Finché, dopo la morte del de cuius, non si abbia legale notizia del testamento olografo, esso non può spiegare alcuna efficacia e la successione si considera, per necessità di cose, come se realmente aperta ab intestato. Il testamento olografo diviene eseguibile soltanto con la sua pubblicazione, senza, peraltro, che questa influisca sulla validità intrinseca del testamento.
È stato sempre oggetto di discussione, nell’elaborazione dei codici, se il deposito e la pubblicazione del testamento olografo dovesse considerarsi un diritto soggettivo degli interessati, ovvero un obbligo per chi ne sia detentore.
Per quanto riflette il deposito, nell’elaborazione del vecchio codice civile del 1865 si manifestarono diverse tendenze.
I due progetti Cassinis (quello di revisione del codice albertino del 1860 e l'altro di codice civile per il Regno d’Italia del 1861), come il progetto Miglietti del 1862, si attennero al sistema dei codici francese, napoletano e parmense, dando soltanto facoltà al testatore di depositare il testamento olografo presso un notaio o un cancelliere dell’autorità giudiziaria; facoltà che, nel progetto Pisanelli del 1863, si mutò in obbligo, attenendosi al sistema del codice estense e della legge toscana. L’obbligatorietà di tale deposito fu mantenuta anche dal progetto senatorio del 1864, appunto per prevenire, come si dichiarò nelle rispettive relazioni, i temuti pericoli del testamento olografo, quando unica, essenziale formalità ne fosse la scrittura per intero, la data e la sottoscrizione per mano del testatore. Nella Commissione della Camera dei deputati, nominata per l’esame del progetto di legge per l’unificazione legislativa presentato dal Ministro Vacca nella tornata del 24 novembre 1864, si erano sollevati dubbi sulla convenienza del deposito obbligatorio presso un pubblico ufficiale, considerandosi che, mentre, con esso, si evitavano in modo sicuro i temuti pericoli di soppressione o alterazione del testamento olografo, se ne venivano a scemare i grandi vantaggi, soprattutto quello di poter testare senza che alcuno avesse conoscenza di tale fatto. “Questa osservazione - concludeva il relatore della Commissione nella relazione del 12 gennaio 1865 (che era, poi, lo stesso Pisanelli il quale, precedentemente, come ministro e relatore del suo progetto, aveva proposto e giustificato l’obbligatorietà del deposito) - ci parve così grave che tenemmo a debito di richiamare l’attenzione del Governo su questo punto”.
Tornò a difendere l’obbligatorietà del deposito il deputato Panattoni nella discussione parlamentare, ma il Pisanelli, nel suo discorso, ribadì i suoi dubbi, dicendo che “questo era uno dei punti per i quali la Commissione ha creduto necessario di commettere al Governo del Re un nuovo esame, ed accoglierà con fiducia la sua risoluzione”.
Difatti, il Ministro Guardasigilli Vacca sottopose il quesito alla Commissione legislativa istituita e completata coi RR. DD. 2 e 12 aprile 1865, per coordinare i codici e le altre leggi ivi indicate. Questa Commissione, nella seduta pomeridiana del 12 maggio 1865, deliberò la soppressione della formalità del deposito obbligatorio per quelle stesse considerazioni che erano state fatte in seno alla Commissione della Camera dei Deputati, e specialmente perché, con siffatta obbligatorietà, si sarebbe preclusa al testatore la possibilità di non far conoscere a nessuno non le modalità con cui egli aveva testato (dovendosi depositare la scheda testamentaria chiusa e sigillata), ma il fatto stesso di aver comunque testato. Queste ragioni furono sostenute proprio dal Pisanelli, che faceva pure parte della Commissione di coordinamento. Fu, così, soppresso l’art. 798 del progetto senatorio, soppressione accolta dal Ministro Vacca, che ne parlò nella sua relazione al Re, e fu mantenuto il solo art. 797 che, nel testo definitivo del codice, divenne l’art. #775#, che enunciò soltanto i requisiti intrinseci del testamento, abolendo la formalità, pure essa essenziale, del deposito.
Per quanto riflette la pubblicazione del testamento olografo, le legislazioni hanno seguito tre diversi criteri.
Secondo il primo di questi, accolto nei codici di tipo tedesco, l’apertura del testamento è un atto solenne ed obbligatorio, al quale deve provvedere il tribunale del luogo dove si è aperta la successione ed è richiesta per qualunque forma di testamento.
Un altro sistema, seguito dal codice francese e dal codice italiano del 1865, considera l’apertura come un interesse puramente privato (in particolare degli eredi e dei legatari, non solo di questi) alla cui tutela provvede solo l’interessato.
Un terzo sistema è quello per cui l’obbligo della pubblicazione è imposto solo per il testamento olografo e per quello segreto.
Anche nell’elaborazione dell’attuale codice civile, questo argomento è stato oggetto di vivaci discussioni. Nel progetto preliminare si stabilì l’obbligatorietà del deposito del testamento olografo a carico di chiunque lo rinvenga, quando abbia notizia della morte del testatore, consegnandolo ad un notaio del luogo in cui si è aperta la successione, con l’espressa sanzione della responsabilità per gli eventuali danni che potessero derivare dal ritardo nel deposito. Questo sistema fu, sostanzialmente, mantenuto nel progetto definitivo, salve poche modificazioni.
Una vivace e lunga discussione si accese, al riguardo, nella Commissione parlamentare, nella quale furono sostenute tre tesi principali: mantenimento del sistema del codice del 1865, per il quale non vi è l'obbligo di depositare il testamento olografo se non su istanza di chiunque creda di avervi interesse; approvazione del sistema del progetto definitivo che rendeva obbligatoria la pubblicazione; rendere obbligatorio il deposito, ma non la pubblicazione. Prevalse la seconda tesi.
Il Ministro Guardasigilli mantenne il principio affermato sia nel progetto preliminare che in quello definitivo, principio che trova la sua giustificazione soprattutto nel concetto del diritto privato fascista, il quale considera la certezza del diritto come un interesse pubblico e impone una limitazione all’autodeterminazione dei singoli.
Quindi, chiunque è in possesso di un testamento olografo deve presentarlo ad un notaio per la sua pubblicazione, appena ha notizia della morte del testatore e, se il testamento è stato depositato presso il notaio, è questi che deve eseguirne la pubblicazione.
Si è adottato, così, il migliore e più congruo sistema: rendere
facoltativo il deposito e obbligatoria la pubblicazione, perché è questa che tutela più efficacemente i diritti degli eventuali interessati e, del resto, in perfetta coerenza con l’art.
490 del codice penale, che considera reato la soppressione di qualunque testamento olografo vero. Se chi è detentore del testamento non adempie a quell’obbligo, chiunque crede di avervi interesse può chiedere, con ricorso al tribunale del luogo in cui si è aperta la successione, che sia fissato un termine per la presentazione. Se il testamento si trovasse chiuso e sigillato, sia fra le carte del testatore, sia fra le carte di un terzo a cui quegli lo abbia affidato, qualunque persona può chiederne la pubblicazione perché chiunque può avere la più o meno fondata opinione di essere stato in esso contemplato, e, perciò, interessato alla sua pubblicazione.
Non si può dubitare che si possa dare esecuzione al testamento olografo anche prima che esso sia pubblicato. Ciò era escluso dal progetto definitivo, il quale stabiliva che “prima della pubblicazione il testamento olografo non può avere esecuzione”. La Commissione parlamentare propose di sopprimere questo comma. Il Ministro Guardasigilli non accolse la proposta, ma modificò il testo dell’articolo così da mantenere fermo il concetto dell’efficacia pratica della pubblicazione, senza escludere, come faceva il progetto definitivo, che il testamento olografo potesse avere la sua esecuzione anche indipendentemente dalla pubblicazione, e adottò, quindi, la stessa formula dell’art. #914# del codice del 1865, e che era stata adottata pure dal progetto preliminare.
Degna di particolare rilievo è la norma contenuta nell’ultimo comma dell’articolo in esame, che tempera il principio dell’obbligatorietà della pubblicazione, affidando all’autorità giudiziaria, per giustificati motivi, la facoltà di vietare l’integrale pubblicazione delle disposizioni testamentarie, ordinando che periodi o frasi di carattere non patrimoniale siano cancellati dal testamento e omessi nelle copie che fossero richieste. Questa norma fu proposta dalla Commissione parlamentare e fu accolta dal Ministro.
Nella pratica si era dato il caso di testamenti olografi contenenti ingiurie e calunnie a danno di terzi. La giurisprudenza costantemente ha ritenuto che gli eredi fossero responsabili dell’atto illecito commesso dal testatore; anzi, il testatore stesso dovrebbe sapere, e quindi prevedere, che, con la pubblicazione del testamento olografo, le ingiurie o le calunnie ivi contenute sarebbero state rese pubbliche, offendendo l’onore e la reputazione delle persone colpite e, di conseguenza, gli eredi avrebbero dovuto rispondere del fatto illecito del loro dante causa; del resto, nel sistema del codice del 1865, le frasi ingiuriose contenute nei testamenti e nel verbale notarile di deposito non si potevano cancellare.
La norma contenuta nell’ultimo comma dell’articolo in esame riconosce, invece, tale facoltà al tribunale, eliminando, così, anche la responsabilità degli eredi. Naturalmente, si tratta di una facoltà discrezionale, insindacabile dall’autorità giudiziaria, la quale può o meno giovarsene, salva la responsabilità degli eredi nel caso in cui questa non decida di ordinare la cancellazione delle frasi ingiuriose, le quali possono avere tale carattere anche quando siano state adoperate per dar ragione della disposizione testamentaria e ledano l’onore, il decoro o la reputazione delle persone a cui si riferiscono.
La cancellazione può essere chiesta da chiunque crede di avervi interesse e, poiché può accadere che nel testamento siano inseriti periodi o frasi di carattere politico, morale o religioso che offendano l’ordine pubblico, le istituzioni fondamentali dello Stato o la morale, deve ritenersi che anche il pubblico ministero sia legittimato a chiederne la cancellazione. Questa dev’essere fatta in modo visibile, perché può darsi la possibilità che, per i fini di giustizia, l’autorità giudiziaria debba chiedere la copia integrale del testamento.