Le cause estintive dell'usufrutto in generale
Il diritto di usufrutto è, come si e a suo luogo avvertito, un
diritto essenzialmente temporaneo. Esso è quindi soggetto alle cause normali di estinzione che sono la morte dell'usufruttuario (o l’ estinzione della persona giuridica) e la scadenza del termine che sia apposto nel titolo o che risulti inderogabilmente dalla legge (nel caso di usufrutto costituito a favore di persone giuridiche). Queste due cause estintive, delle quali ci si è occupati illustrando l'art.
979, al quale del resto l'art. 1014 si richiama, operano automaticamente sul diritto di usufrutto provocandone l'estinzione piena e definitiva, sia nei rapporti tra proprietario e usufruttuario, sia
erga omnes e quindi anche nei confronti dei terzi che abbiano acquistato diritti dall'usufruttuario (cessionari, creditori ipotecari ecc.).
Esaminando le altre cause estintive che si possono in un certo senso considerarsi eccezionali, vedremo che esse hanno natura o efficacia diverse da quelle delle cause estintive naturali dell'usufrutto. Qui possiamo ricordare che l'usufrutto, oltre che con la morte del titolare, si estingue per effetto della dichiarazione di morte presunta (arg.
ex art. 58 del c.c.), salvi gli obblighi che incombono sul proprietario (
art. 62 del c.c.). Tale estinzione non ha effetto necessariamente definitivo perché può venir meno per effetto del ritorno o della prova dell'esistenza del presunto morto, nel qual caso l'usufrutto rivive salvo che non sia decorso il termine della prescrizione estintiva per effetto del non uso protratto per venti anni (
art. 64 del c.c., ultimo comma).
L'estinzione per non uso
Come tutti i diritti reali su cosa altrui, l'usufrutto si estingue per il
mancato esercizio da parte del titolare, prolungato per il periodo prescrizionale ordinario. Il nuovo codice, con riferimento all'enfiteusi, alle servitù e all'usufrutto, parla di una estinzione per non uso, ma non vi è dubbio che il non uso sia concettualmente una figura di prescrizione estintiva, alla quale di regola si applicano le norme poste in via generale dagli articoli
2934 e segg. c.c., che non è certo qui il caso di illustrare analiticamente. Va solo sottolineato che la durata del periodo prescrizionale, che nel vecchio codice era di trent'anni e nel nuovo codice è in linea generale di dieci anni, è stata stabilita in venti anni per tutti i diritti reali su cosa altrui, analogamente a quanto e stato stabilito per l'usucapione ordinaria. L'
inerzia dell'usufruttuario deve essere
assoluta, bastando a interrompere il corso della prescrizione estintiva un atto di volontario esercizio del diritto.
Problema assai delicato è quello se l'estinzione dell'usufrutto si possa verificare come
effetto riflesso dell'usucapione che un terzo abbia fatto della cosa come libera. Se l'usufruttuario acquista il diritto dal proprietario durante il corso dell'usucapione della proprietà da parte di un terzo (ventennale o decennale) e non compie alcun atto idoneo a interrompere, sia pure con effetti limitati all'usufrutto, l’ usucapione, è dubbio se il terzo usucapisca la cosa come libera o se invece debba subire l'usufrutto che di per sè non sarebbe estinto. Questo problema non è che un aspetto del problema generale dell'ammissibilità nel nostro sistema della
usucapio libertatis. Il nuovo codice non risolve espressamente il grave problema; ma se si considera che in un primo momento (nel Progetto della Commissione Reale e in successive elaborazioni) era stata formulata in sede di trascrizione una norma che sostanzialmente negava
l'
usucapio libertatis sia pure per l'interferenza dei principi della pubblicità, e che successivamente la norma è stata soppressa in seguito ad alcune autorevoli critiche, si dovrebbe concludere che la soluzione da accogliere sia quella positiva.
L'estinzione per consolidazione
Altra causa di estinzione dell'usufrutto è la riunione nella medesima persona dell'usufrutto e della proprietà (consolidazione). Qualunque sia la costruzione dogmatica che si accolga dell'istituto della consolidazione, che non è un modo di estinzione particolare dell'usufrutto ma riguarda tutti i diritti reali su cosa altrui ed è anzi un aspetto particolare del fenomeno della confusione, è certo che la
ragione pratica alla quale l'istituto s'informa è questa: che, essendo il diritto reale su cosa altrui una limitazione del diritto di proprietà, per effetto della coesistenza nella medesima persona del diritto reale e della proprietà la limitazione scompare e la proprietà riacquista la pienezza della quale potenzialmente è sempre capace.
L'estinzione dell'usufrutto per consolidazione può avvenire se il proprietario acquista per atto
inter vivos l'usufrutto, o se l'usufruttuario acquista per atto
inter vivos o per successione
mortis causa (eredità, legato) la nuda proprietà.
Si intende che se l'acquisto dell'usufrutto da parte del proprietario o quello della proprietà da parte dell'usufruttuario si risolve per il verificarsi di una condizione o viene dichiarato nullo o annullato o revocato con efficacia retroattiva, anche l'effetto estintivo viene meno e l'usufrutto rivive come se la consolidazione non fosse avvenuta. Restano però salvi i diritti acquistati dai terzi sulla base dell'avvenuta consolidazione?
La risposta non può essere uniforme per tutti i casi, perché si tratta appunto di vedere se la retroattività di quella causa invalidatrice o risolutiva dell'acquisto è opponibile o meno ai terzi secondo i principi generali. Così saranno retroattive
erga omnes la risoluzione per il verificarsi della condizione e la nullità, salvi i temperamenti per questa disposti in sede di trascrizione (art.
2643 n. 6), mentre non sarà retroattivo l'annullamento per vizio del consenso (
art. 1427 del c.c.), la risoluzione per inadempimento (
art. 1453 del c.c.) e così via.
A differenza delle cause estintive sinora considerate (morte, scadenza del termine, non uso) che hanno un'efficacia assoluta, la consolidazione è una causa di estinzione che ha un'
efficacia eminentemente
relativa. Se l'usufruttuario ha ceduto il suo usufrutto, vi ha costituito un altro usufrutto o una servitù, ovvero lo ha ipotecato, l’estinzione dell'usufrutto per consolidazione nella persona dell'usufruttuario o in quella del proprietario non è opponibile al cessionario, al titolare dell'usufrutto o della servitù, al creditore ipotecario, i quali abbiano acquistato il loro diritto anteriormente alla consolidazione. A questa conclusione la dottrina dominante perveniva anche per il vecchio codice malgrado la mancanza di una base testuale. Ma adesso questa soluzione è espressamente sancita, per le ipoteche costituite sull'usufrutto, dall'
art. 2814 del c.c., e non è dubbio che essa estenda la sua efficacia alle altre ipotesi di diritti costituiti dall'usufruttuario. La
ratio è infatti identica, trattandosi di impedire che siano eluse le legittime aspettative dei terzi aventi causa dall'usufruttuario per un fatto volontario di questo. Quei diritti continueranno perciò la loro vita fino a quello che sarebbe stato il termine di estinzione naturale dell'usufrutto secondo il titolo costitutivo di questo.
D'altra parte gli aventi causa dell'usufruttuario non possono pretendere di estendere il loro diritto sulla proprietà piena, perché allo stesso modo in cui non possono essere pregiudicati dalla consolidazione, così non se ne possono giovare per estendere il loro diritto oltre i limiti in cui era stato inizialmente costituito.
L'estinzione dell'usufrutto per consolidazione importa anche l’
estinzione dell'obbligo di restituzione per confusione, ma non l’ estinzione di quegli obblighi che sono anteriormente sorti per il proprietario o per l'usufruttuario. Così, se le parti non dispongono diversamente, non si estingue l'obbligo del proprietario di rimborsare l'usufruttuario delle somme che questi abbia anticipato per riparazioni straordinarie, per il pagamento di carichi imposti sulla proprietà, per il pagamento di debiti ereditari o di legati, nè si estingue l'obbligo dell'usufruttuario di pagare gli interessi sulle somme che siano state a quei fini erogate dal proprietario. La consolidazione peraltro non rende esigibili immediatamente gli obblighi di rimborso nè modifica l'obbligo del pagamento degli interessi.
L'estinzione per il totale perimento della cosa
Se l'oggetto dell'usufrutto viene meno per il perimento totale della cosa è naturale che l'usufrutto si estingua. Si deve a questo proposito porre in evidenza che il perimento della cosa deve essere tale da
escludere ogni possibilità di ulteriore utilizzazione. Quindi non solo esso deve essere totale (nel caso di perimento parziale si applica la disposizione dell'art.
1016), ma non deve neppure dal perimento residuare alcunché, sia pure avente una natura diversa da quella della cosa perita. La legge fa più volte applicazioni di questo principio, anche se non è stato formulato in via generale (cfr. invece art. 170 Progetto preliminare): si è visto infatti che il perimento del gregge non importa l'estinzione dell'usufrutto il quale si conserva sulle pelli (
art. 994 del c.c.), si vedrà che il perimento di un edificio fa spostare l'usufrutto sull'area e sui materiali (
art. 1018 del c.c.) e così via. S'intende però che in questi casi l'usufruttuario dovrà render conto, alla fine dell'usufrutto, dei residui della cosa perita: in altri termini il principio fondamentale è che l'usufrutto si estingue se la cosa è interamente perita ma non se la cosa, anche per effetto del perimento, si è trasformata. Di tale principio si vedranno fra poco le estreme conseguenze (artt.
1017 e
1019).
Si può quindi concludere che la causa estintiva di cui ci stiamo occupando è piuttosto
rara e che anzi, per quanto riguarda gli immobili, essa non può aver luogo che in ipotesi estreme (es. stabile occupazione di un terreno dal mare o da un fiume).
La rinuncia dell'usufruttuario
Un'altra causa di estinzione dell'usufrutto e certamente la rinuncia da parte dell'usufruttuario. Questa era stata espressamente menzionata dal Progetto della Commissione Reale (art. 166) ma non fu ricordata nella elencazione fatta nell'art. 1014 del testo definitivo, perché la Commissione delle Assemblee Legislative ritenne inopportuno risolvere il problema della rinuncia a proposito dell'usufrutto, dato che si tratta di un problema comune a tutti gli altri diritti reali su cosa altrui. A parte la bontà del rilievo, che pare per lo meno discutibile, non si può negare che la rinunzia unilaterale dell'usufruttuario sia una
causa estintiva del diritto, indipendentemente dall'accettazione del proprietario.
La rinuncia dell'usufruttuario non deve essere considerata come una proposta di cessione dell'usufrutto nè la sua efficacia può essere subordinata alla manifestazione di volontà del proprietario. La rinuncia che importa come effetto immediato la perdita del diritto dell'usufrutto deve costruirsi piuttosto come una
dichiarazione unilaterale recettizia che deve essere portata a conoscenza del proprietario e che risulta perfetta e irrevocabile sin da questo momento (analogamente a quanto deve dirsi per la dichiarazione di remissione del debito secondo la tesi accolta dall'
art. 1236 del c.c.). Essa deve essere comunicata al proprietario perché l'effetto logicamente ulteriore della rinuncia è la consolidazione, deve risultare da atto scritto (art. 1314 n. 3 c. 1865) e deve essere .
Poiché per effetto della rinuncia si verifica la consolidazione, è chiaro che anche in questo caso si tratta di una
estinzione relativa nel senso spiegato più sopra.
Diversa questione è se la
volontà del proprietario sia necessaria perché si operi a suo favore l'acquisto ossia la consolidazione. Se egli non può impedire che l'usufruttuario rinunci al suo diritto, si potrebbe tuttavia pensare che possa impedire che si verifichi la consolidazione. Ma come non può ritenersi che la sua dichiarazione sia elemento costitutivo dell'acquisto, così non si può ammettere che una dichiarazione di rifiuto, sia pure emessa tempestivamente in un termine congruo, possa avere efficacia impeditiva dell'acquisto medesimo. Diversamente si dovrebbe ritenere che l'usufrutto diventi
res nullius e, quindi, se ha per oggetto beni immobili, essere avocato al patrimonio dello Stato (
art. 827 del c.c.)!
L’espropriazione del fondo come libero
L'usufrutto si può del pari estinguere in seguito ad espropriazione forzata del bene su cui è costituito. La ipotesi può presentarsi quando anteriormente alla costituzione dell'usufrutto (o alla trascrizione di esso se ha per oggetto beni immobili o beni mobili registrati) sia stata iscritta a favore di un terzo un'ipoteca o sia stato costituito un pegno o esista un privilegio a cui la legge riconosca un'efficacia reale (
art. 2741 del c.c.). Se invece l'ipoteca, il pegno o il privilegio sono sorti posteriormente all'usufrutto, allora è chiaro che l'usufruttuario non può essere pregiudicato dall'azione esecutiva del creditore, se ha conservato nei modi di legge il suo diritto.
Nel
primo caso invece il creditore può espropriare la cosa come libera senza preoccuparsi della posizione dell'usufruttuario. La questione ha maggiore importanza pratica per quanto riguarda gli immobili, rispetto ai quali si riteneva che il creditore ipotecario anteriore dovesse considerare l'usufruttuario come un terzo possessore e quindi agire esecutivamente nei suoi confronti per quanto riguardava l'usufrutto. Il nuovo codice ha seguito una diversa soluzione, avendo stabilito che l'usufrutto posteriore è del tutto inopponibile al creditore ipotecario e che egli può solo far valere nel giudizio di distribuzione del prezzo la ragione di credito che gli deriva dalla perdita del diritto reale, con preferenza sulle ipoteche iscritte posteriormente alla trascrizione dell'usufrutto (
art. 2812 del c.c., primo e secondo comma).
In tal caso, come si vede, l'usufrutto si estingue e l'usufruttuario non ha verso il proprietario espropriato che una
ragione d'indennità, la quale, in conseguenza della realità del diritto estinto, è collocata anteriormente ai crediti di coloro ai quali la costituzione dell'usufrutto sarebbe stata pienamente opponibile.
L’invalidità o l’inefficacia del titolo dell’usufruttuario o di quello del proprietario
Il diritto di usufrutto può infine venir meno se viene
invalidato il titolo che lo ha costituito (nullità, annullamento, rescissione, revoca, riduzione, risoluzione). Qui la causa estintiva non incide sul diritto se non di riflesso come conseguenza dell'inefficacia del titolo dal quale l'usufrutto deriva. In questi casi l’ opponibilità della estinzione dell'usufrutto agli aventi causa dall'usufruttuario dipende dal fatto se alla nullità, annullamento ecc. del titolo debba o no riconoscersi, secondo le regole generali, efficacia retroattiva assoluta.
Lo stesso va detto per il caso che
venga posto nel nulla il titolo del costituente. Se questo perde la proprietà per effetto di rescissione del titolo, di risoluzione per inadempimento, di revoca, di annullamento per cause diverse dalla incapacità legale, ciò non pregiudica le ragioni dell'usufruttuario che abbia acquistato anteriormente alla domanda (o alla trascrizione di questa, se vi è soggetta) diretta a invalidare il titolo del costituente. Se invece il titolo di questo era nullo o e annullato per incapacità legale del suo dante causa, o era sottoposto a una condizione risolutiva che si è verificata, o è soggetto a riduzione, allora si applica il principio
resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis, salve le attenuazioni portate a questo principio in sede di trascrizione (art.
2643 , n. 6, 8 del Libro della Tutela dei diritti).