Il concetto dell’eredità giacente nel codice del 1865 era profondamente diverso da quello del diritto romano, essendo differenti i principi che regolavano l’acquisto dell’eredità. Quel codice, infatti, ammetteva l’acquisto ipso iure del diritto all’eredità da parte del chiamato, per legge o per testamento, anche prima dell’accettazione, la quale era invece considerata come una conferma dell’acquisto già verificatosi. Dunque non poteva più parlarsi di una giacenza dell’eredità per mancata aditio o in attesa di questa, caso che invece era tipico per il diritto romano.
L’art. #965# di quel codice qualificava l’erede, durante lo spatium deliberandi, curatore di diritto dell’eredità; di conseguenza, mentre per diritto romano l’istituto dell’eredità giacente si aveva a causa dell’assenza oggettiva del soggetto che doveva raccogliere i beni, per il codice del 1865 questo si fondava sull’ipotesi che l’erede non fosse noto o che gli eredi testamentari o legittimi avessero rinunciato (art. #980#); quindi, da una parte, la mancanza del soggetto, dall'altra l’incertezza su di esso erano i due opposti requisiti per cui si poteva parlare di eredità giacente.
La formula dell’art. #980# era universalmente ritenuta poco felice: prova ne sono le non poche questioni cui essa aveva dato luogo.
Il codice del 1942 ha invece regolato l’istituto su diverse basi: per l’articolo in esame, i presupposti, al verificarsi dei quali l’eredità è considerata giacente, sono: a) la mancata accettazione da parte del chiamato e b) la vacanza del possesso reale di beni ereditari; di guisa che il criterio ispiratore della speciale disciplina dell’istituto non è più quello del codice del 1865, ma neppure quello romano, sebbene sia stato accolto il principio che con l'aditio si acquista l’eredità. Quel criterio è determinato da un mero stato di fatto: la vacanza del possesso di beni ereditari che impone il provvedimento cautelare di una particolare amministrazione; esso, in altri termini, prescinde dal considerare se l’erede sia noto o ignoto.
Anche se, nelle relazioni al progetto definitivo, il Guardasigilli aveva precisato che l'esplicita previsione del chiamato ignoto era apparsa superflua, in quanto essa sarebbe già compresa in quella del chiamato che non accetti o non si trovi nel possesso reale di beni ereditari, non sembra corretto affermare ciò con riferimento all'art. 528, perché, quando si parla di un chiamato che non ha accettato l’eredità, si intende riferirsi ad un chiamato che, noto, non si sia ancora manifestato per l’
aditio; in altri termini, appare alquanto forzata l’inclusione dell'ipotesi "chiamato ignoto" nell’altra di "chiamato che non ha ancora accettato". Alla luce di queste considerazioni, non sarebbe stato né superfluo, né inopportuno che si fosse specificata l’ipotesi
de qua.
L’altra condizione per la giacenza dell’eredità, pur essa negativa, è, come si è detto, la
vacanza del possesso di beni ereditari; il chiamato, cioè, non deve essersi immesso nel possesso anche di un bene ereditario soltanto, non essendo richiesto il possesso di tutto il compendio ereditario. Questa ipotesi va messa in relazione con quanto è stabilito nell’art.
485 in cui, previsto il caso che il chiamato all’eredità si trovi nel possesso reale, cioè effettivo, di un bene ereditario, lo si obbliga a fare l’inventario entro un breve termine, trascorso il quale inutilmente, lo si considera erede puro e semplice.
Ma sono soltanto questi i casi di eredità giacente? La dottrina, sotto il codice del 1865, era concorde nel ritenere che oltre che nelle ipotesi previste dall’art. #980#, l’eredità dovesse considerarsi giacente anche nel caso:
a) di
istituzione condizionale (così come in diritto romano);
b) in cui fosse stato
chiamato un concepito o un non concepito. Anche per l'attuale sistema successorio possiamo accogliere tale teoria: infatti l’art.
664 dichiara esplicitamente che agli amministratori nominati per le eredità lasciate sotto condizione o a nascituri concepiti o non concepiti si applicano le regole dettate per i curatori dell’eredità giacente; ciò significa parificazione delle diverse specie di istituzioni. Inoltre, può ancora ritenersi eredità giacente
c) l’
eredità devoluta ad un ente da istituire: qui si delinea la stessa situazione di fatto e giuridica che spiega i provvedimenti dati dalla legge per le altre specie di eredità. Accertatine i presupposti, l’eredità è giacente.
La
nomina del curatore è fatta dal Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, su istanza delle persone interessate o anche d’ufficio, e, sebbene la legge non lo dichiari, anche su designazione che della persona avesse fatto il testatore, per il caso in cui la sua eredità si fosse resa giacente, oppure su richiesta del pubblico ministero. Il
decreto di nomina del curatore deve essere, poi, a cura del cancelliere, pubblicato per estratto nel foglio degli annunzi legali della provincia e iscritto nel registro delle successioni. A cura dello stesso cancelliere, inoltre, e nel termine indicato nel decreto medesimo, questo è notificato alla persona nominata.
La scelta del curatore è demandata, perciò, all'apprezzamento discrezionale del Tribunale; ma vi sono dei casi in cui è la
legge stessa ad attribuire l'amministrazione dei beni ereditari a determinate persone. Così: se taluno è istituito sotto condizione sospensiva, fino a che questa non si verifica o è certo che non si può più verificare, l'amministratore dell'eredità giacente sarà o la persona a cui favore è stata disposta la sostituzione, ovvero il coerede o i coeredi, se tra di essi e l'erede condizionale ha luogo il diritto di accrescimento; se non è stata prevista la sostituzione o se non può aver luogo un accrescimento, l’amministrazione spetta a chi è il presunto erede legittimo. Da queste disposizioni si vede come la legge in tali casi abbia affidato - quindi non occorre l’intervento dell’autorità giudiziaria - l’amministrazione alle persone direttamente interessate; infatti tali devono dirsi l’erede sostituto in caso di mancata condizione sotto cui è chiamata una prima persona, il coerede o i coeredi a favore dei quali la legge consente l'acquisto, per accrescimento, della quota resasi vacante; infine il presunto erede legittimo.
Ma, allo scopo di non sottrarre ad un controllo amministrazioni di eredità talvolta ingenti, l’ultimo comma dell'art.
642 lascia sempre integra per l’
autorità giudiziaria la facoltà di provvedere altrimenti nominando, ove si ravvisino giusti motivi, un amministratore estraneo, che dia sufficienti garanzie anche per il chiamato sotto condizione.
Se costui è un
nascituro occorre tener distinte le ipotesi in cui sia già
concepito oppure ancora
non concepito. Nel primo caso, l’amministrazione dei beni spetta ai genitori. Ora, è appunto considerando questa disposizione che taluni - sotto il codice del 1865 - hanno ritenuto di giungere alla medesima conclusione nell’ipotesi che chiamato all'eredità fosse stato un non concepito; in altri termini, si è detto, poiché i genitori rappresentano i figli nati e nascituri, a loro spetta anche l’amministrazione dei beni assegnati ai figli che saranno concepiti, in quanto pur questi sono nascituri. Ma altri - ed erano i più - avevano rilevato l'inaccoglibilità di siffatta opinione, contro la quale stava il fatto che il codice aveva inteso attribuire ai genitori la rappresentanza solo dei figli nati e nascituri ma già concepiti, ed avevano concluso che, nel caso in cui istituiti fossero stati dei non concepiti, doveva procedersi alla nomina del curatore così come se si fosse trattato di un’eredità devoluta sotto condizione sospensiva.
L'attuale codice ha risolto la questione, poiché ha attribuito la rappresentanza del nascituro non concepito, per la tutela dei suoi diritti successori, a quelli che saranno i suoi genitori, e ciò anche se amministratore dell’eredità è una persona diversa, come ben può verificarsi dal momento che l'art.
356 consente a chi fa una donazione o dispone con testamento a favore di un minore, ancorché soggetto alla responsabilità genitoriale, di nominargli un curatore speciale per l’amministrazione dei beni donati o lasciati.