Il testamento è un
negozio giuridico unilaterale. Ma mentre ogni altro negozio giuridico unilaterale può consistere nella dichiarazione di volontà di più persone, non già l’una di fronte all’altra, ma l’una accanto all’altra, assumendo, tutte, la figura giuridica di una sola parte, come avviene nei così detti atti complessi (es. accettazione o rinunzia all’eredità fatta contemporaneamente o congiuntamente da due o più successibili),
il testamento non può consistere che nella volontà di una sola persona.
La legge vieta il testamento c.d.
collettivo simultaneo, quello, cioè, risultante dalle contestuali dichiarazioni di ultima volontà di due o più persone che dispongono dei loro beni, o reciprocamente, l’una a vantaggio dell’altra, che sia superstite (testamento
reciproco), o tutte a vantaggio di un medesimo o di diversi terzi (testamento
congiuntivo).
La ragione di tale divieto sta nella garanzia della più ampia, assoluta
libertà di disposizione e nel carattere di
revocabilità che il legislatore ha voluto assegnare al testamento. Infatti, la contestualità delle disposizioni testamentarie di due o più persone simula, per sé, un accordo, per il quale la volontà dell’uno appare come determinata dal fatto che l’altra si è pure determinata in quel determinato modo, e, quindi, mancanza di spontaneità e libertà concettuale di ciascuna di quelle dichiarazioni.
D’altra parte sarebbe, per tale originario accordo, moralmente distrutta la revocabilità del testamento, perché ciascun disponente, nel caso in cui volesse revocare la propria disposizione, se lo facesse all'insaputa dell’altro, sentirebbe di venir meno ad un impegno morale commettendo un abuso di fiducia; se invece comunicasse all'altro quella sua volontà, potrebbe ugualmente sentirsi moralmente vincolato quando questi se ne dimostrasse dolente. E diciamo solo moralmente perché non potrebbe negarsi, anche nel testamento collettivo, la facoltà di ciascuno dei testatori di revocare la propria dichiarazione.
Nel testamento reciproco, poi, la contestualità delle disposizioni testamentarie simula anche più l’idea di un
patto successorio, che la legge ha
vietato, perché il reciproco personale interesse esige che l’atto nel quale trova la sua giuridica protezione sia tenuto fermo sulla base dell’
in idem placitum consensus. Coerentemente, il legislatore ha comminato anche la nullità delle disposizioni testamentarie fatte sotto condizione di essere vicendevolmente avvantaggiato dal proprio erede o legatario (art.
635).
L’articolo in esame vieta che si faccia testamento
da due o più persone nel medesimo atto a vantaggio di un terzo. Non v’è dubbio che il divieto permane anche quando nel medesimo atto si volessero fare disposizioni a vantaggio di diversi terzi, ciascuno, cioè, disponendo a favore di persona diversa da quella a vantaggio di cui dispone l’altra. Il motivo del divieto è identico nell’un caso e nell’altro, e se la legge contempla solo uno di essi è perché, in quello, più ordinariamente e praticamente si rivelerebbe l’uso del testamento collettivo in quanto l’identità della persona beneficata dimostrerebbe meglio l’accordo dei disponenti.
Ciò che principalmente e direttamente l’art. 589 vieta è che il testamento possa contenere
disposizioni di ultima volontà di più di una persona. Tanto meno può essere possibile un testamento nel quale intervenga l’erede o il legatario come accettante la disposizione testamentaria a suo favore: questo intervento muterebbe la figura del negozio giuridico unilaterale in negozio bilaterale, però un testamento simile sarebbe nullo, o, per lo meno, sarebbe nulla la disposizione fatta a favore dell’accettante. Né si potrebbe ritenere applicabile, nella specie, il principio
utile per inutile non vitiatur, ritenendo, cioè, valida ma priva d’efficacia l’accettazione. Sarebbero, invece, perfettamente validi due testamenti separati, dai quali emerga chiaramente l’accordo dei testatori nel fare la loro disposizione, perché, in tal caso, viene meno il pericolo che la libertà dei testatori venga menomata. Anzi, quest’accordo, talvolta, può essere lodevole, come quando avviene fra coniugi, al fine di una più giusta disposizione dei beni fra i loro discendenti.