La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18280 del 19 settembre 2016, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, un soggetto aveva agito in giudizio al fine di ottenere la restituzione di tredici oggetti d’arte, tra cui alcune opere di autori famosi, che egli aveva regalato alla fidanzata in occasione di San Valentino e della Festa della donna, durante la loro relazione sentimentale, che ora si era interrotta.
Il Tribunale di Milano aveva accolto la domanda limitatamente ad uno di tali beni, considerando gli altri regali delle “liberalità d’uso” che, essendo ormai in possesso della donna, non andavano restituite.
La Corte d’appello, pronunciatasi in secondo grado, aveva “confermato la natura di liberalità d'uso della dazione di quasi tutte le opere”, escludendo tale natura solo con riferimento ad un quadro, del valore stimato di ben 600.000 euro, “asseritamente donato a chiusura di uno screzio tra le parti”, in quanto tale donazione, che era avvenuta unitamente al regalo di un anello di diamanti di tredici carati, costituiva, secondo il giudice, “apprezzabile depauperamento del patrimonio del donante”, con la conseguenza che la medesima avrebbe dovuto avvenire nelle forme previste dall’art. 782 cod. civ. (atto pubblico).
La Corte d’appello, dunque, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva condannato l’ex fidanzata al pagamento in favore dell’attore del controvalore di tale bene, che, nel frattempo, era stato venduto a terzi.
La donna, ritenendo la sentenza ingiusta, proponeva ricorso per Cassazione, sostenendo che il quadro e l’anello in diamanti “erano stati donati con atto qualificabile come liberalità d'uso e che la Corte di appello non avrebbe motivato adeguatamente in ordine alla proporzionalità dei doni con il tenore di vita degli interessati”.
A sostegno delle proprie ragioni, la ricorrente evidenziava che la dazione del quadro era stata giustificata anche dalle spese sostenute dalla ricorrente per l'organizzazione di una festa in onore dell’ex fidanzato, che era stata da lui ingiustificatamente annullata e che “il patrimonio dell'attore era all'epoca di diverse decine di milioni di Euro”.
La Corte di Cassazione non riteneva, tuttavia, di poter aderire alle argomentazioni svolte dalla ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Secondo la Cassazione, infatti, la Corte d’appello aveva “scrupolosamente esaminato gli elementi rilevanti per la decisione: la grande consistenza del patrimonio dell'attore; l'abitudine di questi di elargire regali costosi in occasione di ricorrenze; il rilievo della valutazione dei singoli beni”.
Le valutazioni effettuate dalla Corte d’appello, dunque, non potevano essere in alcun modo criticate.
Secondo la Cassazione, in particolare, “una volta riscontrata l'anomalia della causale e l'anomalia del valore rispetto anche ai pur preziosi precedenti regali, la decisione della Corte di appello di qualificare questa elargizione come donazione di grande valore", non riconducibile al secondo comma dell'art. 770 c.c., "costituisce qualificazione correttamente motivata, che ha tenuto conto di tutti i fattori che sono diversamente valutati da parte ricorrente”.
In proposito, la Corte precisava, infatti, che la “liberalità d'uso si configura qualora sia disposta in determinate occasioni, quali le nozze, i compleanni, gli anniversari, in cui per consuetudine si è instaurata l'abitualità diffusa di un certo comportamento”.
Conseguentemente, “feste e ricorrenze affermatesi nel corso del tempo possono far sorgere e consolidare usi nuovi, che legittimano l'applicazione della disposizione in esame”.
Nel caso di specie, tuttavia, poiché anche secondo la Cassazione i regali oggetto di causa non potevano essere considerati degli usuali (normali) regali di San Valentino, la Corte d’appello aveva del tutto correttamente escluso la natura di “liberalità d’uso” del regalo in questione.
Alla luce di tali considerazioni, dunque, la Cassazione confermava la sentenza di secondo grado, nella parte in cui la medesima aveva escluso la natura di “liberalità d’uso” dei regali oggetto di causa.