La questione nasceva dalla vicenda giudiziaria che aveva visto come protagonisti i promissari acquirenti di un immobile ad uso abitativo, i quali, non essendo stato loro consegnato il relativo certificato di agibilità, avevano citato in giudizio la promissaria venditrice, chiedendo che fosse dichiarata la risoluzione del contratto preliminare di vendita stipulato, a causa del suo inadempimento.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello accoglievano le istanze attoree, risolvendo, per inadempimento della promittente venditrice, il contratto preliminare con cui la stessa aveva promesso di vendere agli attori un appartamento il quale, però, era risultato essere privo del certificato di agibilità. I giudici d’appello, in particolare, evidenziavano, infatti, come la convenuta avrebbe ben potuto superare le obiezioni avanzate dalle controparti chiedendo ed ottenendo in corso di causa il certificato mancante, cosa che, invece, non aveva fatto.
Rimasta soccombente in entrambi i gradi del giudizio di merito, l’originaria convenuta ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo, in primo luogo, come Tribunale e Corte d’Appello, ritenendola inadempiente per non aver offerto alla controparte il certificato di agibilità dell’immobile promesso in vendita, avessero violato gli articoli 1477 e 1337 c.c., nonché l’art. 116 c.p.c., oltre al Testo Unico sull’edilizia. Secondo la ricorrente, infatti, la rilevanza del requisito dell’agibilità, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, si doveva considerare quale elemento rimesso al concreto apprezzamento delle parti, per cui, considerato che, nel caso di specie, i promissari acquirenti non avevano avanzato alcuna richiesta in tal senso, essa sarebbe stata, di conseguenza, esonerata dall’onere di consegnare loro detto certificato.
La ricorrente eccepiva, poi, in un secondo motivo di ricorso, il fatto che la Corte d’Appello avesse errato nel non disporre la consulenza tecnica d’ufficio, da lei richiesta, ritenendola ultronea.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ribadendo, però, quanto da essa in precedenza statuito in relazione alla consegna del certificato di agibilità di un immobile, nell’ambito della relativa compravendita.
Gli stessi Ermellini, infatti, già in passato, hanno stabilito che “nella vendita di un immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, poiché vale a incidere sull'attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico-sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità; con la conseguenza che il mancato rilascio della licenza di abitabilità integra un inadempimento del venditore per consegna di aliud pro alio, a meno che il compratore non abbia espressamente rinunciato al requisito dell'abitabilità o esonerato comunque il venditore dall'obbligo di ottenere la relativa licenza” (Cass. Civ., n. 23265/2019).
Sempre in tema di compravendita immobiliare, i giudici di legittimità, con un loro costante orientamento, hanno, poi, stabilito che “la mancata consegna al compratore del certificato di abitabilità non determina, in via automatica, la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del venditore, dovendo essere verificata in concreto l'importanza e la gravità dell'omissione in relazione al godimento e alla commerciabilità del bene” (cfr. ex multis Cass. Civ., n. 29090/2017).
Analizzando in questi termini il caso di specie, la Cassazione ha evidenziato, innanzitutto, come la doglianza avanzata dalla ricorrente si basasse su un presupposto di fatto, quello costituito dall’asserito esonero dalla consegna del certificato di agibilità da parte dei promissari acquirenti, il quale non emergeva in alcun modo dalla sentenza impugnata, né poteva formare oggetto di accertamento in sede di giudizio di legittimità.
Secondo gli Ermellini, dunque, i giudici di merito hanno correttamente ritenuto che la promittente venditrice fosse tenuta a produrre il certificato di agibilità dell’immobile posto in vendita e che, quindi, il fatto che esso non fosse stato da lei né prodotto, né richiesto in corso di causa, integrasse un grave inadempimento.
Quanto, poi, al secondo motivo di ricorso, la Suprema Corte ha ribadito come la consulenza tecnica d’ufficio sia un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e affidato, invece, all’apprezzamento del giudice di merito, il quale può decidere di disporlo o meno nell’esercizio del suo potere discrezionale (cfr. ex multis Cass. Civ., n. 15219/2007). Ciò significa che, come già più volte evidenziato dagli stessi Ermellini, tale decisione, ove adeguatamente motivata, come avvenuto nel caso di specie, non sia censurabile in sede di giudizio di legittimità (cfr. ex multis Cass. Civ., n. 17399/2015).