(massima n. 1)
L'alienazione della proprietà di una cosa non comporta, ipso facto che l'alienante, nel trattenerla presso di sè, realizzi automaticamente la trasformazione del possesso nomine proprio in mera detenzione per conto dell'acquirente, dovendosi, per converso, accertare, caso per caso, in base al comportamento delle due parti contraenti rispetto al bene alienato, se la prosecuzione, da parte del venditore, dell'esercizio del potere di fatto sulla cosa invece qualificabile (ancora) in termini di possesso, in quanto caratterizzata dall'intenzione di tenere la cosa presso di sé (ancora) come proprietario. (Nella specie, la corte di merito, con sentenza confermata dalla S.C., aveva evidenziato come l'atto pubblico di trasferimento di alcuni beni rurali contenesse la precisazione che, all'acquirente, era stato trasferito il possesso dei beni medesimi e che, pur avendo l'alienante continuato a detenere gli immobili dopo la vendita, i più importanti atti ad essi relativi — e cioè quelli di disposizione, o quelli comunque spettanti al proprietario — erano sempre stati compiuti dall'acquirente, sì che la prova dell'esistenza di un legittimo constitutum possessorium, gravante integralmente sugli alienati pretesi possessori, doveva dirsi fallita).