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Articolo 493 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Alienazione dei beni ereditari senza autorizzazione

Dispositivo dell'art. 493 Codice Civile

L'erede decade(1) dal beneficio d'inventario [490, 494, 505, 509, 564 c.c.], se aliena o sottopone a pegno [2748 c.c.] o ipoteca [2808 c.c.] beni ereditari, o transige [1965 c.c.](2) relativamente a questi beni senza l'autorizzazione giudiziaria(3) e senza osservare le forme prescritte dal codice di procedura civile [747, 748 ss. c.p.c.](4).

Per i beni mobili l'autorizzazione non è necessaria trascorsi cinque anni dalla dichiarazione di accettare con beneficio d'inventario.

Note

(1) La decadenza dal beneficio di inventario comporta che l'erede viene considerato erede puro e semplice dal momento dell'apertura della successione. La decadenza avviene anche in assenza di colpa grave (v. art. 1229 del c.c.) da parte dell'erede o di un reale pregiudizio per i creditori.
Gli atti compiuti senza autorizzazione sono validi ed efficaci.
(2) L'elencazione non è tassativa. Comporta decadenza dal beneficio di inventario il compimento di qualsiasi atto di straordinaria amministrazione che non sia stato autorizzato dal giudice competente, ad esempio gli atti di disposizione su beni ereditari (permuta, rinunzia traslativa, costituzione di diritti reali etc.).
(3) La competenza spetta al Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione (v. art. 456 del c.c.).
Il giudice può autorizzare solo quegli atti che siano diretti alla conservazione del patrimonio ereditario, alla liquidazione dei creditori del de cuius o siano di utilità evidente per l'eredità.
I restanti atti non possono essere autorizzati e, anche se autorizzati indebitamente, non possono essere compiuti, pena la decadenza dal beneficio di inventario (es. la donazione ad un terzo di un bene ereditario).
(4) Si osservano le disposizioni di cui agli articoli 747 e 748 del c.p.c..

Ratio Legis

Sottoponendo gli atti di straordinaria amministrazione al preventivo controllo dell'autorità giudiziaria si tutelano le ragioni dei creditori dell'eredità. Tali atti vengono, infatti, autorizzati solo se rappresentano un evidente vantaggio per le attività ereditarie.

Spiegazione dell'art. 493 Codice Civile

I creditori ereditari in caso di accettazione beneficiata dell'eredità possono soddisfare le proprie ragioni creditorie esclusivamente sul patrimonio ereditario ai sensi dell'art. 490 del codice civile in conseguenza della separazione patrimoniale che discende da tale accettazione.

La limitazione della responsabilità dell'erede per debiti dell'eredità nei limiti del valore del patrimonio ereditario che ne consegue determina, in capo allo stesso, l'obbligo di amministrare la massa ereditaria al fine di garantire la conservazione della stessa in vista della liquidazione dei debiti che la compongono.

Ne discende che ogni atto di straordinaria amministrazione (l'elencazione di cui alla norma in esame non deve ritenersi tassativa), tra i quali si ricomprende anche la divisione ereditaria, relativo ad un bene mobile o immobile della massa ereditaria deve essere necessariamente autorizzato dall'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 747 del codice di procedura civile.

Si garantisce in questo modo che tali atti siano effettivamente finalizzati alla conservazione del valore del patrimonio ereditario in vista della liquidazione dei creditori ereditari.

Il compimento di tale atti senza la necessaria autorizzazione determina la decadenza dal beneficio di inventario, salvo il caso di erede beneficiato incapace (art. 489 del codice civile). L'assenza di autorizzazione non incide invece sulla validità dell'atto compiuto.

Non sono soggetti all'autorizzazione gli atti di ordinaria amministrazione per i quali sussiste la responsabilità dell'erede solo in caso di colpa grave ai sensi dell'art. 491 del codice civile.

L'autorizzazione non è poi necessaria per gli atti di straordinaria amministrazione relativi ai beni mobili decorsi cinque anni dall'accettazione beneficiata dell'eredità.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

247 Nell'art. 493 del c.c., che stabilisce la decadenza dell'erede dal beneficio d'inventario per il compimento di atti di disposizione di beni senza l'autorizzazione giudiziaria e senza l'osservanza delle forme prescritte dalla legge, ho voluto prevedere, accanto agli atti di alienazione e di costituzione di pegno o d'ipoteca, anche le transazioni. Per il codice dì procedura civile del 1865 (art. 881) le transazioni fatte dall'erede beneficiato senza autorizzazione giudiziaria erano nulle e non importavano decadenza dal beneficio. In verità non è facile spiegare la differenza di trattamento che nei codici del 1865 si faceva agli atti di alienazione dell'erede beneficiato in confronto agli atti di transazione. Il nuovo codice elimina la disarmonia e stabilisce per tutti questi atti la sola sanzione della decadenza dal beneficio.

Massime relative all'art. 493 Codice Civile

Cass. civ. n. 6146/2022

In tema di successione ereditaria, l'accettazione con beneficio di inventario produce l'effetto di tener distinto il patrimonio del defunto da quello dell'erede, consentendo a quest'ultimo di pagare i debiti ereditari e i legati nel limite del valore dei beni a lui pervenuti e soltanto con questi stessi beni, senza conformare il diritto di credito azionato, che resta immutato nella sua natura, portata e consistenza, ma segnando i confini della sua soddisfazione attraverso la limitazione della responsabilità dell'erede, in deroga al più generale principio della tendenziale illimitatezza della responsabilità patrimoniale ex art. 2740, comma 2, c.c.. Ne deriva che, detto istituto, incidendo sulla qualità del rapporto, assume rilievo soltanto nel giudizio di cognizione avente ad oggetto l'accertamento del credito e la condanna del debitore al relativo adempimento, prima che si instauri la fase dell'esecuzione forzata. (Nella specie, la S.C., in applicazione di tale principio, ha cassato la sentenza impugnata, con la quale i giudici d'appello avevano confermato l'accoglimento dell'opposizione a decreto ingiuntivo, proposta dall'erede beneficiato, e rigettato la domanda del creditore, ritenendo che quest'ultimo non avesse azione di accertamento e condanna in danno del coerede, sia pure nei limiti dell'accettazione condizionata).

Cass. civ. n. 24171/2013

In caso di accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario, l'art. 493 c.c. non consente all'erede beneficiato di disporre liberamente dei beni dell'asse, ma rimette al giudice la valutazione della convenienza di qualsiasi atto di alienazione o di straordinaria amministrazione, incidente sul patrimonio ereditario e non finalizzato alla sua conservazione e liquidazione, stante l'obbligo di amministrazione dei beni nell'interesse dei creditori e dei legatari. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha ritenuto che non rientrassero nell'ambito degli atti necessitanti dell'apposita autorizzazione giudiziaria la demolizione di un'autovettura di nessun valore commerciale caduta in successione, come l'appropriazione del vestiario del "de cuius" di valore minimale).

Cass. civ. n. 337/1967

La violazione dell'art. 747 c.p.c., dettato a prevalente tutela dell'interesse dei creditori e legatari dell'eredità, importa decadenza dal beneficio di inventario, ai sensi dell'art. 493 c.c., su istanza dei creditori e legatari stessi, se l'alienazione non autorizzata dei beni ereditari sia stata posta in essere dall'erede capace. Qualora, invece, l'erede alienante sia un incapace e non abbia ottenuto l'autorizzazione prevista nel secondo comma del predetto art. 747 c.p.c., l'alienazione non autorizzata può essere impugnata tanto dai creditori e legatari dell'eredità, affinché il bene alienato non venga sottratto all'asse ereditario e possa costituire oggetto di soddisfacimento delle loro ragioni, quanto dallo stesso incapace, poiché la norma anzidetta è preordinata anche a sua protezione. Tuttavia, quando l'alienazione stessa venga autorizzata dal giudice tutelare ai sensi dell'art. 320 c.c., che realizza il massimo di tutela degli interessi dei minori, l'impugnativa è riservata soltanto ai creditori e legatari.

Cass. civ. n. 1051/1966

Il minore che entro un anno dal raggiungimento della maggiore età non abbia accettato, con beneficio d'inventario, l'eredità già accettata dal padre di lui senza detto beneficio, non può dolersi che, nella vendita di beni appartenenti all'eredità, già compiuta dal padre in suo nome, non siano state osservate le forme previste dall'art. 747 c.p.c., e quelle, che ne costituiscono il presupposto, previste dall'art. 493 c.c., poiché tali norme sono dirette alla tutela dell'interesse dei creditori dell'eredità beneficiata, i quali hanno diritto a soddisfare i loro crediti sui beni ereditari con preferenza rispetto ai creditori personali dell'erede.

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Consulenze legali
relative all'articolo 493 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. G. chiede
venerdì 31/05/2024
“Salve, a seguito di accettazione di tutti gli eredi con beneficio di inventario, uno di essi cita in giudizio i coeredi per la divisione ereditaria. Nel patrimonio ereditario è compreso un credito da decreto ingiuntivo nei confronti di una persona fisica. Di tale credito l'attore provvede ad emettere atto di precetto e successivo pignoramento immobiliare per la propria quota mentre si è ancora nel giudizio, in fase di processo. Mi chiedevo se tale comportamento è normale, considerando che tale credito è parte del patrimonio del de cuius, in fase di divisione, e pertanto parte della valutazione di attività e passività, anche se l'atto di precetto è solo per la propria quota, (dichiarando in una successiva memoria 171 ter, di voler escludere tale credito all'asse ereditario e di voler provvedere ogni erede al recupero della propria parte ) e inoltre se incorre alla decadenza dal beneficio di inventario. Grazie”
Consulenza legale i 06/06/2024
L’azione posta in essere dal coerede si ritiene che non presenti profili di illegittimità, semmai di dubbia opportunità.
In particolare, con riferimento alla riscossione parziale ed in forma coattiva del credito portato dal decreto ingiuntivo già sussistente, si ritiene che debba quanto meno sussistere un presupposto essenziale per il compimento del suddetto atto, ovvero quello della divisibilità del credito azionato, carattere dell’obbligazione a cui fa esplicito riferimento l’art. 1314 del c.c., ove è detto che in caso di più creditori di una prestazione divisibile, ciascuno dei creditori non può domandare il soddisfacimento del credito che per la sua parte.
Se così è, il singolo coerede è sicuramente legittimato al compimento di tale atto, dovendosi anche precisare che la riscossione di un credito ereditario non può farsi rientrare tra quegli atti da cui se ne deve far discendere la decadenza dal beneficio di inventario, atti a cui fa esplicito riferimento l’art. 493 c.c.

Semmai, di dubbia validità deve ritenersi la dichiarazione resa con memoria integrativa ex art. 171 ter del c.p.c., ovvero quella di voler escludere tale credito dall’asse ereditario, in quanto non si può trascurare il fatto che tutti gli eredi, di comune accordo tra loro, sembrano aver deciso di avvalersi della procedura dell’accettazione con beneficio di inventario, la quale presenta una duplice finalità, e precisamente:
  1. agevolare l’acquisto dell’eredità prevedendo il beneficio di tale forma di accettazione a tutela del chiamato all’eredità, potendosi così meglio realizzare la successione nei rapporti giuridici del de cuius, ai quali si vuole in tal modo dare continuità;
  2. tutelare indirettamente i creditori personali dello stesso erede (che evitano il concorso dei creditori ereditari sul patrimonio personale) e dei creditori ereditari e dei legatari, i quali avranno la preferenza sui beni ereditari rispetto ai creditori personali.

Ciò posto, a prescindere dal fatto che nulla viene detto circa la forma di liquidazione del patrimonio ereditario che gli eredi hanno deciso di preferire, è certo comunque che tutti i beni ereditari, e dunque anche quella parte di credito che uno degli eredi ha deciso di recuperare, non potranno essere sottratti alla loro destinazione principale, ovvero quella di soddisfare eventuali creditori ereditari.
Pertanto, su quanto il creditore procedente riuscirà a recuperare dalla procedura esecutiva azionata in forza di quel titoli, i creditori dell’eredità avranno diritto di far valere le loro ragioni creditorie.

Legittima, invece, deve ritenersi l’azione volta a conseguire lo scioglimento della comunione ereditaria, in quanto costituisce ormai opinione pacifica quella secondo cui, anche il chiamato all’eredità che decide di avvalersi dell’accettazione con beneficio di inventario, consegue in ogni caso la qualità di erede e, come tale, è pienamente legittimato a chiedere la divisione dei beni caduti in successione (la proposizione di tale domanda, invece, si configurerebbe come accettazione tacita allorchè non si sia ancora provveduto ad accettare l’eredità).

Del tutto superata, invece, è quella tesi secondo cui l'accettazione beneficiata non determinerebbe (almeno nei rapporti con i creditori) l'acquisto ereditario, ma solo l'assunzione dell'ufficio di amministratore di un patrimonio.
Anche la giurisprudenza afferma chiaramente che il chiamato che abbia accettato con beneficio di inventario assume la qualità di erede (per cui può rinunciare al beneficio, ma non all'eredità) e che l'eredità beneficiata non ha carattere di soggetto di diritto, di cui l’erede sarebbe mero rappresentante (C. 6683/1992).

In conclusione può dirsi che le azioni poste in essere dal coerede sono legittime e non comportano alcuna decadenza dal beneficio di inventario, con la precisazione che quanto conseguito a seguito dell’esecuzione coattiva parziale di quel credito ereditario dovrà essere destinato, se necessario, a soddisfare eventuali creditori ereditari, nel rispetto di quella che costituisce una delle finalità principali dell’accettazione con beneficio di inventario.
Ovviamente, le conclusioni a cui si è giunti potrebbero non essere rispondenti a quella che è la situazione concreta che sta alla base della vicenda, difettando parecchi elementi di dettaglio, ed in particolare nulla essendo stato riferito in ordine al rispetto dei presupposti dell’accettazione beneficiata ed alla forma prescelta per la liquidazione del patrimonio ereditario.


R T. chiede
domenica 25/02/2024
“Buongiorno,
faccio seguito al precedente quesito di Gennaio Q202335583; ho ottenuto l'autorizzazione alla cessione dell'immobile ereditato con beneficio d'inventario da parte del tribunale.
Adesso ho questo nuovo quesito:
Ho chiesto l'autorizzazione a cedere l'appartamento compresi i mobili in essi contenuto, come evidenziato nel testo della domanda che avevo inviato e che allego

Nell'autorizzazione, che allego, si autorizza la cessione dell'appartamento, ma non si specifica nulla in merito ai mobili.
Io vorrei dare per implicita l'autorizzazione degli stessi con cessione al prezzo d'inventario.
Oppure potrei estrarre i mobili che sono stati inventariati con valore superiore a zero (pochissima roba, li posso tenere cinque anni prima di eliminarli) distruggendo il resto, possibilmente con integrazione della perizia sugli stessi in cui venga specificato che il mobilio è stato valutato a zero in quanto deteriorato (cosa peraltro reale).

A mio parere il mobilio privo di valore può essere rottamato in quanto non serve a tutelare gli eventuali creditori ulteriori che emergessero in futuro, criterio che sta alla base del procedimento autorizzativo.
Vorrei però evitare il rischio di perdere il beneficio di inventario per una semplice svista da parte del tribunale, cosa che accadrebbe qualora la distruzione del mobilio a valore zero senza esplicita autorizzazione fosse considerata illegittima.

Avevo anche pensato chiedere una specifica al tribunale, ma hanno impiegato due mesi a darmi l'autorizzazione ed avendo già io l'acquirente dell'appartamento vorrei concludere al più presto prima che ci ripensi (non è infatti facile trovare un acquirente per un appartamento in condizioni disastrate come quello in questione).

Vorrei quindi sapere se condividete la mia impostazione (autorizzazione da considerarsi implicita essendo il mobilio di infimo valore e presente nell'appartamento, oppure rottamazione del solo mobilio a valore zero con conservazione quinquennale da parte mia o di altri del restante) o se ritenete necessaria l'autorizzazione esplicita anche per la semplice rottmazione del mobilio privo di valore.

Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 29/02/2024
Il provvedimento giudiziale inviato in copia a questa Redazione in effetti non contiene alcun cenno ai beni mobili che arredano l’immobile, seppure anche per tali beni fosse stata chiesta l’autorizzazione.
Sia nelle premesse che nella parte motiva, infatti, viene fatto esclusivo riferimento alla porzione di immobile da vendere ed alla perizia asseverata che per la valutazione dello stesso è stata redatta.
In mancanza di espresso provvedimento autorizzativo relativo ai mobili, pertanto, due sono le soluzioni che possono suggerirsi, al fine di non incorrere nella decadenza dal beneficio di inventario:
  1. presentare una istanza per la correzione di quel provvedimento ex art. 288 del c.p.c., facendo rilevare al giudice che l’ha pronunciato di avere omesso di prendere in considerazione la contestuale richiesta, a suo tempo avanzata, di essere autorizzati anche alla vendita dei beni mobili risultanti dall’inventario di eredità (i tempi per tale correzione dovrebbero essere molto più celeri di quelli in genere necessari per concedere ex novo una nuova autorizzazione);
  2. procedere solo alla vendita di ciò per cui è stata concessa l’autorizzazione, attendendo il trascorrere dei cinque anni per liberarsi definitivamente dei mobili.

Purtroppo il secondo comma dell’art. 493 c.c. è abbastanza chiaro nel richiedere anche relativamente a questi ultimi beni la preventiva autorizzazione giudiziale per tutti gli atti da compiere entro il quinquennio dall’apertura della successione.
Peraltro, si tenga presente che la norma appena citata non prevede neppure una espressa distinzione tra atti di c.d. ordinaria e straordinaria amministrazione, dovendosi ravvisare la ragione di tale mancanza nella circostanza che per entrambe le categorie di atti l’autorizzazione potrà essere concessa solo se essi non comportano un possibile pregiudizio per chi ha diritti verso l’eredità.
Da ciò se ne fa derivare che anche un atto di ordinaria amministrazione debba essere autorizzato.

E’ anche vero, tuttavia, che la giurisprudenza, ed in particolare si veda Cass. n. 24171/2013, ha ritenuto che non rientrino tra gli atti necessitanti di autorizzazione giudiziaria né la demolizione di un’autovettura priva di valore commerciale, caduta in successione, né l’appropriazione del vestiario del de cuius di valore minimale.
In considerazione di tale orientamento giurisprudenziale e tenuto conto della assenza di autorizzazione per poter disporre dei beni mobili caduti in successione, si suggerisce, pertanto, di adottare il seguente comportamento tra quelli ipotizzati nel quesito:
  1. conservare fino alla scadenza del termine di cinque anni i mobili ai quali, in sede di inventario, è stato attribuito un valore economico, eventualmente anche trasferendoli in luogo diverso da quello in cui si trovano, se quest’ultimo dovesse coincidere con l’immobile da vendere
  2. portare in discarica quelli, sempre risultanti dall’inventario, ai quali non è stato attributi neppure un valore minimo per le condizioni in cui si trovano.

Infine, appare opportuno far osservare che il Tribunale, nel concedere l’autorizzazione, non si è pronunciato in ordine alla richiesta di reinvestire in titoli di Stato le somme che residueranno dopo aver soddisfatto i creditori ereditari, essendosi limitato a disporre che il ricavato della vendita sia sottoposto a vincolo di eredità beneficiata.
In realtà si tratta di una precisazione molto generica, tenuto conto che, proprio in considerazione dei fini stessi dell’attività di amministrazione (liquidativo-conservativo), è pacifico che il ricavato dell’alienazione debba prendere, per ogni effetto, il posto del bene ereditario ceduto e che, quindi, su di esso creditori ereditari e legatari conserveranno la preferenza di cui al n. 3 dell’art. 490 del c.c. (ciò, infatti, vale a prescindere da ogni specifica destinazione che possa essere indicata nell’autorizzazione giudiziale ex art. 748 del c.p.c.).

Si è fatto, peraltro, osservare che il predetto effetto di surrogazione reale può anche desumersi dal disposto di cui all’art. 492 del c.c., norma che prevede l’obbligo in capo all’erede di dare garanzia per il prezzo degli immobili che sopravanzi al pagamento dei creditori ereditari (se anche per tale prezzo può essere chiesta una garanzia per evitarne la dispersione, ciò significa che anche su di esso conservano i propri diritti i creditori ereditari).

In considerazione di ciò, dunque, qualora dovessero residuare delle somme dopo aver soddisfatto i creditori ereditari, si suggerisce di:
  1. non investire tali somme in titoli di Stato, ma piuttosto depositarle su un libretto ordinario di risparmio postale o su un conto corrente bancario, istituito specificatamente per tale motivo;
  2. in alternativa, richiedere nuovamente l’autorizzazione al Tribunale competente, facendo presente nella relativa istanza di aver provveduto a soddisfare tutti i creditori ereditari conosciuti.


R. T. chiede
giovedì 28/12/2023
“Come anticipato nella scorsa richiesta, intendo chiedere al tribunale l'autorizzazione alla vendita dell'attivo immobiliare e del relativo contenuto di mobili dell'eredità accettata con beneficio di inventario.
Vi chiedo pertanto se l'impostazione del testo che ho predisposto sia sostenibile oppure se la riteniate insufficiente o carente e debba essere emendata in alcune sue parti.
In particolare vorrei sapere se, secondo la vostra esperienza, il credito da me vantato (30.000 euro) nei confronti della de cuius possa essere considerato irrilevante nella valutazione della domanda da parte del tribunale, in quanto di fatto risulto contemporaneamente creditore e debitore di me stesso. Il passivo ereditario in tal caso si ridurrebbe a poche migliaia di euro (spese condominiali, bollette, tasse rifiuti) e il tribunale potrebbe dire di anticiparli io, con buona pace della separazione dei patrimoni personale e beneficiato. Questo per paura che poi - una volta venduto l'immobile - io sottragga i fondi destinati a possibili futuir creditori terzi non emersi.
Ecco il testo da me predisposto:

Si chiede la vendita dei beni mobili immobili inventariati per i seguenti motivi:
- insufficienza della liquidità presente per estinguere le passività indicate nell'inventario;
- onerosità e improduttività dell'attuale attivo ereditario.

In merito al primo punto, le sole spese di procedura e di gestione dell'attivo immobiliare risultano pari alla giacenza liquida dell'attivo ereditario.
Escludendo le spese notarili per l'accettazione (1800 euro), le spese di procedura ammontano a euro 2100 (allegati 1 e 2) per la redazione dell'inventario da parte del notaio e il pagamento del perito richiesto per la valutazione dei mobili, nonché di euro 2400 per un'azienda specializzata (allegato 3) intervenuta per:
a - lo sgombero sia del materiale deperibile accumulato dalla de cuius, sia per la presenza di sporcizia di volatili ed altri animali allevati dalla stessa purtroppo in condizioni di degrado, (fra le foto della perizia giurata allegata sono visibili ad esempio due delle diverse gabbie presenti, stracolme di deiezioni), la cui decomposizione ha comportato disturbo tale da sollecitarne la rimozione in assemblea (allegato 4).
b - per un intervento urgente per la rimozione di una persiana pericolante a seguito di venti tempestosi.

In merito al secondo punto, si evidenzia che l'immobile non può in alcun modo essere messo a reddito, stante la situazione di degrado documentata nella perizia, senza un preventivo investimento per il rifacimento degli impianti elettrico, di riscaldamento ed idrosanitario, nonché di parte dei pavimenti ricoperti di moquette e di rimozione totale della tappezzeria completamente ammalorata. Anche il mobilio presente - valutato infatti in gran parte privo di valore dal perito - andrebbe in parte sottoposto ad opera di manutenzione e in parte completamente sostituito.
Tutto questo comporterebbe una spesa di alcune decine di migliaia di euro.
L'immobile comporta quindi soltanto oneri, derivanti dalle spese condominiali e da quelle comunali (quali la tassa sui rifiuti, che non può essere eliminata finché sono presenti im mobili).

La vendita dell'immobile e del contenuto permetterebbe invece di estinguere l'intero passivo ereditario; il residuo verrebbe investito in titoli di Stato fino al 2032, anno in cui scadrà la prescrizione decennale ordinaria per eventuali debiti esistenti della de cuius finora non emersi. Questo comporterebbe oneri di gestione assai inferiori rispetto alle spese condominiali e di manutenzione, oltre alla produzione di interessi.

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Resto in attesa della risposta ed invio i miei migliori saluti e cordiali auguri di buon anno”
Consulenza legale i 04/01/2024
La prima precisazione che va fatta è che per il credito vantato dall’erede nei confronti del patrimonio ereditario non può parlarsi di “irrilevanza”, trattandosi pur sempre di un credito risultante dall’inventario redatto in fase di accettazione dell’eredità e tenuto conto della circostanza che, mentre in ipotesi di accettazione pura e semplice, i rapporti obbligatori tra defunto ed erede si estinguono in proporzione della quota spettante all’erede, nel caso di accettazione con beneficio di inventario l’erede conserva verso l’eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che aveva verso il defunto.
La mancata estinzione per confusione dei rapporti giuridici correnti tra defunto ed erede comporta che gli stessi permangono in vita identici, pur facendo capo in definitiva a diverse sfere patrimoniali di un unico soggetto.

A prescindere da tali considerazioni, il principio che occorre tenere sempre presente in caso di accettazione con beneficio di inventario è che l’erede, seppure amministri beni che in fondo sono suoi, nel momento in cui sceglie la procedura beneficiata diviene sostanzialmente amministratore del patrimonio ereditario anche nell’interesse dei creditori del defunto e dei legatari.
Si dice che l’erede diviene titolare di due masse patrimoniali distinte, ovvero:
  1. quella dei beni personali, riservata alla soddisfazione dei suoi creditori personali;
  2. quella dei beni ereditari, aggredibile da ogni creditore, anche se, nel concorso tra creditori personali e ereditari, questi ultimi hanno preferenza.

Sotto il profilo prettamente operativo, se l’erede era, come in questo caso, creditore del defunto, poiché egli concorre con gli altri creditori e legatari sul patrimonio ereditario, in caso di liquidazione individuale sarà del tutto libero di decidere di trattenere quanto gli spetta pagando se stesso per poi pagare gli altri, man mano che si presentano, ovvero di soddisfare prima gli altri creditori per utilizzare l’eventuale residuo al soddisfacimento del proprio credito.
E’ questa una scelta sulla quale il giudice delle successioni non ha alcun potere di intervento, dovendosi quest’ultimo soltanto preoccupare, nel momento in cui gli viene richiesta l’autorizzazione ex art. 493 c.c., di valutare se l’atto che si andrà ad autorizzare sarà volto a soddisfare gli interessi di soggetti che vantano diritti sul patrimonio ereditario (creditori ereditari e legatari) e di controllare che l’attività dell’erede non possa in qualche modo diminuire tale evenienza.
In buona sostanza, l’art. 493 c.c., in forza del quale andrà chiesta l’autorizzazione, trova giustificazione nella combinazione dell’interesse dell’erede capace beneficiato a gestire i propri beni ereditari come meglio crede con l’interesse dei soggetti che vantano diritti sul patrimonio ereditario ad essere soddisfatti.

Fatta questa premessa, può dirsi che le ragioni trascritte nel quesito e che si intendono addurre a sostegno del ricorso per l’autorizzazione alla vendita dei beni ereditari si ritengono del tutto rispettose della finalità che il legislatore si è prefisso di conseguire con la procedura di accettazione beneficiata.
In verità, non sarebbe neppure necessario richiedere l’autorizzazione al reimpiego del ricavato della vendita nell’acquisto di titoli di Stato, in quanto risulta pacifico, in considerazione dei fini stessi dell’attività di amministrazione (liquidativo-conservativo) che il ricavato dell’alienazione prenda il posto del bene ereditario ceduto per ogni effetto e che, quindi, su di esso i creditori ereditari e i legatari conservano la preferenza di cui al n. 3 dell’art. 490 del c.c..
Tuttavia, in conformità alle forme prescritte nel codice di rito, ed in particolare al dettato di cui al n. 3 dell’art. 748 del c.p.c., è sempre bene che nell’autorizzazione giudiziaria siano specificatamente indicate le modalità del reimpiego, anche in considerazione del fatto che in tal modo si viene indirettamente ad ottemperare a quanto dettato dall’art. 492 del c.c., il quale prevede l’obbligo dell’erede di dare garanzia per il “prezzo” degli immobili che sopravanzi al pagamento dei creditori ereditari

Per concludere si ritiene possa essere utile ricordare che per effetto della riforma della giustizia civile, intervenuta con il D.lgs. n. 149/2022, anche i notai adesso sono competenti ad emettere provvedimenti in materia di volontaria giurisdizione.
L’art. 21 del suddetto D.lgs., infatti, stabilisce che le autorizzazioni per la stipula di atti pubblici e scritture private autenticate aventi ad oggetto beni ereditari, possono essere rilasciate, previa richiesta scritta delle parti, personalmente o per il tramite di procuratore legale, dal notaio rogante.
La competenza del notaio non è soggetta ad alcun vincolo territoriale, ma scaturisce dal semplice conferimento dell’incarico alla stipula dell’atto; ciò significa che l’autorizzazione prescritta dall’art. 493 c.c. potrà essere concessa direttamente dal notaio che poi, a proprio ministero, riceverà l’atto di alienazione.
Tuttavia, a differenza di quella giudiziale (alla quale si può pur sempre ricorrere), l’autorizzazione notarile acquisterà efficacia solo decorsi venti giorni, senza che sia stato proposto reclamo, dalla sua comunicazione, a cura dello stesso notaio, alla cancelleria del Tribunale che sarebbe stato competente al rilascio della medesima autorizzazione nonché al pubblico ministero presso quel Tribunale.


Piero V. chiede
martedì 11/04/2023
“Buonasera,
si consideri che il de cuius è deceduto il giorno 13 marzo 2019 lasciando come eredi legittimi, senza testamento, la moglie ed i due figli che hanno accettato l’eredità con beneficio di inventario.
Il de cuius ha lasciato beni immobili e tre conti correnti bancari ed un conto titoli cointestati con la moglie.
La dichiarazione di successione è stata regolarmente presentata a febbraio 2020.
Gli eredi, per autotutelarsi, hanno effettuato accettazione con beneficio di inventario in quanto il de cuius era stato presidente di una cooperativa agricola ed aveva firmato delle fideiussioni bancarie.
Ad oggi i tre conti correnti e il conto titoli , cointestati tra de cuius e coniuge, oggetto della successione, non sono stati svincolati e sono ancora in essere.
Dopo oltre 4 anni dalla morte del de cuius e oltre 3 anni dalla presentazione della dichiarazione di successione è possibile svincolare i tre conti correnti e il conto titoli, che alla data della successione avevano circa un saldo totale di 3.000 euro oppure bisogna attendere tempo ulteriore per la chiusura ?
Oppure bisogna attenersi ad una procedura particolare per chiederne lo svincolo e la chiusura (tipo chiedere autorizzazione al tribunale)?

In attesa di una certa risposta ringrazio anticipatamente ed invio cordiali saluti”
Consulenza legale i 17/04/2023
L’accettazione con beneficio di inventario è certamente un ottimo rimedio per tutti quei casi in cui il chiamato all’eredità non riesca ad essere certo del valore (attivo o passivo) dell’eredità.
Si tratta, tuttavia, di una procedura abbastanza complessa, soprattutto perché soggetta a termini molto ristretti, diversi principalmente a seconda che il chiamato o i chiamati all’eredità siano o meno nel possesso dei beni (un riferimento ben preciso sui termini e gli adempimenti da rispettare si ritrova nelle norme che disciplinano il beneficio di inventario, ossia gli artt. 484 e ss. c.c.).
Inoltre, una volta effettuata la scelta di avvalersi di tale forma di accettazione, i chiamati all’eredità acquistano a tutti gli effetti la posizione di eredi, ma se vogliono continuare a godere del beneficio della separazione dei patrimoni, dovranno preoccuparsi di improntare l’amministrazione dei beni oggetto dell’inventario di eredità al soddisfacimento delle ragioni dei creditori ereditari.

Tre sono le modalità di cui gli eredi possono avvalersi per provvedere al pagamento dei debiti ereditari, e precisamente:
la liquidazione individuale, la liquidazione concorsuale ed il rilascio dei beni ereditari.
Nel caso di specie si presume che ci si stia avvalendo della prima forma di liquidazione, ovvero quella individuale, la quale si presenta come la più semplice oltre che la più diffusa nella prassi, ed è prevista dall’ordinamento all’art. 495 del c.c..
Essa permette all’erede di pagare i debiti senza seguire particolari formalità, trascorso un mese dalla trascrizione di cui al secondo comma dell’art. 484 del c.c. e può essere posta in essere quando non vi sia stata opposizione dei creditori e qualora l’erede, di sua spontanea iniziativa, non abbia preferito procedere con le modalità della liquidazione concorsuale
Scegliendo tale forma di liquidazione, l’erede liquiderà i creditori ed i legatari nell’ordine di richiesta, man mano che si presentano e fino ad esaurimento dell’attivo.
Il pagamento potrà essere effettuato oltre che con denaro liquido esistente nell’eredità, anche con il denaro ricavato dalla alienazione dei beni ereditari, il tutto previa autorizzazione del Tribunale del luogo di apertura della successione.

Tale modalità di liquidazione, tuttavia, pur essendo la meno onerosa e la più snella, ha il difetto di non garantire certezza delle tempistiche entro cui i creditori hanno diritto di essere soddisfatti; la legge non prescrive un termine massimo di liquidazione e la perdita della qualifica di bene ereditario è collegata alla prescrizione degli stessi crediti ereditari, il che avviene, almeno di norma, in dieci anni (termine ordinario di prescrizione).
Tuttavia, è sempre possibile, anche dopo il decorso di tale termine, che un creditore, rimasto inerte in quanto non a conoscenza del decesso del defunto oppure perché il suo credito risulti essere sottoposto a condizione o a termine, eserciti le azioni a tutela del proprio credito nei confronti dell’erede, con la conseguenza che i beni dell’asse ereditario possano essere aggrediti senza termine dai creditori del defunto.

Ebbene, proprio per evitare di ritrovarsi a dover fronteggiare situazioni di questo tipo, rischiando di perdere il beneficio della separazione del proprio patrimonio da quello del defunto, è quanto mai opportuno che per lo svincolo dei conti bancari e del conto titoli cointestati venga preventivamente richiesta l’autorizzazione da parte del Tribunale del luogo di apertura della successione ex art. 493 c.c.
Infatti, seppure in linea teorica l’erede beneficiato sia pieno proprietario dei beni ereditari e come tale legittimato a compiere, relativamente agli stessi beni, qualunque atto di amministrazione, sia ordinaria che straordinaria, la legge prevede alcune formalità da osservare onde indirizzare l’attività dello stesso erede beneficiato verso il raggiungimento degli interessi di quei soggetti che potrebbero vantare diritti sul patrimonio ereditario, e cioè principalmente dei creditori del defunto e degli eredi, controllando che l’attività dell’erede non possa diminuire in qualche modo tale evenienza.

Sarà così il giudice, nel valutare la richiesta di autorizzazione, ad accertare che dal compimento dell’atto che si intende porre in essere non possa derivare un pericolo di diminuzione della garanzia dei creditori ereditari e del legatari.
Deve peraltro osservarsi che, sia in giurisprudenza che in dottrina, risulta largamente prevalente la tesi secondo cui, sebbene l’art. 493 c.c. prenda in considerazione solo alcuni tipi di atti (quali, ad esempio, le alienazioni di beni), l’elenco ivi contenuto non sia da ritenere tassativo, con la conseguenza che deve intendersi soggetto ad autorizzazione qualunque atto da cui possa derivare il pericolo di diminuzione della garanzia dei creditori e dei legatari (la sottrazione di capitali è certamente da considerare come tale).

Infine, con riferimento alla parte del quesito in cui si osserva che sono trascorsi oltre quattro anni dalla morte del de cuius ed oltre tre anni dalla presentazione della dichiarazione di successione, va detto che il decorso del termine può assumere rilevanza soltanto per i beni mobili (quali ad esempio gli arredi di casa), per i quali non sarà più necessaria alcuna autorizzazione decorsi cinque anni dalla data della dichiarazione di voler accettare con beneficio di inventario (in tal senso si esprime chiaramente l’ultimo comma dell’art. 493 c.c.).


R. B. chiede
domenica 31/07/2022 - Liguria
“Siamo tre eredi che hanno accettato l'eredità con beneficio d'inventario. Il valore dei beni erditati é ampiamente capiente rispetto ai debiti del de cuius. In attesa di alienare il bene immobile più importante, che ci consentirebbe di pagare tutti i creditori, possiamo locare altri beni immobili di minor valore con affitti transitori (inferiori a 18 mesi )? Occorre l'autorizzazione del giudice?

Grazie”
Consulenza legale i 04/08/2022
La norma che occorre prendere in esame è l’art. 493 c.c., dalla cui lettura si desumono i seguenti principi generali:
a) la piena legittimazione da parte dell’erede beneficiato a porre in essere ogni atto di amministrazione del patrimonio ereditario, essendo proprietario dello stesso sin dal momento dell’accettazione;
b) la sussistenza di un onere e non di un obbligo nell’osservare particolari regole in caso di alienazione di beni ereditari, con la sola sanzione della decadenza dell’erede dal beneficio di inventario per il caso di loro inosservanza.

Come può ben notarsi, tale norma non contiene una espressa distinzione tra atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione, e ciò perché per entrambe le categorie di atti l’autorizzazione dovrà e potrà essere concessa solo se essi non comportano un possibile pregiudizio per chi ha diritti verso l’eredità (il che significa che anche un atto di ordinaria amministrazione potrebbe necessitare di essere autorizzato).

In ogni caso, è pacifico che il riferimento ad alcuni specifici atti contenuto all’art. 493 c.c. (alienazione, pegno, ipoteca e transazione) non deve intendersi nel senso che questi atti debbano necessariamente essere autorizzati né nel senso che l’autorizzazione debba essere richiesta solo per questa tipologia di atti; per valutare se un atto necessiti di preventiva autorizzazione ex art. 493 c.c. occorre indagare se lo stesso si ponga, per le sue caratteristiche, come atto di straordinaria amministrazione (così Cass. n. 6146/2022).

Con ciò vuol dirsi che l’elenco degli atti di cui all’art. 493 c.c. non è tassativo e che tali atti sono soggetti ad autorizzazione non in quanto tali, ma perché presentano, di regola, il pericolo di diminuzione della garanzia di creditori e legatari; in tale prospettiva occorre valutare anche altri tipi di atti che l’erede abbia intenzione di compiere, come l’acquisto di beni con l’impiego di beni ereditari, l’acquisto o la concessione di diritti personali di godimento, l’assunzione di obbligazioni, la costituzione di garanzie, ecc.

Ora, per rispondere alla domanda che viene posta occorre tenere a mente il principio generale a cui si è fatto riferimento all’inizio, ossia quello secondo cui l’erede beneficiato è in ogni caso pieno proprietario dei beni ereditari, dovendosi come tale ritenere legittimato a compiere in modo efficace e valido qualunque atto di c.d. amministrazione ordinaria e straordinaria relativamente agli stessi beni.
Il fatto, poi, che la legge preveda il rispetto di alcune precise formalità (le quali sono conseguenza degli effetti che derivano all’erede dall’aver accettato con beneficio di inventario, così potendo godere di una limitazione di responsabilità) risponde all’esigenza di garantire che l’attività dell’erede beneficiato, oltre ad essere governata dagli interessi personali dello stesso erede che agisce, sia in una certa misura indirizzata anche verso il raggiungimento di altri interessi, ovvero degli interessi di quei soggetti che vantano diritti sul patrimonio ereditario (creditori del defunto e legatari).

In considerazione dei principi sopra richiamati, dunque, può affermarsi che per la stipula di validi ed efficaci contratti di locazione di natura transitoria, aventi ad oggetto immobili ereditari, non occorre richiedere la preventiva autorizzazione giudiziaria ex artt. 493 c.c. e 747 c.p.c., e ciò non tanto perché la locazione infranovennale deve farsi rientrare tra i c.d. atti di ordinaria amministrazione (in tal senso dovendosi argomentare dall’art. 1572 del c.c.), quanto piuttosto perché si tratta di atto che non può arrecare alcun pregiudizio alle ragioni dei creditori dell’eredità, i quali anzi ne verrebbero avvantaggiati, potendo contare sulle somme ricavate dalla concessione in godimento di detti immobili.
A tal fine, tuttavia, si ritiene indispensabile, onde continuare a godere del beneficio di inventario, far sì che le somme riscosse a titolo di canone locatizio vengano fatte confluire in uno specifico conto corrente, distinto da quello personale degli eredi (una soluzione in tal senso potrà concordarsi con l’istituto di credito che si preferisce).

A sostegno di quanto fin qui detto e suggerito, peraltro, si ritiene possa essere utile richiamare quanto disposto dall’art. 320 del c.c., norma che, in tema di amministrazione di beni pervenuti a minori (compresi quelli di provenienza ereditaria, per la cui acquisizione al patrimonio del minore occorre l’autorizzazione giudiziaria) richiede il solo consenso di entrambi i genitori per la stipula di contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento, mentre al terzo comma prevede la preventiva autorizzazione giudiziaria per contrarre una locazione ultranovennale.

Infine, e per concludere, si ritiene possa anche essere utile richiamare l’ordinanza della Corte di Cassazione, sezione prima civile, del 16 maggio 2019, n. 13261, così massimata:
La locazione infranovennale di un immobile senza l’autorizzazione del tribunale, nel corso della procedura di concordato preventivo, non costituisce di per sé atto di straordinaria amministrazione, tale da giustificare senz’altro la revoca dell’ammissione alla procedura ai sensi dell’art. 173 della l. fall., in quanto nell’attività di impresa, che presuppone necessariamente il compimento di atti dispositivi e non meramente conservativi, la distinzione tra ordinaria e straordinaria amministrazione non si fonda sulla natura conservativa o meno dell’atto, ma sulla sua relazione con la gestione normale del tipo di impresa e con le relative dimensioni” (da tale massima se ne deduce che la locazione infranovennale costituisce atto di gestione ordinaria perfino nel corso di una procedura di concordato preventivo).

L. P. chiede
giovedì 28/07/2022 - Veneto
“Il mio quesito:
Ho accettato una piccola eredità con la formula di ACCETTAZIONE DI EREDITA' CON BENEFICIO DI INVENTARIO.
Per meglio spiegare il mio quesito indico pochi numeri, l'eredità consiste in un conto corrente di circa € 15.000 ed una quota di appartamento di circa € 25.000.
La formula del beneficio é stata scelta poiché esiste un creditore (del marito di mia sorella da cui eredito, ma erano in comunione dei beni) che POTREBBE considerare di recuperare un rimborso danni di circa 120.000 e dunque con il beneficio di inventario se il creditore si facesse vivo (non é detto, ma potrebbe succedere) io risponderei con il valore inventariato sopra descritto e NON OLTRE (non con i miei beni personali).
Ora la mia questione: io divento amministratore dell'eredità, e rimango in attesa di possibili azioni da parte di creditori che potrebbero estrinsecarsi, ma anche no - nel frattempo gestisco l'eredità. Decorsi 10 anni e prescritto il credito entro in possesso pieno.
All'apertura dell'appartamento noto sanitari in condizioni orribili, impianto di riscaldamento da rifare, infissi disastrati.
Con la cura del buon padre di famiglia io userei il valore del conto corrente per sistemare l'appartamento e renderlo decoroso, dopodiché lo affitterei tenendo distinti i valori per cui inizialmente il conto corrente diminuirebbe per poi essere rimpinguato con i proventi dell'affitto dunque un'operazione senz'altro ragionevole.
LA MIA QUESTIONE: PER FARE QUANTO SOPRA, CIOE' USARE I SOLDI DEL CONTO PER SISTEMARE L'APPARTAMENTO, DEVO CHIEDERE AUTORIZZAZIONE DEL GIUDICE TUTELARE O RIENTRA NELLA NORMALE GESTIONE?
Sono a conoscenza che la mia responsabilità come amministratore può comportare talora colpa grave e spingersi fino a farmi perdere il beneficio dell'inventario, cosa che assolutamente non vorrei perché allora dovrei rispondere con i miei beni personali. In molti casi la "colpa" può portare al ripristino della liquidità (accettabile) ma non vorrei appunto perdere il beneficio di inventario.
Per quanto ho compreso, il GT entra in merito solo nel caso di liquidazione di beni, cosa che nel mio caso non succede poiché uso liquidità ma per sistemare un bene del quale comunque ho la responsabilità.
Un parere?”
Consulenza legale i 03/08/2022
Il consiglio che si dà è quello di richiedere la preventiva autorizzazione giudiziale, per le ragioni che adesso si andranno ad illustrare.

La norma che occorre prendere in esame è l’art. 493 c.c., dalla cui lettura si desumono i seguenti principi generali:
a) la piena legittimazione da parte dell’erede beneficiato a porre in essere ogni atto di amministrazione del patrimonio ereditario, essendo proprietario dello stesso sin dal momento dell’accettazione;
b) la sussistenza di un onere e non di un obbligo nell’osservare particolari regole in caso di alienazione di beni ereditari, con la sola sanzione della decadenza dell’erede dal beneficio di inventario per il caso di loro inosservanza.

Come si è appena detto, l’erede beneficiato è pieno proprietario dei beni ereditari, dovendosi come tale ritenere legittimato a compiere in modo efficace e valido qualunque atto di c.d. amministrazione ordinaria e straordinaria relativamente agli stessi beni.
Malgrado ciò, la legge prevede il rispetto di alcune precise formalità, le quali sono conseguenza degli effetti che derivano all’erede dall’aver accettato con beneficio di inventario e precisamente del fatto di godere di una limitazione di responsabilità.
In particolare, si mira a garantire che l’attività dell’erede beneficiato, oltre ad essere governata dagli interessi personali dello stesso erede che agisce, sia in una certa misura indirizzata anche verso il raggiungimento di altri interessi, ovvero degli interessi di quei soggetti che vantano diritti sul patrimonio ereditario (creditori del defunto e legatari).

In considerazione di ciò, la norma sopra citata mira a conciliare l’interesse dell’erede capace beneficiato a gestire i propri beni ereditari come meglio crede con l’interesse dei soggetti che vantano diritti sul patrimonio ereditario; per soddisfare questa seconda esigenza il legislatore ha disposto che gli atti che possono recare pregiudizio alle ragioni dei creditori dell’eredità e dei legatari debbano essere preceduti da un controllo dell’autorità giudiziaria, mentre per venire incontro all’interesse dell’erede si prevede che la mancanza di controllo non può configurarsi come causa di inefficacia o di invalidità dell’atto eventualmente compiuto, ma solo di decadenza dal beneficio.

Nel momento in cui il giudice viene chiamato a valutare una richiesta di autorizzazione, lo stesso dovrà sostanzialmente accertare che dal compimento dell’atto non possa derivare un pericolo di diminuzione della garanzia dei creditori e del legatari.
Indubbiamente, qualunque atto con funzioni puramente liquidative così come gli atti di c.d. amministrazione conservativa, risultano conformi al requisito richiesto, mentre dei dubbi sorgono allorquando si tratti di attività rivolta all’aumento del valore o della produttività dei beni, la quale deve essere valutata in relazione ai rischi che la stessa può comportare.

Si tenga conto che l’art. 493 c.c. non prevede una espressa distinzione tra atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione, e ciò perché per entrambe le categorie di atti l’autorizzazione sarà concessa solo se essi non comportano un possibile pregiudizio per chi ha diritti verso l’eredità (il che significa che anche un atto di ordinaria amministrazione potrebbe necessitare di essere autorizzato).

Del resto, la circostanza che l’atto riguardi beni mobili ereditari oppure frutti o redditi di beni-capitale, non esclude di per sé il regime dell’autorizzazione; in tal senso può argomentarsi sia dal fatto che l’art. 493 c.c. annovera il pegno tra gli atti soggetti ad autorizzazione (ed il pegno ha ad oggetto beni mobili) sia dalla lettera dell’art. 492 c.c., norma che contempla i frutti degli immobili intendendo sottoporre anche essi al generale controllo dell’autorità giudiziaria.
In ogni caso, è pacifico che il riferimento ad alcuni specifici atti contenuto all’art. 493 c.c. (alienazione, pegno, ipoteca e transazione) non deve intendersi nel senso che questi atti debbano necessariamente essere autorizzati né nel senso che l’autorizzazione è richiesta solo per questa tipologia di atti; per valutare se un atto debba essere previamente autorizzato ex art. 493 c.c. occorre indagare se lo stesso si ponga, per le sue caratteristiche, come atto di straordinaria amministrazione (così Cass. n. 6146/2022).

Con ciò vuol dirsi che l’elenco degli atti di cui all’art. 493 c.c. non è tassativo e che tali atti sono soggetti ad autorizzazione non in quanto tali, ma perché presentano, di regola, il pericolo di diminuzione della garanzia di creditori e legatari; in tale prospettiva occorre valutare anche altri tipi di atti che l’erede voglia compiere, come l’acquisto di beni con l’impiego di beni ereditari, l’acquisto o la concessione di diritti personali di godimento, l’assunzione di obbligazioni, la costituzione di garanzie, ecc.

La conclusione che se ne deve trarre dalle considerazioni sopra svolte è la seguente: malgrado nel caso di specie l’erede beneficiato intenda disporre soltanto di somme liquide di denaro e non compiere uno di quelli atti previsti dall’art. 493 c.c., il compimento di tale atto potrebbe comunque risultare di pregiudizio ai creditori ereditari, i quali vedrebbero sottratti dalla massa ereditaria somme liquide di denaro sulle quali poter immediatamente soddisfare le loro ragioni.
Peraltro, quelle somme verrebbero ad essere impiegate al fine di rendere più produttivo un bene il cui valore supera di poco l’importo complessivo della somma capitale da impiegare, con l’ulteriore rischio per gli eventuali creditori di non riuscire di fatto a trarre dalla locazione dell’immobile ristrutturato un reddito capace di soddisfare il loro credito.
Pertanto, ragioni prudenziali consigliano di munirsi della preventiva autorizzazione giudiziaria per porre in essere l’attività che si ha intenzione di portare avanti.

Alberto A. chiede
giovedì 15/07/2021 - Veneto
“All'attenzione di chi spetta;

PREMESSA: In seguito ad accettazione di eredità usufruendo del beneficio di inventario, mia madre (soggetto non interdetto, ne inabilitato) è entrata in possesso di un immobile (tra le altre sostanze), del quale è stato chiesto il permesso di alienazione al giudice competente secondo quanto prescritto dall'art. 493 c.c.
Successivamente, accordato il permesso, l'immobile è stato ceduto ad una GEIE ed è stato percepito il corrispettivo tramite bonifico incassato su c/c intestato a mia madre. Dal momento dell'apertura della successione (3 anni addietro) non si è presentato alcun creditore, ragion per la quale non è stato formato lo stato di graduazione. Inoltre, non si è ritenuto opportuno avviare una liquidazione promossa dall'erede ex art. 503 c.c.

DOMANDA: il denaro, per ora depositato su c/c personale, sembra si debba depositare su "c/c vincolato". Cosa implica la locuzione "vincolato"? Può rimanere nel c/c personale qualora non si disponga della parte percepita a seguito dell'alienazione ed essa rimanga a disposizione di eventuali creditori? Questo comporterebbe la decadenza dal beneficio d'inventario? Può essere investito in obbligazioni?

Grazie”
Consulenza legale i 21/07/2021
Nell’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, il pagamento dei debiti ereditari può avvenire da parte dell’erede attraverso tre modalità:
  1. la liquidazione individuale; b) la liquidazione concorsuale; c) il rilascio dei beni ereditari.

La liquidazione individuale, che è quella che in questo caso si è scelto di seguire, costituisce la modalità più semplice e più diffusa nella prassi ed è prevista dall’ordinamento all’art. 495 del c.c.; ad essa è possibile fare ricorso quando non vi sia stata opposizione dei creditori e qualora l’erede, di sua spontanea iniziativa, abbia preferito non procedere con la modalità di liquidazione concorsuale.

Scegliendo tale forma di liquidazione, all’erede è consentito pagare i debiti senza seguire particolari formalità, trascorso un mese dalla trascrizione di cui all’art. 484 del c.c.; in particolare, l’erede potrà liquidare creditori e legatari nell’ordine di richiesta, man mano che si presentano e fino a esaurimento dell’attivo.
Il pagamento potrà essere effettuato oltre che con denaro liquido esistente nell’eredita, anche con il denaro ricavato dall’alienazione dei beni ereditari, il tutto previa autorizzazione del Tribunale del luogo di apertura della successione.
Tale modalità di liquidazione, tuttavia, pur essendo la meno onerosa e la più snella, ha il difetto di non garantire certezza sui tempi entro cui i creditori devono essere soddisfatti e questo perché il codice civile non prescrive un termine massimo di liquidazione.
Da ciò ne consegue che la perdita della qualifica di bene ereditario è collegata alla prescrizione dei crediti ereditari medesimi, i quali generalmente si prescrivono in dieci anni; tuttavia, si deve tener presente che, anche dopo il decorso di tale termine, è sempre possibile che un creditore (rimasto inerte perché, ad esempio, non a conoscenza del decesso del defunto o perché il proprio credito risulti essere sottoposto a condizione) eserciti le azioni a tutela del proprio credito nei confronti dell’erede.
Il rischio di questa forma di liquidazione, dunque, è che i beni dell’asse possano essere aggrediti senza termine dai creditori del defunto.

Leggendo le norme che disciplinano l’istituto dell’accettazione con beneficio di inventario ed in particolare quelle che regolano l’attività liquidatoria che spetta all’erede (gli artt. art. 495 del c.c. e 498 c.c.), se ne ricava che l’attività di amministrazione costituisce per l’erede beneficiato un diritto in quanto egli, a differenza del chiamato, del curatore dell’eredità giacente e dell’esecutore testamentario, nella sua qualità di erede, è titolare e proprietario dei beni dell’eredità ed ha piena legittimazione a porre in essere gli atti di amministrazione del patrimonio ereditario ed a compiere le scelte di amministrazione sulla base di principi di economicità e di opportunità, da sottoporre alla valutazione del giudice delle successioni.
Dall’altro lato, l’amministrazione di quei medesimi beni fa sorgere in capo all’erede l’obbligo di non recare pregiudizio a creditori e legatari, conservando beni sufficienti a garantirli (parte della dottrina ha parlato di onere di amministrazione, per sottolineare la necessità di svolgere una determinata attività per il raggiungimento o la conservazione del beneficio della separazione dei patrimoni).
Si tratta, in ogni caso, della amministrazione di un patrimonio separato in vista della soddisfazione degli interessi di particolari soggetti; per tale ragione, non essendo tale attività libera, ma assolutamente vincolata alla funzione liquidatoria di cui si è detto, occorre che qualunque atto di disposizione di beni del defunto sia sottoposto al preventivo vaglio del giudice delle successioni ex art. 747 del c.p.c., anche allorchè si tratti di compiere un atto come quello a cui nel quesito si fa riferimento (reimpiegare la somma ricavata dalla vendita nell’acquisto di obbligazioni).
Il principio a cui ci si deve sempre attenere è quello secondo cui l’amministrazione di un’eredità beneficiata deve porsi in funzione conservativa, cioè non deve tendere a migliorare o arricchire il patrimonio ereditario, ma deve essere svolta in funzione della sua liquidazione.

Proprio perché, come si è detto prima, si tratta di amministrare un patrimonio separato, il giudice delle successioni generalmente, in sede di autorizzazione alla vendita di un bene ereditario, dispone che la somma ricavata da tale vendita venga depositata in un conto o libretto postale o bancario intestato ad “Eredità beneficiata del de cuius” (in tal senso si parla di deposito vincolato).
Dal punto di vista pratico, però, risulta abbastanza difficile dare attuazione ad un provvedimento di questo tipo, in quanto molti uffici postali e/o bancari neppure sono a conoscenza di tale prodotto.
La soluzione che si utilizza per raggiungere il medesimo obiettivo della separazione dei patrimoni è quello di richiedere l’apertura di un conto corrente ordinario, intestato all’erede che ha accettato con beneficio di inventario, destinandolo a svolgere esclusivamente le funzioni di conto corrente riservato all’eredità beneficiata.
In esso potranno farsi confluire i proventi della liquidazione dei beni immobili lasciati dal defunto, tenendosi presente che, argomentando anche dall’art. 492 c,c,, si tratta di somme vincolate alla liquidazione e che, unitamente ai proventi che se ne ricaverebbero, potrebbero essere distratte da questo fine solo per indispensabili atti di conservazione dei beni.

In conclusione, dunque, ciò che si consiglia, al fine di non rischiare di incorrere nella decadenza del beneficio di inventario, è di:
  1. chiedere al giudice delle successioni ex artt. 493 c.c. e 747 c.p.c., con ricorso di volontaria giurisdizione, di essere autorizzati all’apertura di un conto corrente ordinario intestato all’erede, con obbligo di dare immediata comunicazione al giudice delle coordinate di tale conto e di trasferire in esso i proventi della vendita già autorizzata ed eseguita;
  2. chiedere contestualmente al medesimo giudice di essere autorizzati ad investire le somme ricavate da detta vendita nell’acquisto di obbligazioni (fornendo al medesimo, ovviamente, adeguate garanzie circa la sicurezza dell’investimento), giustificando tale acquisto con la finalità di voler rendere redditizia quella somma e, dunque, di potere in questo modo accrescere il patrimonio ereditario, sempre in funzione della sua liquidazione.

Qualora il giudice non dovesse autorizzare quanto richiesto, si disporrà pur sempre di una prova attestante la propria intenzione di tenere il patrimonio del defunto separato da quello personale.


Piersandra B. chiede
mercoledì 30/09/2020 - Toscana
“Alla fine del 2018 mia Mamma è morta ed io e mio fratello abbiamo accettato l'eredità con il Beneficio di Inventario. Tra le proprietà facenti parte della successione vi è una Azienda Agricola di 1000 ettari che mia Mamma aveva in comproprietà indivisa con i suoi due fratelli. Oggi noi abbiamo ereditato questa proprietà in comproprietà con gli eredi dei fratelli di mia Mamma che la detengono senza aver fatto il beneficio di inventario.
L'anno scorso una Società che si occupa di installazione di Pale Eoliche per la produzione di energia alternativa, ci ha contattato e chiesto di poter installare 4 Pale Eoliche su una zona circoscritta di terreno di questa nostra azienda Agricola.
Secondo gli accordi presi dal mio Legale, ad ottobre si dovrebbe firmare il Preliminare del CONTRATTO DI LOCAZIONE, DI COSTITUZIONE DI DIRITTO DI SUPERFICIE E DI SERVITU' della durata di più di 30 anni, da un Notaio scelto dalla società.Il Contratto Definitivo, invece, si dovrebbe firmare fra un anno e mezzo, tempo necessario affinchè il Comune conceda tutti i permessi dovuti per l'installazione di queste Pale.

Siccome questo contratto è un ATTO DI STRAORDINARIA AMMINISTRAZIONE, si deve chiedere l'Autorizzazione al Tribunale competente .
Il problema è questo : il mio Legale intende farmi firmare il Contratto Preliminare prima di chiedere l'Autorizzazione al Tribunale, per poi chiederla, in un secondo tempo, per la stipula del Contratto Definitivo in quanto non è detto che il Comune rilasci, alla suddetta società, tutti i permessi necessari,il che significherebbe annullare l'operazione, nel qual caso ritiene sia una perdita di tempo ed una spesa inutile .
Io, invece, vorrei chiedere l'Autorizzazione prima di fare il Preliminare, per poter essere tranquilla di non decadere dal Beneficio di Inventario.
A Voi chiedo : legalmente si deve chiedere l'Autorizzazione prima del Preliminare, anche se poi il Contratto Definitivo non andrà a buon fine, oppure, come sostiene il mio Legale, si può aspettare e chiederla prima del Contratto Definitivo ?
GRAZIE”
Consulenza legale i 08/10/2020
L’art. 493 del c.c. stabilisce che l'erede decade dal beneficio d'inventario se aliena o sottopone a pegno o ipoteca beni ereditari, o transige relativamente a questi beni senza l'autorizzazione giudiziaria e senza osservare le forme prescritte dal codice di procedura civile.
Appare ormai pacifico che le categorie di atti che richiedono l’autorizzazione giudiziaria ai fini della norma in esame non devono ritenersi limitate a quelle espressamente previste dalla stessa: come ha chiarito Cass. Civ., Sez. II, n. 24171/2013, “in caso di accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario, l'art. 493 cod. civ. non consente all'erede beneficiato di disporre liberamente dei beni dell'asse, ma rimette al giudice la valutazione della convenienza di qualsiasi atto di alienazione o di straordinaria amministrazione, incidente sul patrimonio ereditario e non finalizzato alla sua conservazione e liquidazione, stante l'obbligo di amministrazione dei beni nell'interesse dei creditori e dei legatari”.
In quest’ottica, anche la stipula di un contratto preliminare quale quello descritto nel quesito deve considerarsi atto di straordinaria amministrazione, tale da incidere sulla consistenza del patrimonio ereditario, e non finalizzato alla sua conservazione e liquidazione.
Conferma di ciò si ricava indirettamente anche dalla giurisprudenza, pur risalente, relativa all’art. 747 del c.p.c. (che disciplina il procedimento per l’autorizzazione giudiziaria in esame); in particolare, secondo Cass. Civ., Sez. II, n. 7638/1991, “il contratto preliminare di vendita di un immobile pervenuto in eredità ad un minore, stipulato dal genitore senza la previa autorizzazione del tribunale prescritta dall'art. 747 c.p.c., non è inesistente o nullo bensì solo annullabile, salvo che le parti nella legittima esplicazione della loro autonomia negoziale abbiano subordinato la validità, come l'esecuzione del contratto stesso, con riguardo al termine per la stipulazione del contratto definitivo, al previo intervento della autorizzazione”.

Giuseppa A. P. chiede
venerdì 17/01/2020 - Lombardia
“Buonasera avvocato,
Unica erede, ho tre case in comproprietà con mio marito deceduto il 5/12/2018.
Gravano su quegli immobili due mutui cointestati con due banche diverse .
A seguito della scomparsa non ho la liquidità necessaria per affrontare il pagamento. Solo con la vendita degli immobili riuscirò a ristorare le banche.
Ho accettato l'eredità (il 50%dei beni in comproprietà) con beneficio d'inventario.
Ho i documenti che mi sono stati rilasciati dal Tribunale competente, ovvero il processo verbale d'inventario e il verbale di accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario .
Ho chiesto al cancelliere come dovrei proseguire e mi è stato risposto che non è necessario che io chieda autorizzazione al Giudice del Tribunale per la vendita delle case in quanto non sono minorenne né disabile.
Certo vorrei che questa affermazione da parte di chi mi ha consegnato il documento fosse vera così mi risparmierei i costi delle perizie giurate(oltre a tutti i costi che ho dovuto sostenere per la pratica) e altre grane burocratiche.
Ma mi restano dei dubbi.
E se non chiedo l'autorizzazione decado dalla benificiata?
Quali le conseguenze?”
Consulenza legale i 23/01/2020
La normativa di riferimento in materia la si ritrova all’art. 493 c.c. in combinato disposto con l’art. 747 del c.p.c..

Dispone esplicitamente il primo comma dell’art. 493 c.c. che, in caso di accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, l’erede decade da tale beneficio se aliena, sottopone a pegno o ipoteca o transige relativamente ai beni ereditari senza l’autorizzazione del giudice, richiamando a tal fine le norme del codice di procedura civile.

La medesima autorizzazione viene richiesta dal successivo art. 499 del c.c. qualora detta vendita si renda necessaria in fase di liquidazione dell’eredità.
Infatti, dispone quest’ultima norma che, una volta scaduto il termine entro il quale creditori e legatari abbiano presentato le loro dichiarazioni di credito, l’erede con l’assistenza di un notaio potrà procedere alla liquidazione delle attività ereditarie facendosi autorizzare alle alienazioni necessarie.

Per quanto concerne le modalità con cui chiedere tale autorizzazione, la relativa disciplina si ritrova all’art. 747 c.p.c., il quale dispone che l’autorizzazione va chiesta mediante ricorso diretto al Giudice delle successioni, individuato nel Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione.
Nel caso in cui tra gli eredi vi siano anche degli incapaci, l’autorizzazione del Tribunale dovrà essere data previo parere del Giudice tutelare (competente è quello del luogo di residenza del minore).
In questo caso, infatti, allo scopo principale della norma, che è quello di garantire l’integrità del patrimonio ereditario, assicurando che l’attività di amministrazione dei beni ereditari (da parte di chi non è ancora erede o lo è con beneficio di inventario) non sia compiuta con modalità tali che possano pregiudicare la posizione di altri soggetti (quali sono i creditori ereditari, gli altri chiamati e i legatari), si aggiunge l’esigenza di tutelare il minore.

In ordine alle concrete modalità per richiedere tale autorizzazione, sarà necessario stilare il relativo ricorso (per il quale l’assistenza di un difensore è facoltativa), a cui dovranno essere allegati:
copia dell’accettazione con beneficio di inventario;
copia dell’inventario;
copia della dichiarazione di successione;
perizia giurata.
Occorrerà anche che alla Cancelleria presso cui viene presentato il ricorso venga data prova di aver versato il contributo unificato, fissato dal Testo unico spese di giustizia in euro 98,00.
Al fine poi di convincere il giudice dell’utilità della vendita per la salvaguardia del patrimonio ereditario, si suggerisce di chiedere di essere autorizzati alla vendita degli immobili per reimpiegare il prezzo nel soddisfacimento dei mutui contratti per l’acquisto degli stessi immobili.

Sulla scorta di quanto detto, dunque, cercando adesso di voler dare un corretto significato a quanto affermato dal personale di cancelleria a cui ci si è rivolti, può dirsi che, in effetti, è vero che per la vendita di quegli immobili non sarebbe necessario munirsi di alcuna autorizzazione, in quanto chi deve procedere alla vendita non è un minore né un incapace, per i quali risulta in effetti indispensabile l’autorizzazione giudiziale.
Infatti, l’erede che accetta un’eredità con beneficio di inventario, se non è un minore o non si trova in stato di incapacità naturale, ha la piena legittimazione a porre in essere ogni atto di amministrazione del patrimonio ereditario poiché, sin dal momento della accettazione, è proprietario dello stesso.
In quanto tale, egli non ha obbligo di seguire le particolari prescrizioni che la legge gli impone nella sua attività di amministrazione ed eventuale disposizione dei beni ereditari, ma ha soltanto l’onere di rispettarle per conservare il beneficio dell’inventario, ossia il beneficio di tenere distinto il patrimonio ereditario da quello personale e far sì che il suo patrimonio non possa venire intaccato per debiti del de cuius.

E' proprio questa la conseguenza (che poi è quella che si teme) che può derivare dal compimento di un atto di straordinaria amministrazione (quale la vendita di un immobile) senza la prescritta autorizzazione, mentre nessun effetto negativo si avrebbe sull’atto di disposizione così compiuto, il quale conserverebbe la sua piena validità ed efficacia.

Infine, considerata la particolarità della situazione, data dal fatto che l’erede è anche comproprietario iure proprio dei beni caduti in successione, si potrebbe anche pensare ad un’altra soluzione, un pò più articolata, ma che si ritiene possa riuscire a realizzare una duplice finalità, e precisamente:
nel medesimo ricorso che si andrebbe a presentare per essere autorizzati alla vendita, si potrebbe chiedere al giudice di essere autorizzati alla divisione dei beni e contestualmente alla vendita del solo immobile o dei soli immobili rimasti a far parte del patrimonio ereditario.
In tal modo, infatti, si conseguirebbe l’ulteriore finalità di avere in proprietà esclusiva almeno uno solo degli immobili caduti pro quota in successione, sul presupposto, ovviamente, che con la vendita di quelli rimasti nel patrimonio ereditario si possa riuscire ad estinguere i mutui su di essi gravanti.


MARIO B. chiede
mercoledì 15/05/2019 - Calabria
“In data 12/09/2018 moriva mio fratello.
La vedova e i due figli di cui uno minorenne accettavano l’eredità con beneficio d’inventario. (il minore su autorizzazione del giudice)
L’accettazione dell’eredità è stata fatta davanti al notaio che ha effettuato l’inventario.
Lo stesso notaio ha effettuato la trascrizione al registro immobiliare e comunicazione al registro delle successioni del tribunale dove mio fratello era residente.
Allo stato attuale l’attivo è costituito da:
appartamento abitazione principale, (comproprietà con la moglie) valutato 80.000.00 euro,
l’incasso di una fattura di 5.000.00 euro,
il valore del mobilio di cui all’ inventario del notaio del valore di euro 4000.00 (risalente alla data del matrimonio, circa 20 anni fa)
Il passivo è costituito da:
mutuo prima casa cointestato di 66.000.00 euro per il quale il giudice ha autorizzato la vedova ad intestarsi l’intero importo.
Alcune finanziarie 20.000.00
Ubi banca 8.900.00
Erario per debiti iva 35.000.00
Essendo trascorso oltre un mese dalla trascrizione ai registri immobiliari, la vedova avrebbe intenzione di pagare i creditori a mano a mano che arrivano le richieste.
Una finanziaria ci ha richiesto il pagamento di euro 9.700.00 e tramite accordo abbiamo chiuso a saldo e stralcio per 3.500.00, somma che dovremmo pagare al più presto.
si ritiene che trattandosi di liquidazione volontaria non sia necessario richiedere l’autorizzazione al giudice delle successioni. E corretto???
I debiti fiscali hanno qualche privilegio??? ad oggi non abbiamo ricevuto alcuna richiesta dall’agenzia delle entrate ne ricevuto alcuna cartella esattoriale,
Allo scopo di mantenere la proprietà dell'abitazione, è possibile richiedere al giudice di acquisire la proprietà del 50% dell’appartamento a fronte dell’accollo del mutuo e apportare all’attivo la differenza pari a 7.000.00 così determinata:
valore immobile 80.000.00 –
collo o 66.000.00 =
valore residuo 14.000.00/2 = 7.000.00
Ciò a vantaggio della procedura di liquidazione e quindi dei creditori in quanto il bene manterebbe il valore attribuito dal perito e non quello derivante dalla vendita all’asta, ma soprattutto per gli eredi (tra cui il minore) che manterrebbero la loro abitazione.

la somma a disposizione della procedura sarebbe quindi
differenza immobile 7.000.00
incasso fattura 5.000.00
50% valore mobilio 2.000.00
totale attivo 14.000.00
E' corretto ritenere che una volta esaurita tale provvista i creditori (compresa agenzia entrate) non possano agire verso gli eredi.
Cosa mi consigliate a chè gli eredi mantengano l'abitazione e non abbiano problemi con agenzia entrate.
Grazie”
Consulenza legale i 22/05/2019
Le norme che regolano la fattispecie descritta si rinvengono principalmente agli articoli 484 e seguenti del codice civile, contenenti la disciplina dell’accettazione di eredità con beneficio di inventario.
Stando a quanto viene riferito, sembra che siano stati posti in essere, almeno fino a questo momento, tutti gli atti che il codice richiede per godere del beneficio di tale forma di accettazione; inoltre, poiché si dice che è trascorso un mese dalla trascrizione dell’accettazione beneficiata e dalla annotazione nel registro delle successioni, sembra che sia ormai certo che non vi sia stata alcuna opposizione da parte dei creditori del defunto.

La mancanza di opposizioni consente agli eredi accettanti di amministrare i beni ereditari senza rispettare quella particolare procedura di liquidazione prevista dagli articoli 498 e seguenti del codice civile (nel corso della quale è necessario rivolgersi ad un notaio, raccogliere le dichiarazioni di credito dei diversi creditori e formare uno stato di graduazione dei medesimi crediti).
Pertanto, adesso sarà necessario prestare particolare attenzione onde evitare di decadere dal beneficio a cui si aspira, con l’inevitabile conseguenza di dover rispondere dei debiti ereditari anche con il proprio patrimonio.

Il primo dubbio posto attiene alla possibilità di stipulare una transazione per chiudere a saldo e stralcio un debito che il de cuius aveva contratto nei confronti di una finanziaria.
La norma a cui occorre riferirsi a tal proposito è l’art. 493 c.c., il quale dispone espressamente la decadenza dal beneficio di inventario nel caso in cui l’erede transige relativamente a beni ereditari senza l’autorizzazione del giudice e senza osservare le forme prescritte dal codice di procedura civile.
Con tale norma non si vuole limitare la capacità e l’attività dell’erede beneficiato, ma si vuole soltanto far sì che tale attività sia in qualche modo indirizzata verso il raggiungimento degli interessi dei creditori, o meglio di tutti coloro che vantano diritti sul patrimonio ereditario (compresi i legatari).

Proprio per conseguire tale finalità si dispone che gli atti che possono recare pregiudizio alle ragioni dei creditori dell’eredità e dei legatari devono essere preceduti da un controllo dell’autorità giudiziaria, costituendo questo l’unico mezzo che potrà evitare all’erede di decadere dal beneficio di inventario (mentre nessuna influenza avrà sulla validità ed efficacia dell’atto).

E’ sulla base dei principi appena espressi, dunque, che dovrà essere indirizzata l’attività degli eredi beneficiati, dovendosi tenere presente che la normativa in materia non distingue tra atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione, (il che, secondo alcuni autori, lascia presupporre che l’autorizzazione giudiziaria debba essere chiesta per entrambe le categorie di atti e che possa essere concessa soltanto se gli stessi non comportano un possibile pregiudizio per coloro che hanno diritti verso l’eredità).

E’ infatti opinione prevalente quella secondo cui l’elenco degli atti contenuto nell’art. 493 c.c.. non sia tassativo e che, ad esempio, con l’uso del termine “alienazione” il legislatore abbia voluto riferirsi non solo al contratto tipico di compravendita, ma a qualunque atto di alienazione e disposizione di beni ereditari a titolo oneroso, ivi compresa una permuta, la rinuncia traslativa, la datio in solutum, la costituzione di diritti reali, ecc.

Sulla scorta di quanto fin qui rilevato e cercato di chiarire, dunque, ciò che si suggerisce è di richiedere l’autorizzazione giudiziale per il compimento di qualunque tipo di atto che impegni il patrimonio ereditario, e ciò non tanto al fine di compiere validamente ed efficacemente quell’atto (l’erede beneficiato, si sottolinea nuovamente, è pienamente capace ed in grado di compiere qualunque atto di amministrazione), quanto piuttosto per non rischiare di decadere dal beneficio di inventario (in tal senso Cass. 4469/1993; Tribunale di Bergamo 02.11.1999).

Ritornando adesso a ciò che viene espressamente chiesto nel quesito, si può rispondere dicendo che sarà intanto necessario chiedere l’autorizzazione giudiziale per transigere con la finanziaria e chiudere a saldo e stralcio la posizione debitoria che il de cuius aveva nei confronti della stessa.

Più complesso è il discorso per quanto riguarda la casa di abitazione.
Trattandosi di bene in comproprietà con la moglie ancora in vita, è corretto affermare che soltanto la metà indivisa di esso sia caduta in successione, dovendosi ulteriormente precisare che, in virtù del disposto di cui all’art. 581 del c.c., del suddetto 50%, il 25% compete alla moglie ed il restante 25% al figlio minore (autorizzato ad accettare l’eredità).
Ora, poiché su tale immobile grava un mutuo ipotecario pari a complessivi euro 66.000,00, si ritiene che possa essere reputato conveniente per i creditori ereditari che la moglie si accolli per intero il pagamento delle residue rate di mutuo, per un importo complessivo di euro 66.000.
Così, a fronte della acquisizione di un valore patrimoniale immobiliare pari ad euro 40.000, la moglie si accollerebbe una frazione di mutuo pari ad euro 33.000, restando da versare alla massa attiva ereditaria una differenza pari ad euro 7000,00.

Si tratta, indubbiamente, di un’operazione complessa, che coinvolge diverse parti (tra cui il minore e la banca mutuante) e che necessità di una preventiva autorizzazione da parte del Tribunale competente ex art. 747 del c.p.c., il quale potrebbe convincersi che in effetti con essa si intende garantire il soddisfacimento degli interessi dei creditori (in particolare dell’istituto di credito, il quale peraltro, su quell’immobile gode di un privilegio speciale, trattandosi di creditore ipotecario), ma anche degli eredi (ai quali si assicurerebbe la possibilità di continuare a godere della casa di abitazione).

Per quanto concerne il procedimento autorizzatorio vero e proprio, va detto che si tratta di un procedimento c.d. di volontaria giurisdizione, per il quale è competente ai sensi del combinato disposto del comma 1 dell’art. 747 cpc e dell’art. 456 del c.c., il Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione, ossia il luogo di ultimo domicilio del defunto (non assume alcun rilievo il fatto che l’art. 747 cpc parli soltanto di “autorizzazione a vendere beni ereditari”, dovendosi ritenere tale norma applicabile per l’autorizzazione di qualunque atto, anche diverso dalla vendita).
Inoltre, poiché nel caso di specie erede beneficiato è anche un incapace (il minore), troverà applicazione anche il secondo comma dell’art. 747 cpc, il quale richiede che in questi casi sia anche sentito il Giudice tutelare, il cui parere, avente carattere obbligatorio ma non vincolante, risponde alla necessità di tener conto anche agli interessi dell’incapace in tale operazione.

Pur trattandosi di un procedimento di volontaria giurisdizione (ossia non avente natura contenziosa), alcuni autori (tra cui Burdese) sostengono che creditori e legatari siano legittimati ad opporsi o a reclamare avverso il provvedimento di autorizzazione, trattandosi di atto che coinvolge anche i loro interessi.

Risulta evidente che il ricavato dell’alienazione prenderà il posto della quota di bene ereditario ceduto e, pertanto, su di esso i creditori conserveranno la preferenza di cui al n. 3 dell’art. 490 del c.c. (si tratta di un’ipotesi di surrogazione reale).

Come si desume possa esser chiaro, la mancanza dell’autorizzazione comporterà non soltanto la decadenza dal beneficio di inventario, ma darà anche diritto agli altri creditori, tra cui l’Agenzia delle entrate per i debiti IVA, di esperire l’azione revocatoria, ricorrendo i presupposti di cui all’art. 2901 del c.c..

Con riferimento ai debiti IVA, e rispondendo così all’altra domanda posta nel quesito, va detto che si tratta di crediti c.d. privilegiati, ma per i quali la stessa Agenzia delle entrate gode di un privilegio generale (nel senso che può essere esercitato indistintamente su tutti i beni mobili, mobili registrati, immobili e crediti di proprietà del defunto) e non speciale (come quello di cui, invece, è titolare la Banca sulla casa di abitazione).

Si ritiene che sia abbastanza azzeccata l’osservazione di far balzare agli occhi del Giudice che sarà chiamato ad autorizzare l’operazione immobiliare, che con essa si intende evitare la vendita all’asta dell’immobile, dalla quale, con grande probabilità, si riuscirà a ricavare un prezzo notevolmente inferiore al suo reale valore di mercato, incapace forse di coprire l’importo complessivo delle residue rate di mutuo.

Il rispetto di tutti questi presupposti consentirà di mantenere il proprio patrimonio separato da quello del de cuius, godendo così appieno degli effetti di una accettazione con beneficio di inventario.
Qualora, poi, il Giudice non volesse concedere l’autorizzazione nei termini di cui sopra, ci si potrà pur sempre avvalere, almeno per i debiti fiscali, di quanto previsto dalla normativa in materia di ipoteca e pignoramento prima casa da parte di Agenzia Entrate riscossione.
Quest’ultima, infatti, secondo gli ultimi interventi normativi, potrà iscrivere ipoteca sull’immobile del debitore solo a seguito di regolare emissione di una cartella di pagamento (qui ancora non emessa) e, soprattutto, se il debito complessivo sia superiore a ventimila euro.
Pertanto, qualora il Giudice non autorizzi, si consiglia di adoperarsi per ottenere una rateazione del debito e far sì che lo stesso scenda al di sotto del tetto dei ventimila euro.
Sicuramente Agenzia delle Entrate riscossioni avrà interesse a riscuotere anche ratealmente il credito, in quanto in ogni caso avrà diritto ad iscrivere ipoteca solo sulla quota di immobile caduto in successione (metà indivisa), immobile sul quale troverebbe sempre un’ipoteca anteriore, iscritta per l’intero in favore dell’Istituto di credito mutuante (ciò che sicuramente rende antieconomico avviare una procedura esecutiva).


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