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Articolo 1440 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Dolo incidente

Dispositivo dell'art. 1440 Codice Civile

Se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse(1); ma il contraente in mala fede risponde dei danni [2056](2).

Note

(1) A differenza dell'art. 1439 del c.c. in cui si prevede il dolo vizio, cioè determinante del consenso, qui il dolo è solo incidente, cioè influisce sull'assetto negoziale ma di un contratto che sarebbe stato comunque concluso.
(2) Il danno si determina considerando le diverse condizioni che si sarebbero create, in assenza di inganno, per il contraente raggirato.

Ratio Legis

Il dolo incidente non influisce sulla scelta di addivenire o meno alla stipula, pertanto il contratto non è annullabile; esso genera solo uno squilibrio delle condizioni contrattuali che deve essere eliminato mediante risarcimento del relativo danno.

Brocardi

Dolus incidens

Spiegazione dell'art. 1440 Codice Civile

Importanza della disposizione

Già vigente il codice abrogato, nel quale mancava un'esplicita disposizione in questo senso, la dottrina e la giurisprudenza dominanti, con un insegnamento sulla cui esattezza de jure condito era però lecito dubitare, sostenevano l'irrilevanza ai fini dell'annullamento del dolo incidentale, ferma restando però la responsabilità per danni. Comunque oggi con questa disposizione i1 trattamento del dolo incidentale non è più dubbio.

Rinviando a quanto è stato detto in altra sede sulla figura del dolo incidentale, giova qui aggiungere che, secondo un'insegnamento largamente diffuso, nel dolo incidentale è necessaria la sussistenza dell' animus decipiendi, rappresentando il dolus incidens un'applicazione della figura generale dell’illecito, nella quale viene in considerazione anche la semplice colpa.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

183 Circa i vizi incidenti ho affermato che soltanto il dolo produce responsabilità per danni a carico del contraente in mala fede (art. 210).
L'errore incidente è sempre un fatto dell'errante, e non può essere fonte di responsabilità per danni a carico della controparte che non lo ha provocato.
La violenza, quando esiste, non ha mai carattere incidentale: nel timore provocato dalle minacce concernenti punti secondari, il minacciato conclude il contratto anche quando vi avrebbe rinunziato. Prevale, invero, il timore che le minacce si realizzino, qualora il contratto, per la resistenza su clausole secondarie, non viene a conclusione.
Ho parlato, a proposito del dolo, di contraente in mala fede allo scopo di considerare l'ipotesi di dolo incidente del terzi, conosciuto dal contraente.

Massime relative all'art. 1440 Codice Civile

Cass. civ. n. 5734/2019

Il dolo, quale vizio del consenso e causa di annullamento del contratto, assume rilevanza quando incida sul processo formativo del consenso, dando origine ad una falsa o distorta rappresentazione della realtà all'esito della quale il contraente si sia determinato a stipulare; ne consegue che l'effetto invalidante dell'errore frutto di dolo è subordinato alla circostanza, della cui prova è onerata la parte che lo deduce, che la volontà negoziale sia stata manifestata in presenza od in costanza di questa falsa rappresentazione. Compete al giudice del merito accertare, sulla base delle risultanze probatorie, se la fattispecie concreta integri un'ipotesi di dolo determinante e tale valutazione è sindacabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione, nei limiti previsti dall'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.

Cass. civ. n. 20564/2015

In tema di contratto stipulato da "falsus procurator", la deduzione del difetto o del superamento del potere rappresentativo e della conseguente inefficacia del contratto, da parte dello pseudo rappresentato, integra una mera difesa, atteso che la sussistenza del potere rappresentativo in capo a chi ha speso il nome altrui è un elemento costitutivo della pretesa del terzo nei confronti del rappresentato, come tale rilevabile anche d'ufficio, salvo che lo pseudo rappresentato agisca in giudizio formulando una domanda che presupponga l'efficacia del contratto concluso in suo nome dal rappresentante senza poteri, ovvero si costituisca e difenda nel merito tenendo un comportamento da cui risulti in maniera univoca la volontà di fare proprio tale contratto (nella specie, formulando richieste di risarcimento del danno per dolo contrattuale ex art. 1440 c.c. e di rescissione del contratto ai sensi dell'art. 1448 c.c.), dovendosi ritenere, in tal caso, l'originaria carenza dei poteri rappresentativi superata in virtù di una ratifica, sia pure tacita, del negozio, e, dunque, senza possibilità di rilievo officioso.

Cass. civ. n. 14046/2013

L'azione risarcitoria esperibile dall'avente diritto alla prelazione agraria ex art. 8 della legge 26 maggio 1965 n. 590, il quale sia destinatario di una proposta di alienazione del fondo ad un prezzo artatamente superiore a quello realmente pattuito tra le parti, va ricondotta alla comune azione di responsabilità aquiliana di cui all'art. 2043 cod. civ., e non all'"actio dolis causam incidens" ex art. 1440 cod. civ., costituendo un'azione di tutela esterna del diritto di prelazione, il cui esercizio viene così reso più oneroso

Cass. civ. n. 5965/2012

In ipotesi di domanda di risarcimento per dolo incidente relativa al danno derivante da un contratto valido ed efficace ma "sconveniente", l'eventuale esistenza dell'inganno nella formazione del consenso non incide sulla possibilità di far valere i diritti sorti dal medesimo contratto, ma comporta soltanto che il contraente, il quale abbia violato l'obbligo di buona fede, è responsabile del danno provocato dal suo comportamento illecito, commisurato al "minor vantaggio" ovvero al "maggior aggravio economico" prodotto dallo stesso. Tuttavia, pur non avendo il contraente diritto di occultare i fatti, la cui conoscenza sia indispensabile alla controparte per una corretta formazione della propria volontà contrattuale, l'obbligo informativo non può essere esteso fino al punto di imporre al medesimo contraente di manifestare i motivi per i quali stipula il contratto, così da consentire all'altra parte di trarre vantaggio non dall'oggetto della trattativa, ma dalle altrui motivazioni e risorse. (Nella specie, la circostanza taciuta riguardava il fatto che sul terreno, venduto come destinato a verde ed a parcheggi, sarebbe stata trasferita l'edificabilità da altri immobili di proprietà dell'acquirente, con conseguente incremento del valore del suolo).

Cass. civ. n. 19024/2005

La violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, stabilito dall'art. 1337 c.c., assume rilievo non soltanto nel caso di rottura ingiustificata delle trattative, ovvero qualora sia stipulato un contratto invalido o inefficace, ma anche, quale dolo incidente (art. 1440 c.c.), se il contratto concluso sia valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto; in siffatta ipotesi, il risarcimento del danno deve essere commisurato al "minor svantaggio", ovvero al "maggior aggravio economico" prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell'obbligo di buona fede, salvo che sia dimostrata l'esistenza di ulteriori danni che risultino collegati a detto comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto.

La violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, stabilito dall'art. 1337 c.c., assume rilievo non soltanto nel caso di rottura ingiustificata delle trattative, ovvero qualora sia stipulato un contratto invalido o inefficace, ma anche, quale dolo incidente (art. 1440 c.c. ), se il contratto concluso sia valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto ; in siffatta ipotesi, il risarcimento del danno deve essere commisurato al ?minor vantaggio?, ovvero al ?maggior aggravio economico? prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell'obbligo di buona fede, salvo che sia dimostrata l'esistenza di ulteriori danni che risultino collegati a detto comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto.

Cass. civ. n. 9523/1999

In ipotesi di dolo incidente, il contraente il quale, assumendo che, in assenza dei raggiri sofferti avrebbe concluso il contratto a condizioni diverse e che l'altro contraente fu in mala fede, agisce contro costui chiedendo il risarcimento del danno, non deve esercitare anche l'azione di annullamento del contratto, in quanto la suddetta domanda risarcitoria ha come presupposto che i raggiri non abbiano avuto carattere determinante del consenso e che, pertanto, il contratto resti valido. (Nella specie la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza di merito, la quale, invece, aveva ritenuto che la domanda risarcitoria supponesse la proposizione della domanda di annullamento del contratto, che non era stata formulata).

Cass. civ. n. 8318/1990

In tema di dolus incidens (art. 1440 c.c.), e con riguardo all'azione di risarcimento del conseguente danno, l'attore, una volta provata l'esistenza di un raggiro su un elemento non trascurabile del contratto, non è tenuto a provare altro ai fini dell'an debeatur, in quanto opera la presunzione iuris tantum che senza la condotta illecita, le condizioni contrattuali sarebbero state diverse e quindi per lui più favorevoli.

Cass. civ. n. 2798/1990

L'art. 1440 c.c., in tema di dolo incidente, cioè di raggiri di un contraente che abbiano determinato per l'altro condizioni più onerose, nonché di responsabilità risarcitoria del primo verso il secondo, trova applicazione, al pari delle generali regole negoziali dettate dal c.c., anche per il contratto di trasporto marittimo, ed il diritto a far valere quella responsabilità, vertendosi in materia di fatto illecito, inerente al momento formativo del contratto, è soggetto alla prescrizione quinquennale di cui all'art. 2947 c.c., non alla prescrizione semestrale di cui all'art. 438 c.n., la quale riguarda solo i diritti «derivanti» dal contratto stesso.

Cass. civ. n. 3176/1981

Nella controversia vertente sull'annullamento del contratto per dolo determinante (art. 1439 c.c.), ovvero sulla risoluzione del medesimo per inadempimento, non può essere dedotta per la prima volta con ricorso per cassazione l'esistenza di un dolo incidente, ai sensi dell'art. 1440 c.c., trattandosi di questione del tutto estranea all'oggetto della contesa, in quanto idonea a comportare una responsabilità per danni del contraente in mala fede, ma non ad interferire sulla validità ed efficacia del contratto.

Cass. civ. n. 1528/1974

Quando il dolo di una parte abbia determinato un error in negotio, nel senso che per effetto dei raggiri il soggetto passivo di questi abbia prestato il suo consenso per un negozio diverso da quello che intendeva realmente stipulare, non può venire in considerazione il disposto dell'art. 1440 c.c. (dolo incidente). (Nella specie, si era dedotta l'induzione in errore per effetto di dolo nella costituzione di una servitù, laddove si era fatto credere che il negozio si riferisse alla liquidazione del danno per la costruzione di un elettrodotto).

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Consulenze legali
relative all'articolo 1440 Codice Civile

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A. M. chiede
domenica 02/10/2022 - Lombardia
“Buongiorno,
ho accettato una proposta di acquisto del mio appartamento per 475.000 euro, ho ricevuto 30.000 euro come caparra e aspettiamo la data di rogito entro il mese di ottobre.
il mio appartamento è al primo piano e nel locale sottostante c'è un bar che lavora al pianterreno con aperitivi e nel seminterrato con musica da discoteca.
fino a buona parte di settembre siamo riusciti, con la diplomazia a far limitare il livello della musica a valori tollerabili anche con l'intervento dell'amministratore del condominio, pertanto non abbiamo informato gli acquirenti della problematica.
Ma da una settimana la direzione del locale ha introdotto la modalità di compleanni e ricorrenze nel piano terra, stando così le cose le urla e i cori si sentono molto nel mio appartamento.
La domanda è la seguente, come mi devo comportare con i futuri proprietari, io per una questione di onestà vorrei informarli della variazione di situazione, ma nel contempo non vorrei essere oggetto di penali per aver accettato la caparra e dove restituire il doppio se l'acquirente non intende procedere con l'acquisto.
Non dovrei essere soggetto alla restituzione del doppio in quanto io non ho rinunciato alla vendita ma semmai l'acquirente rinuncia per i sopravvenuti imprevisti. Ma vorrei il vostro parere e un consiglio di come manifestare questa anomalia agli acquirenti per non incorrere in sanzioni o denunce.”
Consulenza legale i 06/10/2022
Come correttamente già osservato nella richiesta di consulenza, il venditore non sarà - in ogni caso - tenuto a restituire il doppio della caparra che gli è stata consegnata.
Questa ipotesi è da escludere sulla base della lettura della norma che disciplina l'istituto giuridico della caparra confirmatoria. L'art. art. 1385 del c.c., infatti, prevede che "Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra".
Nel caso che occupa, se l'acquirente si rifiutasse di concludere il contratto di vendita, si rivelerebbe inadempiente, con possibilità quindi per il venditore di trattenere la caparra ricevuta. Viceversa, nessun obbligo di restituzione della caparra graverà in capo al proprietario/alienante, che appunto si dimostra pronto ad adempiere alla sua prestazione.

Dal punto di vista giuridico, la problematica si pone più che altro in termini di possibile annullabilità del contratto di compravendita che verrà sottoscritto dalle parti.
L'art. 1439 del c.c., infatti, prevede che "Il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da uno dei contraenti sono stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe contrattato".
Il successivo art. 1440 del c.c., poi, prevede che "se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse; ma il contraente in mala fede risponde dei danni".
Con l'espressione "dolo" la legge si riferisce a quei raggiri maliziosi posti in essere da un contraente, i quali si rivelano, in concreto, idonei a trarre in inganno l'altra parte, inducendola a concludere un contratto che altrimenti non avrebbe concluso.
Ovviamente, ai fini dell'annullamento del contratto, l'acquirente dovrebbe dimostrare, davanti al giudice, l'intenzionalità, e quindi la volontarietà, del dolo (inganno) perpetrato dal venditore.

Tutto sta, quindi, nel capire cosa è stato detto, durante la contrattazione, in merito alla presenza di questo bar nelle vicinanze dell'appartamento oggetto di compravendita.

Innanzitutto, è necessario capire se l'acquirente fosse consapevole dell'esistenza del suddetto bar, e delle sue caratteristiche; anche se viene facile pensare che la risposta debba essere affermativa poiché, prima di determinarsi all'acquisto, ogni acquirente si informa bene e a lungo rispetto non solo alle caratteristiche dell'immobile, ma anche sulla situazione dei luoghi circostanti, all'interno dei quali l'abitazione compravenduta si colloca.
Se tale consapevolezza in capo all'acquirente vi è stata, non pare doveroso attivarsi in altro modo.
Per chiedere in futuro l'eventuale annullamento del contratto, o anche solo il risarcimento dei danni, l'acquirente dovrebbe infatti dimostrare l'intenzionalità dell'intento doloso del venditore nel nascondere all'acquirente la reale condizione dei luoghi, tramite la comunicazione al compratore di false o inesatte informazioni, o anche attraverso una volontaria reticenza.
Altrimenti, nulla potrà essere chiesto al venditore che abbia contrattato seguendo le regole della buona fede e della diligenza media.

Diverso sarebbe se l'argomento del bar sottostante non fosse mai stato menzionato durante l'intera trattativa relativa alla compravendita o fosse stato volutamente nascosto dall'acquirente o, ancora, se il bar fosse stato sempre chiuso durante le visite all'appartamento, impedendo all'acquirente di avere piena consapevolezza in merito alla situazione dei luoghi. In tal caso, potrebbe in astratto configurarsi una eventuale forma di reticenza del venditore, nel caso in cui lo stesso non si fosse in alcun modo speso al fine di informare il compratore rispetto all'eventuale rumorosità proveniente dal locale.
In tale secondo caso, per ragioni di cautela e diligenza, e per evitare una futura richiesta di annullamento del contratto o di risarcimento danni (che, lo si ripete, sarebbe poi tutta da argomentare e provare in un eventuale giudizio) si potrebbe ritenere opportuno conferire con il futuro proprietario, informandolo della situazione, e cercando di offrire la disponibilità di trovare una soluzione, confrontandosi con i proprietari del bar, e ipotizzando anche - eventualmente - di far sottoscrivere tra gli stessi e l'acquirente un'intesa nel senso della limitazione della rumorosità in alcune ore del giorno, in accordo se possibile anche con altri proprietari limitrofi.

In ogni caso, nella peggiore delle ipotesi, anche se l'acquirente dovesse cambiare idea rispetto alla conclusione del contratto di vendita, la conseguenza non potrebbe essere quella dell'obbligo per il venditore di restituire il doppio della caparra, poiché lui non si renderebbe in alcun modo "inadempiente", ma sarebbe semmai l'acquirente a voler rivedere le proprie intenzioni (e allora ci si interrogherà - semmai - rispetto alla possibilità, per lo stesso, di sciogliersi - senza conseguenze - dal contratto preliminare eventualmente sottoscritto, o di richiederne l'annullamento).

L'acquirente non potrà in ogni caso domandare né la risoluzione del contratto di compravendita, né la riduzione del prezzo, poiché non opera in questo caso la "garanzia per vizi" prevista dall'art. 1490 del c.c., poiché non si tratta in questo caso di un vizio strutturale dell'immobile ma, diversamente, di circostanze esterne che possono influire sulla godibilità del bene, senza tuttavia determinarne una "inidoneità all'uso" in senso stretto. In ogni caso, secondo la giurisprudenza prevalente, anche a voler configurare la rumorosità come un "vizio" dell'immobile in senso tecnico, al preliminare di vendita (che si immagina sia stato sottoscritto) non sarebbe applicabile l’obbligo di garanzia per i vizi della cosa venduta visto in precedenza.






M. A. chiede
mercoledì 11/05/2022 - Lombardia
“buongiorno, il mio appartamento è ubicato al primo piano sopra un locale bar ristorante che fa anche musica nel suo seminterrato, con il quale abbiamo iniziato al momento un contenzioso bonario, non formale.
Ho da poco frazionato l'appartamento ed ho ricavato un monolocale che intendo vendere.
La domanda è la seguente, non avendolo informato del rischio rumore prima della vendita, può l'acquirente, riscontrando disturbi antropici provenienti dal locale sottostante e dal marciapiede fino alle 4 del mattino, richiedere l'annullamento dell' atto di vendita e il conseguente rimborso della somma versata per l'acquisto ?, potrebbe richiedere danni ?”
Consulenza legale i 18/05/2022
Ai sensi dell'art. 1490 del c.c., “Il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore”.
Questa è la cosiddetta garanzia per vizi, che ogni compratore ha quando acquista un bene. Egli ha diritto, infatti, di ottenere la consegna di una cosa immune da vizi e idonea all’uso che intende farne, contemplato dal contratto di vendita.
Nel caso di esistenza di un vizio relativo alla “cosa” venduta, il compratore ha diritto, a sua scelta ed alternativamente, di chiedere:
  • la risoluzione del contratto di compravendita - con conseguente restituzione del prezzo e simmetrica restituzione dell’immobile - (azione redibitoria);
  • la riduzione proporzionale del prezzo corrisposto (azione estimatoria).
Nel caso in cui si determinasse per la richiesta di risoluzione, tuttavia, dovrebbe dar prova, ai sensi dell’art. 1455 del c.c., della “non scarsa rilevanza" dell'inadempimento.
Più facile, invece, ottenere dal giudice la riduzione del prezzo, proporzionalmente rispetto al vizio della cosa e a quanto lo stesso ne riduca il valore e l’utilizzo.

In entrambe le ipotesi, il compratore dovrebbe comunque dimostrare che gli schiamazzi provenienti dal bar adiacente costituiscano un “vizio” della cosa, che la rende inidonea all’uso, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1490 c.c. Ciò non è affatto scontato.
La giurisprudenza, infatti, ritiene che sia necessario fare una distinzione. Se la rumorosità deriva da un vizio strutturale dell’immobile, come ad esempio un difetto di insonorizzazione a causa del quale è possibile udire rumori molesti che, altrimenti, non dovrebbero essere percepiti, allora è possibile attivare la garanzia. Viceversa, se la rumorosità è causata dagli schiamazzi provenienti dai locali adiacenti, allora non può ritenersi operante la garanzia per i vizi della cosa. Questa forma di tutela, infatti, si applica solo per i difetti che riguardano il bene compravenduto e non anche per circostanze esterne che ne influenzano l’uso e la godibilità.
Il “vizio” della cosa, insomma, dovrebbe essere qualcosa di intrinseco al bene, come un difetto strutturale o comunque una carenza che lo infici nella propria struttura.

Ciò non si può dire per gli schiamazzi notturni che provengono dal bar adiacente, che limitano il godimento pacifico dell’immobile, ma difficilmente potranno essere qualificati dal giudice come “vizi” in senso tecnico, gli unici che potrebbero legittimare l’esperimento, da parte del compratore, delle azioni “edilizie”, ovvero la richiesta di risoluzione del contratto o di diminuzione del prezzo corrisposto.
In ogni caso, la disciplina normativa prevede che non sia dovuta la garanzia se il compratore conosceva i vizi della cosa. Parimenti non è dovuta, se i vizi erano facilmente riconoscibili, salvo, in questo caso, che il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi.
Nel caso che occupa, il bar era certamente visibile nel momento in cui l’acquirente ha visitato l’immobile, determinandosi all’acquisto. Egli, quindi, avrebbe quindi dovuto considerare la possibilità che il luogo non fosse particolarmente tranquillo.

La strada che l'acquirente potrebbe più probabilmente percorrere, quindi, è quella della richiesta di annullamento del contratto per dolo, ovvero per la reticenza ed omissione del venditore nel fornire tutte le indicazioni necessarie per un acquisto consapevole. Tuttavia, sarebbe necessario dimostrare, ai fini dell’annullamento del contratto, la presenza di tale elemento soggettivo in capo al venditore - il dolo -, consistente in quegli “artifici o raggiri”, o anche in un'intenzionale reticenza rispetto alle problematiche dell’immobile, che hanno indotto l'acquirente a non concludere il contratto.
Tale prova non è facile da fornire e l’acquirente dovrebbe anche dimostrare, comunque, che, se fosse stato consapevole della problematica relativa alla rumorosità del bar, non si sarebbe determinato alla vendita.

Nello specifico caso di rumorosità dell’immobile, potrebbe esservi il dolo del venditore se questi, su specifica richiesta dell’acquirente, avesse per esempio rassicurato il compratore rispetto al fatto che nell’immobile non si percepiscono immissioni rumorose, oppure abbia evitato di far visionare l’abitazione durante le ore in cui era possibile sentire gli schiamazzi.

L’art. 1440 del c.c., però, ha anche un secondo comma, il quale prevede che “Se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse; ma il contraente in mala fede risponde dei danni”.
Questo è il cosiddetto dolo “incidente”, che non è determinante proprio perché il compratore avrebbe comunque concluso il contratto di vendita, anche se fosse stato a conoscenza della problematica relativa al bar.
Tuttavia, egli avrebbe magari potuto chiedere - ed ottenere - uno sconto sul prezzo della vendita, proprio a cagione del disagio provocato dalla rumorosità della zona.
Anche in questo caso, comunque, per ottenere il risarcimento dei danni, il compratore dovrà dimostrare che il venditore era a conoscenza della problematica, e l’ha dolosamente sottaciuta.
Occorrerebbe capire se, nel caso di specie, vi sono degli elementi, di carattere testimoniale o presuntivo, che potrebbero far ritenere al giudice che il venditore abbia intenzionalmente, e dolosamente, nascosto al compratore circostanze a lui note, al solo fine di concludere in ogni caso il contratto di vendita. Bisognerebbe, in altri termini, dimostrare la "mala fede" del venditore.

Nel quesito si afferma che è in corso con il locale un “contenzioso bonario, non formale”.
Questa circostanza potrebbe in effetti costituire un elemento a favore dell’acquirente, nel momento in cui riuscisse a dimostrare che il proprietario stava già discutendo con il bar al momento della conclusione del contratto in oggetto, ed era quindi perfettamente consapevole del disagio arrecato dal locale agli inquilini degli appartamenti collocati nelle vicinanze.

Per concludere, è possibile affermare che l’eventualità che il compratore si attivi esiste, perlomeno in ordine ad una richiesta risarcitoria che compensi il disagio arrecato dalla rumorosità del locale adiacente, del quale non era a conoscenza.
In tal caso, la legge prevede obbligatoriamente (art. 3 del D.L. 132/2014), allorquando vi sia una richiesta di pagamento di somme a qualsiasi titolo per un importo inferiore a 50.000 euro, l’attivazione del procedimento di “negoziazione assistita”.
Attraverso la stessa, è possibile trovare una soluzione concordata della vertenza, evitando i costi e le lungaggini di un procedimento giudiziario.

M. A. chiede
martedì 28/06/2022 - Lombardia
“Buongiorno,
in riferimento al quesito n. Q202230962, chiedo se il testo seguente mi tutela da eventuali aumenti di rumore che possono sorgere nel corso dell'anno conseguente la vendita appartamento, e che possono determinare una richiesta danni per dolo, reticenza e omissione del venditore.

testo :
L’immobile non è caratterizzato da vizi materiali e/o immateriali di mia conoscenza, tuttavia si richiede la formula “visto e piaciuto” per una tutela da possibili richieste future di risarcimento.
Dato che la formula non copre situazioni in presenza di dolo e malafede, si precisa quanto segue :
L’immobile è inserito in un contesto dove la notte è particolarmente frequentato quindi una zona soggetta a varie tipologie di rumori, traffico, mezzi pubblici di superficie, pulizia strade, ritiro spazzatura, metro, ecc. tipici di tutte le zone con alta affluenza di persone e di presenza locali di ristorazione o intrattenimento anche notturni. Per ovviare a questa problematica di inquinamento acustico, ho eseguito una profonda insonorizzazione delle finestre che si affacciano sulla via, ottenendo così una riduzione dei disturbi stradali menzionati.
I rumori notturni interni del condominio, TV, scarichi, musica, sedie, camminamenti e altri rumori di natura antropica, rientrano, al momento della vendita, nella normale tollerabilità prevista dall’art. 844 del codice di procedura civile.
A tal fine si allega una misura fonometrica eseguita nelle ore di riposo notturno di un giorno campione della settimana, non essendo possibile avere un riscontro univoco data la variabilità manifestabile e non prevedibile nel tempo.
Data la natura non previsionale dei rumori, non si esclude che in futuro lo scenario possa cambiare in modo peggiorativo andando a costituire un vizio, ciò non deve essere considerato come una omissione del venditore reticenza o dolo o mala fede, per vizio presente prima della vendita, in quanto la presente non esclude alcuna possibilità di fonte di disturbo.
Si invita pertanto, per evitare future rimostranze o lamentele o richiesta danni, a verificare e valutare tutti gli aspetti menzionati nella presente informativa.”
Consulenza legale i 11/07/2022
Come correttamente indicato nel quesito, il proprietario potrebbe essere ritenuto responsabile nel caso in cui il bene compravenduto non risulti idoneo all'uso che se ne voleva fare. Il compratore, di fronte a questo, può in genere tutelarsi attraverso la richiesta di annullamento del contratto, ai sensi dell'art. 1439 c.c., ma solo ed esclusivamente se il dolo sia da considerarsi determinante; se, in altre parole, l'acquirente non avrebbe acquistato il bene se avesse correttamente conosciuto l'effettivo stato delle cose. Altrimenti, non gli rimarrà che domandare il risarcimento del danno, nel caso in cui il dolo perpetrato dal venditore non sia stato tale da incidere sulla volontà di concludere il contratto, ma l'abbia indotto a farlo a condizioni differenti. Entrambe le ipotesi richiedono tuttavia, per l'appunto, che il venditore abbia messo in atto dei raggiri per ingannare l'acquirente, anche eventualmente attraverso la reticenza.

Si ritiene che lo scritto indicato nel quesito copra assolutamente il venditore da qualsivoglia richiesta del compratore volta ad ottenere l'annullamento del contratto o il risarcimento del danno, proprio perché il venditore sta espressamente rendendo edotto il compratore relativamente alle caratteristiche dell'immobile oggetto di compravendita, e non sarà quindi possibile per l'acquirente, in futuro, rivendicare alcunché.

Si puo pensare di fare riferimento anche all'istituto delle immissioni, disciplinato dall'art. 844 del c.c. e non del Codice di procedura civile (e su questo occorre correggere il testo). Tale disciplina ammette le immissioni tra fondi vicini che non oltrepassino il limite della normale tollerabilità, e può essere utile indicare che, nel caso di specie, si è all'interno di detto limite. Tuttavia, ad onor del vero, la disciplina delle immissioni riguarda tecnicamente i rapporti di vicinato tra proprietari, e quindi tra l'acquirente futuro proprietario e i suoi vicini, e non i rapporti tra venditore e acquirente. Alla luce di tale riflessione, si ritiene che il riferimento alla disciplina di cui all'art. 844 c.c. possa essere tranquillamente omesso senza per questo pregiudicare la tutela del venditore, già assicurata dall'aver spiegato al compratore le problematiche attinenti al bene, comportamento che di certo esclude una eventuale responsabilità del venditore per dolo, anche sotto forma di reticenza.