La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini era nata in seguito alla citazione in giudizio dell’istituto di credito domiciliatario di una cambiale da parte di un cliente, in relazione all’elevazione del relativo protesto. Il Tribunale adito riteneva che l’elevazione del protesto non potesse ritenersi determinata dal comportamento della banca, bensì dalla tardività della disposizione impartita dall’attore, osservando, sul punto, come proprio quest’ultimo avesse ammesso di aver dato all’istituto di credito disposizione di provvedere al pagamento della cambiale in data successiva alla scadenza della stessa.
In seguito alla dichiarazione di inammissibilità del gravame, pronunciata dalla Corte d’Appello, l’originario attore ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando, in particolare, la violazione e falsa applicazione degli articoli 44, 51 e 70 della legge cambiaria, R.D. n. 1669/1933, nonché l’erronea ed illegittima elevazione del protesto.
Il ricorrente faceva, infatti, presente di aver provveduto al pagamento della cambiale il giorno successivo alla relativa scadenza, la quale, peraltro, cadeva di domenica. Considerato, inoltre, che il pagamento era avvenuto con valuta coincidente con la data di scadenza della cambiale, a parere dell’istante il protesto del titolo era stato elevato illegittimamente, essendo avvenuto il giorno seguente al pagamento, quando il debito era, dunque, già estinto.
Si eccepiva, poi, la violazione e falsa applicazione del principio generale di buona fede da parte della banca, del tempo dell’adempimento ed estinzione dell’obbligazione, oltre alla violazione e falsa applicazione dell’art. 1188 del c.c. Secondo il ricorrente, il giudice di prime cure aveva erroneamente considerato, quale momento dell’adempimento, non la data dell’avvenuto pagamento presso lo sportello bancario, ma quella in cui la valuta era stata trasmessa al beneficiario. A parere dell’istante, la circostanza che la banca avesse trasmesso tardivamente le somme al creditore non poteva far slittare la data del pagamento, ma poteva far nascere una responsabilità solo in capo allo stesso istituto di credito, il quale, nonostante l’avvenuto pagamento, non aveva “richiamato” il titolo, lasciandolo nelle mani del Pubblico Ufficiale che aveva provveduto ad elevare il protesto.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando con rinvio la sentenza impugnata.
Gli Ermellini hanno, innanzitutto, evidenziato come, nel caso di specie, sia senza dubbio configurabile, in capo alla banca, una responsabilità per condotta omissiva, atteso che, nonostante il debitore avesse provveduto, presso la stessa, al pagamento del titolo nel giorno successivo alla scadenza, come consentito dall’art. 43 della legge cambiaria, e, peraltro, con valuta del giorno della scadenza, essa era rimasta inerte, non comunicando al Pubblico Ufficiale il fatto che fosse venuto meno il presupposto per elevare il protesto, costituito dal mancato pagamento della cambiale.
Come precisato dalla Cassazione, tuttavia, non si tratta di una responsabilità da contatto sociale, bensì di una responsabilità contrattuale, in quanto dalla sentenza impugnata risulta che il debitore avesse dato ordine alla banca di addebitare la cambiale nel conto corrente, con una disposizione riconducibile, quindi, al contratto di mandato.
Peraltro, l’obbligo della banca di attivarsi immediatamente per impedire la levata del protesto deriva, comunque, dalla clausola generale della buona fede oggettiva, ex art. 1175 del c.c., quale criterio determinativo ed integrativo della prestazione contrattuale, che impone il compimento di quanto utile e necessario alla salvaguardia degli interessi della controparte.
Secondo gli Ermellini è, infatti, indubitabile che la banca, accettando sic et simpliciter il pagamento del titolo con addebito in conto corrente, nonostante il ritardo, peraltro minimo, rispetto alla scadenza, abbia ingenerato nel debitore il ragionevole affidamento che con l’intervenuta estinzione del debito sarebbe venuto meno ogni rischio di elevazione del protesto.
Lo stesso istituto di credito, inoltre, qualora avesse avuto dei dubbi in ordine alla propria possibilità di intervenire per bloccare il meccanismo di levata del protesto, avrebbe dovuto farli presente in modo adeguato al debitore, al fine di consentirgli di avvisare personalmente il Pubblico Ufficiale o, comunque, ove non fosse più stato possibile impedire la levata del protesto, di attivarsi tempestivamente per ottenere, quantomeno, nell’immediatezza, la cancellazione del protesto secondo la procedura prevista dall’art. 12 della l. n. 349/1973.
Nel caso di specie, dunque, secondo gli Ermellini, l’obbligazione del debitore si deve considerare estinta con l’avvenuto pagamento del titolo presso l’istituto di credito, in quanto, come consentito dall’art. 4 della legge cambiaria, era stato deciso, come luogo di pagamento della cambiale, quello di un terzo, ossia la banca convenuta.
Alla luce di tali precisazioni, i giudici di legittimità hanno evidenziato la necessità, nel caso de quo, di uniformarsi al principio di diritto per cui “Gli obblighi di diligenza che gravano su una banca cui sia stato conferito mandato al pagamento di una cambiale, impongono, una volta avvenuto l’atto solutorio, di attivarsi immediatamente per intervenire sul processo di levata del protesto, e, ove tale meccanismo si trovi ad una fase così avanzata da non poter essere più interrotto, di avvisare prontamente il mandante al fine di consentirgli di accedere tempestivamente alla procedura di cancellazione del protesto, secondo quanto previsto dal l. n. 349 del 1973, art. 12, salvo in ogni caso l’obbligo per la banca, ove sia intervenuta comunque la levata del protesto, di restituire la provvista utilizzata per l’operazione non andata a buon fine”.