Quando si parla di
revoca del
decreto ci si intende riferire al suo ritiro per motivi di legittimità o di opportunità, mentre nella modifica vi si deve far rientrare sia la revoca parziale che l'integrazione del
provvedimento.
Sia la revoca che la modifica vanno chieste con
ricorso e sono due le tipologie di vizi che possono farsi valere, ovvero:
a)
vizi di legittimità: si intendono come tali sia i vizi del provvedimento che quelli derivanti dall'erronea applicazione del diritto sostanziale;
b) vizi di merito (o di opportunità dell'atto): secondo una tesi restrittiva, con la revoca si potrebbero dedurre unicamente i motivi di merito sopravvenuti non dedotti né esaminati precedentemente, mentre con il
reclamo i vizi originari.
La norma in esame si applica ai provvedimenti camerali che hanno la forma del decreto (pertanto, vanno escluse le ordinanze e le sentenze emesse in
camera di consiglio).
E’ controverso, in assenza di una espressa previsione normativa, se la fattispecie normativa in esame possa trovare applicazione solo con riferimento ai provvedimenti collegiali (camerali in senso proprio) o se possa essere estesa anche ai provvedimenti presidenziali.
E’ altresì controverso se in caso di avvenuta esecuzione del provvedimento, debba intendersi preclusa la revocabilità dello stesso (la giurisprudenza è favorevole alla tesi estensiva).
Per quanto concerne il
giudice competente ad emettere i provvedimenti di revoca e modifica, tale
competenza spetta allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento di cui si chiede la revoca o la modifica.
In seguito alla decisione sul reclamo, prevale in giurisprudenza (ma non in dottrina) la tesi secondo cui competente a decidere sulla revoca e sulla modifica è lo stesso giudice che ha emesso la pronuncia sul reclamo e non quello di prima istanza.
Legittimati a chiedere la revoca o la modifica del provvedimento cautelare sono tutti coloro che potevano promuovere il procedimento, compreso il P.M. (per le ipotesi in cui lo stesso deve essere sentito ex
art. 738 del c.p.c. ovvero per quei casi in cui sia intervenuto ravvisandone l'utilità), a prescindere dal fatto che abbiano partecipato o meno al giudizio.
Sono anche legittimati eventuali controinteressati, nonché in genere tutti coloro che avrebbero dovuto essere sentiti nel procedimento e che non lo furono.
Anche il procedimento di revoca o di modifica si svolge secondo la disciplina dettata dagli artt.
737 e ss. c.p.c. e va considerato come una prosecuzione del precedente procedimento conclusosi con l'emanazione del provvedimento da revocare o modificare.
Poiché i decreti possono essere modificati o revocati in ogni tempo, gli stessi non sono idonei ad acquistare autorità di cosa giudicata.
La norma si occupa poi della tutela degli eventuali diritti acquisiti nel frattempo dai terzi, dovendosi far rientrare nel concetto di terzi tutti coloro che non hanno partecipato al procedimento.
In particolare, si dispone che l'efficacia retroattiva della modifica e della revoca trovano un limite nell'affidamento di quei terzi che, in buona fede, abbiano acquistato diritti in forza di convenzioni stipulate anteriormente al provvedimento di revoca o di modifica.
Secondo la tesi che si ritiene preferibile, per "convenzioni" devono intendersi contratti, accordi, atti plurilaterali, con esclusione di:
1. negozi unilaterali
inter vivos di contenuto patrimoniale;
2. atti a titolo gratuito, per i quali non può trovare applicazione l’
art. 1445 del c.c., neppure in via analogica.
Ovviamente, la salvezza dei diritti dei terzi non può che riguardare quei diritti acquistati in forza di convenzione anteriore alla revoca.
Quanto alla
buona fede, parte della dottrina la esclude in tutti i casi in cui il terzo conosceva o avrebbe dovuto conoscere, secondo un criterio di normale diligenza, l'esistenza del vizio del provvedimento al momento della convenzione.
Altra parte della dottrina, invece, è dell’idea che per buona fede del terzo debba intendersi o la sua radicale estraneità al procedimento camerale o la sua incolpevole ignoranza delle cause e dei modi per i quali il giudice è stato indotto a concedere un determinato provvedimento, che poi ha deciso di revocare o modificare.
Infine, si ritiene che la valutazione della buona fede del terzo debba farsi rientrare nella discrezionalità del giudice di merito, il cui apprezzamento, se adeguatamente motivato, non è suscettibile di sindacato di legittimità.