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Articolo 463 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Casi di indegnità

Dispositivo dell'art. 463 Codice Civile

(1)È escluso dalla successione come indegno [306, 309 c.c.]:

  1. 1) chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta, o il coniuge, o un discendente, o un ascendente della medesima, purché non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a norma della legge penale [575 c.p.];
  2. 2) chi ha commesso, in danno di una di tali persone, un fatto al quale la legge [penale](2) dichiara applicabili le disposizioni sull'omicidio [580 c.p.];
  3. 3) chi ha denunziato una di tali persone per reato punibile [con la morte](2), con l'ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni, se la denunzia è stata dichiarata calunniosa in giudizio penale [368 c.p.]; ovvero ha testimoniato contro le persone medesime imputate dei predetti reati, se la testimonianza è stata dichiarata, nei confronti di lui, falsa in giudizio penale [372 c.p.];
  4. 3 bis) chi, essendo decaduto dalla responsabilità genitoriale nei confronti della persona della cui successione si tratta a norma dell'art. 330, non è stato reintegrato nella responsabilità genitoriale alla data di apertura della successione medesima(3)(4);
  5. 4) chi ha indotto con dolo [1439 c.c.] o violenza [1434 c.c.] la persona, della cui successione si tratta, a fare, revocare [679 c.c.] o mutare il testamento, o ne l'ha impedita;
  6. 5) chi ha soppresso, celato, o alterato il testamento dal quale la successione sarebbe stata regolata [684 c.c];
  7. 6) chi ha formato un testamento falso o ne ha fatto scientemente uso(5).

Note

(1) L'indegnità a succedere è una sanzione civilistica che colpisce il chiamato all'eredità che si sia reso colpevole delle condotte tassativamente elencate dalla norma.
L'indegnità ha carattere relativo, ossia impedisce all'indegno di succedere esclusivamente alla persona che ha offeso, e personale, riguarda cioè soltanto l'indegno e non anche coloro che ad esso possono succedere per rappresentazione.
L'indegnità non consegue automaticamente. E' necessaria a tal fine una pronuncia del Tribunale mediante la quale vengono posti nel nulla gli effetti dell'accettazione. Tale sentenza ha effetti retroattivi: l'indegno è, pertanto, chiamato a restituire anche i frutti che gli sono pervenuti dall'apertura della successione (v. art. 464 del c.c.). Sono legittimati a chiedere la pronuncia di indegnità coloro che sono potenzialmente idonei a subentrare al posto dell'indegno nella delazione ereditaria.
L'indegno può essere riabilitato (v. art. 466 del c.c.).
(2) Parole soppresse dall'art. 1 della L. 8 luglio 2005, n. 137.
(3) Numero inserito dall'art. 1 della L. 8 luglio 2005, n. 137.
(4) Le cause di indegnità possono essere suddivise in due gruppi. Al primo appartengono le condotte elencate sub n. da 1 a 3 bis.
Si tratta di colpe gravi commesse verso la persona del de cuius o verso il coniuge, il discendente o l'ascendente di questo, quali l'omicidio o il tentato omicidio ( n. 1), l'istigazione al suicidio (n. 2), la calunnia o la falsa testimonianza per reati di una determinata gravità (n. 3) e la decadenza dalla potestà genitoriale (n. 3 bis).
(5) Appartengo al secondo gruppo di condotte da cui può conseguire l'indegnità quelle elencate sub n. da 4 a 6.
Si tratta, in questo caso, di offese alla libertà di testare del de cuius o al testamento dello stesso. Può essere dichiarato indegno chi abbia, con dolo o violenza, indotto il soggetto della cui successione si tratta a fare, revocare, modificare un testamento (n. 4), chi abbia alterato, celato o soppresso un testamento dal quale la successione sarebbe stata regolata (n. 5) e chi abbia creato o fatto consapevolmente uso di un falso testamento (n. 6).

Ratio Legis

Con tale norma si prevede l'esclusione dall'eredità di un soggetto che in base alla sua condotta nei confronti del defunto si ritiene non meritevole di succedere sulla base di un giudizio di riprovazione sociale per l'atto compiuto.

Brocardi

Indignitas
Indigno aufertur hereditas
Indignus potest capere, sed non potest retinere

Spiegazione dell'art. 463 Codice Civile

L'indegnità è una causa di rimozione dall'eredità che si fonda su un giudizio di riprovazione morale in ordine alla condotta tenuta verso il defunto tale per cui l'indegno non si considera meritevole di succedergli.
Essa costituisce una sanzione civile avente fondamento pubblicistico, considerandosi socialmente ingiusto il perseguimento di un vantaggio patrimoniale nei riguardi di un soggetto colpito da un fatto illecito o da una condotta antigiuridica da parte del soggetto attivo di tale condotta.
Quanto alla natura giuridica:
  • parte della dottrina (Bianca, Cicu, Ferri) riconduce l'istituto dell'indegnità nell'ambito dell'incapacità di succedere relativa in quanto limitata rispetto al solo soggetto destinatario della condotta illecita. In base a tale ricostruzione l'indegno sarebbe incapace di succedere fin dall'apertura della successione e di conseguenza la sentenza che accerta l'indegnità avrebbe natura meramente dichiarativa.
  • secondo altra parte della dottrina (Bonilini, Capozzi), suffragata dalla più recente giurisprudenza della Cassazione, l'indegnità costituirebbe una causa di esclusione ex post dalla successione che determinerebbe il venir meno della delazione con efficacia retroattiva in seguito alla pronuncia della sentenza di indegnità che avrebbe quindi natura costitutiva. L'indegno prima della sentenza può accettare l'eredità ed esercitare i poteri conservativi di cui all'art. 460 del codice civile e per estrometterlo dall'eredità sarà necessario esperire vittoriosamente l'azione giudiziale di accertamento dell'indegnità. In definitiva l'indegno secondo il noto brocardo potest capere sed non potest retinere.
Legittimati attivi all'esercizio dell'azione di indegnità sono i soggetti titolari di un interesse patrimoniale nei confronti dell'eredità; detta azione si prescrive in dieci anni dall'apertura della successione o dalla commissione del fatto se successivo.
Legittimato passivo è il soggetto che abbia accettato l'eredità; contro l'indegno delato si potrà esercitare preliminarmente l'actio interrogatoria di cui all'art. 481 del codice civile e successivamente, in caso di accettazione, agire per far accertare l'indegnità.

Quanto ai casi di indegnità la norma in esame prevede un'elencazione tassativa.
La dottrina raggruppa i casi di indegnità in due categorie:
  1. fatti che costituiscono attentato alla personalità fisica e morale del de cuius di cui ai punti 1, 2 e 3 della norma in esame;
  2. fatti che costituiscono attentato alla libertà di testare di cui ai punti 3-bis, 4, 5 e 6.
Con riferimento ai casi di indegnità di cui al:
  • punto 1) della norma in esame, è richiesto il dolo del soggetto agente da intendersi quale previsione e volontà dell'evento come conseguenza della propria condotta. Non rientra, dunque, tra le cause di indegnità l'omicidio preterintenzionale ovvero quello colposo. Il successibile può non essere l'autore materiale del delitto essendo sufficiente il suo coinvolgimento quale mandante o concorrente nel reato;
  • punto 2) rientra in tale ipotesi ad esempio l'istigazione al suicidio in danno di un minore di anni quattordici o di incapace (art. 580 del codice penale);
  • punto 3) rileva sottolineare che la calunnia o la falsa testimonianza deve essere dichiarata in sede penale con sentenza irrevocabile di condanna non potendo il giudice civile compiere autonomamente l'accertamento del fatto a differenza delle ipotesi di indegnità previste dai precedenti punti in cui il giudizio civile relativo all'indegnità è indipendente da quello penale;
  • punto 3-bis) si riconoscono quale ambito di applicazione i soli casi di decadenza dalla responsabilità genitoriale previsti dall'art. 330 del codice civile non seguiti da reintegra. Quanto all'ipotesi in cui il figlio muoia dopo aver raggiunto la maggiore età: secondo alcuni autori (Capozzi) con il raggiungimento della maggiore età il decreto di decadenza perderebbe efficacia e di conseguenza il genitore non sarebbe più indegno; secondo una diversa interpretazione dottrinale (Genghini) in mancanza di una espressa riabilitazione l'indegnità permarrebbe;
  • punto 4) integra la condotta indegna anche quella compiuta a vantaggio di terzi e che ha influito esclusivamente sulla forma del testamento; non integra invece una causa di indegnità il mero tentativo;
  • punto 5) la condotta deve avere ad oggetto un testamento valido e deve essere posta in essere volontariamente ancorché possa essere compiuta anche a mezzo di un terzo esecutore; non è sufficiente il mero tentativo e l'eventuale ritrovamento o la ricostruzione del testamento non determinano il venir meno dell'indegnità;
  • punto 6) l'indegnità trova il suo fondamento nell'illecito intento del falsificatore o di colui che utilizza consapevolmente il testamento falso di procurare a sé un vantaggio e ad altri un danno. Ne consegue che qualora il testamento non abbia contenuto patrimoniale la commissione delle condotte contemplate non determinerà l'indegnità del soggetto agente e che sarà necessaria l'effettiva divergenza tra il contenuto del testamento falso e la reale volontà del de cuius.
Alle suddette tassative ipotesi di indegnità deve aggiungersi, secondo la dottrina prevalente (Genghini), quella prevista ai sensi dell'art. 609 nonies 1º comma n. 3) del codice penale.

In seguito alla dichiarazione di indegnità operano gli istituti della sostituzione ordinaria o fedecommissaria, della rappresentazione o dell' accrescimento e qualora non ricorrano i presupposti dei suddetti istituti l'eredità si devolverà agli eredi legittimi del de cuius.

Quanto agli atti di amministrazione o dispositivi eventualmente compiuti dal dall'indegno in relazione ai beni ereditari:
- gli atti di ordinaria amministrazione restano fermi
- gli atti di straordinaria amministrazione a titolo gratuito cadranno, mentre quelli a titolo oneroso restano fermi qualora sussistano i requisiti per l'applicazione della disciplina del c.d. erede apparente di cui all'art. 534 del codice civile.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

230 Il criterio informatore del progetto, che l'indegnità non determina una vera e propria incapacità, ostativa all'acquisto ereditario, ma è una causa di esclusione operativa in virtù della sentenza del giudice, secondo il principio per cui indignus potest capere sed non potest retinere, è state generalmente approvato. Qualificata in questo senso la natura dell'istituto, sono sorte due questioni di carattere generale a proposito dell'art. 463 del c.c., che enumera i casi di indegnità.
231 La prima questione si ricollega al criterio adottato dall'art. 6 n. 1 del progetto, di escludere l'indegnità di chi abbia volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta, quando ricorrono le cause di non punibilità previste dagli articoli 51, 52 e 54 del codice penale. E' stata suggerita, per la preoccupazione derivante dalla mancata menzione di altre ipotesi in cui l'indegnità sarebbe dovuta essere esclusa, l'introduzione di un articolo, di portata generale, nel quale fosse stabilito che la disposizione dell'art. 6 del progetto non deve trovare applicazione quando esiste una delle cause che escludono l'imputabilità o la punibilità, secondo le norme del codice penale, o quando si tratta di reato commesso in stato di eccesso di difesa o per causa di onore. Per ciò che riguarda l'espresso richiamo all'esclusione dell'imputabilità, nel caso preveduto nel n. 1 dell'art. 6 del progetto, mi è sembrata superflua la modificazione proposta. Poiché infatti il progetto richiede la volontarietà del fatto, è indubbio che, quando è esclusa l'imputabilità, non può ammettersi indegnità dell'autore del fatto, perché, essendo questi incapace di intendere e di volere, viene meno il presupposto dell'indegnità e cioè la volontarietà del fatto lesivo. D'altra parte, il richiamo generico delle norme contenute nel codice penale, per tutti i casi d'indegnità, altererebbe la configurazione giuridica dell'indegnità a succedere, la quale non deve essere considerata come una pena accessoria o un effetto penale della condanna, bensì come una sanzione civile, rimovibile dalla volontà dell'offeso, e fondata sul fatto della volontaria offesa alla personalità fisica e morale del de cuius. Ho preferito perciò, nella configurazione delle cause d'indegnità, considerare i1 fatto illecito che dà causa all'indegnità in sè e per sè, prescindendo dalla valutazione che ne fa il legislatore in sede penale per le diverse finalità repressive. Tuttavia, per venire incontro all'esigenza manifestatami, di formulare in modo più completo i richiami alla legge penale, ho adottato nel n. 1 dell'art. 463 del c.c. una dizione più generica, affermando che l'indegnità non sussiste quando ricorra una delle cause che escludono la punibilità. Non ho infine accolto la proposta di escludere l'indegnità per i reati commessi per eccesso di difesa o per causa di onore. Se l'eccesso di difesa è colposo, non c'è indegnità; ma se è doloso, non vi è motivo di escluderla. Se il reato è stato commesso per causa di onore, è ovvio che, essendo a base dell'indegnità l'offesa volontaria al de cuius, questa sussiste anche se l'atto è stato determinato da apprezzabili motivi morali o sociali. D'altra parte, se avessi dovuto seguire in tutto tale criterio, avrei dovuto escludere l'indegnità, non soltanto per le cause di onore, ma per tutti gli altri motivi che diminuiscono la responsabilità. Ciò mi è sembrato eccessivo e ho limitato la previsione alle cause che escludono la punibilità, in quanto, discriminato il fatto, l'ingiuria viene eliminata o perde ogni carattere di gravità.
232 L'altra questione, concernente il coordinamento fra l'istituto dell'indegnità e la legge penale, è sorta a proposito dell'art. 541 del c.p. che stabilisce la perdita dei diritti successori a carico di chi sia stato condannato per taluni reati in danno della persona della cui successione si tratta. E' stato perciò proposto di contemplare fra i casi d'indegnità anche quello di chi abbia riportato la condanna prevista nell'art. 541 predetto. A ciò sono stato contrario, perché, pur essendovi una certa analogia negli effetti pratici tra l'indegnità sancita dalla legge civile e l'incapacità che consegue alla pena per i reati previsti nell'art. 541 del codice penale, la natura giuridica ne è del tutto diversa, in quanto che l'una può venire meno per volontà dell'offeso, l'altra è un effetto penale della condanna sul quale la volontà del privato non può influire; la prima importa incapacità a conservare l'acquisto ereditario, la seconda importa invece incapacità iniziale a ricevere. Un coordinamento fra i due istituti non potrebbe attuarsi senza trasformare il fondamento e le caratteristiche essenziali dell'istituto dell'indegnità, e ciò, come ho precedentemente esposto, non mi è sembrato opportuno.
233 Sempre a proposito dell'art. 6 del progetto, è stato proposto di sopprimere nel n. 3 la precisazione che l'accertamento della calunniosità della denunzia o della falsità della testimonianza fatte dal successibile in danno della persona della cui eredità si tratta debba aver luogo in giudizio penale. Non ho creduto di dover accogliere questa proposta perché, essendo l'esistenza di questi reati intimamente connessa allo svolgimento di un processo penale, è molto più opportuno riservarne l'accertamento esclusivamente al giudice penale, dato che riuscirebbe estremamente difficile procedervi in sede civile. Non ho neppure accolto la proposta tendente a chiarire espressamente che l'esistenza di una causa di estinzione del reato non impedisce l'esercizio dell'azione civile per fari valere la causa d'indegnità. La norma mi è sembrata superflua, perché è ovvio che, eccetto i casi in cui la legge espressamente riserva al giudice penale l'accertamento del fatto, tale accertamento è possibile in sede civile, dato che l'indegnità deriva dal fatto in sè considerato e non in quanto esso sia suscettibile di repressione penale. Nelle ipotesi del nn. 4 e 6 dello stesso articolo ho mantenuto le formule del progetto, che mi sono sembrate più precise.

Massime relative all'art. 463 Codice Civile

Cass. civ. n. 13266/2022

Il delitto di abbandono di minore o di persona incapace (art. 591 c.p.), anche nella sua forma aggravata dall'evento morte (art. 591, comma 3, c.p.), non può a priori farsi rientrare fra le ipotesi di indegnità a succedere previste dall'art. 463, n. 2, c.c., atteso che la legge penale non dichiara applicabili, a tale fattispecie criminosa, le disposizioni sull'omicidio; nondimeno, qualora l'abbandono sia stato realizzato con la volontà di cagionare la morte del soggetto passivo del reato, ovvero il soggetto agente si sia rappresentato tale evento come probabile o possibile conseguenza della propria condotta, accettando il rischio implicito della sua verificazione, il fatto può farsi rientrare nelle ipotesi previste dall'art. 463, n. 1, c.c..

Cass. civ. n. 1443/2022

Nell'azione di impugnazione del testamento per indegnità a succedere della persona designata come erede, sussiste il litisconsorzio necessario di tutti i successori legittimi, trattandosi di azione volta ad ottenere una pronuncia relativa ad un rapporto giuridico unitario ed avente ad oggetto l'accertamento, con effetto di giudicato, della qualità di erede che, per la sua concettuale unità, è operante solo se la decisione è emessa nei confronti di tutti i soggetti del rapporto successorio. Tuttavia, qualora tale azione si trovi in rapporto di pregiudizialità giuridica con un giudizio penale pendente, l'esistenza del litisconsorzio necessario non giustifica la sospensione totale o parziale del processo civile, se non vi è una perfetta coincidenza delle parti dei due giudizi, configurabile quando non solo l'imputato, ma anche il responsabile civile e la parte civile abbiano partecipato al processo penale.

Cass. civ. n. 19045/2020

In tema di successioni, la formazione o l'uso consapevole di un testamento falso è causa di indegnità a succedere se colui che viene a trovarsi nella posizione di indegno non provi di non aver inteso offendere la volontà del "de cuius", perché il contenuto della disposizione corrisponde a tale volontà e il "de cuius" aveva acconsentito alla compilazione della scheda da parte dello stesso nell'eventualità che non fosse riuscito a farlo di persona ovvero che il "de cuius" aveva la ferma intenzione di provvedervi per evitare la successione "ab intestato".

Cass. civ. n. 17870/2019

Nel giudizio promosso per far dichiarare l'indegnità a succedere di colui che ha sottratto il testamento, l'attore ha l'onere di dimostrare il fatto della sottrazione ed il verosimile carattere testamentario del documento sottratto, mentre grava sul convenuto la prova dell'intrinseca natura del documento e del suo contenuto, specie se egli ne sia il detentore.

Cass. civ. n. 5411/2019

L'indegnità a succedere prevista dall'art. 463 c.c., pur essendo operativa "ipso iure", non è rilevabile d'ufficio, ma deve essere dichiarata su domanda dell'interessato, atteso che essa non è uno "status" del soggetto, né un'ipotesi di incapacità all'acquisto dell'eredità, ma una qualifica di un comportamento che si sostanzia in una sanzione civile di carattere patrimoniale avente un fondamento pubblicistico e dà luogo ad una causa di esclusione dalla successione; pertanto, essendo effetto di una pronuncia di natura costitutiva, può aversi per verificata soltanto al momento del passaggio in giudicato della relativa sentenza. Se tale giudicato si forma quando sia pendente in grado di appello un diverso giudizio avente ad oggetto la pretesa di un creditore del "de cuius", la negazione della qualità di erede operata dal convenuto, in ragione della suddetta indegnità, è una mera deduzione difensiva su un fatto costitutivo della domanda attrice, l'inammissibilità della quale va valutata ai sensi dell'art. 345, comma 2, c.p.c. (Nella specie, l'art. 345 citato era applicabile "ratione temporis" nella formulazione anteriore alla novella di cui all'art. 52 della l. n. 353 del 1990). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO MESSINA, 21/11/2013).

Cass. civ. n. 24752/2015

La formazione o l'uso sciente di un testamento falso è causa d'indegnità a succedere, se chi viene a trovarsi nella posizione d'indegno non provi di non aver inteso offendere la volontà del "de cuius", perché il contenuto della disposizione corrisponde a tale volontà e il "de cuius" aveva acconsentito alla compilazione della scheda da parte di lui nell'eventualità che non fosse riuscito a farla di persona ovvero che il "de cuius" aveva la ferma intenzione di provvedervi per evitare la successione "ab intestato". (Rigetta, App. Salerno, 28/09/2010).

Cass. civ. n. 5402/2009

L'indegnità a succedere di cui all'art. 463 cod. civ pur essendo operativa "ipso iure", deve essere dichiarata con sentenza costitutiva su domanda del soggetto interessato, atteso che essa non costituisce un'ipotesi di incapacità all'acquisto dell'eredità, ma solo una causa di esclusione dalla successione.

Cass. civ. n. 26258/2008

La dichiarazione d'indegnità a succedere, ai sensi dell'art. 463, n. 4), c.c., per captazione della volontà testamentaria, richiede la dimostrazione dell'uso, da parte sua, di mezzi fraudolenti tali da trarre in inganno il testatore, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata.

Cass. civ. n. 9274/2008

L'ipotesi di indegnità a succedere prevista dall'art. 463, n. 5. c.c. rientra tra quelle dirette a ledere la libertà di testare e, conseguentemente, richiede un comportamento che abbia impedito il realizzarsi delle ultime volontà del testatore, contenute nella scheda celata. Deve, pertanto, escludersi l'applicazione della norma, quando l'esistenza del testamento non può essere occultata, perché redatto in forma pubblica, e quando colui contro il quale si rivolge l'accusa d'indegnità sia il successore legittimo e l'erede ivi designato.

Cass. civ. n. 7266/2006

Ai sensi dell'art. 463 c.c. l'indegnità a succedere non integra un'ipotesi di incapacità all'acquisto dell'eredità, ma è causa di esclusione dalla successione; infatti, l'indegnità, come configurata nell'unica disposizione del codice che ne prevede le varie ipotesi, non è uno status connaturato al soggetto che si assume essere indegno a succedere, ma una qualificazione di un comportamento del soggetto medesimo, che deve essere data dal giudice a seguito dell'accertamento del fatto che integra quella determinata ipotesi di indegnità dedotta in giudizio, e che si sostanzia in una vera e propria sanzione civile di carattere patrimoniale avente un fondamento pubblicistico.

Cass. civ. n. 6669/1984

Al fine della sussistenza dell'indegnità a succedere di cui all'art. 463, n. 1, c.c., l'attentato alla vita del de cuius deve essere commesso volontariamente con la conseguenza che tale ipotesi di indegnità non è ravvisabile quando venga esclusa l'imputabilità dell'attentatore, in quanto questa costituisce il presupposto della volontarietà del fatto lesivo la cui realizzazione determina l'indegnità a succedere.

Cass. civ. n. 3309/1984

Affinché determini indegnità a succedere, il fatto della soppressione o dell'alterazione del testamento, ovvero del suo celamento (peraltro non
ravvisabile nella violazione dell'obbligo ex art. 620 c.c. del possessore di testamento olografo di presentarlo ad un notaio per la pubblicazione appena avuta notizia della morte del testatore), deve incidere, non su un testamento invalido, ma su un atto destinato a regolare la successione, e cioè su uno scritto che per i suoi requisiti intrinseci ed estrinseci sia un testamento efficiente, diretto a stabilire o modificare o completare le ultime volontà del testatore sia in ordine alla chiamata a succedere, sia circa la disposizione dei beni.

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Consulenze legali
relative all'articolo 463 Codice Civile

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A. F. chiede
domenica 12/05/2024
“Mio fratello Tizio è morto il 14/8/13, sua moglie ha presentato un testamento,dove era chiamata erede universale. Con sentenza della Corte d'Appello, passata in giudicato, sei mesi fa, il testamento è stato giudicato FALSO.<br />
La moglie Caia è deceduta il 30/4/24, aveva accettato l'eredità tacitamente, ma per oltre 10 anni non aveva fatto la successione di beni immobili e deposito bancario.Ha abitato nella casa coniugale, intestata solo a suo marito.<br />
I due coniugi non avevano figli, né in comune né con altri partners.<br />
Hanno entrambi fratelli viventi.<br />
I fratelli della moglie ,potenzialmente INDEGNA, cosa possono vantare, prima e poi , dopo un giudizio d' Indegnità?<br />
Io fratello del dr cuius, testatore, come mi devo comportare?<br />
<br />
Mi avete già dato altra consulenza, prima della morte di Caia.<br />
Grazie, distinti saluti.<br />
<br />
Consulenza legale i 23/05/2024
La sentenza della Corte d’Appello, nel confermare quella del Tribunale di primo grado, non lascia alcun dubbio sulla falsità del testamento del de cuius, mentre nulla statuisce sulla riconducibilità di quella scheda testamentaria al coniuge superstite, ovvero colei che da quel testamento ne ha tratto e ne avrebbe continuato a trarre vantaggio in qualità di erede universale.

E’ certamente corretto, dunque, usare con riferimento alla stessa l’espressione “potenzialmente indegna”, non potendosi, allo stato attuale, né addebitare alla medesima la formazione di quella scheda testamentaria né asserire che ella ne abbia fatto “scientemente” uso.
Ciò posto, occorre adesso cercare di chiarire quali possono essere gli effetti che l’accertata falsità di quel testamento è destinato a produrre a seconda che tale falsità sia da addebitare o meno alla moglie.

Ipotesi in cui sia stata la moglie a formare il testamento falso o farne scientemente uso.
Di tale ipotesi ci si è occupati nella precedente consulenza ed in quell’occasione si è detto che il soggetto o i soggetti interessati, una volta accertata la sussistenza della causa di indegnità, hanno dieci anni di tempo per promuovere l’azione volta a far valere l’indegnità (con la precisazione che la relativa sentenza ha natura costitutiva).
Fino a tale momento vale il principio, fatto proprio dalla giurisprudenza prevalente, secondo cui l’indegno potest capere sed non ritenere, il che significa che, solo a seguito del positivo esperimento dell’azione di indegnità, l’indegno sarà tenuto a restituire all’erede o agli eredi veri quanto precedentemente ricevuto (per la restituzione dei beni ereditari l’erede vero dovrà avvalersi della c.d. azione di petizione ereditaria).
Da ciò ne consegue che, una volta dichiarato nullo il testamento per falsità, se dovesse essere accertata anche la sussistenza dei presupposti per dichiarare indegna la moglie del de cuius, si aprirà la successione legittima ed il coniuge superstite alla data di apertura della successione non potrà farsi rientrare tra i chiamati all’eredità.

Si tenga presente, infatti, che l’indegnità è sancita dal codice civile a titolo di pena c.d. privata, in quanto ripugna alla coscienza sociale che si possa succedere al soggetto in danno del quale siano stati commessi fatti gravi.
Proprio perché si tratta di sanzione non avente carattere penale, non può costituire ostacolo all’esercizio della relativa azione la morte dell’indegno avvenuta successivamente all’apertura della successione.
In questo senso si esprime sia la dottrina che la giurisprudenza, ed in particolare si ritiene particolarmente pertinente al caso di specie la sentenza della Corte di Cass. Sez. II civ. n. 3096/2005, così massimata:
“La sentenza che dichiara l'indegnità ha natura costitutiva e anche carattere retroattivo, com'è testimoniato dal fatto che l'erede indegno che abbia di fatto goduto dell'eredità del de cuius deve restituire non solo l'eredità, ma anche i frutti pervenutigli dopo l'apertura della successione (art. 464 del c.c.). La circostanza che la sentenza operi ex tunc, escludendo l'indegno dalla successione, impedisce che il patrimonio del de cuius possa essere ritenuto nel patrimonio dell'indegno, per cui, salvi i casi di successione per rappresentazione, non può l'indegno lasciare ai suoi eredi ciò che non è nel suo patrimonio: è possibile procedere all'accertamento delle condizioni per applicare la sanzione dell'indegnità a succedere anche quando il soggetto asseritamente indegno non sia più in vita”.

In considerazione di quanto detto sopra, pertanto, a seguito della dichiarazione di indegnità del coniuge superstite si verranno a trovare nella posizione di chiamati all’eredità soltanto i fratelli e le sorelle del de cuius ex art. 570 del c.c., i quali potranno far valere il loro diritto alla restituzione dei beni facenti parte del patrimonio del de cuius anche nei confronti degli eredi della moglie dichiarata indegna.


Ipotesi in cui non dovesse essere accertata l’indegnità della moglie.
La nullità del testamento olografo per apocrifia della sottoscrizione del de cuius (dichiarata con sentenza del Tribunale di primo grado confermata in appello) comporta il venir meno della successione testamentaria e l’apertura della successione legittima, alla quale sono chiamati a concorrere il coniuge superstite ed i fratelli e le sorelle del de cuius.
Più precisamente, troverà applicazione l’art. 582 del c.c., il quale dispone che al coniuge sono devoluti i due terzi dell’eredità, mentre il restante terzo va diviso in parti uguali tra fratelli e sorelle.
Essendo nel frattempo intervenuta di recente anche la morte del coniuge superstite (e non essendo stata la stessa dichiarata indegna di succedere), saranno gli eredi di quest’ultima a far propri quei due terzi del patrimonio del de cuius originario, in quanto trattasi di beni entrati ormai a far parte del patrimonio della stessa.
Pertanto, i fratelli e le sorelle di Vincenzo avranno diritto a concorrere con gli eredi di Cecilia sul patrimonio dello stesso Vincenzo in ragione di un terzo indiviso.


A. F. chiede
venerdì 22/03/2024
“Mio fratello è deceduto, senza figli, ma con matrimonio ritenuto valido in Cassazione . La moglie presenta un testamento, a suo favore, dichiarato falso, con sentenza passata in Giudicato
Io ed un altro fratello vorremo che la moglie fosse dichiarata INDEGNA.
Qualora mancasse anche la moglie,che non ha figli, ma fratelli e nipoti, questi potrebbero ereditare, se la moglie fosse dichiarata INDEGNA ?

Consulenza legale i 29/03/2024
Non vi è dubbio che una volta dichiarato falso il testamento presentato dalla moglie del de cuius, con falsità ovviamente addebitabile a quest’ultima, si viene a configurare uno di quei casi di indegnità a succedere previsti dall’art. 463 c.c.
Come è noto, il nostro ordinamento giuridico dispone all’art. 462 del c.c. che sono capaci di succedere tutti coloro che, al tempo dell’apertura della successione, sono nati o concepiti e addirittura, in caso di successione testamentaria, i figli non ancora concepiti di persona vivente al tempo della morte del testatore.
La capacità di succedere, dunque, non incontra di regola alcuna limitazione, salvo i casi di indegnità disciplinati dal citato art. 463 c.c., i quali, come si evince dalla stesa norma, possono raggrupparsi in due macro categorie, ovvero quelli penalmente rilevanti (nn. 1, 2 e 3) e quelli rilevanti in sede civile (nn. dal 3 al 6).

Sulle conseguenze dell’indegnità si registrano due diversi orientamenti, in quanto mentre una tesi minoritaria ritiene che l’indegno sia escluso automaticamente dalla successione, al pari dell’incapace della successione testamentaria (cosicchè la sua eventuale accettazione sarà irrilevante, anche se non vi sia stata una sentenza di esclusione), altra tesi, peraltro prevalente, è dell’idea che l’indegno potest capere sed non ritenere, ovvero può acquistare ma deve restituire quanto ricevuto se una sentenza costitutiva lo escluda dalla successione.

Da ciò se ne fa conseguire che il soggetto interessato (si intende come tale chi subentrerà al posto dell’indegno nella delazione ereditaria), ha dieci anni di tempo per promuovere la relativa azione volta a far valere l’indegnità, azione che, pertanto, è prescrittibile.

Nel caso di specie soggetti legittimati attivamente a far valere l’indegnità della moglie superstite del de cuius sono sicuramente i fratelli di quest’ultimo, tenuto conto che, una volta ottenuta la sentenza che dichiara l’indegnità della moglie ed in assenza di altri eredi indicati per testamento dal medesimo de cuius, si aprirà la successione legittima, con applicazione della relativa disciplina.
In particolare, escluso che alla successione possa partecipare il coniuge, dovrà farsi applicazione dell’art. 570 del c.c., il quale dispone che se colui che muore non lascia figli, né genitori, né altri ascendenti, primi chiamati all’eredità saranno i fratelli e le sorelle in parti uguali tra loro.

Nessun diritto di succedere possono avere fratelli e nipoti del coniuge escluso per indegnità, sia perché quest’ultimo non rientra nella categoria dei c.d. soggetti che possono essere rappresentati ex art. 467 e ss. c.c. sia perché gli stessi non rientrano nella categoria dei successibili ex lege, quali individuati dagli artt. 565 e ss. c.c., intercorrendo tra costoro ed il de cuius un rapporto di affinità e non di parentela.


R. G. chiede
mercoledì 23/08/2023
“Buongiorno,
mio figlio è nato nel 2003 e dal 2008 non ha alcun rapporto con il padre che si è trasferito all'estero. Da lui non è mai arrivato alcun interessamento o contributo economico ed è possibile che abbia avuto anche altri figli.

Ora mio figlio è maggiorenne, lavora e vorrebbe anche acquistare un piccolo appartamento (con il mio aiuto)
Mi chiedo cosa succederebbe nella malaugurata ipotesi in cui dovesse venire a mancare prematuramente.

Il padre potrebbe rientrare nella successione? Potrebbe essere riconosciuto indegno? In quale modo? Come dobbiamo comportarci per scongiurare complicazioni future?

Lasciare anche poco ad un uomo simile sarebbe l'ultima beffa.
Grazie”
Consulenza legale i 28/08/2023
La prima cosa che occorre chiarire è che il disinteresse di un genitore nei confronti dei propri figli non può costituire di per sé solo causa di indegnità, tenuto conto che tale comportamento non rientra in alcuno dei casi di indegnità tassativamente previsti dalla legge all’art. 463 c.c.
Infatti, il n. 3 bis della suddetta norma esclude dalla successione come indegno soltanto colui che, ex art. 330 del c.c., sia stato dichiarato decaduto dalla potestà genitoriale nei confronti della persona della cui successione si tratta.
L’art. 330 c.c. a sua volta prevede che la decadenza dalla potestà genitoriale può essere pronunciata dall’autorità giudiziaria nei confronti del genitore che viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio per il figlio.
Pertanto, come risulta chiaramente dalla norma sopra citata, per far sì che sussista indegnità del genitore nei confronti del figlio, occorre che il genitore interessato sia stato dichiarato decaduto dalla potestà genitoriale con provvedimento giudiziale, il quale richiede la sussistenza di due presupposti, ovvero:
- una condotta del genitore in contrasto con i doveri inerenti alla responsabilità o con abuso dei relativi poteri;
- un grave pregiudizio per il figlio, quale conseguenza di quella condotta.

Tuttavia, come si desume chiaramente dal testo dell’art. 330 c.c., trattasi di provvedimenti che possono riguardare soltanto un minore e dei quali, conseguentemente, non può chiedersi l’applicazione nel caso in esame, considerato che ormai il figlio è diventato maggiorenne e che lo stesso ha perfino raggiunto una sua indipendenza economica (prova ne è la circostanza che giudice competente all’adozione di un provvedimento di decadenza dalla potestà genitoriale è il Tribunale per i minorenni ex art. 38 delle disp. att. c.c.).

Pertanto, escluso che si possa invocare la sussistenza di uno stato di indegnità a succedere da parte del padre, la soluzione a ciò che qui viene chiesto si ritiene che debba piuttosto ricercarsi nel tipo di negozio giuridico che si andrà a concludere per l’acquisto dell’appartamento.
In particolare, tenuto conto che gli ascendenti (e, dunque, il padre) rientrano tra i legittimari ex art. 536 del c.c. e che, pertanto, neppure con una eventuale disposizione testamentaria potrebbe ledersi la quota riservata al genitore, ciò che si suggerisce è di effettuare l’acquisto intestando al figlio l’usufrutto dell’appartamento ed alla madre la nuda proprietà.
E’ anche importante far risultare dall’atto di compravendita che ciascuno dei due acquirenti sostiene le spese occorrenti per l’acquisto del suo diritto, e ciò onde evitare che il padre possa un domani pensare di agire in riduzione nei confronti della madre, asserendo che l’acquisto, effettuato interamente dal figlio, configuri una donazione indiretta in favore di colei a cui è stato intestato il diritto di nuda proprietà.

Una soluzione negoziale di questo tipo avrà come conseguenza che, in caso di prematura morte del figlio, il padre non potrà pretendere alcunchè, considerato che il diritto di usufrutto si estingue con la morte del suo titolare per riunirsi alla nuda proprietà, di cui è già titolare la madre.
Qualora, invece, come dovrebbe essere naturale, il decesso della madre dovesse intervenire prima di quello del figlio, quest’ultimo verrebbe a conseguire iure successionis il diritto di nuda proprietà di cui la madre era titolare su quell’appartamento.

G. C. chiede
martedì 30/05/2023
“Buongiorno.
Espongo brevemente il mio problema. Mio fratello disgraziatamente ha assassinato mio padre nel 2019 ed è in carcere da allora ed è stato condannato a 23 anni sia in primo e secondo grado e adesso è in corso la cassazione, a dicembre 2019 presento la successione dove è nominato anche mio fratello e nel 2021 il tribunale nomina due curatori (preciso che è separato con 2 figli maggiorenni e ha altri 2 figli minorenni con un altra compagna straniera nati il giorno prima del decesso di mio padre) che vogliono annullare la successione e nominarsi al posto suo come eredità giacente di mio padre e successivamente passarla ai suoi 4 figli. Non so se posso contestare e se posso impostare una causa contro gli eredi da ottenere un accrescimento della mia quota. Ho sentito pareri di vari avvocati ma tutti discordi fra loro. Chi dice che non si può fare niente e chi che i figli dell'indegno non possono essere eredi. Se possibile ... un vostro parere GRAZIE”
Consulenza legale i 06/06/2023
La questione che si chiede di esaminare è sostanzialmente quella relativa agli effetti che può avere il verificarsi di una causa di indegnità nei confronti dei discendenti dell’indegno.
Costituisce opinione pacifica quella secondo cui l’indegnità a succedere non è altro che una sanzione di natura civilistica, che il diritto privato commina all’erede che abbia tenuto una delle condotte indicate all’art. 463 c.c.
Tale norma contempla comportamenti gravi, illeciti, spesso di natura penale, che qualificano l’erede come non meritevole di beneficiare di quanto derivante dalla successione.
Essa va tenuta distinta dalla diversa ipotesi della diseredazione, ove invece è il testatore ad escludere volontariamente un erede dalla successione.

In considerazione della specifica collocazione che essa ha nel codice civile attuale, la dottrina maggioritaria qualifica l’indegno come soggetto capace a succedere e dunque capace a ricevere l’eredità, ritenendo l’indegnità come una causa di esclusione dalla successione; nello stesso tempo, tuttavia, non può conservarla, secondo il detto latino “Indignus potest capere, sed non potest retinere”.
Più precisamente, si afferma che l'indegnità a succedere, a differenza dell'incapacità a succedere, non impedisca la chiamata, ma comporti la rimozione dell'acquisto successorio, su domanda di parte e per sentenza costitutiva del giudice; in altri termini, essa opera come causa di esclusione dall'eredità, da applicarsi officio iudicis, e comportante l'esito di impedire la conservazione dei diritti successori acquistati dall'indegno in virtù dell'accettazione.

Anche la giurisprudenza è, sostanzialmente, di questo medesimo avviso ( così Cass. n. 1407/1957), precisando che l'indegnità è una sorta di sanzione civile che opera come causa di esclusione dall'eredità in virtù di sentenza costitutiva e che la relativa azione è soggetta al termine di prescrizione ordinario, decorrente dalla data di apertura della successione.

Ora, il problema che qui ci si pone è quello di stabilire, in assenza di alcuna espressa e specifica previsione in tal senso da parte del legislatore, se, una volta venuto meno l’acquisto da parte dell’indegno e sempre che ne ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi, possa trovare applicazione in favore dei discendenti legittimi dell’indegno l’istituto giuridico della rappresentazione, di cui agli artt. 467 e ss c.c.
Ebbene, a tale quesito va data risposta positiva, non avendo il legislatore previsto alcun divieto in tal senso sia tra le norme dettate in tema di indegnità sia tra quelle che disciplinano l’istituto della rappresentazione.
A ciò si aggiunga che favorevole all’applicabilità di tale istituto risulta essere la giurisprudenza di legittimità, la quale, nelle uniche due sentenze che si rinvengono sul tema (Cass. Sez. II civ. sent. 14.12.1996 n. 11195 e Cass. civ. 23.11.1982 n. 6339) si esprime in questi termini:
La diseredazione, al pari della indegnità a succedere, non esclude l'operatività della rappresentazione a favore dei discendenti del diseredato.”.

In conclusione, dunque, i figli del fratello indegno hanno diritto di succedere, per rappresentazione al padre, nell’eredità del nonno.

Anna chiede
lunedì 04/05/2020 - Lombardia
“Buongiorno, avrei bisogno di una Vostra gentile consulenza per cortesia,cercherò di essere più chiara possibile.
5 figli,4 femmine e 1 maschio.
Muore in questo periodo mio padre 90enne e improvvisamente mio fratello trova un testamento olografo che decide di tenere per sé dicendo che per il momento non è necessario che lo depositi e lo terrà in tasca al sicuro fino che lo deciderà lui.
Nessuno era a conoscenza dell'esistenza del documento tranne il figlio e si presume la vedova,mia madre.In famiglia si erano creati forti dissidi circa 12 anni,quando si venne a sapere che mio fratello aveva grandi problemi di droga e di debiti.
All'epoca solo una figlia viveva in casa con i genitori,perché gli altri erano tutti sposati e vivevano autonomamente con la propria famiglia.Quando il figlio ritornò a casa perché la moglie non lo voleva più perché non lavorava e faceva uso di droga,la figlia che viveva e accudiva i genitori propose che il fratello entrasse prima in comunità, mentre la madre optò per riaccoglierlo subito in casa,contro il volere di tutta la famiglia,marito compreso.
Risultato,la figlia che viveva coi genitori venne mandata via dalla casa famigliare e le sorelle che l'appoggiavano pure, il fratello ritornò per qualche tempo a vivere con la madre che pensava di salvarlo...rimase lì un certo periodo e poi se ne andò di nuovo a vivere altrove,ma ritorna sempre facendosi sempre mantenere perché negli anni non ha mai lavorato.
Morale,patrimonio economico e non solo dilapidato negli anni,2 figlie mai più avvicinatesi alla famiglia,altre 2 figlie che dovevano solo tacere perché altrimenti venivano continuamente minacciate e 2 genitori anziani plagiati e manipolati da questo figlio senza scrupoli.
Ora,è morto mio padre che era l'unico intestatario della casa di famiglia,mia madre vive in questa casa e mio fratello ha deciso di ritornare ad abitarci con la sua attuale compagna con la scusa che deve accudire la mamma e prendersi cura della casa,mia madre a detta di lui è d'accordo,ma noi figlie non abbiamo più avuto la possibilità né di parlarle né di decidere con lei il da farsi perché lei si rifiuta di incontrarci e/o di farsi seguire da altri che non sia mio fratello. Vorrei precisare che mio fratello ha 2 figli di cui uno minorenne che non ha mai mantenuto e che ha abbandonato 12 anni fa,mi risulta assurdo che si voglia occupare di sua madre quando non si è mai occupato dei figli...
Premetto che la casa di famiglia è composta da 2 appartamenti di ampia metratura,con cantine,garage e vasta area attorno,inoltre all'interno vi sono/ dovrebbero esserci suppellettili,quadri, tappeti di un certo valore, addirittura 1 o 2 moto d'epoca e altro ancora...
Queste le mie domande:
Può mio fratello trasferirsi nella casa di famiglia con la sua compagna per noi figlie una perfetta sconosciuta e viverci,magari disfarsi e vendere quanto all'interno anche se noi eredi legittime non vogliamo?
E se lo facesse, come farlo uscire in tempi brevi, premettendo che anche noi altri eredi potremmo fare uso dell'abitazione se lui non se ne fosse appropriato così in maniera autoritaria.
E' possibile per noi altri eredi richiedere il pagamento di una quota di affitto dato l'uso esclusivo che ne sta facendo?
Può decidere lui quando depositare questo testamento olografo?
Nel testamento qualora i 5 eredi legittimi non fossero tutti nominati,è possibile l'impugnazione da parte di chi è stato escluso e se sì in quale forma?
Negli anni i miei hanno continuamente dato soldi a mio fratello,possono questi venire scalati dalla sua parte di eredità?
Premetto che lavora saltuariamente e non potrebbe sostenere le spese di mantenimento di uno stabile così grande..potremmo venire noi chiamate poi a pagare le spese che di certo diverrebbero spropositate e che lui certamente farebbe in modo di imputare a mia madre?
Come eredi vorremmo impedire questo, in quanto non c'è la certezza che altre persone estranee entrando in casa non si approprino dei beni di famiglia.
Può mio fratello decidere di testa sua come accudire mia madre senza ascoltare il nostro parere?
Le condizioni di salute di mia madre potrebbero venire verificate da un giudice o da altra autorità per capire se è veramente ancora capace delle sue azioni e dei suoi pensieri?
Mia madre è unica intestataria di alcune polizze,a oggi potrebbe svincolarle e donare i soldi a mio fratello?
Se le spese del funerale rientrano nell'asse ereditario,potrebbe pagarle mia madre con le sue polizze personali,mio fratello sostiene che dobbiamo pagare noi sorelle perché la mamma non ha i soldi e la polizza è per lui..
Infine,è possibile richiedere alla banca tutti i movimenti fatti in questi ultimi 12 anni per capire dov'è finito tutto il patrimonio di mio padre?
Perdonatemi la lungaggine,ma volevo essere certa di spiegare bene la situazione.
Nell'attesa ringrazio e cordialmente saluto.
Anna”
Consulenza legale i 11/05/2020
La prima norma che interessa il caso di specie è l’art. 540 del c.c., il quale, al suo secondo comma, riserva in favore del coniuge superstite, anche quando concorre con altri chiamati, il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, con l’evidente finalità di evitare che la cessazione del rapporto matrimoniale, dovuta alla morte di uno dei coniugi, possa eventualmente essere seguita dalla forzosa alterazione dell’ambiente di vita nel quale il medesimo rapporto era insediato.

La casa familiare menzionata in tale norma non può che essere quella a cui fa riferimento l’art. 144 del c.c., nella quale i coniugi vi abbiano concretamente svolto la propria vita in comune, mentre per quanto concerne la disciplina applicabile a tali diritti, va fatto necessariamente riferimento agli artt. 1021 e ss. c.c., relativi appunti ai diritti di uso e di abitazione.

La giurisprudenza, in realtà, ha affermato che ai diritti previsti dall’art. 540 c.c. non si applicano le norme di cui all’art. 1021 e 1022 c.c., laddove limitano il diritto d’uso e d’abitazione ai bisogni di chi ne è titolare e della sua famiglia, in quanto la ratio della norma risiede nell’intenzione di voler garantire al coniuge superstite la stessa situazione materiale che si era determinata in costanza di matrimonio (così Cass. 2263/1999).
Da ciò se deve trarre la conseguenza che la madre, in questa circostanza, ha tutto il diritto di ospitare nella casa familiare da lei abitata il figlio e la relativa compagna, senza che a ciò si possano opporre gli altri eredi nudi proprietari e senza, peraltro, che gli altri eredi possano vantare alcun diritto a ricevere un corrispettivo per il godimento che di quell’immobile ne stanno facendo tali soggetti.

Di certo attaccabile, invece, è il comportamento del figlio che ha intenzione di celare il testamento del padre.
Infatti, l’art. 620 del c.c. dispone espressamente al primo comma che chiunque sia in possesso di un testamento olografo ha l’obbligo di presentarlo immediatamente (non appena ha notizia della morte del testatore) ad un notaio per la sua pubblicazione.
Se non vi adempie, chiunque sia in grado di dimostrare di avervi interesse (e sicuramente gli altri eredi avranno pieno interesse) può fare istanza (avente forma di ricorso) al Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione e chiedere al giudice di fissare un termine al possessore del testamento per la presentazione dello stesso.

Peraltro, tal comportamento del figlio non sarà certamente privo di conseguenze, in quanto, a prescindere dal fatto che colui il quale tiene consapevolmente nascosto un testamento incorre nel reato di soppressione, distruzione ed occultamento di atti (previsto dall’art. 490 del c.p.), a ciò si aggiunga che, sempre il codice civile, al n. 5 dell’art. 463 del c.c., dispone espressamente che va escluso dalla successione come indegno colui il quale abbia soppresso, celato o alterato il testamento dal quale la successione sarebbe stata regolata.
Pertanto, gli altri eredi che ne hanno interesse avranno tutto il diritto di far dichiarare in giudizio l’indegnità del fratello, instaurando a tal fine un’apposita causa.

Nel momento in cui, invece, dovesse giungersi, in maniera forzosa o volontaria, alla pubblicazione del testamento e dovesse scoprirsi che qualcuno dei figli è stato escluso dalla successione, colui o coloro che non beneficeranno di alcuna disposizione in loro favore, trovandosi nella posizione di eredi pretermessi, potranno agire in giudizio con l’azione di riduzione.
In particolare, il legittimario pretermesso non può assumere la posizione di erede in quanto non è chiamato all’eredità, ma lo stesso vanta un diritto potestativo nei confronti dei beneficiari delle disposizioni testamentarie lesive che può far valere esercitando, appunto, ex art. 554 del c.c., l’azione di riduzione (il cui esercizio produrrà anche l’effetto di fargli acquistare lo status di erede).
Il vittorioso esperimento di tale azione, a sua volta, farà sorgere un’obbligazione restitutoria in capo ai beneficiari delle disposizioni ridotte.

Tutte le restanti problematiche rappresentate nel quesito attengono fondamentalmente all’amministrazione del patrimonio della madre, di cui fanno parte anche i beni ereditari, in quanto si teme che tale patrimonio possa finire per subire le conseguenze negative di una mala gestio da parte del fratello, con possibili ripercussioni anche sulla sfera patrimoniale di coloro che non avranno possibilità di trarne alcun beneficio diretto o indiretto.
In casi come questi non vi è tanta scelta nei rimedi da adottare, in quanto l’unica arma di cui ci si può avvalere è quella di fare ricorso alla nomina di un amministratore di sostegno, istituto giuridico disciplinato dal codice civile tra le misure che il legislatore ha voluto prevedere a tutela delle persone prive in tutto o in parte di autonomia.
Ciascuno dei parenti entro il quarto grado può fare istanza al giudice tutelare per la nomina di tale amministratore, il quale verrà scelto avendo esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario ed al quale verrà affidato il compito di gestire e amministrare il patrimonio dello stesso beneficiario sotto la sorveglianza del giudice che lo ha nominato.

Per quanto concerne il pagamento delle spese funerarie, poiché queste costituiscono a tutti gli effetti debiti ereditari, trova applicazione l’art. 752 c.c., secondo cui coloro i quali assumono la posizione di eredi sono tenuti al pagamento dei debiti ereditari ciascuno in proporzione della propria quota (salvo diversa volontà del testatore).
E’ chiaro che se la madre non dispone delle somme liquide necessarie per affrontare il pagamento della sua quota, dovrà necessariamente smobilizzare parte delle polizze di cui risulta intestataria, fatta ovviamente salva la possibilità che siano gli altri eredi a farsi carico della quota che le compete, con diritto di ripetere dalla madre quelle somme quando disporrà della necessaria liquidità.

Sarebbe inutile, invece, cercare di recuperare quanto dal padre è stato speso in più in favore del fratello, in quanto occorrerebbe poter disporre di adeguate prove documentali per mezzo delle quali dimostrare, in un eventuale giudizio, che si tratta di spese straordinarie, non rientranti tra quelle previste dall’art. 742 c.c. e per le quali sussisterebbe l’obbligo di collazione da parte di colui che ne ha beneficiato.
Qualora, tuttavia, volesse effettuarsi un controllo delle movimentazioni bancarie al fine di cercare quantomeno di capire quanto in più è stato speso in favore del fratello, ci si può avvalere di quanto previsto dall’art. 119 del T.U. bancario, il quale al terzo comma assoggetta la banca all’obbligo di fornire al cliente o a colui che gli succede a qualunque titolo copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni.
Occorrerà semplicemente avanzare un’apposita richiesta, alla quale la banca sarà tenuta a dare riscontro entro un congruo termine e comunque non oltre il termine di 90 giorni dalla richiesta (con addebito dei soli costi di produzione della documentazione).


Nino chiede
sabato 02/07/2011 - Calabria
“In caso in cui una persona venga dichiarata indegna, la quota ereditaria passa ai discendenti dell'indegno? Se è indegno il padre, erediterà il figlio?
Grazie”
Consulenza legale i 10/07/2011

Per il nostro ordinamento è indegno, e come tale escluso dalla successione, il chiamato che abbia compiuto uno degli atti per i quali il codice all'art. 463 del c.c. prevede tale conseguenza. L'indegnità ha sempre carattere relativo, nel senso che in nessun caso si diventa indegni a succedere in generale, ma si perde il diritto soltanto rispetto al Tizio o al Caio che si è gravemente offeso o di cui si voleva carpire l'eredità. L'indegnità ha carattere personale e perciò in luogo dell'indegno si può aprire la successione a favore dei suoi rappresentanti, quale conseguenza del c.d. diritto di rappresentazione. Ai sensi dell'art. 467 del c.c., infatti, la rappresentazione è una devoluzione della chiamata rivolta ai figli e ai discendenti del primo istituito che non può (nel caso di specie per indegnità) succedere. Di conseguenza la risposta al quesito deve essere affermativa.


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