Cass. civ. n. 16289/2019
È da considerarsi definitiva la sentenza con la quale il giudice si pronunci su una (o più) delle domande o su capi autonomi della domanda, mentre è da considerarsi non definitiva, agli effetti della riserva di impugnazione differita, la sentenza resa su questioni preliminari alla decisione finale e che non contenga quegli elementi formali sulla base dei quali va operata la distinzione, cioè la pronuncia sulle spese o un provvedimento relativo alla separazione dei giudizi.
Cass. civ. n. 27229/2014
I provvedimenti pronunciati dal collegio per l'ulteriore istruzione della causa a norma dell'art. 279 cod. proc. civ., sono revocabili, non hanno contenuto decisorio (ancorché la loro motivazione sia contenuta nella sentenza non definitiva) e non sono sindacabili con ricorso per cassazione avverso la sentenza parziale coeva, ma solo con la sentenza definitiva, pronunciata all'esito della prosecuzione dell'istruttoria, sicché essi non hanno alcuna attitudine al giudicato.
Cass. civ. n. 19836/2014
In caso di sentenza non definitoria dell'intero giudizio, accertare se essa debba qualificarsi, o meno, come non definitiva rileva solo allo scopo di valutare la validità dell'eventuale riserva di impugnazione e non al fine dell'ammissibilità dell'impugnazione immediatamente proposta, che resta sempre consentita.
Cass. civ. n. 14714/2012
Qualora in una sentenza non definitiva, oltre a statuizioni di carattere decisorio, siano contenute anche disposizioni meramente ordinatorie od istruttorie, esse non possono formare oggetto di gravame con la sentenza non definitiva, restando impregiudicata la futura decisione sulle domande e sulle questioni per le quali è stato disposto il prosieguo del giudizio, senza che sulle statuizioni a carattere istruttorio della sentenza non definitiva si formi un giudicato per mancata riserva di impugnazione. Ne consegue che la decisione, assunta con la sentenza definitiva, di applicare criteri di liquidazione del danno parzialmente diversi, rispetto a quelli indicati al CTU con il provvedimento ordinatorio istruttorio contenuto nella sentenza non definitiva, costituisce semplice modifica di detto provvedimento.
Cass. civ. n. 5214/2008
Il provvedimento che abbia deciso esclusivamente sulla non condivisibilità del metodo di stima seguito dalla consulenza tecnica d'ufficio già esperita e sulla necessità di disporre una nuova indagine peritale, ancorché contenuto nella sentenza non definitiva, ha natura e funzione ordinatoria e, quindi, rimane revocabile e modificabile. Ne consegue che le censure avverso tale provvedimento possono essere fatte valere non con la sua impugnazione, ma solo con l'impugnazione della successiva sentenza definitiva, che abbia mantenuto fermo il provvedimento stesso ed utilizzato i risultati di quel mezzo d'indagine istruttoria.
Cass. civ. n. 22944/2007
Nel rapporto fra il giudizio di impugnazione di una sentenza parziale e quello che sia proseguito davanti al giudice che ha pronunciato detta sentenza, l'unica possibilità di sospensione di quest'ultimo giudizio è quella su richiesta concorde delle parti, ai sensi dell'art. 279, quarto comma, c.p.c. (che trova applicazione anche nel caso di sentenza parziale sul solo an debeatur), restando esclusa sia la sospensione ai sensi dell'art. 295 c.p.c., sia la sospensione ai sensi del secondo comma dell'art. 337 c.p.c., per l'assorbente ragione che il giudizio è unico e che per tale ragione la sentenza resa in via definitiva è sempre soggetta alle conseguenze di una decisione incompatibile sulla statuizione oggetto della sentenza parziale.
Cass. civ. n. 21816/2006
Qualora il giudice di primo grado, separando due cause connesse, ne decida una soltanto e rimetta, con separata ordinanza, l'altra in istruttoria, la decisione di separazione dei giudizi può essere impugnata soltanto con l'appello, perché con esso non viene censurata l'ordinanza con la quale il giudice provvede per l'istruttoria della causa separata, bensì il provvedimento della sentenza con il quale è posta in essere la separazione delle cause.
Cass. civ. n. 8174/2006
Al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di sentenza o di ordinanza, è decisiva non già la forma adottata ma il suo contenuto (cosiddetto principio della prevalenza della sostanza sulla forma), di modo che allorquando il giudice, ancorché con provvedimento avente veste formale di ordinanza, abbia, senza definire il giudizio, deciso una o più delle questioni di cui all'art. 279 c.p.c. a detto provvedimento va riconosciuta natura di sentenza non definitiva ai sensi dell'art. 279, comma secondo, n. 4, c.p.c.
Cass. civ. n. 18510/2004
Nel caso di pronuncia di sentenza non definitiva ai sensi dell'art. 279, secondo e quarto comma c.p.c. e di prosecuzione del giudizio per l'ulteriore istruzione della controversia, il giudice resta da questa vincolato (anche se non passata in giudicato) sia in ordine alle questioni definite, sia per quelle da queste dipendenti, che debbono essere esaminate e decise sulla base dell'intervenuta pronuncia, a meno che questa sia stata riformata con sentenza passata in giudicato pronunziata a seguito di impugnazione immediata. Pertanto, detto giudice non può risolvere quelle questioni in senso diverso con la sentenza definitiva e, ove lo faccia, il giudice del gravame, anche di legittimità, può rilevare d'ufficio la violazione del giudicato interno originante dalla sentenza non definitiva che non sia immediatamente impugnata, né fatta oggetto di riserva di impugnazione differita, ed è abilitato ad interpretare la pronuncia che si assume definitiva, poiché la formazione della preclusione data dal giudicato interno fa parte dello sviluppo del procedimento e gli errori che eventualmente affliggano il procedimento possono essere accertati dalla Corte di cassazione anche attraverso indagini di fatto.
Cass. civ. n. 18187/2004
La sentenza non definitiva, nella parte in cui, statuendo solo sull'an ravvisi la necessità di ulteriore istruttoria per la liquidazione del quantum non spiega effetti vincolanti sulla sentenza definitiva (giacché la mancata acquisizione della prova dell'entità della prestazione controversa non è un presupposto della decisione sull'an debeatur bensì del provvedimento ordinatorio di separazione di tale decisione da quella sul quantum) e non osta, pertanto, a che tale sentenza definitiva provveda alla suddetta liquidazione alla stregua dei soli elementi già acquisiti al processo, ove ritenuti sufficienti.
Cass. civ. n. 13104/2004
La questione dell'integrazione del contraddittorio non costituisce, per se stessa, questione preliminare «di merito» ai sensi dell'art. 279, secondo comma, nn. 2 e 4, c.p.c., ma, piuttosto, questione processuale; né, inoltre, costituisce, comunque, questione pregiudiziale attinente al processo ai sensi della stessa norma, dato che le questioni pregiudiziali prese in considerazione dall'art. 279, cit., sono esclusivamente quelle idonee — ove decise in un certo senso — a definire il giudizio, mentre la decisione sulla integrazione del contraddittorio, sia essa positiva o negativa, non può mai porre fine al processo, che invece prosegue in ogni caso, dovendo, anche in ipotesi di decisione positiva (nell'ipotesi opposta il giudizio prosegue puramente e semplicemente tra le parti originarie), disporsi l'integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte pretermesso, e non certo definirsi il giudizio con una pronuncia di mero rito. Pertanto l'ordinanza in proposito emessa dal giudice ha in ogni caso contenuto e natura meramente ordinatori, giammai decisori, e, conseguentemente, non può mai costituire sentenza non definitiva suscettibile di separata impugnazione o riserva di appello e, in difetto, di passaggio in giudicato.
Cass. civ. n. 11842/2004
Quando il dispositivo contenga statuizioni che riguardino solo alcune cause decise (e la sentenza va intesa, quanto ad esse, come definitiva ai sensi di cui all'art. 279, secondo comma, n. 5, c.p.c.) e si limiti, per il resto, a disporre la rimessione delle parti in istruttoria «come da separata ordinanza» l'esistenza di una sentenza «non definitiva» in merito alle residue cause, non può essere desunta da mere affermazioni contenute nella motivazione. Infatti l'essenza volitiva della sentenza si concreta nel «dispositivo» destinato ad accogliere l'ordine formale con il quale viene data concreta attuazione al precetto normativo, mentre la motivazione esprime, invece, il momento «logico» della sentenza, e, appunto per questo, le considerazioni in essa contenute, se assumono rilievo ai fini della individuazione del contenuto precettivo della sentenza, chiarendo e integrando il significato delle statuizioni del dispositivo, non possono sostituirsi a queste ultime quando esse siano del tutto mancanti, anche perché manifeste esigenza di salvaguardia della certezza delle situazioni giuridiche e di tutela della parti portano ad escludere che una decisione giudiziaria idonea ad assumere la forza del giudicato possa essere individuata nella sola parte motiva del provvedimento.
Cass. civ. n. 3769/2004
Rientra nel potere discrezionale del giudice del merito tanto la facoltà di derogare, in presenza di richiesta della parte, alla regola generale della concentrazione della decisione in un'unica sentenza, quanto quella di rigettare, anche senza espressa motivazione, tale richiesta ed emettere un'unica sentenza. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il motivo di ricorso con il quale la sentenza impugnata veniva censurata perché, in presenza di una richiesta di decisione limitata ad alcune soltanto delle conclusioni formulate con l'atto introduttivo, aveva deciso su tutte le domande proposte).
Cass. civ. n. 17780/2003
Per la qualificazione come ordinanza o come sentenza di un provvedimento del giudice civile, anche in composizione monocratica ai sensi dell'art. 281 bis c.p.c., ai fini della sua impugnabilità, è necessario ricorrere al criterio del contenuto e della sostanza di esso secondo le norme di legge; pertanto, sono sentenze — soggette agli ordinari mezzi di impugnazione e suscettibili, in mancanza, di passare in giudicato — i provvedimenti che, ai sensi dell'art. 279 c.p.c. contengono una statuizione di natura decisoria (sulla giurisdizione, sulla competenza, ovvero su questioni pregiudiziali del processo o preliminari di merito) anche quando non definiscono il giudizio; ne consegue che, attesa l'ammissibilità della pronuncia di sentenze non definitive anche nel rito del lavoro, il provvedimento con il quale, nell'ambito di tale processo, il giudice decida una questione pregiudiziale idonea a definire il giudizio, ai sensi dell'art. 279, secondo comma, n. 4) con riferimento al n. 2), deve essere necessariamente qualificato come sentenza. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva qualificato come ordinanza il provvedimento del giudice di primo grado che aveva deciso con provvedimento non definitivo la questione relativa al potere di rappresentanza sostanziale di una parte).
Cass. civ. n. 11881/2002
L'ordinanza collegiale che rimette la causa dinanzi al giudice istruttore (nel caso di specie, perché questi accerti le donazioni fatte in vita dal de cuius) non ha natura decisoria ma ordinatoria, e quindi non è autonomamente impugnabile dalle parti, che potranno impugnare solo la decisione che risolva la controversia indicando in quella sede anche per i vizi del procedimento che si ripercuotono sulla correttezza della decisione.
Cass. civ. n. 10101/2000
In difetto di impugnazione immediata o differita, non è consentito, nel caso di pronuncia di sentenza non definitiva ai sensi dell'art. 279, comma secondo, c.p.c., il riesame nel prosieguo del giudizio, neppure nei gradi successivi, delle questioni già decise con la pronuncia stessa.
Cass. civ. n. 8969/2000
Il processo in cui si succedano una decisione parziale e una decisione definitiva non dà luogo a una progressione, in virtù della quale a una prima risposta giurisdizionale provvisoria segua una risposta definitiva, che la prima sia in grado di infirmare. La prima sentenza è detta non definitiva solo perché non esaurisce l'oggetto del contendere, decidendo solo una parte delle questioni controverse in causa: ma nell'ambito di tali questioni è decisione piena, non sommaria o provvisoria. Salvo che il giudice istruttore non abbia fatto uso del potere di rimettere le parti al collegio su una questione pregiudiziale o preliminare di merito, vale il principio per cui il collegio deve decidere su tutte le domande ed eccezioni, definendo il giudizio. La scelta di emettere una decisione non definitiva è affidata alla discrezionalità del collegio stesso, ma presuppone che il giudice istruttore gli abbia rimesso la decisione sull'intera causa, e in rapporto all'intera causa le parti debbono in ogni caso formulare le conclusioni.
Cass. civ. n. 7358/2000
Se si chiede il risarcimento del danno senza alcuna specificazione o riserva, la domanda per la sua genericità comprende il danno nella sua interezza e rimane escluso che dopo la formazione del giudicato si possa azionare lo stesso diritto per ottenere voci di danno non considerate da esso, mentre questa possibilità è ammessa, ove fin dal primo momento si delimiti l'oggetto della domanda a determinate voci, restando in tal caso le voci ulteriori fuori dall'oggetto del primo giudizio. Poiché gli interessi compensativi costituiscono una componente del danno, il relativo giudizio è assoggettato al medesimo regime di quello risarcitorio, con la conseguenza della necessaria partecipazione a esso del proprietario del veicolo assicurato, responsabile del danno.
Cass. civ. n. 5860/1999
Nel caso di pronuncia di sentenza non definitiva ai sensi dell'art. 279, secondo e quarto comma, c.p.c. e di prosecuzione del giudizio per l'ulteriore istruzione della controversia, si verifica per il giudice che ha adottato la pronuncia una preclusione al riesame delle questioni decise con tale sentenza, conseguente all'esaurimento con essa della relativa potestas decidendi, onde detto giudice non può risolvere quelle questioni in senso diverso con la sentenza definitiva ed ove lo faccia il giudice del gravame può rilevare d'ufficio la violazione del giudicato interno originante dalla sentenza non definitiva, che non sia stata immediatamente impugnata né fatta oggetto di riserva di impugnazione differita, a nulla rilevando che la detta violazione non sia stata oggetto di specifico gravame di parte. (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto che correttamente il giudice dell'appello contro la sentenza definitiva avesse d'ufficio rilevato la violazione del giudicato, sotto il profilo che una questione di individuazione di un termine di prescrizione, decisa dal giudice di primo grado con sentenza parziale non definitiva, non impugnata e non fatta oggetto di riserva di impugnazione, era stata decisa differentemente con la sentenza definitiva, pur non sottoposta dalla parte interessata a gravame incidentale sul punto).
Cass. civ. n. 4821/1999
Nel vigente sistema processuale il frazionamento della decisione comporta l'esaurimento dei poteri decisori per la parte della controversia definita con la sentenza interlocutoria, con la conseguenza che la prosecuzione del giudizio non può riguardare altro che le questioni non coperte dalla prima pronuncia. Ciò significa che il giudice che ha emesso una sentenza non definitiva - anche se non passata in giudicato - resta da questa vincolato agli effetti della prosecuzione del giudizio davanti a sé in ordine sia alle questioni definite sia per quelle da queste dipendenti che debbano essere esaminate e decise sulla base dell'intervenuta pronunzia, a meno che questa sia stata riformata con sentenza passata in giudicato pronunziata a seguito di impugnazione immediata (la quale rappresenta l'unico strumento per sottoporre a riesame le statuizioni contenute in una sentenza non definitiva).
Cass. civ. n. 4465/1997
Nel caso in cui le parti contendenti accampino contrapposte pretese creditorie fondate sullo stesso titolo o scaturenti da rapporti diversi, il giudice di merito, ai sensi degli artt. 103, 104, 279 c.p.c. ha facoltà di separare le cause relative a diverse pretese e quindi di statuire, con sentenza non definitiva, su una o su talune di queste e di rimettere al prosieguo, all'esito dell'ulteriore istruzione ravvisata necessaria, la decisione sulle altre.
Cass. civ. n. 9448/1995
Affinché una sentenza possa configurarsi come definitiva, con conseguente esclusione della possibilità di differirne l'impugnazione, è necessario che essa concluda l'intera controversia su una o più domande così esaurendo la decisione delle questioni dalle medesime implicate ed acquistando connotati di autonomia ed autosufficienza, laddove costituisce sentenza non definitiva quella che rinviando al prosieguo il riconoscimento del bene in contestazione (o di una parte di esso) statuisca su questioni in senso lato pregiudiziali o su domande connesse o su alcuni capi dell'unica domanda ovvero solo sull'an debeatur.
Cass. civ. n. 4225/1995
Al fine di stabilire se un provvedimento abbia o meno carattere di ordinanza o di sentenza e sia quindi o meno soggetto ai mezzi di impugnazione previsti per quest'ultima deve aversi riguardo non alla sua forma esteriore o alla denominazione datagli dal giudice che lo ha pronunziato ma all'effetto giuridico che esso è destinato a produrre, talché si è in presenza di un'ordinanza quando il provvedimento dispone circa il contenuto formale delle attività consentite alle parti mentre si è innanzi ad una sentenza quando il giudice, nell'esercizio del suo potere giurisdizionale, si pronuncia in via definitiva o non definitiva sul merito della controversia o su presupposti e condizioni processuali. Pertanto, concesso dal pretore provvedimento d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c., con termine per l'instaurazione del giudizio di merito, qualora detto giudice, adito entro tale termine dalla parte contro la quale il provvedimento è stato emanato con ricorso diretto alla revoca del provvedimento medesimo, dichiari con ordinanza l'inefficacia del provvedimento per mancata instaurazione del giudizio di merito entro il termine assegnato, ritenendo inidoneo a tal fine il ricorso proposto, in quanto mirante alla revoca della cautela accordata, e la conseguente inammissibilità di tale ricorso per difetto di interesse, una volta caducato il provvedimento cautelare, detta ordinanza, pronunziandosi in via definitiva su condizioni processuali, ha natura di sentenza, impugnabile con l'appello e non con il ricorso per cassazione
Cass. civ. n. 5541/1994
L'accertamento, in sede di sentenza non definitiva, degli elementi materiali che individuano una determinata convenzione fra le parti, non preclude al giudice di provvedere, con la sentenza definitiva resa fra le medesime parti, alla qualificazione giuridica di tale convenzione, in relazione ai dati definiti con la precedente pronuncia. Pertanto, ove con la prima decisione, dichiarativa della simulazione di un contratto di locazione, il giudice abbia accertato l'esistenza di una convenzione per la concessione gratuita dell'utilizzazione dell'immobile, ciò non impedisce che, con la definitiva decisione della causa, la dissimulata convenzione venga ascritta all'archetipo del comodato, delineato dall'art. 1803 c.c.
Cass. civ. n. 1931/1993
Anche la sentenza di appello, nonostante la sua esecutività, può avere carattere non definitivo, ai sensi dell'art. 279 c.p.c. e per gli effetti dell'art. 361 dello stesso codice, quando non chiude il giudizio di appello, non ostandovi, in presenza della riserva di ricorso per cassazione, il pregiudizio della possibilità per la parte soccombente, di chiedere a norma dell'art. 373 c.p.c. la sospensione della immediata esecutività della sentenza, che, correlata alla proposizione del ricorso immediato, dipende solo dalla preclusiva scelta della parte interessata.
Cass. civ. n. 1105/1993
La sentenza di secondo grado che definendo il giudizio di appello avverso una sentenza non definitiva di primo grado esaurisca la fase del giudizio pronunciando su tutte le questioni in essa proposte è da considerare come definitiva e non suscettibile di riserva di impugnazione differita, a nulla rilevando la prosecuzione del giudizio di primo grado per la determinazione del quantum debeatur; contro tale sentenza il ricorso per cassazione deve essere quindi proposto immediatamente nei termini di legge.
Cass. civ. n. 7225/1992
In ipotesi di cumulo di domande, ai fini dell'identificazione di una sentenza resa nel relativo processo come definitiva o non definitiva — onde desumerne il regime dell'impugnabilità e della formazione del giudicato — deve aversi riguardo, non già alle circostanze meramente estrinseche della prosecuzione del processo stesso dopo la sua pronunzia, e della mancanza di provvedimenti sulle spese o di separazione, ma all'effettivo contenuto della sentenza, configurandosi come definitiva quella che conclude l'intera controversia su una o più domande, così esaurendo la decisione delle questioni dalle medesime implicate ed acquistando connotati di autonomia ed autosufficienza, laddove costituisce sentenza non definitiva quella che, rinviando al prosieguo il riconoscimento del bene (o di una parte di esso) in contestazione fra le parti statuisce soltanto su questioni in senso lato pregiudiziali o su domande connesse o su alcuni capi dell'unica domanda o solo sull'an.
Cass. civ. n. 4778/1991
Ai fini dell'operatività dell'istituto della riserva di impugnazione, una sentenza può considerarsi non definitiva, non già in base alla qualificazione attribuitale dal giudice a quo o alla circostanza che questi abbia rimesso a successiva sentenza la pronuncia sulle spese processuali, bensì tenendo conto dell'effettivo contenuto della decisione, con la conseguenza che la natura non definitiva va riconosciuta quante volte la sentenza non conclude l'intera controversia, esaurendo il potere giurisdizionale del giudice adito nei confronti delle parti in contesa, ma statuisca soltanto su questioni pregiudiziali o su alcune domande o su alcuni capi dell'unica domanda o, infine, sull'an, rinviando alla pronuncia definitiva la decisione delle altre domande o degli altri capi ovvero la liquidazione del quantum.
Cass. civ. n. 6311/1990
La sentenza non definitiva, che abbia statuito sulla giurisdizione, segna l'esaurirsi della potestas decidendi sulla relativa questione, e, pertanto, ancorché non passata in giudicato, osta a che lo stesso giudice possa, con la sentenza definitiva, nuovamente pronunciare al riguardo.
Cass. civ. n. 1577/1990
Nel caso di cumulo di domande fra gli stessi soggetti, la sentenza, che decida una o più di dette domande, con prosecuzione del procedimento per le altre, ha natura non definitiva, e come tale può essere oggetto di riserva d'impugnazione differita (artt. 340 e 361 c.p.c.), qualora non disponga la separazione, ai sensi dell'art. 279 secondo comma n. 5 c.p.c., e non provveda sulle spese relative alla domanda od alle domande decise, rinviando all'ulteriore corso del giudizio, atteso che, anche al fine indicato, la definitività della sentenza esige un espresso provvedimento di separazione, ovvero la pronuncia sulle spese, che chiude la contesa cui si riferisce e quindi necessariamente implica la separazione medesima.
Cass. civ. n. 3605/1981
Fuori dell'ipotesi prevista dagli artt. 279, n. 4 e 278 c.p.c. al giudice del merito non è consentito frazionare il procedimento decisorio in più pronunzie, aventi per oggetto la stessa causa. Pertanto, nel caso di violazione di tale principio, tutte le sentenze assumono carattere definitivo, anche se la prima pronuncia erroneamente sia stata indicata come «non definitiva» cosicché priva di ogni effetto è la riserva di impugnazione ex artt. 340 e 361 c.p.c. compiuta dalla parte totalmente o parzialmente soccombente, la quale deve provvedere, invece, all'impugnazione immediata della sentenza nel termine previsto dagli artt. 326, 327 c.p.c.
Cass. civ. n. 1811/1981
Il giudice del merito, indipendentemente dalla richiesta delle parti, ha facoltà di emettere una pronuncia non definitiva, quando ritenga di poter decidere, in base alle prove raccolte, soltanto alcune delle questioni a lui sottoposte, riservando ad una successiva pronuncia, da emanare a seguito dell'espletamento di ulteriori atti istruttori, la decisione definitiva sui restanti capi della domanda.
Cass. civ. n. 2028/1980
A norma della disposizione di cui all'art. 279, n. 4, c.p.c., da interpretare in armonia con tutti i numeri precedenti dello stesso articolo, il giudice è abilitato a decidere con sentenza non definitiva le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito potenzialmente risolutive della controversia anche ove ritenga di risolvere tali questioni in un senso che comporti la prosecuzione del giudizio, ma non è affatto abilitato a frazionare la decisione di merito in ordine alla domanda, ovvero ai capi autonomi della medesima.
Cass. civ. n. 44/1962
In forza del principio enunciato nel penultimo comma dell'art. 279 c.p.c. (per il quale i provvedimenti del collegio che hanno forma di ordinanza, comunque motivati, non possono mai pregiudicare la decisione della causa e sono sempre modificabili e revocabili salvo che la legge disponga altrimenti), il giudice collegiale non è mai vincolato dalle premesse adottate nella motivazione dell'ordinanza con la quale ha disposto mezzi di prova. Pertanto, qualora, nella sentenza con la quale definisce il giudizio, egli adotti una motivazione contrastante con la suddetta premessa, non è tenuto a pronunciare una formale ed esplicita revoca dell'ordinanza medesima o della motivazione di essa, essendo tali revoche implicite nella stessa contrastante motivazione della sentenza.
Cass. civ. n. 1639/1956
Il contenuto della sentenza non definitiva, nella disciplina dell'art. 279 del codice di procedura civile non comprende la soluzione delle questioni relative alla ammissibilità e rilevanza dei mezzi istruttori proposti dalle parti o da disporre d'ufficio, che si rendono necessari per l'ulteriore istruzione, dovendo tali questioni essere decise con ordinanza del giudice istruttore o del collegio a norma degli artt. 187, quinto comma, 178 e 279, c.p.c. Pertanto se il collegio, in violazione delle norme dianzi citate, pronunci con la sentenza definitiva decisioni di merito e provvedimenti sulla rilevanza e ammissibilità di mezzi istruttori, questi ultimi provvedimenti sono modificabili e revocabili dallo stesso collegio né sono soggetti ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze.