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Articolo 785 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Donazione in riguardo di matrimonio

Dispositivo dell'art. 785 Codice Civile

La donazione fatta in riguardo di un determinato futuro matrimonio(1), sia dagli sposi tra loro, sia da altri a favore di uno o di entrambi gli sposi(2) o dei figli nascituri da questi [784 c.c.], si perfeziona senza bisogno che sia accettata(3), ma non produce effetto finché non segua il matrimonio [805 c.c.].

L'annullamento del matrimonio [117 c.c.] importa la nullità [1418 c.c.] della donazione(4). Restano tuttavia salvi i diritti acquistati dai terzi di buona fede [1445 c.c.] tra il giorno del matrimonio e il passaggio in giudicato della sentenza che dichiara la nullità del matrimonio. Il coniuge di buona fede non è tenuto a restituire i frutti percepiti anteriormente alla domanda di annullamento del matrimonio.

La donazione in favore di figli nascituri rimane efficace per i figli rispetto ai quali si verificano gli effetti del matrimonio putativo [128 c.c.].

Note

(1) La donazione obnuziale è valida solo se riferita ad uno specifico matrimonio in relazione al quale gli sposi possano essere individuabili. La donazione fatta in vista di un generico matrimonio non rientra nella previsione in commento.
(2) Se la donazione è fatta da uno dei due coniugi, donatario sarà l'altro sposo; se il donante è un terzo i beneficiari della liberalità possono essere entrambi i futuri coniugi o solo uno di essi.
(3) La donazione obnuziale resta valida in caso di separazione personale e di divorzio.
(4) L'annullamento del matrimonio ha effetto retroattivo. Pertanto la donazione si considera come se mai fosse stata fatta, e sorge in capo ai donatari l'obbligo di restituire i beni ricevuti, con le seguenti eccezioni:
a) nel caso di coniuge di buona fede (che non era cioè a conoscenza del vizio che ha causato l'annullamento del suo matrimonio), questi non deve restituire i frutti da lui percepiti prima della domanda di annullamento del matrimonio;
b) nel caso in cui i donatari abbiano trasferito il bene donato ad altre persone (terzi), queste non devono restituire il bene al donante, se al momento del trasferimento erano in buona fede;
c) nel caso di donazione fatta ai figli nascituri, la donazione rimane valida ed efficace anche dopo l'annullamento del matrimonio nel caso in cui ricorrano gli estremi del matrimonio putativo (v. art. 128 del c.c.).

Ratio Legis

La donazione obnuziale si perfeziona a prescindere dall'accettazione del donatario. La dottrina maggioritaria, pertanto, ritiene che l'istituto in esame vada qualificato quale negozio giuridico unilaterale. La donazione è efficace a partire dal momento in cui giunge a conoscenza del destinatario, il quale può rifiutarla entro il termine previsto dalla natura dell'affare o dagli usi.

Brocardi

Donatio ante nuptias

Spiegazione dell'art. 785 Codice Civile

È già ovvia di per sé e non necessita di chiarimento l’enunciazione del principio che l'efficacia di una donazione fatta in riguardo di un determinato futuro matrimonio, sia dagli sposi tra di loro, sia da altri a favore di uno o di entrambi gli sposi o della prole nascitura dai medesimi, debba intendersi subordinata alla celebrazione ed all’esistenza del matrimonio.
Un chiarimento, però, può apparire necessario per quel che riflette la forma con cui tale donazione si perfeziona, e ciò per non incorrere nell’erronea opinione di ritenere che qui la legge abbia derogato alla necessità dell’accettazione e si abbia, quindi, un caso in cui la donazione cessa di essere contratto. In effetti un’eccezione esiste, ma non a tale principio, piuttosto a quello dell’accettazione espressa. Per l’ipotesi dell’articolo in commento, non è necessario che l’accettazione sia fatta in modo solenne, per atto pubblico o nell’atto stesso del matrimonio o anche prima, ma in contemplazione del matrimonio; è sufficiente solo che il matrimonio si compia: si ha, così, un’accettazione tacita, implicita, invece di un’accettazione formale, espressa, solenne nelle forme volute dalla legge.
Condizionata la validità della donazione alla celebrazione ed all'esistenza del matrimonio, ne consegue la nullità della donazione quando il matrimonio è annullato o, sebbene la legge non lo precisi, anche se è certo che non potrà più essere celebrato.
È questione, invece, controversa lo stabilire quale sia la sorte della donazione contemplations matrimonii di cui sia stata poi pronunciata la dispensa super rato et non consummate. Dato che la dispensa produce l’annullamento del vincolo, deve ritenersi nulla la donazione; non si può porre in dubbio che il donante si sia determinato alla donazione in vista del matrimonio futuro; se questo, pur celebrato, viene poi meno a causa della dispensa, la donazione non può dirsi efficace.
L’annullamento del vincolo, operando con effetto retroattivo, dovrebbe distruggere anche i diritti che i terzi avessero eventualmente acquistato tra il giorno del matrimonio ed il passaggio in giudicato della sentenza di nullità. Ma, al rigore di siffatta conseguenza, l’art. 785 ha derogato per la tutela dei terzi di buona fede che, perciò, solo se tali (è irrilevante, quindi, la buona o la mala fede dei coniugi) possono veder salvi i loro diritti.
Nel caso di matrimonio putativo, il codice ha ritenuto di dover derogare al principio che per esso sono salvi gli effetti civili, statuendo la nullità della donazione; ciò si giustifica con il duplice rilievo: che questa, fatta con riguardo di un matrimonio, venendo il medesimo a mancare, vien meno anch’essa, e che i beni non devono essere distolti dalla loro destinazione, ossia la costituzione di un eventuale nuovo matrimonio valido. Tuttavia, pur affermato ciò, in conformità all’insegnamento della dottrina e della giurisprudenza, è riconosciuto al coniuge di buona fede il diritto ai frutti maturati sino alla domanda di annullamento del matrimonio.
Resta, invece, efficace la donazione fatta a favore dei figli nascituri e nati dal matrimonio poi annullato, ma sempre quando nei loro confronti si verifichino gli effetti del matrimonio putativo.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 785 Codice Civile

Cass. civ. n. 22140/2019

In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ai fini della configurabilità del reato è necessario che sussista la possibilità in astratto per l'agente di adire il giudice per ottenere quello che si è illegittimamente preteso in concreto mediante l'uso della violenza. (In applicazione del principio la Corte ha escluso la configurabilità del delitto in questione in un caso in cui l'imputato aveva agito al fine di ottenere la restituzione dei regali dati alla fidanzata, trattandosi di pretesa non coperta da tutela giurisdizionale, non potendo qualificarsi siffatta elargizione quale donazione obnunziale). (Dichiara inammissibile, CORTE APPELLO TORINO, 08/03/2018).

Cass. civ. n. 14203/2017

Ai sensi dell'art. 785 c.c., la donazione obnuziale, essendo un negozio formale e tipico caratterizzato dall'espressa menzione, nell'atto pubblico, delle finalità dell'attribuzione patrimoniale eseguita da uno degli sposi o da un terzo in riguardo di un futuro, "determinato", matrimonio, è incompatibile con l'istituto della donazione indiretta, in cui lo spirito di liberalità viene perseguito mediante il compimento di atti diversi da quelli previsti dall'art. 769 c.c.; infatti, la precisa connotazione della causa negoziale, che deve espressamente risultare dal contesto dell'atto, non può rinvenirsi nell'ambito di una fattispecie indiretta, nella quale la finalità suddetta, ancorché in concreto perseguita, può rilevare solo quale motivo finale degli atti di disposizione patrimoniale fra loro collegati ma non anche quale elemento tipizzante del contratto, chiaramente delineato dal legislatore nei suoi requisiti di forma e di sostanza, in vista del particolare regime di perfezionamento, efficacia e caducazione che lo contraddistingue dalle altre donazioni. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 16/03/2016).

Cass. civ. n. 9052/2010

Qualora venga acclarata la mancanza di una "causa adquirendi" - tanto nel caso di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione di un contratto, quanto in quello di qualsiasi altra causa che faccia venir meno il vincolo originariamente esistente - l'azione accordata della legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito oggettivo. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto che non fosse incorsa in ultrapetizione la sentenza impugnata, la quale aveva accolto la domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione di un contratto, escludendo la configurabilità dello stesso come donazione obnuziale priva di causa per rottura del fidanzamento da parte dei nubendi, come sostenuto dall'attore, ma ravvisandovi un complesso accordo negoziale affetto da nullità perché stipulato in frode alla legge). (Rigetta, App. Roma, 10/03/2005).

Cass. civ. n. 19029/2008

Le domande di nullità della donazione in quanto stipulata tra coniugi contro il divieto di cui all'art. 781 c.c. poi dichiarato costituzionalmente illegittimo e di nullità della donazione obnuziale per effetto del successivo annullamento del matrimonio (art. 785, secondo comma, c.c. ), sono diverse per il titolo, in quanto la seconda si fonda sul carattere obnuziale della liberalità ; ne consegue che, ove quest'ultimo elemento non sia stato tempestivamente dedotto, la domanda di nullità della donazione obnuziale deve ritenersi domanda nuova, non proponibile per la prima volta in grado di appello.

Cass. civ. n. 1967/2007

Seppure l'art. 978 c.c. faccia genericamente riferimento alla volontà dell'uomo, la tipologia negoziale idonea a costituire il diritto di usufrutto deve essere individuata - non diversamente da quanto è stabilito in materia di servitù dall'art. 1058 c.c. - nel testamento e nel contratto, mentre, per quanto riguarda i negozi unilaterali, nei limiti in cui sono ritenuti vincolanti per l'ordinamento, la possibilità di costituire l'usufrutto deve ritenersi limitata alle sole figure della promessa al pubblico prevista dall'art. 1989 c.c. e della donazione obnuziale di cui all'art. 785 c.c. (Nella specie, è stata escluso che potesse integrare un atto valido per la costituzione del diritto di usufrutto la scrittura privata sottoscritta soltanto dalla parte che aveva invocato l'avvenuta concessione del diritto).

Cass. civ. n. 15873/2006

Ai sensi dell'art. 785 c.c. la donazione obnuziale, essendo un negozio formale e tipico caratterizzato dall'espressa menzione nell'atto pubblico delle finalità dell'attribuzione patrimoniale, eseguita da uno degli sposi o da un terzo in riguardo di un futuro, «determinato», matrimonio, è incompatibile con l'istituto della donazione indiretta, in cui lo spirito di liberalità viene perseguito mediante il compimento di atti diversi da quelli previsti dall'art. 769 c.c.; infatti, la precisa connotazione della causa negoziale, che deve espressamente risultare dal contesto dell'atto, non può rinvenirsi nell'ambito di una fattispecie indiretta, nella quale la finalità suddetta, ancorché in concreto perseguita, può rilevare solo quale motivo finale degli atti di disposizione patrimoniale fra loro collegati ma non anche quale elemento tipizzante del contratto, chiaramente delineato dal legislatore nei suoi requisiti di forma e di sostanza, in vista del particolare regime di perfezionamento, efficacia e caducazione che lo contraddistingue dalle altre donazioni.

Cass. civ. n. 5410/1989

Per aversi donazione in riguardo di matrimonio (cosiddetta donazione obnuziale) è necessario che l'atto faccia riferimento ad un matrimonio bene individuato, cosicché è da escludere che rientri nello schema di cui all'art. 785 c.c. l'attribuzione patrimoniale fatta nella prospettiva soltanto generica del matrimonio. (In applicazione del suddetto principio la S.C. ha ritenuto che correttamente il giudice del merito aveva escluso che ricorressero gli estremi della donazione obnuziale con riferimento ad una pluralità di atti di liberalità tra due persone che avevano convissuto more uxorio, avendo rilevato che la convivenza more uxorio protrattasi per circa venti anni e la reiterazione degli atti di liberalità erano inconciliabili, sotto il profilo logico, con la determinatezza del matrimonio richiesta dall'art. 785 cit.).

Cass. civ. n. 904/1976

Il capoverso dell'art. 785 c.c., secondo cui l'annullamento del matrimonio importa la nullità della donazione obnuziale, non si applica in caso di divorzio. Infatti, mentre l'annullamento del matrimonio fa cadere la liberalità poiché elide la sua condizione sospensiva, altrettanto non può dirsi del divorzio, che non elide, ma anzi presuppone l'esistenza di un matrimonio validamente celebrato, determinandone solo l'inefficacia sopravvenuta.

Cass. civ. n. 945/1973

La donazione obnuziale non va confusa con le convenzioni matrimoniali, in quanto la prima si perfeziona con la dichiarazione del donante, attribuisce la proprietà dei beni e non è destinata a sopportare i pesi del matrimonio come le seconde, che inoltre si costituiscono con la prestazione del consenso di tutte le parti legittimate all'atto ed hanno ad oggetto la sola regolamentazione di beni. La donazione obnuziale è atto a titolo gratuito, unico elemento determinante dell'attribuzione patrimoniale essendo l'animus donandi. Nella donazione obnuziale, l'attribuzione patrimoniale è collegata geneticamente e funzionalmente con il matrimonio del quale, pertanto, segué le sorti, nel senso che tanto se questo non viene celebrato, tanto se viene annullato, l'attribuzione è nulla assolutamente ed il donante è ripristinato nella titolarità della proprietà del bene donato, come se questo non fosse stato mai trasferito. A tal fine egli può esperire o l'azione, personale e prescrittibile, di restituzione, oppure l'azione imprescrittibile e reale di rivendicazione o infine quella, anch'essa imprescrittibile, di mero accertamento della sua proprietà.

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Antonio B. chiede
martedì 25/06/2019 - Liguria
“Buon giorno
Vi espongo il mio quesito .
Sofia , la figlia di mia moglie che ho cresciuto dall’età di 11 anni , convive , senza essere sposata , con un “uomo” dal quale ha avuto 3 figli ( 3-5-9 anni) .
Nell’ agosto 2018 lui ha comprato una casa dove si sono trasferiti a vivere e mi disse che gliene avrebbe intestato una quota .
Non potendo aiutarli con denaro nell’acquisto io gli donai alcuni pezzi di antiquariato in pietra e legno tipo colonne e fregi che sono stati murati nelle pareti dell’ abitazione e un cancello carrabile antico in ferro ribattuto per l’ingresso di casa ; mentre mia moglie la cucina , dei mobili antichi , cornici e un tappeto .
A marzo 2019 mia figlia scopre che lui ha una amante . Messo alle strette conferma di averla ma dice anche che non se ne vuole andare di casa, anzi che deve andarsene lei , cosa impossibile con 3 bambini piccoli e ha detto anche che vuole mettere in vendita la casa .
E’ così che solo adesso veniamo anche a sapere che non le ha mai intestato la quota di casa che aveva promesso di interstarle.
Vorrei chiedervi :
1) SE e come posso chiedere che mi vengano pagate le cose che sono state donate in buona fede ad una persona indegna e senza alcun titolo . Cose che non voglio che restino in una casa di sua proprietà . Peraltro vorrei che ci fossero pagate e i soldi recuperati fossero versati su un libretto o cc. intestato ai nipoti da aprire alla maggior età.
2) Non ultimo vi chiedo come potrei dimostrare il valore delle cose donate e che arrivano da una mia precedente attività di antiquario e delle quali non ho più alcuna fattura perché sono passati 20 anni dal loro acquisto . (Chiaramente , come ex antiquario , potrei redigere una perizia ma non so quanto possa avere valore ) .In ogni modo quantificati in circa 30.000 euro

Resto in attesa di un vostro parere giuridico e consigli o istruzioni sul da farsi e le eventuali probabilità di successo in caso di causa legale.

Distinti saluti

Consulenza legale i 01/07/2019
Nella realtà sociale del nostro paese le famiglie di fatto stanno assumendo un ruolo sempre più significativo.
Tuttavia, in Italia, l’assenza di un legame matrimoniale che unisce due persone conviventi, esclude nella famiglia di fatto la sussistenza di quelli che sono i reciproci diritti e doveri caratteristici del rapporto tra marito e moglie, ovvero quelli sanciti dal codice civile, anche se la coppia acquisisce dei diritti legali sia a livello reciproco sia nei confronti della società (ne sono un esempio: l’esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli riconosciuti dalla coppia; la facoltà di subentrare nel contratto di affitto intestato al partner se costui venga a mancare; l’accesso alle prestazioni dello stato sociale, come l’assegnazione di una casa popolare; la possibilità di accogliere in affido un minore privo di una famiglia in modo temporaneo; la tutela possessoria della casa nella quale la coppia convive; il diritto al risarcimento del danno subito dal partner se, ad esempio, resta vittima di un incidente mortale o di un omicidio, e così via).

Sotto il profilo patrimoniale, che è quello che qui ci interessa, uno strumento utile viene offerto dal Consiglio Nazionale del Notariato il quale, nell’intento di fornire una certa tutela alle coppie di conviventi, ha elaborato la possibilità di far sottoscrivere agli stessi dei veri e propri contratti di convivenza riconosciuti dalla legge (legge n. 76/2016), in grado di regolare gli aspetti patrimoniali relativi sia alla convivenza che all’eventuale separazione.
Viene sostanzialmente trasfuso per iscritto cosa succede con la casa, il mantenimento, i beni, il testamento, nell’ipotesi in cui il rapporto di convivenza venga cessare.
Poiché tali clausole sono contenute in un contratto c.d. di convivenza, ricevuto da un notaio nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, acquisiscono pieno valore legale ad ogni effetto di legge, ivi compreso quello all’eventuale diritto di restituzione in ordine a determinati beni.

Purtroppo si tratta di soluzioni a cui non si pensa mai durante un rapporto di convivenza, non riflettendo i partner sul fatto che la loro unione possa un giorno terminare, essere interrotta dalla sopravvenienza di una crisi irreversibile, che, purtroppo, andrà a modificare anche la reciproca disponibilità psicologica.
E così si finisce per cointestarsi conti correnti nei quali far confluire le risorse economiche di entrambi, che vengono utilizzate per i fini più diversi, o ancora di più, intestare case a nome di uno solo dei due (malgrado gli sforzi economici appartengano ad entrambi oppure sia soltanto uno dei due a farsi carico del pagamento dei ratei di mutuo relativi all’immobile di proprietà dell’altro).

Altre situazioni lasciate nell’ombra riguardano i regali di un certo valore che i conviventi si sono scambiati l’un l’altro, oppure i soldi spesi per i mobili o per la ristrutturazione, a beneficio dell’appartamento intestato al destinatario delle elargizioni, ipotesi queste ricorrenti nel caso di specie.
Si tratta di questioni di cui i giudici vengono sempre più spesso investiti ed al ricorrere delle quali l’unico modo per prevenire eventuali decisioni di segno negativo è quello di fare ricorso, prima del momento patologico, alla redazione di una convenzione del tipo di quella sopra vista.


In mancanza di ciò, un’utile guida per stabilire “se” e “come” muoversi la si può rinvenire in una recente decisione della Corte di Cassazione, e precisamente l’ordinanza n. 14732 del 7 giugno 2018.
Con tale ordinanza la S.C. si pronuncia sulle legittime aspettative che, al termine della relazione, la donna (nel caso specifico) può avanzare nei confronti del compagno al fine di recuperare gli arredi della casa, acquistati insieme o separatamente durante la convivenza, i risparmi presenti nel conto corrente cointestato, ecc. (è chiaro che ai beni conferiti da uno solo dei conviventi possano essere assimilati quei beni procurati ad uno di essi per effetto di donazione da parte dei rispettivi familiari).

Ebbene, esclusa per tale ipotesi l’applicabilità del secondo comma dell’art. 936 del c.c. (norma che disciplina il caso in cui un terzo, senza essere autorizzato o legittimato, esegua, con materiali propri, delle opere su un immobile altrui), la Corte di Cass. ritiene invece esperibile l’azione di indebito arricchimento disciplinata dall’art. 2041 del c.c., azione a cui si attribuisce carattere residuale (nel senso che ad essa può farsi ricorso in assenza di altre e più specifiche azioni).

Trattasi di azione generale avente come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro, avvenuta senza giusta causa. Ciò comporta che non è consentito invocare la mancanza o l'ingiustizia della causa qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un atto di liberalità o dell'adempimento di un' obbligazione naturale, mentre sarà possibile configurare l'ingiustizia dell'arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell'altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza, da parametrare sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti (in tale senso può citarsi Cass. sez. III, 15 maggio 2009, n. 11330).

In altri termini, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, non può mai configurarsi arricchimento senza causa se lo squilibrio economico a favore di una parte ed a danno dell’altra sia voluto dagli interessati, cioè quando il trasferimento dell'utilità economica trovi giustificazione nel consenso della parte che assuma di essere danneggiata, concretizzandosi in una vera e propria attribuzione patrimoniale a fondo perduto, atta ad avvantaggiare il soggetto che si presume arricchito (per Cass. sez. L, 27 febbraio 1978, n. 1024, la volontaria prestazione esclude l'ingiusto arricchimento, quali che siano per entrambi gli interessati le conseguenze patrimoniali economiche, vantaggiose o svantaggiose, della libera e concorde determinazione della loro volontà).

Da quanto sopra detto, dunque, se ne deve dedurre che, in assenza di un contratto di convivenza, sarà alquanto improbabile che il Giudice investito della controversia possa giungere a disporre che quei beni debbano essere restituiti a chi, in maniera del tutto volontaria e spontanea, ha deciso di donarli in favore di quella famiglia di fatto.
E’ indubbio, infatti, che si sia trattato a tutti gli effetti di una donazione, per la cui validità non è richiesta la forma dell’atto pubblico, ma, avendo ad oggetto beni mobili, è sufficiente la semplice traditio.
In quanto tale, ad essa è applicabile tutta la disciplina dettata dal codice civile per le donazioni, tra cui in particolare l’art. 800 del c.c., rubricato “Cause di revocazione”, a cui si accenna in qualche modo nel quesito.

Tuttavia, se si legge con attenzione il successivo art. 801 del c.c., che disciplina espressamente la revocazione per ingratitudine, ci si rende conto che tale revocazione non può in alcun modo essere applicata nel caso che ci riguarda, non ricorrendo alcuna delle situazioni di ingratitudine ivi previsti.
Ciò deve scoraggiare ulteriormente nell’intraprendere una causa volta ad ottenere la restituzione o il controvalore economico di quei beni, ancor più che non si è in possesso di alcuna prova documentale da cui possa evincersi la legittima provenienza degli stessi.

A conclusione delle superiori considerazioni si aggiunga che il nostro ordinamento in un solo caso riconosce al donante la legittimazione ad esercitare tanto un'azione personale di restituzione quanto un'azione reale di rivendica dei beni donati, ovvero nell’ipotesi, prevista dall’art. 785 c.c., della donazione effettuata, sia dagli sposi tra loro, sia da altri a favore di uno o di entrambi gli sposi, in riguardo di un determinato matrimonio futuro.
Tuttavia, come si è accennato all’inizio di questa consulenza (ove si è detto del divario ancora sussistente tra coppie di fatto e coppie coniugate), trattasi di norma che si fonda essenzialmente su un futuro legame matrimoniale, e che in quanto tale non può essere minimamente estesa al rapporto di convivenza tra due soggetti.