutazione monetaria, alla regola posta dall'art. 1224, secondo comma, c.c.. (Omissis).

Cass. civ. n. 10249/1998

Il perfezionamento di un contratto non esclude in sé la responsabilità, ai sensi dell'art. 1337 c.c., per i danni derivati dal ritardo nella sua formazione, se in violazione del principio di buona fede, per il quale, a maggior ragione se una parte è un'impresa esercente in condizione di monopolio legale, sussiste l'obbligo di non rinviarne ingiustificatamente la conclusione.

Cass. civ. n. 5297/1998

Nella fase antecedente alla conclusione di un contratto, le parti hanno, in ogni tempo, piena facoltà di verificare la propria convenienza alla stipulazione e di richiedere tutto quanto ritengano opportuno in relazione al contenuto delle reciproche, future obbligazioni, con conseguente libertà, per ciascuna di esse, di recedere dalle trattative indipendentemente dalla esistenza di un giustificato motivo, con il solo limite del rispetto del principio di buona fede e correttezza, da intendersi, tra l'altro, come dovere di informazione della controparte circa la reale possibilità di conclusione del contratto, senza omettere circostanze significative rispetto all'economia del contratto medesimo.

Cass. civ. n. 9157/1995

In tema di responsabilità contrattuale, ex art. 1337 c.c., l'ammontare del danno va determinato tenendo conto della peculiarità dell'illecito e delle caratteristiche della responsabilità stessa, la quale, nel caso di ingiustificato recesso dalla trattativa, postula il coordinamento tra il principio secondo il quale il vincolo negoziale sorge solo con la stipulazione del contratto e l'altro secondo il quale le trattative debbono svolgersi correttamente. Pertanto, non essendo stato stipulato il contratto e non essendovi stata lesione di diritti che dallo stesso sarebbero nati, non può esser dovuto un risarcimento equivalente a quello conseguente all'inadempimento contrattuale, mentre, essendosi verificata la lesione dell'interesse giuridico al corretto svolgimento delle trattative, il danno risarcibile (liquidabile anche in via equitativa) è unicamente quello consistente nelle perdite che sono derivate dall'aver fatto affidamento nella conclusione del contratto e nei mancati guadagni verificatisi in conseguenza delle altre occasioni contrattuali perdute (cosiddetto «interesse negativo»).

La responsabilità precontrattuale, configurabile per la violazione del precetto posto dall'art. 1337 c.c. - a norma del quale le parti, nello svolgimento delle trattative contrattuali, debbono comportarsi secondo buona fede - costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, che si riconnette alla violazione della regola di condotta stabilita a tutela del corretto svolgimento dell'iter di formazione del contratto, cosicché la sua sussistenza, la risarcibilità del danno e la valutazione di quest'ultimo devono essere vagliati alla stregua degli artt. 2043 e 2056, tenendo, peraltro conto delle caratteristiche tipiche dell'illecito in questione. Ne consegue che - essendo l'elemento soggettivo richiesto dall'art. 2043, quale componente necessaria del fatto illecito, implicito nella violazione dell'obbligo di comportamento secondo buona fede, quanto meno sotto il profilo della colpa -, una volta accertato l'obiettivo contrasto tra il comportamento dell'agente e l'obbligo di correttezza imposto dall'art. 1337, non occorre, per l'accertamento della responsabilità precontrattuale, la verificazione di un particolare comportamento oggettivo di malafede, né la prova dell'intenzione di arrecare pregiudizio all'altro contraente, perché sussista l'elemento psicologico necessario ex art. 2043 c.c.

Cass. civ. n. 1163/1995

La responsabilità precontrattuale; che, tra l'altro, ricorre quando l'interruzione delle trattative sia priva di ogni ragionevole giustificazione così da sacrificare arbitrariamente il logico affidamento della controparte sulla conclusione del contratto, essendo riconducibile alla più ampia categoria della responsabilità extracontrattuale, presuppone anche la prova, a carico di colui che agisce per il risarcimento del danno, della malafede del recedente.

Cass. civ. n. 8295/1994

Dalla disciplina dell'art. 1337 c.c., in tema di trattative e responsabilità precontrattuale, o da determinati obblighi di informazione (artt. 1338 e 1892 c.c.) non può desumersi, in coerenza alla regola della correttezza commerciale secondo buona fede, che ogni contraente debba rendere edotta la controparte delle proprie situazioni economiche - salvo che ciò non sia previsto espressamente dal contratto, o non derivi dalla legge, come nei rapporti bancari - ancorché critiche, annullando così l'onere di prudenza che ogni contraente deve pur assumere prima di instaurare un rapporto obbligatorio.
Il dolo omissivo, causa di annullamento del contratto a norma dell'art. 1439 c.c., può concretizzarsi solo quando l'inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento, adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l'inganno perseguito. Pertanto, il semplice silenzio, anche su situazioni di interesse della controparte, e la reticenza, non immutando la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione della realtà alla quale sia pervenuto l'altro contraente, non costituisce causa invalidante del contratto.

Cass. civ. n. 1897/1994

Ai fini del risarcimento del danno imputabile a responsabilità precontrattuale dell'imprenditore per la mancata stipulazione di un contratto di lavoro subordinato (che non presuppone l'esistenza di un diritto del lavoratore all'assunzione, ma la violazione del dovere di buona fede nello svolgimento delle trattative) non può tenersi conto dei vantaggi che sarebbero derivati dalla conclusione del contratto.

Cass. civ. n. 9892/1993

Una responsabilità precontrattuale della P.A., per violazione del dovere di correttezza di cui all'art. 1337 c.c. non è configurabile con riguardo allo svolgimento del procedimento amministrativo strumentale alla scelta del contraente, nell'ambito del quale l'aspirante alla stipulazione del contratto è titolare esclusivamente di un interesse legittimo al corretto esercizio del potere di scelta, onde difettano le condizioni strutturali per la configurabilità di «trattative» fra due soggetti e quindi di un diritto soggettivo dell'uno verso l'altro all'osservanza delle regole della buona fede, come stabilito dalla citata norma.

Cass. civ. n. 2973/1993

La responsabilità precontrattuale prevista dall'art. 1337 c.c., coprendo nei limiti del cosiddetto interesse negativo, tutte le conseguenze immediate e dirette della violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase preparatoria del contratto, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1223 e 2056 c.c., si estende al danno per il pregiudizio economico derivante dalle rinunce a stipulare un contratto, ancorché avente contenuto diverso, rispetto a quello per cui si erano svolte le trattative, se la sua mancata conclusione si manifesti come conseguenza immediata e diretta del comportamento della controparte, che ha lasciato cadere le dette trattative quando queste erano giunte al punto di creare un ragionevole affidamento nella conclusione positiva di esse.

Cass. civ. n. 6058/1991

La responsabilità precontrattuale di cui all'art. 1337 c.c., ravvisabile nell'ingiustificata interruzione delle trattative intavolate ai fini della conclusione di un contratto è prevista e configurata dalla detta norma con riguardo al comportamento reciproco delle parti contrapposte del concludendo contratto ed alle trattative che intercorrano fra le stesse, ai fini della conclusione del contratto, e non già con riguardo a rapporti o relazioni concernenti i soggetti che, nel contratto da stipulare con altri, ne costituiscano una delle parti per l'acquisto in comune di un bene.

Cass. civ. n. 3922/1989

La responsabilità precontrattuale — la quale presuppone che il contratto non sia stato concluso e comunque non validamente concluso — può configurarsi tanto in relazione al processo formativo del contratto quanto in rapporto alle semplici trattative, per cui se lo svolgimento di queste ultime è, per serietà e concludenza, tale da determinare un affidamento sulla conclusione del contratto, la parte che violi l'obbligo di comportarsi secondo buona fede (il cui accertamento costituisce apprezzamento di merito che sfugge al controllo della cassazione) è tenuta nei confronti dell'altra parte al risarcimento del danno nei limiti dell'interesse negativo.

Cass. civ. n. 582/1988

In materia di responsabilità precontrattuale, il pregiudizio risarcibile è circoscritto nei limiti dello stretto «interesse negativo» ed è rappresentato sia dalle spese inutilmente sopportate nel corso della trattativa in vista della conclusione del contratto, sia dalla perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione di un contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso; ma la relativa valutazione comparativa deve essere sorretta da adeguate deduzioni probatorie della parte che si assume creditrice e, contrapponendosi all'interesse all'adempimento del contratto (cosiddetto interesse contrattuale positivo), non può basarsi sulla semplice considerazione del valore del bene oggetto del contratto non concluso.

Cass. civ. n. 340/1988

Agli effetti della configurabilità della responsabilità precontrattuale prevista dall'art. 1337 c.c., l'obbligo di correttezza e di buona fede nelle trattative deve essere inteso in senso oggettivo, sicché non è necessario un particolare comportamento soggettivo di malafede, determinato dall'intenzione di uno dei contraenti di arrecare pregiudizio all'altro, ma è sufficiente anche il comportamento non intenzionale o meramente colposo della parte che senza giusto motivo ha interrotto le trattative, eludendo così le aspettative della controparte, che, confidando sulla conclusione del contratto, è stata indotta a sostenere spese o ha rinunziato ad occasioni più favorevoli.

Cass. civ. n. 6629/1986

Agli effetti della configurabilità della responsabilità precontrattuale per interruzione delle trattative, a norma dell'art. 1337 c.c., non rileva, in contrario, l'eventuale breve durata od il numero minimo degli incontri intervenuti tra le parti, ove la detta interruzione ad opera di una delle parti, risulti comunque priva di ogni ragione giustificativa e tale perciò da sacrificare il legittimo affidamento che la controparte poteva aver fatto sulla conclusione del contratto.

Cass. civ. n. 1987/1985

Le norme degli artt. 1337 e 1338 c.c. mirano a tutelare nella fase precontrattuale il contraente di buona fede ingannato o fuorviato da una situazione apparente, non conforme a quella vera, e, comunque, dall'ignoranza della causa d'invalidità del contratto che gli è stata sottaciuta, ma se vi è colpa da parte sua, se cioè egli avrebbe potuto, con l'ordinaria diligenza, venire a conoscenza della reale situazione e, quindi, della causa di invalidità dei contratto, non è più possibile applicare le norme di cui sopra.

Cass. civ. n. 3152/1983

La violazione del principio della buona fede nel caso di interruzione delle trattative contrattuali, idonea a determinare responsabilità precontrattuale, in relazione alle modalità, alla durata ed allo stato delle trattative medesime, non è configurabile, con riguardo a trattative poste in essere da amministrazione dello Stato, e non concluse per difetto di necessaria legge di autorizzazione, nella circostanza che detta amministrazione non si sia fatta promotrice di quella legge, vertendosi in tema di scelte politiche insuscettibili di sindacato giurisdizionale.

Cass. civ. n. 1280/1983

L'illegittimità della clausola di un bando di concorso per la assunzione di dipendenti di un ente pubblico economico (nella specie, ENEL), circa l'esclusione di determinate categorie di candidati, la quale non risulti essenziale rispetto alle determinazioni dell'ente medesimo e non invalidi quindi l'intero bando (art. 1419 c.c.), comporta, in favore del candidato che abbia ugualmente partecipato al concorso superando le relative prove, oltre al diritto di essere assunto, anche il diritto al risarcimento dei danni subiti, a titolo di responsabilità precontrattuale del datore di lavoro, secondo la previsione dell'art. 1337 c.c., e, pertanto, a condizione che il comportamento di quest'ultimo, nell'introduzione della clausola invalida e nel successivo rifiuto opposto all'assunzione di detto candidato, risulti contrario a buona fede.

Cass. civ. n. 1803/1976

La responsabilità precontrattuale del comune sorge anche quando il comportamento contrario alla buona fede sia tenuto da organi diversi da quelli ai quali spetta la rappresentanza dell'ente, in quanto le norme di legge comunale e provinciale che demandano al consiglio comunale la deliberazione di massima dei contratti, alla giunta la determinazione concreta delle loro condizioni ed al sindaco la stipulazione, non escludono che l'attività preparatoria ed i contratti preliminari con i privati possano essere svolti da organi non competenti i cui atti, fatti od omissioni, siano riferibili al comune in quanto posti in essere nello svolgimento di un'attività ad essi propria.

Cass. civ. n. 199/1972

Nella fase delle trattative precontrattuali, gli obblighi di correttezza previsti per le parti non discendono da un dovere negoziale; il bene tutelato dall'art. 1337 c.c. non è quello che la parte si proponeva di conseguire col contratto, ma è la legittima aspettativa che le trattative si svolgano lealmente e correttamente su un piano di parità, senza che la controparte, per riserva mentale o per leggerezza di intenti, tenga impegnata l'altra, precludendole diverse possibilità.

Cass. civ. n. 2363/1971

Il danno relativo al periodo delle trattative precontrattuali (art. 1337 c.c.) può venire in considerazione solo se si verifica una interruzione delle dette trattative, od un qualsiasi altro comportamento contrastante con le regole della correttezza negli affari. Quando, invece, il corso delle trattative si conclude con la stipulazione del contratto, e non è in contestazione la correttezza nello svolgimento delle trattative stesse, manca il fatto generatore di una responsabilità, e quindi di un debito di risarcimento sotto l'indicato profilo.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1337 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

M. B. chiede
giovedì 24/10/2024
“Spett. Brocardi,
ho acquistato un immobile e abbiamo fatto il rogito in data 09.10.2024, al momento della trattativa vengo messo a conoscenza che nel mese settembre 2024 è stato sostituito l'amministratore e che in data 14.03.2023 l'assemblea condominiale approva la modalità di riparto e prospetto rateale di 10 rate inerenti lavori straordinari per rifacimento facciata per importo totale di 142.000,00 Euro, la quota del venditore è pari a 18.000,00Euro dei quali sono stati già pagati 3 rate, per importo complessivo di 5.000,00 euro, al precedente amministratore, il venditore salda la parte mancante con un assegno circolare di 13.000,00 Euro intestato al condominio consegnandolo al nuovo amministratore.
Al momento del rogito io ottengo le due liberatorie, una da parte del precedente amministratore che certifica che non c’è nulla da pagare per quanto riguarda gli oneri ordinari fino al 30.09.2024 e che sono state pagate le 3 rate inerenti i lavori straordinari deliberati il 14.03.23.
E l’atra liberatoria mi viene fornita dal nuovo amministratore dove certifica che il venditore salda la restante parte di Euro 13.000,00 inerenti i lavori straordinari con assegno circolare
In data 18/10/2024 viene convocata un’assemblea straordinaria con ordine del giorno presentazione del nuovo amministratore, dove vengo a conoscenza, solo in quel frangente che:
Era già stato incaricato, ad Agosto 2024, un Avvocato per una azione penale nei confronti del precedente Amministratore in quanto risultava vuoto il conto corrente adibito ai lavori straordinari, che non sono mai iniziati, dove all’interno dovevano esserci 37.000,00 Euro circa invece risultavano bonifici in entrata da parte dei condomini e successivamente prelievi bancomat.
E apprendo che la volontà dei condomini era quella di annullare la delibera del 14.03.23 inerenti il avori straordinari.
Le mie domande sono:
Erano tenuti, gli amministratori o il venditore, a dirmi che c’era un procedimento in corso nei confronti del precedente amministratore?
Se eventualmente la delibera viene annulla a chi verranno restituiti i 13.000,00 (più eventuali 5.000,00 qualora si riescono a recuperare) che sono stati pagati dal venditore, visto che l’immobile necessita di questi lavori straordinari e magari verranno proposti in un secondo momento con una nuova delibera?
Come mi consigliate di agire
Grazie”
Consulenza legale i 29/10/2024
Il n.9) dell’art.1130 del c.c. prevede espressamente che uno dei doveri dell’amministratore sia quello di: "fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso". Tale norma ha fatto in modo che si diffondesse sempre più nelle trattative per giungere alla vendita di immobili in condominio una prassi assolutamente virtuosa, in forza della quale, prima del perfezionamento della cessione di un appartamento, il venditore potesse pretendere dal suo acquirente una attestazione resa dall’amministratore sullo stato dei pagamenti degli oneri condominiali riconducibili alla unità immobiliare che ci si andrà ad acquistare da lì a poco, oltre che l’indicazione da parte del medesimo della esistenza di eventuali liti in corso. Questa prassi, anche se del tutto corretta, non deve trarre in inganno: l’amministratore è obbligato a rendere tali dichiarazioni solo ed esclusivamente al venditore, attuale proprietario dell’appartamento che ci si appresta a cedere, e quindi ancora condomino; l’amministratore, per tale motivo, non ha alcun obbligo nei confronti dell’acquirente. Quest’ultimo, infatti, non è ancora condomino (egli assumerà tale status solo dopo il perfezionamento del rogito notarile), e per tale motivo l’amministratore non può e non deve renderlo direttamente edotto della eventuale esistenza di liti in corso che coinvolgono la compagine condominiale.

Tale obbligo però incomberebbe sul venditore: egli, infatti, in forza del principio generale previsto dall’art. 1337 del c.c., durante la trattativa che porterà alla cessione del suo immobile ha il preciso obbligo di comportarsi secondo correttezza e buona fede. Ciò implica – come chiarito dalla Cassazione – il "dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o anche solo reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o anche solo conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto" (Cass.Civ. sent. n. 19024/05). L'art. 1337 del c.c., quindi, è inevitabilmente violato se il futuro venditore omette di informare la controparte della esistenza di eventuali liti in corso che vanno a coinvolgere il condominio in cui è ricompreso l’unità immobiliare oggetto della trattativa.

Tale violazione non necessariamente comporta la possibilità di porre nel nulla la vendita che si è poi perfezionata da quella trattativa: certamente l’acquirente che non è stato adeguatamente informato dal suo venditore potrà però chiedere il risarcimento dei danni subiti che sono conseguenza immediata e diretta della omessa informazione. Ovviamente in caso di contenzioso sarà un preciso obbligo dell’acquirente provare durante il giudizio l’esistenza di tali danni e la loro consequenzialità con l’omessa informazione del venditore. È proprio sotto questo ultimo aspetto che la vicenda descritta nel quesito presenta il suo punto debole. Infatti, se è ben vero che vi è stato sicuramente una omessa informazione da parte del venditore, non pare, sulla base di quello che viene riferito nel quesito, che da tali comportamenti, seppur volutamente omertosi, sia derivato un danno per l’acquirente. Le spese condominiali per i lavori straordinari sono state infatti interamente corrisposte dal venditore: nessun esborso è stato fatto dall’autore del quesito. Al limite, in un potenziale contenzioso nei confronti del venditore per omesse informazioni durante la trattativa si potrebbe richiedere alla controparte il danno da deprezzamento dell’immobile acquistato: un conto infatti è il valore del bene dopo che i lavori condominiali di ristrutturazione sono stati puntualmente eseguiti, ma tale valore sarà sicuramente molto inferiore se il cespite è ricompreso in un condominio che necessita di rilevanti lavori di manutenzione straordinaria. Ad ogni modo, se lo si riterrà opportuno, la redazione rimane a disposizione per approfondire tale ulteriore aspetto in una consulenza ad hoc.

Una volta recuperati i denari sottratti dall’ex amministratore infedele (se sarà possibile farlo) essi dovranno rimanere nelle casse condominiali per fare in modo che i lavori straordinari già deliberati vengano effettivamente realizzati. Il venditore non avrebbe in questo senso alcun diritto di rimborso né nei confronti del condominio né nei confronti dell’acquirente: quando l’assemblea ha infatti deliberato la realizzazione di quei lavori straordinari era il venditore che rivestiva la qualifica di condominio: pertanto all’epoca, solo costui era obbligato a pagare tale somma al condominio.
In merito all'esecuzione di lavori consistenti in innovazioni, straordinaria manutenzione o ristrutturazione delle parti comuni, la giurisprudenza più recente che si è occupata dell’argomento pare essersi attestata nel senso di ritenere comunque obbligato al pagamento degli oneri condominiali colui che era proprietario nel momento in cui dette spese furono deliberate (quindi, nello specifico colui che ha venduto il bene), anche se i lavori verranno poi materialmente eseguiti successivamente alla cessione dell’appartamento. In questo senso si può citare, ad esempio, Cass.Civ. Sez. 2 - , Ordinanza n. 19756 del 20/06/2022, Rv. 665005 – 01: "In tema di condominio negli edifici, non può essere obbligato in via diretta verso il terzo creditore, nè per il tramite del vincolo solidale di cui all'art. 63 disp. att. c.c., né attraverso la previsione dettata in tema di comunione ordinaria di cui all'art. 1104 c.c., chi non fosse condomino al momento in cui sia insorto l'obbligo di partecipazione alle relative spese condominiali, ossia alla data di approvazione della delibera assembleare inerente a tali spese".
Il venditore tuttalpiù potrebbe avere un qualche diritto di rimborso nei confronti dell’acquirente, a condizione che tale possibilità venga espressamente convenuta dalle parti nel rogito di acquisto, ma questo non pare certamente essere avvenuto nel caso specifico.

M. B. chiede
venerdì 01/03/2024
“Sto contrattando con mia sorella la divisione di un immobile ereditato in 2 unità.
Io ho manifestato all'inizio della trattativa una preferenza per una delle 2 unità su un disegno "bozza" del geometra. Adesso però mi sto pentendo, non mi piace più anche perchè si sta rivelando una unità che ha bisogno di molti lavori per poter essere adeguata (e l'altra no) e per altri motivi. In quali modi posso interrompere la trattativa senza rischiare una richiesta danni ? Tengo a precisare che: non abbiamo firmato nulla, la trattativa per i lavori da pagare a metà non è iniziata. Posso quindi cercare un disaccordo sui lavori e far saltare tutto? Oppure far saltare tutto su altre cose”
Consulenza legale i 07/03/2024
Stando a quanto viene riferito nel quesito, tra le parti non è stato concluso alcun accordo (che, peraltro, dovrebbe essere necessariamente scritto, trattandosi di immobili: si veda l’art. 1350 c.c., n. 11) in merito alla divisione dell’immobile.
Non risulta che sia stato stipulato neppure un contratto preliminare (nel linguaggio comune definito impropriamente “compromesso”), cioè quel contratto che non produce gli effetti dell’accordo che le parti vogliono raggiungere, ma le obbliga a concludere quel tipo di contratto in futuro, di solito entro un certo termine.
Sembra, dunque, che le parti si trovino nella fase di formazione di un eventuale futuro contratto, la fase appunto delle trattative, che precedono il contratto e che di regola non hanno effetti vincolanti per le parti.
Ciò non significa che nella fase delle trattative non vi siano obblighi per i partecipanti.
In primo luogo, infatti, l’art. 1337 c.c. stabilisce che “le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede”.
Sulla base di tale norma gli studiosi del diritto e la giurisprudenza hanno costruito la figura della responsabilità precontrattuale, riguardante le conseguenze giuridiche della violazione dei doveri delle parti durante le trattative che portano alla formazione del contratto.
Sull’argomento la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. III, sentenza 08/10/2008, n. 24795) ha precisato che “la regola posta dall'art. 1337 cod. civ. non si riferisce alla sola ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative ma ha valore di clausola generale, il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso ed implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l'ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto. Ne consegue che la violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell'altrui comportamento scorretto”.
Come si vede, dunque, per comprendere se una parte possa interrompere le trattative in corso senza andare incontro a conseguenze come una condanna al risarcimento del danno, bisogna fare una valutazione caso per caso.
Uno degli elementi che può essere necessario verificare è lo stato di avanzamento delle trattative. Infatti sempre la Cassazione (Sez. Lavoro, sentenza 25/01/2012, n. 1051) ha chiarito che “la responsabilità precontrattuale per violazione dell'art. 1337 cod. civ. [...] presuppone che tra le parti siano intercorse trattative per la conclusione di un contratto giunte ad uno stadio tale da giustificare oggettivamente l'affidamento nella conclusione del contratto, inoltre che una delle parti abbia interrotto le trattative così eludendo le ragionevoli aspettative dell'altra, la quale, avendo confidato nella conclusione finale del contratto, sia stata indotta a sostenere spese o a rinunciare ad occasioni più favorevoli, e infine che il comportamento della parte inadempiente sia stato determinato, se non da malafede, almeno da colpa, e non sia quindi assistito da un giusto motivo”.
Nella vicenda descritta nel quesito non sembra che sia stato raggiunto un tale livello delle trattative; inoltre - sempre stando a quanto riferito - risulterebbero emerse in un secondo momento circostanze che potrebbero giustificare un ripensamento, come i maggiori e più onerosi lavori da effettuare su una delle unità immobiliari. Un “passo indietro”, stando così le cose, appare legittimo, ma è bene sempre cercare di compierlo - quando possibile - in accordo con la controparte. Per esempio, se già non è stata fatta, si potrebbe proporre la redazione di una stima del valore degli immobili, che tenga conto anche dei lavori necessari per rimetterli a nuovo. Sembra che, in particolare quest'ultimo elemento, non fosse noto nel momento di avvio delle trattative.

M. P. chiede
lunedì 18/12/2023
“Buongiorno, in qualità di tecnico di parte desidero avere il Vs parere in merito alla vicenda di seguito rappresentata.
Tre fratelli Tizio, Caio e Sempronio ricevono in eredità una casa ed un terreno agricolo.
A luglio dello scorso anno ne determinano i valori al fine di vendere i beni quanto prima, nella stima, in comune accordo, alla casa è stato assegnato un valore doppio (350.000 euro) del valore del terreno agricolo (175.000 euro).
A dicembre dello scorso anno, visto che il mercato era poco recettivo, Tizio chiede ai fratelli la divisione per stralcio della sua quota tenendo per sè l’assegnanzione del terreno e assumendosi nel contempo tutte le spese inerenti la pratica (accertamenti, notaio ecc).
Dapprima la domanda è stata solo verbale e successivamente, a seguito della richiesta formale dei fratelli Caio e Sempronio, è stata dallo scrivente formalizzata e trasmessa per raccomandata alle parti.
Alle successive riunioni Caio e Sempronio sembravano d’accordo o quanto meno non manifestano alcuna contrarietà, come si evince anche dalle varie mail intercorse tra gli eredi nelle quali si indicava: il notaio scelto, le tempistiche e si richiedono i documenti di rito necessari.
Successivamente, venuto il momento, della consegna dei documenti al Notaio e di fissare la data del rogito Sempronio e Caio si sono tirato indietro, senza addurre alcuna motivazione (valori o assegni sbagliati ecc).
Importante precisare che tutte le mail intercorse venivano inviate regolarmente a tutti tre i fratelli sia da Tizio che da Caio mentre Sempronio le leggeva ma non partecipava attivamente alle missive tanto che in alcuni casi Caio sembra rappresentare anche la volontà di Sempronio nei suoi scritti.
Nei mesi successivi Sempronio e Caio condussero varie trattative per la vendita della casa allo scuro di Tizio, tanto che in un caso il promittente acquirente è giunto a convocare Tizio al fine di sottoporgli il preliminare di vendita con non poca sorpresa ed imbarazzo delle parti.
Ora ad un anno di distanza e dopo aver fatto più tentativi di vendita della casa per proprio conto fratelli Sempronio e Caio acconsentono nuovamente alla divisione parziale a patto che vi sia un congruo conguaglio in loro favore, pertanto il mio assistito Tizio chiede se è percorribile una’azione legale contro i fratelli al fine di costringerli a mantenere la parola a suo tempo data, sulla base di un’accettazione di fatto della divisione o su altra interpretazione da voi suggerita.

Sperando in una chiara e comprensiva esposizione ringrazio e saluto.”
Consulenza legale i 26/12/2023
La questione che si chiede di analizzare attiene sostanzialmente al problema delle trattative e degli effetti che le stesse possono produrre tra le parti.
E’ ben noto che per giungere alla stipulazione di qualunque contratto si rende molto spesso necessario un periodo di trattative, sia per negoziare il contenuto degli accordi che si vanno formando sia per svolgere eventuali accertamenti tecnici e legali che possono rilevarsi utili per una o tutte le parti al fine di valutare la convenienza dell’affare.
Ora, nel corso di tali trattative le parti sono del tutto libere di decidere se concludere o meno il contratto finale, ma ciò non esclude che le stesse debbano comportarsi secondo buona fede, come prescritto dall’art. 1337 c.c.
E’ questo un preciso dovere giuridico che sorge in capo alle parti per il solo fatto di aver intrapreso un negoziato volto a concludere un contratto, con la conseguenza che nel momento in cui una delle parti violi tale dovere, finisce per incorrere in un particolare tipo di responsabilità, definita come responsabilità precontrattuale o culpa in contrahendo.

Diverse sono le condotte che possono dar luogo a tale forma di responsabilità e tra queste, traendo spunto dalla casistica giurisprudenziale, si annovera proprio il caso dell’abbandono ingiustificato della trattativa.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, infatti, trasgredisce l’obbligo di comportarsi secondo buona fede la parte che, avendo le trattative raggiunto un punto tale da determinare un ragionevole affidamento circa la conclusione del contratto, decida ad un certo punto di interromperle senza addurre alcun giustificato motivo (così Cass. 26.02.2013 n. 4802).
In tal caso, sempre secondo quanto affermato dalla giurisprudenza, la parte che si ritragga abusivamente dalla trattativa sarà tenuta a risarcire all’altra parte i danni conseguenti alla frustrazione dell’affidamento, quali possono essere, a titolo meramente esemplificativo, le spese che quest’ultima fosse stata costretta a sostenere in vista della conclusione del contratto e che non avrebbe affrontato se non avesse confidato nella stipulazione dell’accordo.

Discussa è la qualificazione giuridica che va riconosciuta a tale forma di responsabilità, in quanto, mentre secondo una tesi sostenuta da parte della giurisprudenza (così Cass. SS.UU. sent. n. 9645 del 16.07.2001) si tratta di una ipotesi di responsabilità aquiliana o extracontrattuale (trovando fondamento nella violazione del generale principio del neminem ledere), secondo una tesi più recente, accolta sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza (così Cass. 12.07.2016 n. 14188) si tratta di una ipotesi di responsabilità per inadempimento di una obbligazione avente fonte legale e, dunque, soggetta alle regole di cui agli artt. 1218 e ss. c.c.
In forza di questa seconda tesi, sussiste un obbligo giuridico, che trova fondamento negli artt. 1337 e 1338 c.c., idoneo a costituire fonte di obbligazione ex art. 1173 del c.c., che impone a ciascuna delle parti, coinvolte in una trattativa prenegoziale, di comportarsi, per tutto lo svolgimento delle trattative, in modo corretto e conforme a buona fede: una condotta scorretta, pertanto, costituisce inadempimento del suddetto obbligo giuridico di condotta.

Per quanto concerne la tipologia di danni risarcibili in caso di culpa in contrahendo, è evidente che si tratta di danni diversi da quelli dovuti nell’ipotesi di inadempimento di un contratto.
Infatti, mentre in caso di inadempimento risulta leso l’interesse positivo all’esecuzione della prestazione dovuta in forza del contratto (pertanto, il risarcimento si commisura al danno subito dal contraente per non aver ricevuto la prestazione a cui aveva contrattualmente diritto), nel diverso caso in cui non vengano osservati i doveri che la legge impone durante le trattative (e, dunque, in caso di abusiva interruzione delle trattative), la parte che ne sia stata vittima può lamentare la lesione dell’interesse a non iniziare le trattative che le hanno fatto perdere tempo e procurato delle spese risultate poi inutili a causa della condotta scorretta dell’altra parte (si parla in questo caso di c.d. interesse negativo risarcibile).

Inoltre, sempre in caso di culpa in contrahendo, è possibile chiedere il risarcimento discendente dall’eventuale mancato guadagno, che ovviamente dovrà essere correttamente individuato. Ciò significa che colui il quale abbia vanamente confidato nel buon esito di una trattativa, può vantare il diritto di essere risarcito per la perdita del vantaggio che avrebbe potuto conseguire se, invece di impiegare la sua attività nella trattativa fallita, si fosse dedicato ad altre contrattazioni, dalle quali avrebbe potuto trarre un determinato profitto.

E’ soltanto in questi termini, ovvero come responsabilità da culpa in contrahendo, che si può pensare di chiedere un risarcimento agli altri fratelli impegnati in quella trattativa che avrebbe condotto alla stralcio divisionale della propria quota e che ad un certo punto, senza alcuna valida giustificazione, hanno deciso di interrompere.
Non sussistono, invece, nel caso in esame i presupposti per costringere Caio e Sempronio a concludere la trattativa e giungere alla stipula del contratto definitivo.
Un tale diritto, infatti, potrebbe soltanto vantarsi allorchè le parti avessero concluso quantomeno un preliminare di divisione, nel qual caso Tizio avrebbe potuto adire il Tribunale competente chiedendo l’emanazione di una sentenza ex art. 2932 del c.c., che tenesse luogo del contratto di divisione dei beni ereditari, secondo quanto stabilito nel preliminare concluso e sottoscritto.


A. M. chiede
martedì 14/06/2022 - Lombardia
“Buongiorno,
Ad aprile 2021 ho stipulato con XXX un’assicurazione a vita a premi ricorrenti. L’agente che mi aveva fatto sottoscrivere il contratto mi aveva garantito che in alcuni casi di necessità (nascita di un figlio, acquisto prima casa, perdita del lavoro…) avrei potuto riscattare anticipatamente l’assicurazione (riscatto totale agevolato) in qualsiasi momento e senza condizioni: a mia domanda esplicita, fatta più di una volta, aveva confermato, ed è proprio per questo che ho accettato e firmato.
Avendo perso il lavoro il mese scorso, mi sono recato oggi nell’agenzia dove avevo stipulato la polizza, e scopro dal consulente (un’altra persona rispetto all’agente che mi ha fatto stipulare) che nemmeno in questo caso posso riscattare se non ho versato almeno le prime due annualità di premi. Quindi non si può perdere il lavoro prima che siano passati due anni dalla stipula? Come se potessi decidere io quando perderlo: mi pare assurdo. Sul contratto questo non viene specificato nel paragrafo dedicato al riscatto agevolato (cioè il mio caso). Solo nel paragrafo iniziale dell’articolo, in cui si parla del riscatto in generale, viene citato il limite delle prime 2 annualità. Nel paragrafo dedicato al riscatto agevolato si fa riferimento generico soltanto al caso in cui non siano ancora “state interamente versate le prime 7 annualità di premio”.
Inoltre, il consulente mi ha consigliato di interrompere i versamenti (non avendo più io un lavoro) ed effettuarli in maniera dilazionata, “appena ho liquidità, non lasciando passare più di 5-6 mesi tra l’uno e l’altro”: sul contratto leggo però che trascorsi 30 giorni dalla prima rata non versata “l’assicurazione si estingue e i premi versati sono acquisiti da XXX”… mi chiedo se questo “consiglio” non sia in realtà malafede nella speranza che io non vada a leggermi il contratto. Le mie domande sono quindi: 1) davvero non posso riscattare anticipatamente la polizza avendo perso il lavoro? 2) Il “consiglio” datomi oggi dal consulente dell’agenzia di interrompere i versamenti mensili e dilazionarli di 3-4 mesi è in realtà fraudolento?
Allego il documento informativo precontrattuale e il contratto della polizza.
Grazie e cordiali saluti”
Consulenza legale i 28/06/2022
Il caso che occupa attiene all’ambito civilistico del contratto di assicurazione, normativamente previsto dall’art. 1892 del c.c., il quale prevede che: “l’assicurazione è il contratto con il quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuto, dal danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana”.
Ogni contratto di assicurazione, dunque, può avere ad oggetto molteplici circostanze della vita (morte/infortunio/accantonamento somme/ecc.) e trova la sua specifica disciplina nelle condizioni generali di assicurazione allegate al contratto che viene sottoscritto tra contraente e compagnia di assicurazione.

Nel caso di specie, è stato stipulato un contratto di assicurazione sulla vita che è un tipo di contratto assicurativo che prevede la liquidazione di un capitale o di una rendita per il caso in cui il sottoscrittore sia ancora vivo al momento della scadenza. Questa polizza viene utilizzata soprattutto come capitale a disposizione in caso di necessità o come pensione integrativa.
Il riscatto della polizza caso vita e la contemporanea restituzione delle somme versate può essere richiesta prima della naturale estinzione del contratto.
Nel contratto di assicurazione vita può essere prevista la possibilità di usufruire del riscatto parziale o totale delle somme già versate.
Per "riscatto" si intende la richiesta di restituzione della somma accumulata prima della scadenza temporale della polizza stessa e a prescindere dal verificarsi o meno dell'evento per la quale era stata stipulata la polizza. Con "riscatto totale" si intende la restituzione di tutto il capitale già versato, mentre l'opzione di estinzione anticipata parziale può riguardare soltanto una parte delle somme già versate.

Non tutte le compagnie assicurative prevedono la possibilità di richiedere il riscatto anticipato, quindi, al momento della sottoscrizione, è opportuno verificare che questa opzione sia contemplata ed a quali condizioni soggiace.
Nel caso che occupa, si sono potute esaminare le condizioni generali di assicurazione relative al contratto sottoscritto e, per quanto riguarda la possibilità di riscatto anticipato, deve effettivamente rilevarsi che nelle condizioni di assicurazione è esplicitamente previsto che: "Riscatti e riduzioni sono previsti per l’assicurazione principale, purché siano versate almeno le prime 2 annualità di premio e l’assicurato sia in vita. Per gli eventuali premi unici il riscatto può essere chiesto dopo un anno dalla decorrenza del contratto e senza applicazione dei costi di riduzione.".
Dunque si può dire che correttamente l’Assicurazione ha negato la possibilità di riscatto anticipato, essendo stato versato solo il premio al momento della stipula del contratto e quindi non le due annualità come contrattualmente previsto.
Sicuramente nel contratto sottoscritto, che però non si è avuto modo di analizzare, vi è il richiamo esplicito alle Condizioni di assicurazione ed è molto probabile che il contraente abbia dichiarato di averne preso visione e di averne ricevuto copia. L’averlo dichiarato e sottoscritto equivale ad avere una piena conoscenza delle stesse per cui, ora, l’assicurato non può efficacemente sostenere di non averle conosciute o che gli fosse stato detto diversamente dal primo agente con cui si era relazionato.

Se si provvedesse a versare la seconda annualità entro la scadenza prevista, la facoltà di recesso contrattualmente prevista dovrebbe essere concessa entro i limiti e le penali di cui alla polizza stessa.
Quindi, per non far sì che la polizza si estingua e la Compagnia trattenga il premio versato, si ritiene utile non sospendere il pagamento del premio per non ‘perdere’ quanto già corrisposto.

Con riguardo, poi, alla possibilità di chiedere l’annullamento del contratto si rileva quanto segue.
In generale, vige in capo agli intermediari assicurativi l’obbligo di osservare i principi di buona fede e correttezza ex artt. 1175 c.c., 1375 c.c. e 1337 c.c. nell’esecuzione del contratto.
Il dovere di correttezza, in materia assicurativa, impone all’assicuratore e ai suoi intermediari o incaricati due precisi obblighi:
  • proporre prodotti assicurativi utili, cioè coerenti con il profilo di rischio o con gli intenti previdenziali del contraente;
  • mettere il contraente in condizione di operare una scelta consapevole e dunque informarlo in modo esaustivo sulle caratteristiche del prodotto, nulla lasciando di occulto.
Se l’assicuratore non fa ciò, la sua condotta è da considerarsi negligente ex art. 1176, comma 2, c.c. (Cass. Civ. sentenza n. 8412/2015).
Per chiedere l’annullamento del contratto è necessario, tuttavia, provare la sussistenza del dolo, che consiste in quegli artifici e raggiri usati da una parte per convincere l’altra a concludere il contratto, e tale prova potrebbe essere efficacemente data solo attraverso dei testimoni.
Si dovrebbe provare, dunque, il dolo dell’agente che ha proposto la polizza e l’ha fatta sottoscrivere mentendo o tacitando delle informazioni essenziali alla luce delle prospettazioni dell’assicurando, anche e soprattutto con riferimento alla probabile perdita del lavoro entro un anno e quindi alla effettiva possibilità di avvalersi del recesso anticipato in qualsiasi momento.
Se tale prova non può essere fornita attraverso testimoni, si ritiene molto complesso poter sostenere in giudizio la fondatezza di una domanda di annullamento del contratto. Viceversa, se c'è qualcuno che può testimoniare rispetto al comportamento scorretto del primo agente, che ha sviato il contraente, facendogli credere qualcosa di diverso rispetto a quanto previsto dalle condizioni generali, si potrebbe pensare di agire per chiedere l'annullamento del contratto o, quanto meno, il risarcimento dei danni a titolo di responsabilità pre-contrattuale ex art. 1337 c.c.

Roberto D. S. chiede
mercoledì 14/10/2020 - Abruzzo
“Stimatissima Redazione, premesso che dalla data di stipula del 2018 in realtà nessun godimento è intervenuto in favore della Rossi srl, posto che il bar nel contempo era gestito sempre dal terzo, a questo punto chiederei se, nel valutare i pro e i contro di un eventuale giudizio, sarebbe opportuno che la ripetuta Rossi s.r.l. possa far valere una responsabilità risarcitoria del locatore per violazione dell'art. 1375 c.c. e/o una responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. in relazione alla mancata stipula del contratto di affitto d'azienda con il terzo, avvenuta "scavalcando" la Rossi s.r.l.
(come da Vs indicazioni del 13.1.0.2020 - consulenza n. Q202026201)
Consulenza legale i 21/10/2020
Com’è noto, l’art. 1375 del c.c. stabilisce il principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede. Si tratta naturalmente di norma volta a disciplinare i rapporti tra le parti del contratto già concluso. Tuttavia nella precedente consulenza si è visto come il contratto di locazione commerciale tra la Rossi s.r.l. e il proprietario Sempronio, salva eventuale sanatoria, sarebbe nullo perché non registrato.
Appare, semmai, sicuramente più pertinente il richiamo all’art. 1337 del c.c., secondo cui le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede.
Ancora una volta abbiamo una specifica declinazione del principio di buona fede, riferita però ad una fase in cui il contratto non è ancora venuto ad esistenza.
Tra le ipotesi di responsabilità precontrattuale vi è, appunto, la rottura ingiustificata delle trattative.
Circa i presupposti e i limiti della responsabilità precontrattuale, la giurisprudenza ha chiarito che “per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale occorre che tra le parti siano in corso trattative; che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l'altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità; che, infine, pur nell'ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto” (così Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 7545/2016).
Nel nostro caso, tale responsabilità coinvolgerebbe sia il proprietario dell'immobile, sia l’aspirante affittuario, i quali a un certo punto hanno di fatto estromesso dall'accordo il precedente conduttore. Tuttavia, se da un punto di vista teorico il comportamento tenuto dal proprietario e dal terzo risulta indubbiamente scorretto, e pur apparendo esistenti, almeno prima facie, i presupposti della responsabilità contrattuale, a livello pratico risulterà difficile provare detta responsabilità, trattandosi di accordi intercorsi solo a livello verbale (come è stato precisato nella consulenza già resa).

Elia T. chiede
mercoledì 06/03/2019 - Lazio
“PROPOSTA D’ACQUISTO

Si riportano i seguenti punti della proposta d’acquisto immobiliare da me accettata in data 3 luglio 2018 (tra virgolette le inadempienze).
2. – Prezzo di acquisto offerto e condizioni di pagamento)
…..
Il prezzo è pattuito a corpo e non a misura e verrà corrisposto come segue
a) - € 5.000 (cinquemila/00) vengono versati alla firma della presente proposta con assegno bancario non trasferibile n. ....... tratto su Banca ....... intestato al VENDITORE e rilasciato all’AGENTE IMMOBILIARE con l’incarico di consegnarlo alla parte venditrice all’accettazione della presente proposta d’acquisto (art. 1385 c.c.).
b) – non riempito
La somma di cui al punto a), o al punto b) ove prevista, diverrà caparra confirmatoria (art. 1385) c.c.) con l’avvenuta conoscenza, da parte del proponente, dell’accettazione della presente proposta d’acquisto, che costituirà quindi contratto preliminare.
“Assegno mai consegnato al venditore”
c)- € 10.000 (diecimila/00) verranno versati alla parte venditrice a titolo di acconto prezzo entro il 23/07/2018 data entro la quale verrà redatta una eventuale ulteriore scrittura privata. In tale occasione, sarà facoltà delle parti riprodurre il contenuto della proposta d’acquisto, al fine di aggiungervi gli aspetti accessori non espressamente previsti dall’art. 1325 c.c.
“Somma mai versata”
d) …. la somma rimanente (?) verrà corrisposta alla sottoscrizione del rogito notarile di compravendita…
3) Atto notarile consegna dell’immobile
L’atto notarile verrà stipulato entro il 31 ottobre 2018 nello Studio Notarile… .
“Impossibilità di stipulare l’atto notarile per la sopraggiunta necessaria regolarizzazione dell’immobile secondo la normativa edilizia.”
…..
NOTE:
La presente proposta è subordinata alla delibera del mutuo: La parte acquirente si impegna a inviare telegramma all’Agenzia Immobiliare comunicando l’avvenuta delibera entro il 23/07/2018.

“Telegramma non pervenuto per quella data ma neanche successivamente.”

PASSAGGI SUCCESSIVI

In relazione al punto 3) (e mancata stipula) solo successivamente alla proposta d’acquisto (e precisamente il 3/09/2018) mi è sta chiesta una planimetria catastale conforme all’attuale situazione dell’appartamento, malgrado l’incarico di mediazione all’Agenzia Immobiliare sia stato da me conferito il 3 gennaio 2018, con la consegna contestuale di copia dell’atto di compravendita (del 9 giugno 2010), del contratto comprovante il residuo mutuo e dell’attestato di certificazione energetica.
Tale contrattempo è derivato in buona parte, per quanto mi riguarda, dalla dichiarazione del precedente proprietario riportata nel suddetto atto di compravendita: “…il fabbricato di cui fanno parte le porzioni immobiliari alienate con il presente atto …è stato ….. dichiarato abitabile con licenza n. 147 del 17 aprile 1970… e che successivamente a tale data alle porzioni immobiliari stesse non sono state apportate modifiche o eseguiti lavori suscettibili di sanatoria”. Non mi aspettavo certo dichiarazioni false in un atto pubblico!
Dalla visura storica per immobile è risultata invece la presenza di una fusione con altro appartamento (05/06/1985) e successivo frazionamento (11/06/2002) e spostamento di porte. Per sanare la situazione, in assenza di titoli edilizi comprovanti le varie modifiche apportate si è dovuto fare la sanatoria rispetto all’unico titolo edilizio esistente: il progetto di costruzione.
Sanatoria conclusasi con l’aggiornamento catastale del 20/12/2018.
Anche per i tempi biblici dovuti alla burocrazia chiedo con raccomandata A/R del 31 ottobre 2018 all’Agenzia Immobiliare e alla parte acquirente se avessero intenzione di confermare la proposta d’acquisto e, in caso affermativo, la stipula del contratto preliminare.
In data 26 novembre 2018 viene concordato tra le parti di rinviare il termine per la stipula del contratto preliminare entro e non oltre la data del 15/01/2019 mentre quella dell’atto definitivo di compravendita entro e non oltre la data del 30/04/2019.
“Nessun atto è stato stipulato il 15/01/2019.”
A seguito di sollecito verbale, la risposta da parte dell’Agenzia Immobiliare è stata: dato che la proposta è subordinata alla delibera del mutuo (vedi NOTA nelle condizioni della proposta): niente contratto preliminare – niente caparra (punto 2a) – niente somma in acconto (punto 2c)!

E’ ANCORA VALIDA LA PROPOSTA D’ACQUISTO?
COSA POSSO FARE PER PORRE UN TERMINE A QUESTA SITUAZIONE SENZA INCORRERE IN PENALI DI QUALSIASI GENERE?”
Consulenza legale i 21/03/2019
Al di là dei singoli inadempimenti (mancata consegna e/o pagamento degli assegni), pare evidente che nel caso in esame la questione fondamentale ruoti attorno alla nota alla proposta contrattuale secondo la quale la validità ed efficacia di quest'ultima era subordinata non solo alla delibera del mutuo da parte della Banca ma altresì al rispetto di un determinato termine per l'ottenimento della medesima.

Da quanto è scritto nel quesito parrebbe proprio che la condizione non si sia avverata, il che ha determinato la caducazione della proposta, o meglio del contratto preliminare. Parliamo già, infatti, di preliminare e non più di proposta poiché l'accordo prevedeva che l’accettazione di quest'ultima avrebbe trasformato la stessa in un vero e proprio preliminare.
Pertanto, il contratto preliminare risultava già sottoscritto alla data dell’accettazione della proposta (3/7/2018) anche se la sua efficacia è rimasta comunque subordinata alla condizione sospensiva (ovvero l’efficacia del contratto è “sospesa” fino all’avveramento della condizione) dell’ottenimento del mutuo entro una certa data, condizione che non si è avverata (o almeno così è lecito presumere dalle poche informazioni fornite al riguardo).

Correttamente, dunque, l’agente immobiliare nega ora la corresponsione di qualsivoglia somma, dal momento che la nota contrattuale contenente la condizione è molto chiara.

A novembre 2018 le parti hanno stipulato un nuovo accordo scritto, nel quale si fa riferimento alla proposta a suo tempo accettata - ma che ora, lo si ripete, non ha più effetti dal momento che la condizione sospensiva cui era subordinata non si è avverata - e con il quale esse definiscono nuove date sia per la stipula di un preliminare che del contratto definitivo di compravendita.
Ora, la mancata stipula del preliminare alla scadenza concordata comporta un inadempimento a carico della parte alla cui colpevole condotta è riconducibile la mancata sottoscrizione e che - parrebbe di capire tra le righe - è la parte promissaria acquirente.

La risposta alla domanda, in conclusione, è che la proposta di acquisto iniziale non è più valida, per l'anzidetto motivo del mancato avveramento della condizione.
Tuttavia, il mancato adempimento dell'ultimo accordo siglato tra le parti, che si obbligavano reciprocamente al rispetto di un determinato termine per contrarre, tenendo conto della dinamica dei fatti, potrebbe comportare, ad avviso di chi scrive, una responsabilità ai sensi dell’art. 1337 c.c. per mancanza di buona fede e correttezza nello svolgimento delle trattative e/o nella formazione del contratto a carico della parte promissaria acquirente.
La norma citata, infatti, tutela il generale principio della buona fede e stabilisce una regola di condotta che le parti che dialogano per la stipula di un contratto devono osservare. E’ evidente che si tratta di una clausola generale, che ricomprende tutta una serie di comportamenti diversi tra loro, non suscettibili di essere elencati in modo completo ed esaustivo. La valutazione va fatta caso per caso, dal giudice.

Tuttavia, sono stati individuati dalla giurisprudenza - sulla base di questa norma - tutta una serie di doveri precontrattuali, come ad esempio quelli di informazione, di chiarezza, di compiere gli atti necessari per l'efficacia e validità del contratto, etc., che nel caso di specie pare non siano stati osservati dalla controparte, la quale potrebbe dunque essere tenuta a risarcire l'ex promittente venditore per i danni subìti.
Tali danni si sostanziano non solo nel rimborso di tutte le spese inutilmente sostenute in relazione alle trattative ma altresì alle perdite eventualmente sofferte dalla parte danneggiata per non aver usufruito delle occasioni, presentatesi nel corso delle trattative, di stipulare altri contratti dal contenuto simile o uguale, o addirittura più vantaggiosi, rispetto a quello non concluso.

Gabriele G. chiede
lunedì 18/02/2019 - Veneto
“Buonasera

Vi scrivo poiché a seguito della mia intenzione di vendere una delle mie automobili e pubblicazione sui principali siti di compravendita ad un prezzo esiguo sono stato contattato da diversi soggetti interessati. In particolare un signore da Padova e uno da Roma. Ebbene, avendomi il signore da Roma scritto "se non l’hai venduta per domenica chiamami al xxxx che salgo su e la compro" lo chiamavo nella giornata di sabato per comunicargli che sì, sarebbero venute altre persone a vederla ma in quel particolare momento l'auto era ancora disponibile. Procedeva con offrirmi una somma inferiore a quanto richiesto e a darmi disponibilità per iniziare il viaggio in treno il lunedì mattina per venire a vederla. Comunicavo che avrei preferito trattare di persona e che lo avrei aspettato alla stazione.
Il giorno seguente (domenica) venivo contattato dal secondo signore che dimostrava interesse per la stessa auto al prezzo pubblicato. Messo a conoscenza dell'altra persona interessata mi chiedeva se ci fosse un contratto in essere e/o il deposito di una caparra al che, rispondendo negativamente, mi esortava ad accettare la sua caparra (1/6 del valore del bene). Convinto della bontà del ragionamento accettavo la caparra e comunicavo, alla sera della domenica, al signore di roma che il veicolo non era più disponibile. Inutile dire che seguirono messaggi stizziti che alludevano ad azioni legali nei miei confronti per danni causati dall'acquisto dei biglietti (rimborsabili credo), il mancato acquisto di un altra automobile e impegni di lavoro del lunedì annullati per intraprendere il viaggio.
Vorrei capire quanto di questi fantomatici danni sia davvero a me imputabile, vista la completa mancanza di un vero accordo scritto, ma anche verbale, mancando un accettazione della somma, mancando la richiesta da parte del compratore di rimuovere l'inserzione e mancando testimoni per quanto verbalmente intercorso.
Resto a disposizione per eventuali chiarimenti.

Cordialmente

Gabriele”
Consulenza legale i 19/02/2019
Nel diritto civile, uno dei principi basilari è quello relativo all’onere della prova consacrato nell’art. 2697 c.c secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Quando si tratta di risarcimento danni “Ai fini dell’affermazione della responsabilità, sia in materia contrattuale che extracontrattuale, si richiede il nesso di causalità tra l'inadempimento o il fatto illecito e il danno e l'onere della dimostrazione di tale nesso, sia in materia contrattuale che extracontrattuale, è a carico di colui che agisce per il risarcimento.” (Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza n. 28995/17).
Insomma, non basta affermare di aver avuto un danno ma bisogna anche dimostrare che quel danno sia conseguenza di un inadempimento contrattuale oppure di un comportamento contrario alla legge.

Fermo quanto precede, un altro fondamentale principio in ambito contrattuale è quello sancito nell’art. 1337 c.c.: le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto , devono comportarsi secondo buona fede .
Ciò significa che chi ha creato nella controparte un legittimo affidamento in ordine alla conclusione di un contratto e recede senza giustificazioni potrebbe essere tenuta al risarcimento del danno.
Sul punto citiamo la seguente massima della Suprema Corte: “La responsabilità precontrattuale per violazione dell'art. 1337 cod. civ. [...]presuppone che tra le parti siano intercorse trattative per la conclusione di un contratto giunte ad uno stadio tale da giustificare oggettivamente l'affidamento nella conclusione del contratto, inoltre che una delle parti abbia interrotto le trattative così eludendo le ragionevoli aspettative dell'altra, la quale, avendo confidato nella conclusione finale del contratto, sia stata indotta a sostenere spese o a rinunciare ad occasioni più favorevoli, e infine che il comportamento della parte inadempiente sia stato determinato, se non da malafede, almeno da colpa, e non sia quindi assistito da un giusto motivo.” (sentenza n.1051/2012).
Il danno risarcibile, laddove vi sia stata una violazione della buona fede, viene individuato nei limiti del c.d. interesse negativo e cioè il pregiudizio che il soggetto subisce per avere inutilmente confidato nella conclusione del contratto: sia sotto il profilo del danno emergente (ad esempio, spese assunte nel corso delle trattative) che quello del lucro cessante (ad esempio, altri affari che avrebbe potuto fare).

Tutto ciò premesso da un punto di vista teorico, passando allo specifico del caso in esame si osserva quanto segue.

Lo scambio di messaggi in ordine alla compravendita dell’autovettura appare integrare delle trattative. Quindi non ha rilevanza la circostanza che non vi sia stato un vero e proprio accordo scritto.
Tuttavia, da quello che possiamo dedurre dalla mera lettura del quesito, non si può dire che vi sia stato un legittimo affidamento della controparte alla conclusione dell’affare in quanto era stato specificatamente fatto presente che si preferiva una trattativa di persona e che vi erano altre persone interessate all’acquisto.
Inoltre, il viaggio sarebbe stato fatto solo per vedere dal vivo l’autovettura.
In sostanza, non appare esservi stata da parte Sua un comportamento contrario alla buona fede.
Tutt’al più, si potrebbe ravvisare una certa leggerezza.

In ogni caso, anche volendo ipotizzare (ma, lo ripetiamo, a parere di chi scrive non è così) una mancanza di buona fede nelle trattative e una Sua “colpa” nella mancata conclusione dell’affare, qualsiasi danno subito dovrebbe essere provato dalla controparte.
Nel caso in esame, quindi, chi minaccia azione per danni dovrebbe provare che il mancato acquisto di un’altra automobile sia diretta conseguenza delle trattative con Lei intercorse e che gli impegni di lavoro annullati debbano aver determinato un danno da lucro cessante.
Insomma, quanto minacciato dal potenziale acquirente appare abbastanza infondato e pretestuoso.

Andrea chiede
venerdì 16/10/2015 - Basilicata
“Ho acquistato un terreno a Luglio 2013 tramite regolare rogito. Il terreno è libero da servitù e prelazioni. Subito dopo con i vicini abbiamo intavolato una trattativa per la vendita da parte nostra di una piccola porzione prospiciente la loro abitazione ma separata dalla strada comunale. La trattativa non è andata a buon fine in quanto i vicini non hanno accettato delle servitù che avrei messo nel rogito a mia tutela del panorama e del decoro.
Prima del fallimento della trattativa, in buona fede avevo provveduto a frazionare il terreno identificando così la nuova particella a loro destinata. Il frazionamento ovviamente è stato firmato solo da me in quanto proprietario legittimo ma la fattura è stata emessa dal geometra a suo nome e pagata da lui. A trattativa fallita ho comunicato di volergli restituite i soldi ma il vicino si è sempre rifiutato.
Poiché sono sicuro che il loro legale di fiducia adirà a qualche azione legale pur di cercare di ottenere qualcosa, vorrei ricevere Vs. stimato parere in merito a quali possono essere (sempre se vi sono) appigli per rivendicare la mancata vendita. So che esiste la cosiddetta responsabilità precontrattuale ma credo che, al di là di impormi la restituzione del pagamento della fattura eventualmente con gli interessi, non possano rivendicare altro.
Preciso che ovviamente non ho stipulato nessun contratto preliminare o scrittura privata e dunque la trattiva si è svolta unicamente a voce.”
Consulenza legale i 16/10/2015
Nel caso di specie, è stata instaurata una trattativa per la vendita di una porzione di terreno, interrotta perché le parti non sono riuscite a trovare un accordo rispetto ad alcuni aspetti della cessione. Non esiste alcun impegno scritto, poiché la trattativa si è svolta solo oralmente.
Pertanto, l'unica responsabilità che può rilevare nel caso di specie è quella precontrattuale, come esattamente prospettato nel quesito.

La disciplina di tale tipo di responsabilità è succintamente contenuta nell'art. 1337 c.c., che si limita a dire: "Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede".

La tutela precontrattuale non mira a salvaguardare l'interesse all'adempimento del futuro accordo, bensì l'interesse del soggetto a non essere coinvolto in trattative inutili, a non stipulare contratti invalidi o inefficaci e a non subire coartazioni o inganni in ordine ad atti negoziali.
Se le trattative sono fallite, ma il contraente si è comportato secondo buona fede, mostrando sin da subito le proprie intenzioni e non celando alcun dettaglio importante, la responsabilità precontrattuale non può configurarsi: essa presuppone un comportamento almeno colposo della parte (cioè una mancanza di diligenza), la quale, ad esempio, porta avanti le trattative senza verificare le sue concrete possibilità di impegnarsi.

La dottrina e la giurisprudenza hanno individuato alcune ipotesi specifiche di responsabilità precontrattuale:
1. Violazione del dovere di buona fede: alla parte si impone di comportarsi lealmente e di attivarsi per salvaguardare l'utilità dell'altra, entro i limiti di un apprezzabile sacrificio. In particolare è richiesto che la parte:
- informi l'altra sulle circostanze di rilievo che attengono all'affare;
- utilizzi un linguaggio chiaro, suscettibile di essere compreso pienamente dalla controparte;
- non diffonda segreti appresi nel corso delle trattative;
- compia tutti gli atti che per parte sua sono necessari per la validità o l'efficacia del contratto.
2. Recesso ingiustificato dalle trattative: si ha quando il contraente recede senza una valida giustificazione da trattative condotte fino al punto da indurre l'altra parte a confidare ragionevolmente nella conclusione del contratto.
3. Stipulazione di un contratto invalido o inefficace (non attiene al nostro caso).
4. Violenza, dolo, colposa induzione in errore (non attiene al nostro caso).

Il danno risarcibile è limitato al c.d. interesse negativo, cioè all'interesse del soggetto a non essere leso nell'esercizio della sua libertà negoziale. esso consiste in:
1) spese inutilmente erogate (es. costi sostenuti per lo svolgimento della trattativa, come viaggi, redazione di progetti, etc.; costi sostenuti per eseguire la prestazione, come acquisto di attrezzature, etc.);
2) perdita di favorevoli occasioni contrattuali (possibilità vantaggiose sfuggite al contraente a causa dell'inutile trattativa o dell'invalidità del contratto).

La vicenda in esame, dalla descrizione dei fatti, non sembra concretizzare una responsabilità precontrattuale in capo alla parte promittente venditrice, sempre che questa abbia chiarito fin da subito quali fossero le condizioni per la cessione del terreno, manifestando fin da subito le intenzioni relative al contenuto del contratto da stipulare.
Per questo motivo, la controparte potrebbe chiedere il rimborso della somma sostenuta per il frazionamento solo provando che in effetti colui che avrebbe venduto si sia comportato in modo tale da provocare l'interruzione delle trattative: in altre parole, le spese sostenute inutilmente dalla parte, sono risarcibili solo se l'altra può dirsi colpevole di responsabilità precontrattuale. Altrimenti, l'inutile esborso confluisce nell'area del rischio contrattuale che può sempre aversi quando un soggetto si esponga a rapporti giuridici con altri. Tutt'al più, si potrà valutare se si tratti di un ingiustificato arricchimento ai sensi dell'art. 2041 c.c., posto che il frazionamento potrebbe giovare al proprietario, che si sarebbe "avvantaggiato" della spesa sostenuta da altri.

Si ritiene, quindi, che il vicino, promissario acquirente, non abbia altre "armi" con cui aggredire la controparte, se non, appunto, l'accusa di responsabilità precontrattuale, che nel caso in esame ci sembra difettare. Comunque, potrebbe chiedere solo le spese inutilmente sborsate per la trattativa (es. spese per il frazionamento), poiché non sembra configurabile la perdita di altre occasioni contrattuali, che deve essere rigorosamente provata in giudizio, se si vuole ottenere il risarcimento.
In assenza di un preliminare di vendita scritto - va ricordato che la forma scritta è richiesta a pena di nullità per gli atti relativi a diritti reali su beni immobili -, non può certo essere adita la via giudiziale prospettata dall'art. 2932 c.c., cioè la domanda volta a chiedere una sentenza che tenga luogo del contratto definitivo non concluso.

Andrea F. chiede
lunedì 23/02/2015 - Veneto
“Stavo contrattando a voce coi vicini la vendita della porzione di un mio terreno, ma la trattativa non è andata a buon fine in quanto i vicini non hanno accettato delle servitù che avrei messo nel rogito a mia tutela.
Nel frattempo in buona fede avevo anche provveduto a frazionare il terreno, identificando così la nuova particella a loro destinata, ma le spese del geometra sono state pagate dal vicino. Gli ho anche detto che gli volevo restituire i soldi, ma lui si è sempre rifiutato.
Temo qualche ritorsione da parte sua. So che esiste la cosiddetta responsabilità precontrattuale ma credo che, al di là di impormi la restituzione del pagamento della fattura eventualmente con gli interessi, non possano rivendicare altro.”
Consulenza legale i 04/03/2015
Nel caso di specie, è stata instaurata una trattativa per la vendita di una porzione di terreno, interrotta perché le parti non sono riuscite a trovare un accordo rispetto ad alcuni aspetti della cessione. Non esiste alcun impegno scritto, poiché la trattativa si è svolta solo oralmente.
Pertanto, l'unica responsabilità che può rilevare nel caso di specie è quella precontrattuale, come esattamente prospettato nel quesito.

La disciplina di tale tipo di responsabilità è succintamente contenuta nell'art. 1337 c.c., che si limita a dire: "Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede".

La tutela precontrattuale non mira a salvaguardare l'interesse all'adempimento del futuro accordo, bensì l'interesse del soggetto a non essere coinvolto in trattative inutili, a non stipulare contratti invalidi o inefficaci e a non subire coartazioni o inganni in ordine ad atti negoziali.
Se le trattative sono fallite, ma il contraente si è comportato secondo buona fede, mostrando sin da subito le proprie intenzioni e non celando alcun dettaglio importante, la responsabilità precontrattuale non può configurarsi: essa presuppone un comportamento almeno colposo della parte (cioè una mancanza di diligenza), la quale, ad esempio, porta avanti le trattative senza verificare le sue concrete possibilità di impegnarsi.

La dottrina e la giurisprudenza hanno individuato alcune ipotesi specifiche di responsabilità precontrattuale:
1. Violazione del dovere di buona fede: alla parte si impone di comportarsi lealmente e di attivarsi per salvaguardare l'utilità dell'altra, entro i limiti di un apprezzabile sacrificio. In particolare è richiesto che la parte:
- informi l'altra sulle circostanze di rilievo che attengono all'affare;
- utilizzi un linguaggio chiaro, suscettibile di essere compreso pienamente dalla controparte;
- non diffonda segreti appresi nel corso delle trattative;
- compia tutti gli atti che per parte sua sono necessari per la validità o l'efficacia del contratto.
2. Recesso ingiustificato dalle trattative: si ha quando il contraente recede senza una valida giustificazione da trattative condotte fino al punto da indurre l'altra parte a confidare ragionevolmente nella conclusione del contratto.
3. Stipulazione di un contratto invalido o inefficace (non attiene al nostro caso).
4. Violenza, dolo, colposa induzione in errore (non attiene al nostro caso).

Il danno risarcibile è limitato al c.d. interesse negativo, cioè all'interesse del soggetto a non essere leso nell'esercizio della sua libertà negoziale. esso consiste in:
1) spese inutilmente erogate (es. costi sostenuti per lo svolgimento della trattativa, come viaggi, redazione di progetti, etc.; costi sostenuti per eseguire la prestazione, come acquisto di attrezzature, etc.);
2) perdita di favorevoli occasioni contrattuali (possibilità vantaggiose sfuggite al contraente a causa dell'inutile trattativa o dell'invalidità del contratto).

La vicenda in esame, dalla descrizione dei fatti, non sembra concretizzare una responsabilità precontrattuale in capo alla parte promittente venditrice, sempre che questa abbia chiarito fin da subito quali fossero le condizioni per la cessione del terreno, manifestando fin da subito le intenzioni relative al contenuto del contratto da stipulare.
Per questo motivo, la controparte potrebbe chiedere il rimborso della somma sostenuta per il frazionamento solo provando che in effetti colui che avrebbe venduto si sia comportato in modo tale da provocare l'interruzione delle trattative: in altre parole, le spese sostenute inutilmente dalla parte, sono risarcibili solo se l'altra può dirsi colpevole di responsabilità precontrattuale. Altrimenti, l'inutile esborso confluisce nell'area del rischio contrattuale che può sempre aversi quando un soggetto si esponga a rapporti giuridici con altri. Tutt'al più, si potrà valutare se si tratti di un ingiustificato arricchimento ai sensi dell'art. 2041 c.c., posto che il frazionamento potrebbe giovare al proprietario, che si sarebbe "avvantaggiato" della spesa sostenuta da altri.

Si ritiene, quindi, che il vicino, promissario acquirente, potrebbe al massimo chiedere le spese inutilmente sborsate per la trattativa (es. spese per il frazionamento), poiché non sembra configurabile la perdita di altre occasioni contrattuali, che deve essere rigorosamente provata in giudizio, se si vuole ottenere il risarcimento.
In assenza di un preliminare di vendita scritto - va ricordato che la forma scritta è richiesta a pena di nullità per gli atti relativi a diritti reali su beni immobili -, non può certo essere adita la via giudiziale prospettata dall'art. 2932 c.c., cioè la domanda volta a chiedere una sentenza che tenga luogo del contratto definitivo non concluso.

Clara chiede
venerdì 29/07/2011 - Lombardia

“Buongiorno,
sono una studentessa, potreste spiegarmi la natura dell'interesse risarcibile? Le mie dispense parlano prima degli interessi negativi e successivamente fanno il collegamento con l'art.1337.
Mi potreste spiegare il collegamento per favore?
Grazie mille.”

Consulenza legale i 02/08/2011
L'art. 1337 del c.c. costituisce applicazione specifica del più generale principio di correttezza che è diretto a improntare dello spirito di buona fede tutto il campo delle obbligazioni. La stessa rubrica dell'articolo in commento è significativa, in quanto richiama testualmente la figura della responsabilità precontrattuale. Incorre, appunto, in una forma di responsabilità in contrahendo la parte che si sia comportata scorrettamente nella fase preparatoria per la conclusione dell'accordo. Violazione della buona fede e responsabilità sono in tal modo testualmente collegate. La responsabilità precontrattuale si suole far rientrare nella categoria della responsabilità extracontrattuale, perché essa trova il suo fondamento nella violazione di un generale dovere di condotta, indipendentemente dalla preesistenza di una specifica obbligazione da adempiere nei confronti di una controparte.
Il risarcimento del danno subito dal contraente nelle ipotesi di attività fatta svolgere con il miraggio di una contrattazione non seriamente ingaggiata, oppure di un ritiro ingiustificato della controparte dalle trattative, viene limitato ai così detti interessi negativi. L'interesse contrattuale negativo (interesse leso come conseguenza di aver fatto il contratto invalido) corrisponde alla diminuzione patrimoniale che il soggetto non avrebbe subìto se non avesse contrattato o non avesse fatto affidamento sullo stato delle trattative (danno emergente) e al vantaggio che perciò avrebbe altrimenti conseguito con un altro contratto (lucro cessante). L'interesse negativo si usa contrapporre all'interesse positivo, corrispondente al vantaggio che il soggetto avrebbe ottenuto se il contratto fosse stato eseguito. Quando invece si parla di interessi negativi, si considera il danno derivante dal fatto in sè di aver contrattato, impegnandosi cioè nelle trattative contrattuali: si mira in tal modo a ristabilire nel patrimonio della vittima l'equilibrio economico preesistente e cioè si indennizzano il tempo perso per le trattative non condotte a buon fine, le spese incontrate e le perdite di altre serie occasioni.

Andrea P. chiede
mercoledì 25/10/2023
“Buongiorno,
vorrei gentilmente chiedere il vostro consulto in merito ad una nota dolente che con mia moglie ci troviamo ad affrontare in questi giorni. Abbiamo da poco concluso l'acquisto in un immobile e siamo venuti a conoscenza solo ora di costi di gestione condominiale decisamente più alti rispetto a quelli precedentemente dichiarati dalla stessa agenzia immobiliare. In fase di trattativa e dopo una nostra richiesta verbale l'agenzia ci invia una mail con quanto di seguito riporto:
[...]di seguito specifica delle spese come richiesto.
• RISCALDAMENTO euro 333,00 ogni sei mesi;
• CONDOMINIO euro 218,5 bimestrale [...]

Con questi numeri la spesa mensile su base annua si aggira sui 160 euro. Da vecchi bollettini nella cassetta delle lettere della nuova casa veniamo a sapere che le spese del condominio sono:
• RISCALDAMENTO euro 333,00 PER sei mesi (mesi invernali);
• CONDOMINIO euro 318,5 bimestrali
Questo porterebbe esattamente ad un raddoppio delle spese mensili arrivando, di media, a oltre 320 euro. Sottolineo che le spese corrette sono state confermate dell'amministratore di condominio e che risultano invariate da anni (almeno dal 2020) quindi non ci sono stati aumenti nei mesi scorsi (le informazioni dell'agenzia sono di giugno 2023 e il rogito è di ottobre 2023) o almeno non si sono riflettuti sulle quote rate mensili considerate fisse. Mi è stato chiarito che, come solito fare, eventuali disallineamenti di consumi verranno aggiustati a fine anno con conguagli. In questi giorni siamo al telefono con l'agenzia e la vecchia proprietaria per capire di chi sia la responsabilità di queste informazioni errate che non solo ci pesano parecchio su un bilancio familiare ma soprattutto hanno influenzato (e non di poco) la nostra scelta nell'acquisto.
Ho trovato una sentenza (la 19095 – 2011 della Corte di cassazione) in cui si condanna l'agenzia per informazioni date non verificate. L'oggetto della disputa non riguarda le spese condominiali ma certamente mi viene da pensare che fornire dettagli così importanti come la gestione ordinaria di un immobile sia di cruciale importanza, ripeto sia per il costo in sé sia per la scelta o meno verso l'offerta e acquisto. Per il momento è nostra intenzione recuperare quante più informazioni possibili in merito e ricostruire la "storia" di queste informazioni errate per poi muoverci molto probabilmente per vie legali per un risarcimento.
Probabilmente è stata una mia mancanza ma di fronte ad un prospetto di spese così dettagliato non mi sono spinto oltre nel verificare la veridicità delle informazioni anche perché per privacy il nuovo amministratore di condominio non poteva fornire questi dati prima di diventare proprietari.
Ritengo invece che sia compito dell'agenzia, in quanto mediatore, verificare quanto viene comunicato ad un possibile acquirente.
Come mi consiglia di procedere? Grazie

Consulenza legale i 01/11/2023
A parere di chi scrive non si possono ravvisare responsabilità in capo al mediatore immobiliare per la mancata comunicazione dell’ammontare delle spese condominiali riconducibili all’appartamento acquistato.
E’ vero che la giurisprudenza rinvenuta (Cass.Civ.,Sez.II, n.19095 del 19.09.2011), ha chiarito come il mediatore sia tenuto ai sensi dell’art. 1759 del c.c. a dare una corretta informazione secondo il criterio della media diligenza professionale sulle circostanze dell’affare da lui mediato, tuttavia è necessario tener presente come l’ amministratore di condominio non possa rilasciare a persone estranee alla compagine condominiale (per esempio, mediatore immobiliare oppure promissario acquirente) informazioni riguardanti la situazione condominiale di una unità immobiliare ricompresa nello stabile da lui amministrato.

Il n.9 dell’ art. 1130 del c.c. dice chiaramente infatti come l’amministratore possa fornire l’attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle liti in corso solo al condomino che ne faccia richiesta, quindi solo a chi è attualmente proprietario del bene.
Con tali motivazioni del tutto condivisibili il Tribunale di Bologna per esempio con sentenza n.1561 del 14.06.2022 ha proprio escluso la responsabilità di un mediatore immobiliare per non aver fornito corrette informazioni circa l’ammontare delle spese condominiali relativamente ad un appartamento venduto per suo tramite.

Rifacendosi alla pronuncia della Corte di Cassazione citata in precedenza la situazione sarebbe diversa qualora si riuscisse a dimostrare in giudizio che il mediatore immobiliare fosse effettivamente a conoscenza del corretto ammontare delle spese condominiali riconducibili all’appartamento venduto tramite la sua agenzia (perché, ad esempio, tale ammontare gli è stato fornito dal venditore) e poi abbia omesso di fornire tale informazione a colui che era interessato all’acquisto. Per la verità raggiungere tale tipo di prova nell’ambito di un ipotetico contenzioso promosso nei confronti del mediatore immobiliare è piuttosto arduo ed è difficile pensare che una tale tipologia di giudizio possa concludersi favorevolmente.

Non sarebbe neppure facile muovere una eventuale contestazione in capo al venditore e precedente proprietario del bene. È vero che l’art. 1137 del c.c. fonda la c.d responsabilità precontrattuale prevedendo l’obbligo incombente su entrambe le parti di comportarsi correttamente e secondo buona fede durante le trattative che inevitabilmente precedono la conclusione di qualsiasi contratto, e quindi anche la vendita immobiliare. Tuttavia quest’ obbligo di buona fede non significa che le parti hanno l’obbligo di dirsi tutto. Come infatti ben precisa il successivo art.1138 del c.c. sussiste responsabilità precontrattuale in capo ad una delle parti contraenti nel caso in cui quest’ ultima ometta di fornire informazioni che possono incidere sulla validità ed efficacia del contratto: certamente però il fatto che il venditore non abbia fornito l’esatto ammontare delle spese condominiali non è una circostanza che incide sulla validità del contratto di vendita e quindi non si ravvisano anche in questo caso ipotesi di responsabilità.



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