I requisiti del testamento olografo sono tre:
a) scrittura del contenuto del testamento, delle sue disposizioni, interamente per mano del testatore;
b) indicazione della data in cui fu redatto, pure per mano del testatore;
c) sottoscrizione delle disposizioni, ugualmente autografa del testatore.
a) In quanto al primo requisito, è da osservare che qualunque intervento o partecipazione di una terza persona alla sua redazione sarebbe causa di nullità del testamento, anche quando questa terza persona, pure col consenso del testatore, si limitasse a scrivervi di suo pugno poche parole, le più insignificanti o superflue che possano immaginarsi.
Non sarebbe, però, causa di nullità del testamento l’intrusione delle parole di estraneo carattere avvenuta anche col consenso del testatore, ma posteriormente alla confezione del testamento, dovendosi applicare, allora, la regola
utile per inutile non vitiatur, giacché può essere presunzione di captazione o suggestione l’intervento contemporaneo alla formazione del testamento, ma non quello posteriore, quando il testamento è già perfetto.
Non nuocerebbe nemmeno alla validità del testamento, già scritto, datato e sottoscritto per intero di mano del testatore, la posteriore aggiunta di parole, importanti o meno che fossero, scritte dal terzo, con interlinee e postille, all’insaputa del testatore, o senza il suo consenso, essendo assurdo lasciare in balia di una qualsiasi persona, venuta in possesso di un regolare e valido testamento, il mezzo semplicissimo di renderlo nullo includendovi parole di sua mano. La giurisprudenza è pacifica in questo senso.
A fortiori, non potrebbe nuocere alla validità del testamento né la circostanza che il terzo, venutone per caso in possesso, nello spazio rimasto in bianco, al principio o alla fine, scrivesse parole che nulla avessero a che fare col contenuto delle disposizioni; né la circostanza che il testatore medesimo avesse scritto il suo testamento nello spazio in bianco di un foglio di carta, nel quale già si contenesse una qualsiasi altra scrittura di estraneo carattere, che nulla presentasse di comune con le sue disposizioni testamentarie; neppure quando si scrivesse il testamento sul rovescio di una lettera di un amico o di una quietanza del proprio creditore, e così via.
Tanto più sarebbe valido il testamento scritto su un foglio di carta nel quale, prima o dopo, si contenesse altra scrittura del medesimo carattere del testatore, come un libro di conti, un registro di memorie familiari, un diario e simili.
Il testamento olografo deve essere scritto per intero dal testatore. Ciò comporta, innanzitutto, che il testatore sappia e possa scrivere; inoltre, per scrittura di propria mano si deve intendere l’espressione in segni grafici dei propri pensieri con l’impiego materiale di essa, ma cosciente. Sarebbe, quindi, nullo il testamento redatto macchinalmente, lettera per lettera, sotto dettatura e indicazione di un terzo, da chi avesse appreso semplicemente a disegnarle senza rendersi conto del significato delle parole risultanti dalla loro combinazione, o, che vale lo stesso, da lui in pari condizioni copiato, come un disegno qualunque, tenendo sotto gli occhi il modello scritto, per suo incarico, da un terzo e tanto più se egli si limitasse a ripassare di sua mano l’inchiostro con la penna sulle lettere del testamento, tracciate a matita da un terzo, perché, fra l’altro, in questo caso, non si avrebbe nemmeno il carattere o calligrafia propria del testatore, che pure è necessaria, come vedremo tra poco, perché il testamento possa dirsi scritto di mano del testatore.
E, d’altra parte, sarebbe nullo il testamento, anche di un letterato, che, impedito nei movimenti della mano, se la facesse materialmente condurre da un terzo, sia perché tale scrittura non potrebbe dirsi esclusivamente di sua mano, sia perché ne sarebbe del tutto alterata la calligrafia, in guisa da non potersi verificare in caso di disconoscimento. Ma non sarebbe nullo un testamento nel quale il testatore si sia limitato a copiare la minuta preparata da altri: per esempio, da un avvocato, quando consti che quella era realmente la sua volontà e che, copiando quella bozza, abbia inteso farla propria ed approvarla.
Non sarebbe nemmeno nullo il testamento olografo di chi, nello scriverlo, si facesse soltanto assistere da un terzo, quando, per esempio, a causa della debolezza della vista, o anche completa cecità, avesse bisogno che altri lo aiutino, mettendogli o tenendogli a parte il foglio di carta, indicandogli lo spazio fra riga e riga, avvisandolo della fine di una pagina per passare all'altra ecc., perché questa assistenza del terzo non toglierebbe che il testamento, anche della persona completamente cieca, fosse effettivamente scritto di sua mano, con piena coscienza del valore delle lettere da lui scritte e con piena loro intelligibilità.
È lasciato al criterio incensurabile del giudice di valutare sino a qual punto l’intervento di un terzo nella scrittura dell'olografo sia indifferente.
Abbiamo già detto che per scrittura di mano del testatore deve intendersi anche il suo naturale e ordinario modo di scrivere: quello che, insomma, si dice carattere, nel senso grafico della parola, che è proprio, particolare di ciascun individuo, quasi come la fisionomia del volto. Sarebbe, quindi, nullo (e di ciò non si discute) il testamento stampato o anche quello dattilografato, perché, nell’uno e nell’altro caso, mancherebbe l’autografia, che è qualche cosa di diverso e di più della semplice e materiale opera del testatore a imprimere sulla carta i segni grafici del suo pensiero. Sarebbe pure nullo un testamento tracciato, sì, direttamente di mano del testatore, ma con lettere imitanti quelle della stampa. Né potrebbe dirsi in contrario che, anche se la legge richiede la scrittura a mano, non prescrive pure che il testatore debba adoperare il suo proprio ordinario carattere, perché, in quella esigenza, è già compresa l’altra, dovendosi, se no, ammettere anche la validità del testamento stampato o dattilografato quando si potesse provare con testimoni che esso fosse stampato o dattilografato dallo stesso testatore, il quale vi avrebbe, così, ugualmente impiegato la sua mano. È vero che il testamento scritto a mano dal testatore, pure con lettere imitanti la stampa o in qualunque altro modo da lui alterate rispetto al proprio carattere, si potrebbe, in caso di disconoscimento, più facilmente dimostrare che sia effettivamente opera sua, mentre ciò non sarebbe possibile per il testamento stampato o dattilografato, ma la questione non è se ne sia più o meno facile la prova, ma piuttosto stabilire se questi segni grafici debbano portare in sé stessi l’impronta che siano voluti dallo stesso testatore come riconoscibili per i suoi, come rappresentanti, cioè, il suo carattere, ed esprimenti, quindi, come tali, la sua seria e determinata ultima volontà, da seguire dopo la morte.
Questo è stato il pensiero della legge nel richiedere la scrittura per mano del testatore. Lo stesso dicasi quando il testatore avesse adoperato segni stenografici o telegrafici, ovvero caratteri greci, russi, perché nemmeno in questi casi è possibile la riconoscibilità dell’autografia del testatore. Diverso è, invece, il caso di una semplice alterazione o modificazione del proprio abituale carattere, dal testatore pure volontariamente prodotta, come quando, avendo una pessima calligrafia, si è sforzato a renderla più corretta, chiara ed intelligibile; o uno stesso radicale cambiamento sia stato determinato da necessità di cose, come quando, avendo perso l’uso della mano destra, abbia appreso a scrivere con la sinistra, venendone, così, fuori un carattere diverso da quello che prima gli era proprio con l’uso della mano destra. In tutti questi casi, il testamento sarà valido, perché sarà facile riconoscere, attraverso scritture di comparazione, riferibili al tempo nel quale quel dato modo di scrivere è stato adoperato, l’autografia del testatore.
Purché scritto tutto di mano del testatore, la legge nulla esige di speciale per la validità del testamento olografo in quanto riguarda i mezzi materiali della sua redazione. Può essere scritto su carta bollata o semplice, su pergamena, su tela, su lavagna, su pietra, sul muro, su un guscio d'uovo, con penna intinta d’inchiostro o di sangue, con matita, pennello, carbone, purché, però, per speciali circostanze di fatto, da valutarsi secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito, non si rivelasse che si è voluto fare uno scherzo o anche un progetto di testamento, ma non un testamento.
Naturalmente, è anche indifferente la scorrettezza letteraria per errori di sintassi o di ortografia, salvo quando non portasse un’invincibile oscurità o confusione di concetti, in guisa da non potersi intendere il vero pensiero del testatore.
Indifferenti sarebbero pure le abrasioni, le cancellature, i ritocchi, le interlineazioni, le postille marginali, gli spazi in bianco, perché quando la legge ha voluto vietare ciò lo ha detto espressamente.
In quanto alle aggiunte per interlinee, postille, note marginali, o a piè di pagina, precedenti la sottoscrizione, è da presumere, fino a prova contraria, che siano state scritte prima della chiusura e perfezione del testamento la quale ha luogo con la data e la sottoscrizione, di modo che si considerano come parti integrali del testamento. Se, invece, le aggiunte consistessero in postille a piè di pagina scritte dopo la sottoscrizione o, essendo marginali, si provasse essere state scritte dopo la chiusura e perfezione del testamento (e la prova incomberebbe a chi allega tale circostanza, quando non risulti dallo stesso contenuto della postilla, in cui, per esempio, si accennasse ad un fatto non ancora verificatosi al tempo indicato dalla data del testamento) esse non sarebbero valide se non datate e sottoscritte separatamente, perché conterrebbero nuove disposizioni testamentarie, le quali necessitano della data e della sottoscrizione. Però, non datate e non sottoscritte, queste postille non pregiudicherebbero la validità delle precedenti disposizioni.
Le cancellature e le abrasioni, sempre, s’intende, fatte dal testatore, annullerebbero il contenuto delle rispettive parole che pure si potessero ancora leggere per le tracce che ne fossero rimaste, perché, come si può revocare un testamento col solo distruggerlo materialmente, così le cancellature e le abrasioni devono ritenersi corrispondenti ad una parziale, materiale distruzione del testamento. La questione, poi, se le cancellature ed abrasioni siano opera del testatore o di un terzo, se si siano realmente volute effettuare dal testatore, o siano accidentali, è tutta di fatto e sarà, volta per volta, risolta secondo le circostanze, potendosi persino provare con perizia calligrafica che la disposizione, la quale appare cancellata con un tratto di penna che l'attraversi per lungo, sia stata scritta dopo, cioè sopra il tratto di penna, che già si trovava sulla carta: nel qual caso la disposizione sarebbe valida.
Il testamento olografo può essere scritto anche in lingua straniera, viva o morta, nota al testatore e traducibile dagli esperti che, in caso di contestazione, sarebbero chiamati dall’autorità giudiziaria, salvo, però, che, col concorso di altre circostanze, non potesse provarsi che il testatore non avesse avuto seria volontà di fare le sue disposizioni testamentarie, come quando questo scritto risalisse al tempo in cui egli apprendeva quella lingua, e lo si trovasse, dopo la sua morte, in altri suoi scritti aventi carattere di esercizi nello studio di detta lingua.
Il testamento olografo può essere scritto anche in forma di lettera, diretta tanto allo stesso istituito, come ad un terzo, sia che si tratti di una vera e propria lettera missiva già inviata e pervenuta al destinatario prima della morte del testatore, o da questi trattenuta e da recapitarsi al destinatario dopo la sua morte.
Su ciò sono pacifiche la dottrina e giurisprudenza, ad eccezione del Verga, il quale dice che l’olografo per lettera missiva contrasta le ragioni di politica legislativa che lo hanno fatto ammettere: sicurezza, serietà, libertà, segreto. Ma tale opinione non persuade perché, se è dimostrato che non vi è stata libertà e serietà nella disposizione, questa sarà nulla per tali ragioni, mentre il pericolo maggiore o minore di dispersione, distruzione, ecc. che fanno venir meno la sicurezza e la mancanza del segreto non costituiscono elemento essenziale del testamento olografo.
Può essere redatto anche in più esemplari, aventi tutti e ciascuno la stessa efficacia.
Infine, non occorre, per il testamento olografo, l’unità di contesto. Esso può essere scritto in diversi successivi giorni a intervalli di qualsiasi periodo di tempo. E può essere scritto anche in fogli sciolti e volanti, purché il contenuto si possa riordinare, pur trovandosi materialmente confusi e senza indicazione di numero progressivo.
b) L’altro requisito essenziale del testamento olografo è la
data, la quale deve contenere l’indicazione del
giorno,
mese ed
anno. Non occorre, dunque, l’indicazione dell’ora, che, invece, è richiesta, a pena di nullità, per il testamento notarile, come non è richiesta l’indicazione del luogo, pur essa richiesta, a pena di nullità, per quel testamento (art.
603).
La determinazione del tempo in cui il testamento fu fatto è necessaria, anzitutto, per giudicare della capacità di testare, la quale non comincia che da una certa età e può cessare assai prima della morte. È necessaria anche per stabilire, fra più testamenti della stessa persona, dei quali l’uno sia revocatorio dell’altro, espressamente o tacitamente, l’ordine cronologico.
Può essere necessaria anche per giudicare della validità o meno di talune disposizioni, riguardo alla capacità di ricevere dell'istituito, o in loro stesse considerate. Nel testamento senza data di A, è nominato erede B che un tempo è stato tutore dell’altro: l’istituzione sarebbe valida se fatta dopo che B avesse reso il conto della tutela e questo fosse stato approvato, nulla se fatta prima; ignorandosi tali circostanze, il testamento non può valere perché, altrimenti, il divieto della legge si troverebbe eluso.
Nel testamento senza data di A, è nominato erede B; all'apertura della successione esistono figli del testatore. La istituzione di quell’erede estraneo non sarebbe valida, cioè sarebbe revocata di diritto se, all’epoca del testamento, il testatore non aveva figli o ignorava averne; valida nel caso contrario; ignorandosi, perciò, il tempo della formazione del testamento, quella istituzione non potrebbe valere, potendosi altrimenti andare contro la stessa volontà del de cuius.
Si potrebbe obiettare che la data non dovesse essere richiesta in quei casi nei quali essa non avesse da risolvere alcun conflitto o dubbio, o, tutt’al più, dovrebbe essere richiesta con quella determinazione del tempo, maggiore di un giorno o di un mese, la quale fosse sufficiente a stabilire il solo punto che altrimenti verrebbe in questione. Ma è da notare che esiste sempre un dubbio, sul quale sorgerebbe questione: quello dell’età del de cuius al tempo in cui fece il testamento. È vero che anche qui si ribatte che, allora, potrebbe bastare una data sufficiente a tale scopo. Il testatore è nato nel 1960: fa il suo testamento datandolo con l’indicazione semplicemente dell'anno 1980, ciò basta per stabilire la capacità del testatore, la quale è cominciata più di un anno dietro. E lo stesso dovrebbe dirsi per la capacità o incapacità dell’istituito; lo stesso per il caso di più testamenti fra loro incompatibili. Quindi, si conclude che, anche a voler esigere la data, sarebbe bastata l’indicazione dell’anno, o al più del mese, secondo le particolari circostanze, mentre, esigendo anche l’indicazione precisa del giorno, che a nulla serve, tanto più che non si richiede l’indicazione dell’ora, si riesce spesso ad annullare un testamento che pure non lascia luogo a dubbi di sorta, né riguardo alla capacità del testatore o dell’istituito, né riguardo alla vera e seria sua volontà per il tempo nel quale il testamento o i testamenti furono fatti.
Tutto ciò è teoricamente vero: ed infatti, a cominciare dal diritto romano, non sono mancate e non mancano legislazioni che nemmeno richiedono alcuna data, come requisito essenziale del testamento privato.
Ma se, talora, può essere necessaria anche l’indicazione dell'ora di un dato giorno, meglio è fissare un modo costante di datazione del testamento, senza preoccuparsi dei singoli casi in cui esso può risultare eccessivo. Ad ogni modo, la mancanza di data sarebbe causa di annullamento di qualsiasi testamento; quindi anche del solo ed unico testamento che lasciasse una persona della cui capacità non si dubitasse.
Occorrendo la data come elemento formale, non si potrebbe sopperire alla sua mancanza o incompletezza nemmeno con elementi desumibili dallo stesso contenuto del testamento. Poniamo, quindi, che il testatore, nel suo testamento senza data, o portante la data “settembre 1980” avesse scritto: “lascio a B i beni pervenutimi dalla eredità di A, morto otto giorni fa”: il testamento sarebbe nullo per mancanza o incompletezza di data anche se, risultando dallo stato civile che A morì l’1 settembre 1980, risulterebbe, da quella disposizione, che il testamento fu redatto l’8 settembre 1980.
Questo rigore è imposto dalla logica dei principi, in quanto l’inosservanza delle formalità richieste dalla legge ad solemnitatem non può non invalidare l’atto, ancorché lo scopo per cui furono imposte si può raggiungere con mezzi altrettanto sicuri, o ancorché la configurazione rappresentata dal caso concreto non rientri in quelle che la legge ebbe presenti e le servirono di motivi a prescrivere quelle formalità.
Tale rigore, però, non è stato concordemente ammesso né dalla dottrina né dalla giurisprudenza. Si è persino ritenuto che si potesse sopperire alla mancanza ed incompletezza della data con atti e fatti estrinseci, aventi solo una connessione con le enunciative del testamento. La Corte di Cassazione in passato ha ritenuto che la data incompleta di un testamento olografo possa essere integrata con i mezzi tratti dalla scheda testamentaria, considerata nella sua materialità, ossia anche con elementi risultanti dalla materia in cui lo scritto si incorpora, oltre che con le parole scritte dal testatore nella scheda medesima.
Può ammettersi anche una data per equipollenti, ma soltanto nel senso che essa sia indicata non già nel modo usuale, nominando, cioè, il giorno, il mese e l’anno, ma con espressioni equivalenti che indicano con precisione tutti e tre questi termini.
Sarebbe, indubbiamente, valido un testamento, nel quale la data fosse indicata così: il primo giorno del 1981, o l’ultimo giorno del 1980, nella Pasqua del 1985, nel Natale del 1986, nel giorno del mio 50° compleanno, nel 50° anniversario del mio matrimonio, nel giorno delle mie nozze d’argento, e così via. In tutti questi casi la data è precisata, non occorrendo estrarla con indagini o sillogismi dell’atto testamentario, messo in connessione con altri fatti estrinseci, ma bastando prendere visione del calendario e dei documenti e fatti a cui si riferiscono.
La data deve dirsi mancante quando, essendo stata già posta, sia stata poi cancellata, nonostante, attraverso l’interlineatura, si riesca a leggere la data soppressa.
Diversa dalla mancanza o incompletezza della data è la sua non verità, erroneità, falsità. La prima espressione è più larga e comprende le altre due: il concetto, però, a loro comune è questo: la data del testamento indica un giorno, anteriore o posteriore, diverso da quello in cui veramente il testamento fu fatto. Si redige il testamento l’1 gennaio 1990 e si scrive 1 gennaio 1989, cosa che suole avvenire nei primi giorni del passaggio da un anno all’altro, ovvero si indica un giorno inesistente: per esempio, 31 giugno o il 29 febbraio di un anno non bisestile. La data, quindi, non è vera, ma si dice più propriamente erronea, se la non rispondenza fra il giorno in cui il testamento fu fatto e quello in cui la data indica essere stato fatto sia dovuto ad uno sbaglio, ad un equivoco, nel quale involontariamente si è incorsi.
Si dice, invece, falsa se di quella non rispondenza si è cosciente, e sia, per una qualsiasi ragione, voluta. Però, siccome il falso suscita l’idea di qualcosa che si faccia a danno altrui, mentre il testatore non lede mai alcuno, anche quando egli stesso rende inefficaci le sue disposizioni, meglio si dice fittizia, antidata, o postdata, la data non vera consapevolmente apposta dal testatore, riservando la qualifica di falsa alla data alterata da un terzo. In quest'ultimo caso, non v’è dubbio che il testamento è valido perché la data rimane quella indicata dal testatore, e quella appostavi dal terzo, sciente o non sciente il testatore, non avrebbe alcun valore. Se, invece, il terzo non avesse soltanto alterato, ma addirittura apposto la data, il testamento sarebbe nullo non per non verità della data, ma per mancanza di essa.
La data non vera, erronea o fittizia (nel senso indicato), può risultare in modo diverso: per esempio, dal contenuto del testamento, quando un testatore ponesse la data dell’1 gennaio 1990 disponendo in favore di B che è morto nel 1989, ovvero può risultare che il foglio di carta usato portasse la data di fabbricazione del 1990, mentre la data appostavi è dell’1 gennaio 1988: risulta evidente, in questo caso, che il fatto materiale della scrittura del testamento non sarebbe potuto compiersi prima del 1990 e doveva eseguirsi in questo anno o posteriormente in un giorno imprecisato.
In Francia, il Saleilles e, in Italia, il Gabba ritennero che il testamento debba, in tutti questi casi, dirsi valido, mentre ne sostennero la nullità il Melucci, il Coviello e il Polacco. La giurisprudenza, in Italia, era costante nel senso di ritenere che la data non vera, purché scritta di mano del testatore, non costituisce vizio di forma, che, per sé, rende nullo il testamento olografo, e che la contestazione della verità della data può essere utilmente proposta solo per dimostrare l’incapacità o la mancanza di libertà del disponente, ovvero la revoca di un testamento anteriore, nell'ipotesi di concorso di più atti di ultima volontà. In altri termini, con questa dottrina, si sostiene che il semplice non vero storico non può costituire vizio formale dell’olografo: può dare luogo soltanto a vizio sostanziale di merito, ovvero, quando vi sia manifesta l’intenzione del testatore, di non aver voluto fare cosa seria e valida, come se, ad esempio, si fosse al testamento apposta una data anteriore alla data della nascita o posteriore a quella della morte.
Le ragioni che si sono addotte a sostegno di questa tesi si possono riassumere nel concetto che la legge ha voluto lasciare alla mera disponibilità del testatore il momento storico dell’apposizione della data, libertà che deve rispettarsi finché la non verità della data non tocchi elementi essenziali del testamento.
Questa dottrina è stata accolta dall’attuale codice. Già nei progetti, preliminare e definitivo, si era ammesso che la non veridicità della data non fosse, in sé e per sé, motivo di invalidità del testamento, potendo formare oggetto di contestazione solo quando sia connessa a questioni di capacità o di priorità di testamento o altre per le quali abbia rilevanza la questione della data vera, ma nel testo definitivo dell’articolo in esame si è meglio chiarito questo concetto eliminando la parte dell’articolo in cui si disponeva che la data dovesse indicare il giorno della sua apposizione.
Tanto più in caso di data erronea propriamente detta, quella, cioè, che dipende da un errore involontario del testatore, e la data vera possa facilmente rettificarsi con elementi tratti dallo stesso testamento, non aliunde, per esempio quando si ponesse la data dell’1 gennaio 1981, e nel testamento si parlasse di un tale che si dice morto sei mesi prima, e questi è, invece, morto nel luglio 1981, è evidente che la data possa rettificarsi, perché il testatore ha scritto per sbaglio 1981 mentre si era nel 1982. Così, del pari, se A, morto il 31 dicembre 1980, lascia un testamento che porta la data 1 maggio 1979, ed istituisce erede un suo nipote nato soltanto l’1 gennaio 1980, ciò subito rivela la non verità della data, non potendo il testatore avere istituito erede il 1 maggio 1979 quel nipote che egli designa col suo nome e cognome e che, a quell’epoca, non era ancora nato. Ma anche qui la non verità della data si dimostra involontaria e rettificabile con precisione. Difatti, l’elemento del giorno e del mese, 1 maggio, indicato nella data, non può riportarsi all’anno 1981, quando il testatore era già morto; non può riportarsi nemmeno all’anno 1979 per la ragione già detta; dunque, esso rientra necessariamente nell’anno 1980: ed ecco ricostituita con tutta sicurezza la data 1 maggio 1980, che, per errore, il testatore aveva scritto fosse il 1 maggio 1979. Però, per poter fare questa rettifica, occorre che gli argomenti desunti dallo stesso testamento siano tali da non lasciare dubbi sull'esattezza della data, in sostituzione di quella indicata.
Un dubbio riguardo alla data può sorgere nell’ipotesi di un testamento scritto a più riprese, nel quale le prime disposizioni sono datate e sottoscritte e le seconde soltanto sottoscritte. Queste ultime potranno ritenersi valide, sebbene sfornite di data? La giurisprudenza della Corte di cassazione, conformemente all'indirizzo molto largo da essa tenuto in materia di data dell’olografo, e seguendo un’opinione già sostenuta dal Gabba, è unanime nel senso che se le disposizioni aggiunte costituiscono un unico contesto concettuale con la parte datata, possono valere anche quando siano soltanto sottoscritte (se non fossero nemmeno sottoscritte, la loro nullità è fuori dubbio), giacché la data va riferita anche alle aggiunte o modificazioni successive, ritenendo che una data occorre quando le ulteriori disposizioni aggiunte, per essere contraddittorie ed opposte alle prime, costituiscono un nuovo testamento, lasciando ai giudice di merito decidere, nei singoli casi, se le disposizioni aggiunte formino un unico contesto concettuale con le precedenti o costituiscano un nuovo testamento.
Ma, se la legge ha richiesto la data come un elemento formale, pari alla scrittura di mano del testatore ed alla sua sottoscrizione, non vi dovrebbe essere alcuna ragione per prescindere da una di esse. Diversità di testamento vi è non solo nel caso di disposizioni, sia pure contenute nello stesso foglio, le quali siano opposte o contraddittorie alle precedenti, ma anche nel caso in cui si possa riscontrare tra esse un unico contesto concettuale. Al massimo, si può ritenere che la mancanza di una nuova data sia irrilevante quando le aggiunte non contengano che pure e semplici spiegazioni e chiarimenti sulle disposizioni precedenti.
La Corte di Cassazione già in passato ha chiarito che se è accertata la diversità sostanziale delle disposizioni aggiunte rispetto alle precedenti, il giudice di merito non può affermare che si tratti di un’unica complessa volontà del testatore, trattandosi del mutamento della volontà fondamentale di questi, che non può ritenersi esente dalla necessità di rivestire i requisiti formali di un testamento a sé stante, tra i quali vi è la data.
La data di un testamento olografo deve reputarsi vera sino a prova contraria, la quale deve essere data da chi ne contesta la verità, e può farsi in tutti i modi possibili, anche con la prova testimoniale e persino con presunzioni, trattandosi di scrittura privata. L’attuale codice, con l’ultimo comma dell’art. 602, ha stabilito che la prova della non verità della data non è ammessa se non quando si tratta di giudicare della capacità del testatore o della priorità di data tra più testamenti o di altra questione da decidersi in base al tempo del testamento.
Infine, un’ultima questione che riflette la data è quella del posto in cui essa deve essere messa. La legge nulla prescrive in proposito. Si deve ritenere, quindi, che essa può essere posta dovunque: sia all’inizio, sia alla fine, sia nel mezzo, a margine, nella metà della pagina nella quale si contiene tutto il testamento, o a margine di una delle diverse pagine del foglio o più fogli in cui si contiene il testamento, sia scritta nel corpo delle disposizioni stesse, come, ad esempio, quando, ad un certo punto, il testatore, ordinando il legato di un fondo che specificasse da lui acquistato il 13 dicembre 1980, dicesse: “essendo oggi l’1 gennaio 1981”.
Ma si discute se la data possa essere apposta dopo la sottoscrizione. Nella dottrina e giurisprudenza francese prevaleva l’opinione che la data debba precedere la sottoscrizione, ma presso di noi prevale l’opinione contraria, e giustamente, perché la legge dispone solo che l’olografo debba essere datato, ma non dice che la data debba precedere la sottoscrizione, né nell’art. 602 si pone un ordine cronologico delle tre formalità di cui essa consta. Né si dica che, così, si può dare valore ad una postdata, perché il testamento olografo non si perfeziona che con la data, e, se l’ultima è vera, è in quel momento storico che può dirsi realmente formato. Anzi, sotto un certo punto di vista, la data apposta dopo la sottoscrizione adempie meglio alla sua naturale funzione, perché accerta il momento esatto in cui il testamento si è formato. Il 2° comma dell’articolo in esame dice che “la sottoscrizione deve essere posta alla fine delle disposizioni” e la data non è una disposizione.
c) Il terzo ed ultimo requisito essenziale del testamento olografo è la sottoscrizione del testatore, la quale deve essere posta alla fine delle disposizioni. Sarebbe, quindi, nullo il testamento che si aprisse con le parole: “Io N. N. dispongo con questo mio testamento nel seguente modo, ecc.”, se alla fine delle disposizioni non fosse posta la sottoscrizione.
Nella Commissione di coordinamento del codice del 1865, il Precerutti propose la soppressione delle particolareggiate spiegazioni che nel testo si davano alla data e alla sottoscrizione, come inutili, bastando, egli diceva, disporre, sull'esempio dell’art. 970 del codice francese, che il testamento olografo debba essere scritto per intero, datato e sottoscritto dal testatore. Ma il Pisanelli oppose “che in questa materia importantissima non possono dirsi soverchie le speciali spiegazioni somministrate dalla legge; che, quindi, sebbene, a rigor di termini, basti parlare di sottoscrizione per indicare che la firma del testatore debba apporsi in fine delle disposizioni, sia, però, conveniente dichiararlo, per escludere la validità della firma che fosse posta al principio o nel corpo del testamento la quale non varrebbe ad assicurare con certezza che la disposizione scritta dopo tale firma sia l’ultimo pensiero del testatore, o se pure non avesse questi avuta l'intenzione di tornarvi sopra e variarla”.
Anche la firma apposta nel corpo della disposizione, dunque, non è sufficiente. Essa può valere soltanto a dare efficacia alle disposizioni che la precedono, però solamente quando queste hanno gli elementi per costituire un separato e distinto testamento e sono quindi indipendenti dalle disposizioni che seguono; mentre nemmeno esse saranno valide, quando, dal contesto dell'atto, risultasse che, nella mente del testatore, tutte quelle disposizioni, le precedenti e le susseguenti alla firma, formassero il contenuto di un solo testamento.
Può, invece, ritenersi valido un testamento scritto su più fogli di carta staccati, nell’ultimo soltanto dei quali si trovi la sottoscrizione, purché le disposizioni, scritte sui diversi fogli, siano tra loro legate da un nesso di logica continuità.
Purché alla fine delle disposizioni, la firma può essere posta di seguito alle medesime, senza intervalli, nella stessa riga, o al di sotto di esse, più o meno distanziata o anche a margine in linea verticale, quando l'ultima pagina del foglio non lasciasse altro spazio in bianco per riceverla.
La firma, poi, può essere tanto isolata, quanto unita ad altre parole e alla data, componenti il periodo finale dello scritto, così come quando il testatore lo chiudesse dicendo: “questo è il mio testamento da me N. N. scritto di mia mano in Napoli, oggi 8 aprile 1990”; ovvero: “Io N. N. dichiaro essere questo il mio testamento contenente le definitive mie disposizioni”.
Non potrebbe essere valido un testamento chiuso in una busta, quando il foglio o i fogli che contengono le disposizioni non siano forniti di sottoscrizione ed essa si trovi solo sulla busta, non potendo, questa, considerarsi come foglio aggiunto, ma come elemento estrinseco del testamento, non essendo consentito, nell’indagine sull’esistenza degli elementi costitutivi degli atti di ultima volontà, fare ricorso ad elementi estrinseci.
Circa la forma della sottoscrizione, era prevalente, nella dottrina e nella giurisprudenza, l'opinione che, poi, è stata accolta dal nuovo codice, che essa non debba consistere necessariamente nell’apposizione del nome e cognome del testatore, ma che possa farsi anche per equipollenti, purché sia universalmente riconosciuta o, quanto meno, consueta al testatore: per esempio, il solo cognome, purché accompagnato dal titolo o qualità che stabiliscono in modo certo la sua identità, o anche il solo nome di battesimo, se il testamento è contenuto in una lettera missiva a persone di famiglia, o, trattandosi di un vescovo, preceduto dal segno della Croce e indicante il titolo della Diocesi, ovvero con il soprannome.