L’art. #922# del vecchio codice del 1865 parlava del ritiro del testamento segreto e ne disciplinava le forme; ne parlava, anzi, sotto la rubrica della revocazione dei testamenti, che con quella disposizione si chiudeva, ma non diceva che il ritiro valeva revoca. A tal proposito, era stato pure osservato che, per ciò che riguarda il testamento segreto, se esso è ritirato dal notaio dal quale fu ricevuto, più che di revoca, si deve parlare di nullità del testamento, perché, separato dall’atto di ricevimento, esso non ha valore giuridico di sorta.
L’art. 685 si propone di
salvare l’eventuale testamento olografo contenuto nella scheda, anziché di regolare gli effetti del ritiro rispetto al testamento segreto. Si poteva, infatti, ritenere che il ritiro della scheda dal notaio o dall’archivio presso cui era depositata, oltre all’effetto di togliere ad essa la qualità di testamento segreto, potesse includere la
volontà tacita o presunta di revocare comunque le disposizioni testamentarie contenute nella scheda, ostacolando quella conversione formale che, in linea normale, aveva stabilito l’art.
607. Così, in sostanza, l’art. 685 è opportuno appunto al fine di eliminare ogni dubbio sull’applicabilità dell’art.
607 anche all’ipotesi di (sopravvenuta nullità per) ritiro del testamento segreto. In sostanza, il nuovo legislatore ha considerato il
ritiro come un fatto neutro, dal punto di vista psicologico; anzi ha ritenuto più conforme alla natura delle cose che il semplice ritiro indichi l’intento di tenere presso di sé il testamento. Per sé, dunque, non vale revoca, né viene considerato come elemento di fatto sufficiente a produrre gli effetti della revoca, quand’anche si provi che il testatore avesse l’intenzione di revocare.
Si capisce che ciò non poteva escludere gli effetti propri del ritiro, in quanto capace di sopprimere i presupposti necessari per la validità del testamento segreto.