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Articolo 1358 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Comportamento delle parti nello stato di pendenza

Dispositivo dell'art. 1358 Codice Civile

Colui che si è obbligato o che ha alienato un diritto sotto condizione sospensiva, ovvero lo ha acquistato sotto condizione risolutiva, deve, in pendenza della condizione, comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell'altra parte(1).

Note

(1) La norma impone il dovere di buona fede (v. 1175 c.c.) a carico di chi, se la condizione si avvera, è destinato a perdere il diritto e a tutela dell'aspettativa (v. 1356 c.c.) di colui che può diventarne titolare.

Ratio Legis

La norma è chiara nello stabilire che il dovere di comportarsi secondo buona fede è posto a tutela dell'interesse della controparte all'integrità del proprio diritto.

Spiegazione dell'art. 1358 Codice Civile

Limiti della pendenza

La pendenza della condizione rappresenta il secondo stadio del fenomeno condizionale. Si dice che condicio pendet sino a quando dura l'incertezza circa il verificarsi o meno dell'evento previsto.

Al regolamento del rapporto fra le parti durante questo periodo il nuovo codice dedica le norme degli articoli 1356, 1357, 1358.

Né il vecchio codice, né il nuovo determinano i limiti della pendenza: in linea generale può tuttavia dirsi che lo stato di pendenza comincia con la conclusione del contratto e termina con l'avveramento o il mancato avveramento del fatto dedotto in condizione.

La fissazione di un termine iniziale, dal quale debbano cominciare a decorrere gli effetti tipici del negozio, il che val quanto dire: di un termine al quale debba retroagire la condizione (infra sub art. 1360), non sposta il momento iniziale della pendenza, poiché il rapporto di aspettativa (infra par. 24), che è la conseguenza tipica della presenza della clausola condizionale, sorge immediatamente con la conclusione del negozio: da questo momento infatti comincia a decorrere l'obbligo sancito dall'art. 1358, cui fa da corrispettivo il diritto di cui all'art. 1356. Il momento finale della pendenza può essere invece prestabilito con la fissazione di un termine entro il quale deve verificarsi la condizione: tale termine in questo caso rappresenta il limite massimo della pendenza, decorso inutilmente il quale, cessa questo e la condizione si reputa mancata (infra sub art. 1359 e segg.), con le conseguenze relative alle diverse specie di condizione.

Se per l'avveramento della condizione non è stato previsto un termine, la pendenza dura illimitatamente sino a che si verifica o si accerta che non può più verificarsi l'evento previsto.

La possibilità della fissazione da parte della autorità giudiziaria di un termine finale per la pendenza è stata ritenuta sotto il vecchio codice sul fondamento degli articoli #1166#, che non è stato riprodotto nel nuovo codice, e #1173# (1183 nuovo cod.) per i casi di condizione potestativa. Poiché, si è detto, una pendenza a tempo indeterminato potrebbe essere contraria alla volontà dei soggetti, quello dalla cui volontà dipende l'avveramento della condizione può essere costretto dall'autorità giudiziaria, su istanza dell'altra parte, a mettere in essere l'evento previsto entro un congruo termine, dopo il quale la condizione debba aversi per mancata.


Il rapporto di aspettativa

Parlando della funzione dell'evento condizionante si è avuto occasione di mettere in evidenza l'influenza della pendenza sugli effetti tipici del negozio. Basta qui ricordare che sino a quando dura la pendenza:
a) se la condizione è sospensiva, gli effetti tipici del negozio non si producono;
b) se la condizione è risolutiva o estintiva, essi si producono immediatamente (salvo che non sia stabilito un termine dal quale essi debbono cominciare a decorrere), ma sono soggetti a risolversi o a cessare.

Come poi si è detto, parlando in generale degli effetti c. d. preliminari del negozio condizionale, in entrambi i casi sorge un particolare rapporto sulla base dell'interesse alla realizzazione pratica degli effetti che potranno derivare dall'eventuale verificarsi dell'evento condizionante. Tale rapporto che suol dirsi di aspettativa, rappresenta l'effetto principale della pendenza della condizione, sorge con questa e dura quanto questa.

Esso, come si è accennato, si presenta come l’unico effetto del negozio condizionale nell'ipotesi di condizione sospensiva, ed ha per lato attivo il diritto del soggetto, a favore del quale dall'avveramento della condizione deriverà l'acquisto di un diritto sull'oggetto della negoziazione, ad agire per la conservazione di quell'oggetto stesso, per rendere, quindi, possibile la realizzazione degli effetti dipendenti dall'avveramento della condizione; e per lato passivo la situazione di soggezione del soggetto, la cui obbligazione dipende dall'avveramento della condizione.

Il rapporto di aspettativa sorge invece come effetto collaterale che si accompagna all'effetto tipico del negozio, nel caso di condizione risolutiva o estintiva. Esso sorge in vista della risoluzione o della estinzione dell'effetto principale e tende alla reinstaurazione della situazione originaria. Ha per lato attivo il diritto del soggetto a cui favore tale reinstaurazione, in conseguenza dell'avveramento della condizione, deve verificarsi, ad agire per la conservazione dell'oggetto della negoziazione; e per lato passivo la situazione del soggetto che ha acquistato immediatamente un diritto su tale oggetto e che deve subire l'attività di conservazione dell'altro soggetto. In entrambi i casi il soggetto passivo deve comportarsi secondo buona fede per non pregiudicare le eventuali ragioni dell'altra parte dipendenti dall'avveramento della condizione (art. 1358).

Distinguendo i negozi obbligatori, dai negozi di alienazione, si ha che, nell'ipotesi di condizione sospensiva, il soggetto attivo è rappresentato rispettivamente dal creditore o dall'acquirente condizionale; il soggetto passivo dal debitore o dall'alienante condizionale. Nell'ipotesi di condizione risolutiva o estintiva, invece, il soggetto attivo rappresentato dal debitore o dall'alienante, mentre il soggetto passivo è il creditore o lo acquirente (arg. ex articoli 1356-1358).


Il lato attivo del rapporto di aspettativa

Il contenuto del lato attivo del rapporto di aspettativa è determinato dall'art. 1356 del nuovo codice per le due ipotesi di condizione sospensiva e risolutiva.

Il codice del 1865 dettava in proposito un’unica norma generica, stabilendo all'art. #1171#: «il creditore può, prima che siasi verificata la condizione, esercitare tutti gli atti che tendono a conservare i suoi diritti».

Si aveva quindi di mira particolarmente l'ipotesi di condizione sospensiva e l'estensione della norma dell'art. 1171 alla ipotesi di condizione risolutiva poteva essere dubbia stabilendo l'art. 1164: «La condizione risolutiva non sospende l'esecuzione della obbligazione: essa obbliga soltanto il creditore a restituire ciò che ha ricevuto, ove accada l'avvenimento preveduto nella condizione».

La regolamentazione del nuovo codice è dunque più completa. A proposito della condizione risolutiva l’art. 1356 cpv. stabilisce bensì che «l'acquirente di un diritto sotto condizione risolutiva, può, in pendenza di questo, esercitarlo», il che sostanzialmente equivale al principio sancito nell'art. 1164, ma il rapporto di aspettativa è messo in evidenza dall'esplicito riconoscimento all'altro contraente della facoltà di compiere atti conservativi, facoltà che pone il debitore o alienante sotto condizione risolutiva nella stessa posizione prevista dal primo comma dello stesso articolo a favore dell'acquirente di un diritto sotto condizione sospensiva.

In entrambi i casi, pertanto, il contenuto del diritto di aspettativa viene genericamente specificato dall'art. 1356 come la facoltà di compiere atti conservativi sull'oggetto della negoziazione.

Una ulteriore specificazione di tale facoltà si può ricavare indirettamente dall'art. 1358, in cui, come si vedrà (infra n. 26), viene precisata la posizione del soggetto passivo del rapporto di aspettativa. Da questa norma si ricava che il diritto di aspettativa comprende la possibilità di adottare tutte le misure necessarie a «conservare integre le ragioni» dipendenti dall'avveramento della condizione e ad evitare il rischio della pendenza, che, in certi casi, per effetto della normale retroattività della condizione, potrebbe riversarsi sul titolare della aspettativa in caso di avveramento della condizione stessa.

Escluso comunque che il titolare del diritto di aspettativa possa agire direttamente sulla res oggetto del negozio, la tutela accordatagli dalla legge si attua soltanto dall'esterno, cioè attraverso l'adizione della autorità giudiziaria.

A parte le misure dirette ad assicurare la conservazione del titolo delle sue ragioni eventuali (verificazione di scrittura, rinnovazione di ipoteca, esame di testimoni a futura memoria, interruzione della prescrizione o dei termini di decadenza), il diritto di aspettativa comprende la possibilità di adottare una serie di misure per neutralizzare il pericolo di danno derivante all'oggetto e alle sue garanzie dal comportamento attivo, o dalla inerzia del soggetto passivo ovvero dalle pretese di altri soggetti sul patrimonio dello stesso.

Quali siano in concreto le principali di queste misure nelle varie ipotesi si vedrà meglio in seguito (infra n. 5). Per ora occorre aggiungere che il diritto di aspettativa rappresenta una entità che ha una sua rilevanza patrimoniale e che, in quanto tale, è trasmissibile per successione a causa di morte ovvero può essere, a sua volta oggetto di atti di disposizione tra vivi.

Dal primo punto di vista, il codice del 1865 distingueva:
a) la situazione dell'erede o legatario sotto condizione sospensiva, la quale era intrasmissibile agli eredi del designato se questi fosse morto prima dell'avveramento della condizione (art. 853), a meno che la condizione, secondo la volontà del disponente, non fosse sospensiva soltanto della esecuzione della disposizione (art. 854)
b) la situazione di ogni altro acquirente condizionale in base ad atto tra vivi, che era invece pienamente trasmissibile agli eredi (articolo 1170).

Il nuovo codice non distingue e in tutti i casi è, pertanto, da ammettere la piena trasmissibilità del diritto di aspettativa.

Questo infine può essere garantito da pegno, ipoteca o fideiussione.


Il lato passivo del rapporto di aspettativa

Il codice del 1865, mentre, come si è visto, dettava la norma dell'art. 1171 per determinare la posizione del soggetto attivo del rapporto di aspettativa, non conteneva alcuna disposizione relativamente alla posizione del soggetto passivo, la quale pertanto avrebbe potuto costruirsi soltanto di riflesso, attraverso la determinazione di quella del soggetto attivo. Essendo infatti consentito a questo di compiere atti di conservazione durante la pendenza, poteva dedursi che il soggetto passivo dovesse subire l'espletamento di tali atti e si trovasse, di fronte a questi, in una situazione di soggezione. Questa conclusione si ricava anche dall'art. 1356 del nuovo codice.

L'art. 1358 di questo specifica tuttavia ulteriormente la posizione del soggetto passivo e, nello stesso tempo, consente una maggiore precisazione della posizione del soggetto attivo. E, come l’art. 1356, determinando questa ultima, fa riferimento al rapporto di aspettativa sia nell'ipotesi di condizione sospensiva che in quella di condizione risolutiva, così l'art. 1358 determina la situazione del soggetto passivo con riferimento ad entrambe le ipotesi, imponendo a colui che «si è obbligato o ha alienato un diritto sotto condizione sospensiva» e a colui che «lo ha acquistato sotto condizione risolutiva» di comportarsi, durante la pendenza, secondo buona fede «per conservare integre le ragioni dell'altra parte». Tale obbligo non è in sostanza che una specificazione dell’obbligo di assunzione di quel «comportamento secondo correttezza» imposto in genere ai contraenti per l'esecuzione di tutte le obbligazioni (art. 1175). Ma esso assume un significato particolare, se considerato nell'ambito del rapporto di aspettativa.

Occorre infatti ricordare che soggetto passivo del rapporto è colui al quale, durante la pendenza, spetta l'esercizio del diritto oggetto della negoziazione.

Ora, a parte il limite posto dall'art. 1357, di cui si dirà in seguito (infra n. 9), tale esercizio incontra due specie di limiti:
a) quelli derivanti dall'esercizio del diritto di aspettativa dell'altro soggetto;
b) quelli derivanti dall'obbligo sancito dall'art. 1358.

Salvo ad esaminare più particolarmente i primi, indicando i mezzi conservativi ai quali il titolare del diritto di aspettativa può fare ricorso, è da vedere quale sia l'ampiezza dell'obbligo suddetto.

Da questo punto di vista può dirsi che l'esercizio del diritto (oggetto della negoziazione) non deve essere in contrasto con l'interesse del titolare dell'aspettativa alla realizzazione delle sue eventuali ragioni. Esso quindi non può essere tale da pregiudicare la sostanza e il valore dell'oggetto: il godimento di questo deve essere normale, non deve ad es. importare un mutamento di destinazione dell'oggetto, quando tale mutamento si possa riflettere sull'essenza o sul valore di quello. Qualora ciò accadesse, e si profilasse un pericolo di danno per l'oggetto, titolare dell'aspettativa potrebbe intervenire a sensi dell'art. 1356.

L'attività concreta del soggetto passivo trova quindi da questo punto di vista un preciso limite, che può tuttavia essere superato attraverso la prestazione di idonea garanzia.

Inoltre, se è obbligo del soggetto passivo di non pregiudicare le ragioni eventuali dell'altro soggetto, deve ammettersi che tale obbligo importi di intervenire attivamente per evitare,ogni pregiudizio che all'oggetto possa derivare da cause esterne (ad es. ad opera di terzi) o puramente naturali. Il soggetto passivo, in altri termini, non potrebbe assistere inerte al deterioramento o alla perdita dell'oggetto, ma dovrebbe intervenire per evitare, se possibile, l'uno e l'altra. Altrimenti, egli, in caso di avveramento della condizione, risponderebbe della sua inerzia, così come della sua attività pregiudizievole all'oggetto, di fronte all'altro soggetto, che, secondo i principi generali, potrebbe chiedere la risoluzione del rapporto e il risarcimento del danno.

Da tutto ciò risulta, che al soggetto passivo del rapporto di aspettativa compete una specie di obbligo di custodia dell'oggetto, che deve essere adempiuto con la diligenza ordinaria, a meno che in concreto non sia prevista l'adozione da parte dell'obbligato di misure tutte particolari.

Un altro aspetto dell'obbligo di cui all'art. 1358 si ha nella necessità di non influire sul libero corso della pendenza, diminuendo, come qualcuno ha detto, la «dose» di incertezza (sia positiva che negativa) dell'evento condizionante, e, in conseguenza, le probabilità che l'altra parte acquisti o meno il diritto oggetto del negozio. Una sanzione per la violazione di questo aspetto dell'obbligo è, come si vedrà, prevista dall'art. 1359.

Dall'obbligo sancito nell'art. 1358 a carico del soggetto passivo del rapporto di aspettativa, deve essere nettamente distinta l'eventuale obbligazione contrattuale la cui esistenza dipende dall'avveramento della condizione. Tale distinzione è infatti essenziale soprattutto nell'ipotesi di condizione sospensiva — per non incorrere nell'erronea conclusione che basti la violazione dell'obbligo di cui all'art. 1358 ad abilitare l'altra parte a chiedere la risoluzione del rapporto ancor prima che si sia verificata la condizione (sospensiva), ancor prima cioè che sia nato il rapporto che dovrebbe risolversi.

Infatti è stato deciso che se «pendente una condizione sospensiva, una delle parti viene meno agli obblighi assunti nel contratto, l'altra parte ha diritto di chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, senza attendere il verificarsi o meno della condizione. Tale conclusione poggia sulla premessa «che la condizione non è un elemento che concorre a dare vita giuridica al contratto, ma un elemento accidentale e il contratto esiste giuridicamente anche prima che l'evento condizionante si sia verificato» (Cass. sent. 10 febbraio 1944).

Ma la premessa non giustifica affatto la conclusione, che è conseguenza della confusione tra clausola condizionante ed evento condizionante, tra negozio e rapporto conseguenziale, e di una non chiara visione della funzione della risoluzione che tocca il rapporto conseguenziale, ma non il negozio base.

Si è già detto in che senso la condizione, intesa quale clausola condizionale, pur essendo un elemento accidentale, concorra a dar vita al negozio concreto come parte inscindibile della volontà negoziale; e come una cosa sia l'esistenza del negozio, un'altra quella del rapporto conseguenziale tipico. Se d'altra parte la condizione, in quanto evento condizionante, non influisce sull'esistenza del negozio, essa invece influisce su quella del rapporto conseguenziale tipico, o sospendendola (condizione sospensiva) o impedendone la permanenza (condizione risolutiva o estintiva). Nel primo caso, prima dell'adempimento della condizione, esiste il negozio, ma non il rapporto conseguenziale (tipico): ciò significa che come non è sorto il diritto del creditore, così non è sorto l'obbligo del debitore. Non può, quindi, a rigore, parlarsi, prima dell'avveramento della condizione, di inadempienza dell'obbligo assunto col contratto. Esiste invece il rapporto di aspettativa e l'obbligo di non pregiudicare le ragioni dell'eventuale creditore. Qualunque pretesa inadempienza di obblighi contrattuali può, pertanto, ricadere nell’ambito della violazione di detto obbligo, e, di fronte ad essa, il titolare dell'aspettativa, a tutela del suo interesse alla pratica realizzazione degli effetti dipendenti dall'avveramento della condizione, può agire soltanto a sensi dell'art. 1356, per es. ottenendo cauzione o il sequestro conservativo dell'oggetto. Ma non può ottenere la risoluzione di ciò che non esiste e non si sa se esisterà. Nella seconda ipotesi, poiché il rapporto conseguenziale tipico si produce immediatamente, si può ben agire per la risoluzione per inadempienza dell'altra parte. Ma anche in questo caso sarebbe difficile il giudizio sul danno, non essendo ancora certo se il rapporto permarrà o cadrà ex tunc.


Misure consentite al titolare del diritto di aspettativa

Determinata la situazione del soggetto passivo del rapporto di aspettativa, è ora più facile esaminare quali misure sia consentito adottare al titolare del diritto di aspettativa ai sensi dell'art. 1356, per la conservazione dell'oggetto della negoziazione e delle sue garanzie.

Tenendo presente l'ampiezza dell'obbligo di cui all'art. 1358, può dirsi in generale che tali misure possono essere dirette ad ovviare al pericolo di danno derivante:
1° dal comportamento attivo del soggetto passivo;
2° dall'inerzia dello stesso soggetto.

E poiché sino a quando la condizione non si sia avverata, l'oggetto della negoziazione, resta nel patrimonio del soggetto passivo; ed è, quindi, parte delle comuni garanzie di tutti i creditori di questo, occorre che il titolare dell'aspettativa possa anche ovviare al pericolo di danno derivante:
3° dalle pretese dei creditori del soggetto passivo.


Misure cautelari conseguenti al comportamento del soggetto passivo

L'opportunità di una tutela dal pericolo di danno derivante dal comportamento attivo del soggetto passivo può manifestarsi o in conseguenza di una attività svolta dallo stesso soggetto sull'oggetto del negozio (deterioramento per godimento abusivo, pericolo di sottrazione ecc.), o in conseguenza del compimento di atti tendenti a sottrarre le garanzie dell'eventuale diritto del soggetto attivo.

Nella prima ipotesi possono venire in considerazione:
a) la possibilità di ottenere idonea cauzione o altra garanzia patrimoniale. Tale possibilità è espressamente prevista dal codice a favore
a') del legatario sotto condizione sospensiva nei confronti dell'onerato (art. 640);
a") a favore del creditore sotto condizione sospensiva, che abbia ottenuto la separazione dei beni del soggetto passivo defunto da quelli dell'erede, qualora questo voglia far cessare lo stato di separazione (art. 515);
b) la possibilità di ottenere il sequestro conservativo dell'oggetto della negoziazione (art. 2905, cod. civ., 671 cod. proc. civ.), ovvero la apposizione di sigilli (art. 753 cod. proc. civ.).
Una misura del tutto analoga si ha nell'ipotesi dell'art. 641 cpv. cod. civ., che consente al legatario sotto condizione sospensiva di far porre l'eredità sotto amministrazione, qualora l'erede non dia cauzione per l'adempimento del legato;

c) la possibilità di una distruzione coattiva, a spese del soggetto passivo, delle opere da questo costruite sull'oggetto del negozio in violazione dell'art. 1358 (art. 2933 cod. civ.). In questo caso tuttavia le spese della distruzione coattiva dovrebbero essere rimborsate dal soggetto che ha promosso l'esecuzione, in caso di inadempimento della condizione, perché in rapporto di aspettativa cadrebbe senza lasciare traccia e la misura adottata non avrebbe alcuna giustificazione.

Dal secondo punto di vista meritano particolare menzione:

d) la possibilità di esperimento dell'azione di simulazione, onde far dichiarare inesistente l'atto con il quale il soggetto passivo voglia far apparire come uscito dal suo patrimonio un bene, allo scopo di diminuire le garanzie dei suoi creditori.

e) la possibilità di esperimento dell'azione revocatoria, per far dichiarare la inefficacia (relativa) degli atti di disposizione fraudolenti con i quali il soggetto passivo tende a diminuire le garanzie offerte dal suo patrimonio ai creditori.

Sotto il vecchio codice la legittimazione del titolare del diritto di aspettativa all'azione revocatoria era controversa, e, per lo più, veniva adottata la soluzione negativa, contrapponendosi alla posizione del «creditore» sotto condizione sospensiva quella del creditore sotto condizione risolutiva, a cui favore la legittimazione suddetta veniva invece senz'altro riconosciuta.

Tale conclusione poggiava su due ragioni fondamentali:

1° perché secondo l’art. 1235 del cod. civ. del 1865, avrebbe potuto essere legittimato alla azione revocatoria soltanto il titolare di credito anteriore all'atto fraudolento del debitore, e, se tale avrebbe potuto essere considerato il creditore sotto condizione risolutiva, non avrebbe potuto invece esserlo il «creditore» sotto condizione sospensiva, il cui credito sorge solo se e quando la condizione si verifichi;

2° perché l'azione revocatoria non avrebbe carattere puramente cautelare, ma sarebbe sostanzialmente rescissoria e di risarcimento, e, quindi, non rientrerebbe tra le misure conservative previste a favore del titolare dell'aspettativa (art. 1171 del cod. civ. del 1865, 1356 nuovo cod.).

Da quest'ultimo punto di vista, poiché presupposto dell'azione sarebbe un danno attuale risentito dall'agente in conseguenza dell'atto fraudolento del debitore, si suole anche negare al titolare del diritto di aspettativa la legittimazione all'azione revocatoria per mancanza di interesse, non potendo egli dimostrare di aver subito un danno attuale, ma se mai soltanto un pericolo di danno.

La questione può ritenersi superata legislativamente dal nuovo codice, che all'art. 2901 legittima all'esperimento dell'azione il creditore, «anche se il credito sia sottoposto a condizione o a termine», ipotesi per le quali appunto la questione veniva sollevata sotto il vecchio codice. Comunque, anche se fosse mancato l'espresso richiamo dell'art. 2901, al riconoscimento della legittimazione del titolare dell'aspettativa all'azione pauliana, si sarebbe dovuto giungere automaticamente, una volta riconosciuto, come fa espressamente il nuovo codice, all'azione stessa carattere di misura eminentemente cautelare.

Accedendo infatti alla tesi più recente, il nuovo codice ha compreso l'azione revocatoria tra i mezzi di conservazione delle garanzie patrimoniali (L. VI, Capo V, art. 2900 e segg.), stabilendo all'art. 2902 che «il creditore ottenuta la dichiarazione di inefficacia (dell'atto fraudolento) nei suoi confronti, può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formino oggetto dell'atto impugnato».

L'azione non ha, quindi, mai, di per sè, carattere di azione di risarcimento: essa è solo ed esclusivamente un'azione preparatoria e quindi cautelare, che può dare ingresso a mezzo esecutivi o conservativi, come avverrà normalmente, quando sia proposta dal titolare dell'aspettativa.

Ciò stando, basta a dare ingresso all'azione il semplice pericolo del danno, e che questo derivi dall'atto fraudolento per il titolare dell'aspettativa non può essere messo in dubbio, in quanto, se egli non ha attualmente un credito vero e proprio, ha tuttavia la ragione dello stesso, di fronte alla quale al soggetto passivo è imposto un preciso obbligo (art. 1358).

Anche coloro che sotto il vecchio codice hanno ammesso la tesi affermativa, hanno, tuttavia, apportato ad essa delle limitazioni che hanno finito con lo snaturare l'azione revocatoria, dando a questa, se sperimentata dal titolare dell'aspettativa, non la funzione di provocare la revoca dell'atto impugnato, quanto quella di preparare la revoca per il futuro, ovvero di far ottenere una garanzia all'agente. E’ appena da rilevare che tali limitazioni non hanno ragione di essere.

Ugualmente arbitrarie si palesano le ragioni procedurali, che impedirebbero al titolare dell'aspettativa di servirsi dell'azione pauliana. Così ad es. si è detto che presupposto dell'azione pauliana è l'insolvenza del debitore derivante dall'atto di disposizione fraudolento; e perché tale insolvenza può essere provata con l'escussione del debitore, il titolare dell'aspettativa, non potendo procedere a questa, perché non può richiedere il pagamento del credito non ancora sorto, non può mai dimostrare la ragione giustificativa dell'azione.

Senonché, se questa è indubbiamente una difficoltà che si presenta al titolare dell'aspettativa, essa non toglie che l'insolvenza del soggetto passivo possa essere dimostrata con altri mezzi.

Si è infine sostenuta l'inutilità dell'esperimento della revocatoria da parte del titolare dell'aspettativa, perché essa, in tal caso, non raggiungerebbe i suoi effetti normali, in quanto, non potendo l'attore soddisfare attraverso la revoca le sue ragioni, la revoca stessa dovrebbe essere accompagnata dalla condizione che accompagna il credito dell'attore, restando praticamente l'atto impugnato valido ed efficace.

Tutto ciò però non ha più senso secondo il nuovo codice, perché la revoca può, come si è visto, essere presupposto di nuove misure cautelari (art. 2902) e, ottenuta la stessa, l'oggetto dell'atto revocato potrà essere posto sotto sequestro (art. 2905); il che eviterà che possano sorgere, sullo stesso oggetto, diritti di terzi capaci di frustrare l'interesse dell'attore (arg. ex art. 2906). Che se, in fine, si trattasse di beni immobili, tale pericolo sarebbe scongiurato dalla trascrizione della domanda di revocazione (art. 2901 ult. cpv.).


Misure conservative conseguenti all’inerzia del soggetto passivo

Dall'inerzia del soggetto passivo del rapporto può derivare al titolare del diritto di aspettativa un pericolo di danno, o perché il soggetto passivo trascuri di adottare le misure necessarie ad evitare il deterioramento o la perdita dell'oggetto; o perché invece trascuri di svolgere l'attività necessaria a tutelare l'oggetto stesso di fronte ai terzi o ad assicurarne le garanzie.

Dal primo punto di vista viene in considerazione:
a) la possibilità di ottenere l'esecuzione coattiva a spese del soggetto passivo, delle opere necessarie alla conservazione dell'oggetto (art. 2931). In tal caso tuttavia, una volta verificata la condizione, le spese suddette farebbero carico al soggetto che ha promosso l'esecuzione, divenuto automaticamente titolare del diritto sull'oggetto per la cui conservazione ha agito sempre che si fosse trattato di compiere delle riparazioni per danni subiti dalla cosa in conseguenza di cause non imputabili al soggetto passivo. Diversamente invece dovrebbe concludersi se fosse esclusa la retroattività della condizione (infra n. 9).

Dal secondo punto di vista ha la massima importanza:
b) la possibilità dell'esperimento dell'azione surrogatoria (art. 2900 nuovo cod.).

Anche per la legittimazione del titolare dell'aspettativa a tale azione come a quella revocatoria, sotto il vecchio codice la dottrina era stata incerta. Si era anche questa volta contrapposta la posizione del creditore sotto condizione sospensiva, a quella del creditore sotto condizione risolutiva, giungendo nel primo caso alla conclusione negativa, soprattutto da parte di coloro che alla surrogatoria avevano assegnato funzione di mezzo di esecuzione. Una opinione intermedia però aveva distinto a seconda che l'azione apparisse in concreto come mezzo di esecuzione ovvero di conservazione, e per quest'ultima ipotesi, aveva concluso affermando la possibilità dell'esperimento dell'azione da parte del creditore sotto condizione sospensiva. Tuttavia aveva richiesto anche in questo caso, che vi fosse, per lo meno, la ragionevole presunzione che la condizione stesse per verificarsi, perché in tal caso il credito condizionale sarebbe stato equivalente a un credito certo.

Più recentemente invece si è affermata la tesi ammissiva più ampia per la ragione che il credito condizionale, per quanto sospeso, esiste già nel mondo del diritto ed esplica già vari effetti.

Prescindendo da questo ultimo punto di vista, la soluzione, di fronte al silenzio del codice, che all'art. 2900 non accenna al «creditore condizionale», a differenza di quanto fa l'art. 2901, per l'azione revocatoria, non può essere basata che sulla natura dell'azione surrogatoria.

Ora, come la revocatoria, anche l'azione surrogatoria non funziona mai direttamente da mezzo di esecuzione, ma può essere preparatoria di una esecuzione ovvero di un ulteriore mezzo conservativo. In quanto agisce invece dell'obbligato inerte, il surrogante tende immediatamente ad evitare il danno che deriverebbe al patrimonio dell'obbligato attraverso l'inerzia di questo. L'azione mira essenzialmente a conservare le garanzie patrimoniali che l'obbligato deve offrire a tutti coloro che hanno dei diritti da far valere sul suo patrimonio. Giustamente pertanto il codice comprende anche l'azione surrogatoria tra i mezzi di conservazione delle garanzie patrimoniali (L. VI, cpv. V) e l'articolo 2900 stabilisce espressamente che essa spetta al creditore «per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni».

Se ciò è vero, non può dubitarsi che anche l'azione surrogatoria rientri fra i mezzi previsti dall'art. 1356 a tutela del diritto di aspettativa. Essa spetta al titolare di questa in ogni caso, purché sussista il presupposto del pericolo di danno, e cioè il pericolo che attraverso l'inerzia del soggetto passivo e la conseguente diminuzione del patrimonio dello stesso il titolare dell'aspettativa possa trovarsi di fronte ad una futura inadempienza.

Lo stesso è a dire per quella speciale forma di surrogatoria che e prevista dall'art. 524 nuovo cod. Sebbene infatti tale norma preveda la possibilità di accettare in nome e per conto del chiamato rinunziante, l'eredità «al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari», non è dubbio che questo sia lo scopo ultimo dell'azione e che essa spetti anche a chi, anzitutto, miri a conservare per soddisfarsi successivamente; che cioè non sia escluso il normale fine di conservazione della surrogatoria.

A maggior ragione, è ammissibile l'esperimento dell'azione da parte del titolare dell'aspettativa, quando attraverso essa si tratti di mettere in essere degli atti tipicamente di conservazione che dovrebbe compiere il soggetto passivo. Ciò vale ad esempio per l'eventuale esperimento delle azioni possessorie a difesa del possesso dell'oggetto della negoziazione, qualora il soggetto passivo, al quale tale esperimento competerebbe resti inerte; per l'interruzione della prescrizione nei confronti del terzo possessore etc. (cfr. articoli #2126# cod. civ. del 1865, #2943# in relaz. 1165 nuovo cod).


Misure conseguenti alla liquidazione concorsuale del patrimonio del soggetto passivo

Sebbene il titolare dell'aspettativa non possa come è ovvio, promuovere l'esecuzione sul patrimonio del soggetto passivo, gli è consentito di intervenire nella procedura di esecuzione forzata o di liquidazione concorsuale del patrimonio del soggetto passivo, onde ottenere che, anche in questa sede, le sue eventuali ragioni vengano assicurate:

a) il codice riconosce anzitutto tale possibilità al «creditore sotto condizione sospensiva» nei casi di liquidazione del patrimonio ereditario del soggetto passivo, legittimandolo: 1) a ottenere la separazione dei beni del soggetto passivo defunto da quelli dell'erede (arg. ex art. 515); 2) a farsi collocare utilmente nella liquidazione dell'eredità, ottenendo cauzione dai creditori posteriori soddisfatti (art. 520);

b) la nuova legge sul fallimento (articoli 55, 95, 113, R. D. 16 marzo 1942, n. 267), ammette espressamente il creditore sotto condizione sospensiva a partecipare alla procedura fallimentare e ottenere, in sede di liquidazione, il deposito della somma a lui eventualmente dovuta;

c) il creditore sotto condizione sospensiva partecipa inoltre con diritto di voto al concordato fallimentare (art. 127 in relaz., articoli 55, 95 dec. cit.); e al concordato preventivo (art. 16) in rel. art. 55 dec. cit.);

d) dall'art. #2091# cod civ. del 1865 si ricavava, inoltre, che il «creditore sotto condizione sospensiva» avrebbe potuto intervenire nel giudizio di graduazione per farsi collocare sulla somma da liquidare, ottenendo cauzione da parte dei creditori posteriori soddisfatti. Tale norma non è stata riprodotta nel nuovo codice. Tuttavia l'art. 563 del nuovo cod. proc. civ. prevede la possibilità di un intervento nella esecuzione immobiliare di tutti coloro, che, nei confronti dell'espropriato, abbiano un credito anche se sottoposto a condizione o a pegno. Sembra invece che debba essere escluso tale intervento nella procedura di esecuzione mobiliare, perche l'art. 525 del nuovo cod. proc. civ. legittima ad esso espressamente tutti coloro che abbiano nei confronti dell'espropriato un credito certo, liquido ed esigibile.

e) Nella procedura di esecuzione forzata promossa contro il soggetto passivo, si ammette infine il titolare dell'aspettativa a proporre l'azione di opposizione di terzo, perché questa ha carattere dichiarativo e cautelare in quanto tende, anzitutto, a far dichiarare il diritto dell'attore sul bene oggetto dell'esecuzione (art. 619 cod. proc. civ.).

Un ultimo aspetto della possibile attività, del titolare dell'aspettativa a tutela delle sue ragioni eventuali, si ha nella possibilità di pretendere che il soggetto passivo dia la sua collaborazione per mettere in essere i presupposti in base ai quali vi sia probabilità che la condizione si verifichi. Ciò naturalmente può ammettersi, soltanto quando all'effetto, sia necessario l'impulso dell'altra parte.

Esempi del genere si hanno in, tutti i casi in cui sia dedotta in condizione la eventuale volontà di un terzo di compiere qualche cosa e sia necessario anzitutto interpellare il terzo perché si pronunci, e nei vari casi di contratti sottoposti ad approvazione od omologazione, nei quali occorre provocare l'organo competente ad esercitare il controllo di merito ed a pronunciarsi in conseguenza.

In questa ipotesi la mancata cooperazione dell'altro soggetto, può concretarsi in un vero impedimento della condizione e dar luogo alla sanzione di cui all'art. 1359.


Limiti dell’efficacia degli atti di disposizione compiuti dal soggetto passivo

Completa la tutela del diritto di aspettativa, la limitata efficacia degli atti di disposizione compiuti sul diritto oggetto dalla negoziazione dal soggetto passivo del rapporto, che, durante la pendenza della condizione è, come si è visto, titolare di quel diritto stesso.

Estendendo a principio generale la norma dettata dall'art. 1976 cod. civ. del 1865 per la concessione di ipoteca, l’art. 1357 del nuovo codice subordina infatti la efficacia degli atti di disposizione del diritto compiuti durante la pendenza da parte del titolare attuale, alla medesima condizione che accompagna il diritto stesso.

In tal modo l'atto di disposizione compiuto dal titolare del diritto durante la pendenza non può pregiudicare le ragioni eventuali del titolare dell'aspettativa, perché esso avrà efficacia soltanto in quanto non si verifichi la condizione da cui tali ragioni dipendono. La questione può venire in considerazione da due punti di vista, in quanto l'atto di disposizione può promanare o dall'alienante sotto condizione sospensiva, ovvero dall'acquirente sotto condizione risolutiva, poiché rispettivamente all'uno e all'altro può spettare, durante la pendenza, la titolarità del diritto.

Nel primo caso la condizione sospensiva degli effetti dell'alienazione funzionerà da condizione risolutiva degli effetti del nuovo atto di disposizione compiuto durante la pendenza dall'alienante.

Nel secondo la condizione risolutiva dell'acquisto risolverà, altresì, gli effetti dell'atto di disposizione compiuto durante la pendenza dall'acquirente, conformemente al principio generale resoluto iure dantis, resolvitur et ius accipientis.

A ben guardare tuttavia anche nel primo caso la questione può formularsi negli stessi termini: infatti il diritto dell'alienante sotto condizione sospensiva può considerarsi come un diritto subordinato a condizione risolutiva (o più precisamente estintiva), caduto il quale per il passaggio di titolarità conseguente all'avveramento della condizione sospensiva dell'efficacia dell'alienazione, cade anche quello del nuovo acquirente.

Questo concetto estremamente semplice, è stato espresso dal codice con una formula imprecisa, essendosi indicata la posizione dell'alienante sotto condizione sospensiva, come quella di colui «che ha un diritto subordinato a condizione sospensiva», specificandosi in conseguenza che l'efficacia dell'atto di disposizione, compiuto dal medesimo durante la pendenza, è subordinato alla stessa condizione. Tale formula, che potrebbe, più a ragione, indicare la posizione dell'acquirente sotto condizione sospensiva, serve invece ad indicare la titolarità di un diritto soggetto a cadere per l'avverarsi della condizione che accompagna il negozio di alienazione del diritto stesso. E soltanto nel senso che il diritto si trasmette al nuovo acquirente con le stesse caratteristiche, può interpretarsi l'affermata subordinazione della efficacia dell'atto di disposizione alla stessa condizione.

Ad ogni modo i1 principio posto dall'art. 1357 rafforza i normali effetti della retroattività della condizione, in conseguenza della quale si può risalire agli stessi risultati pratici. Esso ha tuttavia notevole importanza per l'ipotesi che sia esclusa la retroattività della condizione, salvaguardando in tal caso l'aspettativa dell'acquirente da nuovi atti di disposizione dell'alienante, che altrimenti sarebbero pienamente validi ed efficaci.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

210 Nessuna differenza si pone tra le due situazioni condizionali, quanto al comportamento, pendente conditione, di colui che è nell'esercizio del diritto.
Egli deve comportarsi secondo la buona fede per conservare integre le ragioni dell'altra parte (art. 228); il che implica una responsabilità, non solo se l'estinzione del diritto o il perimento o il deterioramento dell'oggetto del diritto sia imputabile a sua colpa (come risulta indirettamente anche dall'art. 264 del presente progetto), ma anche se colui che è in condizione di esercitare il diritto trascura di operare secondo i principi della lealtà e della correttezza, producendo così un danno all'altra parte.

Massime relative all'art. 1358 Codice Civile

Cass. civ. n. 25085/2022

Le parti sono tenute a comportarsi secondo buona fede anche quando al contratto sia stata apposta una condizione sospensiva qualificabile come "potestativa mista", con la conseguenza che, se un Comune abbia affidato ad un professionista la progettazione di un'opera pubblica, subordinando l'erogazione del compenso al finanziamento di quel progetto da parte della Regione, l'affidamento di un successivo incarico di progettazione della stessa opera pubblica ad un altro professionista, di cui il Comune chieda ed ottenga il finanziamento, costituisce comportamento contrario a buona fede, in violazione dell'art. 1358 c.c., che determina l'avveramento fittizio della condizione, ai sensi dell'art. 1359 c.c.

Cass. civ. n. 21427/2022

In caso di inadempimento dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede in pendenza della condizione sospensiva ai sensi dell'art. 1358 c.c., il momento dell'inadempimento - utile ai fini della determinazione del danno risarcibile e della sua decorrenza - va individuato in quello (ultimo) in cui risulta che la parte non si sia attivata per consentire il verificarsi della "condicio facti" (nella specie, l'ottenimento del mutuo agevolato, da parte del promissario acquirente, da perfezionarsi entro sette mesi dalla sottoscrizione del preliminare di vendita) e non già nel successivo momento della proposizione, ad opera della parte in mala fede, della domanda giudiziale di risoluzione del contratto (già inefficace per mancato avveramento della condizione).

Cass. civ. n. 29641/2020

Nei contratti con la P.A. in cui il pagamento del compenso per l'opera professionale pattuita sia subordinato alla erogazione di un finanziamento da parte di un soggetto terzo, il creditore della prestazione deve unicamente provare il contratto, mentre l'amministrazione debitrice "sub condicione" del compenso deve dimostrare che il proprio comportamento è stato conforme ai doveri nascenti dall'art. 1358 c.c.

Nel caso di contratto di prestazione d'opera professionale con una pubblica amministrazione, nel quale il pagamento del compenso sia stato subordinato all'avverarsi della condizione "potestativa mista" del conseguimento di un finanziamento da parte di un terzo, l'ente pubblico è tenuto, in pendenza di condizione, a comportarsi secondo buona fede ai sensi dell'art. 1358 c.c. e, dunque, a richiedere il finanziamento per il quale è stata apposta la clausola sfavorevole alla controparte: in mancanza il comportamento omissivo implica, ex art. 1359 c.c., l'avveramento della condizione, con conseguente responsabilità contrattuale dell'ente, tenuto al pagamento del compenso in favore dei professionisti.

Cass. civ. n. 18464/2020

Le parti che stipulino un preliminare di compravendita immobiliare sottoposto alla condizione risolutiva del mancato rilascio del permesso di costruire secondo le attese potenzialità edificatorie, devono comportarsi, in pendenza della condizione, secondo buona fede e, pertanto, se il promittente venditore è chiamato a porre in essere tutti gli atti necessari per l'ottenimento del permesso, anche il promittente acquirente deve improntare la sua condotta a correttezza per favorire la conservazione del contratto.

Cass. civ. n. 22046/2018

Ove le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per potere pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito, tale condizione è qualificabile come "mista", dipendendo la concessione del mutuo anche dal comportamento del promissario acquirente nell'approntare la pratica. La mancata erogazione del prestito, però, comporta le conseguenze previste in contratto, senza che rilevi, ai sensi dell'art. 1359 c.c., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché questa disposizione è inapplicabile qualora la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia interesse all'avveramento della condizione (cd. condizione bilaterale), sia perché l'omissione di un'attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto essa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l'attività di attuazione dell'elemento potestativo in una condizione mista.

Cass. civ. n. 1887/2018

Colui che si è obbligato a trasferire un bene sotto la condizione sospensiva dell'ottenimento di determinate autorizzazioni o concessioni amministrative ha il dovere di conservare integre le ragioni della controparte, comportandosi secondo buona fede, compiendo, cioè, tutte le attività, che da lui dipendono, per l'avveramento di siffatta condizione, le quali tuttavia non possono implicare il sacrificio dei suoi diritti o interessi, in particolare imponendo l'accettazione del mutamento dell'equilibrio economico delle prestazioni stabilito nel contratto, posto che l'obbligo di buona fede è semplicemente volto ad impedire (e non a provocare) ai contraenti un minor vantaggio ovvero un maggior aggravio economico.

Cass. civ. n. 14006/2014

Nel contratto a prestazioni corrispettive sottoposto a condizione sospensiva, salvo che la parte abbia violato l'obbligo ex art. 1358 c.c. di comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell'altra parte, l'eventuale domanda di risoluzione per inadempimento delle obbligazioni rispettivamente assunte dalle parti deve essere rigettata nel caso in cui la condizione non si sia verificata. Si può parlare di inadempimento contrattuale quando sussista un contratto efficace: il mancato avveramento della condizione impedisce al contratto di produrre i propri effetti con conseguente impossibilità di parlare di inadempimento.

Cass. civ. n. 7405/2014

Il Comune che, per la progettazione della propria rete fognaria, abbia agito "iure privatorum" (anziché avvalersi dei suoi poteri autoritativi), stipulando un contratto di prestazione d'opera professionale e subordinando il pagamento del compenso dei professionisti nominati all'avverarsi della condizione "potestativa mista" del conseguimento di un finanziamento da parte di enti terzi, è tenuto, in pendenza di condizione, a comportarsi secondo buona fede ai sensi dell'art. 1358 cod. civ. e, dunque, a richiedere il finanziamento per il quale è stata apposta la clausola sfavorevole alla controparte, al fine di non frustrare le possibilità di avveramento della condizione, non potendo più avere alcun rilievo le questioni relative alla attualità ovvero alla persistenza di un interesse pubblico alla redazione del progetto, già valutato al momento della stipula del negozio privatistico. Ne consegue che il comportamento omissivo del Comune implica, ex art. 1359 cod. civ., l'avveramento della condizione, con conseguente responsabilità contrattuale dello stesso, tenuto al pagamento del compenso in favore dei professionisti.

Cass. civ. n. 12/2014

In tema di compenso del professionista per l'elaborazione di un progetto di opera pubblica, la cui corresponsione sia subordinata al finanziamento dell'opera da parte della Regione e alla presentazione della richiesta di finanziamento e gestione della relativa pratica da parte del Comune beneficiario dell'opera stessa, l'affidamento della stessa, nelle more dell'elaborazione del progetto da parte del professionista, ad altro soggetto privato, costituisce comportamento contrario a buona fede, in violazione dell'art. 1358 cod. civ., che determina l'avveramento fittizio della condizione, ai sensi dell'art. 1359 cod. civ., in quanto cagionato dal comportamento della parte portatrice di un interesse contrario all'avveramento.

Cass. civ. n. 23014/2012

La condizione "potestativa mista" - il cui avveramento dipende in parte dal caso o dal terzo e in parte dalla volontà di uno dei contraenti - è soggetta alla disciplina degli artt. 1358 e 1359 c.c., da intendersi riferita anche al segmento non casuale. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione del giudice di merito che, qualificando come "casuale" la condizione sospensiva dell'erogazione di un finanziamento da parte di terzi, apposta al contratto di compravendita di un autocarro, aveva omesso di valutare, agli effetti degli artt. 1358 e 1359 c.c., se il compratore avesse agito correttamente per ottenere il prestito).

Cass. civ. n. 13649/2011

Nei contratti con la P.A. in cui il pagamento del compenso per l'opera professionale pattuita sia subordinato alla erogazione di un finanziamento da parte di un soggetto terzo, il creditore della prestazione deve unicamente provare il contratto, mentre l'amministrazione debitrice "sub condicione" del compenso deve dimostrare che il proprio comportamento è stato conforme ai doveri nascenti dall'art. 1358 c.c..

Cass. civ. n. 13469/2010

Nel caso di contratto con la P.A. in cui il pagamento del compenso per l'opera professionale pattuita sia subordinato all'erogazione di un finanziamento, l'amministrazione stipulante non può tenere - salvo il sopravvenire di particolari ragioni ostative - un comportamento che, impedendo il verificarsi del finanziamento, renda inoperante il suo obbligo di pagamento del compenso. Il giudice di merito, in caso di mancato avveramento della condizione suddetta, deve accertare se l'amministrazione contraente, in base ai doveri gravanti su di essa in forza dell'art. 1358 c.c., si sia attivata per ottenere il finaziamento e se le iniziative prese a tal fine corrispondessero ad uno standard esigibile di buona fede. In caso contrario, dalla violazione del suddetto dovere comportamentale conseguono il diritto della controparte di chiedere sia la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 1358 c.c., sia, in alternativa, il diritto di chiedere l'adempimento del contratto e, quindi, il pagamento del compenso pattuito, in base alla "fictio" di avveramento della condizione di cui all'art. 1359 c.c..

Cass. civ. n. 18450/2005

Il contratto sottoposto a condizione potestativa mista è soggetto alla disciplina di cui all'art. 1358 c.c., che impone alle parti l'obbligo giuridico di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza della condizione, e la sussistenza di tale obbligo va riconosciuta anche per l'attività di attuazione dell'elemento potestativo della condizione mista. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso l'applicabilità dell'art. 1358 c.c. ad un contratto di progettazione di un'opera pubblica in cui il professionista aveva accettato di condizionare il diritto al compenso al conseguimento, da parte dell'amministrazione pubblica, del finanziamento dell'opera, ed ha rinviato la causa al giudice di merito affinché proceda ad un penetrante esame della clausola recante la condizione e del comportamento delle parti, al fine di verificare alla stregua degli elementi probatori acquisiti, se corrispondano ad uno standard esigibile di buona fede le iniziative poste in essere dall'ente locale onde ottenere il finanziamento).

Cass. civ. n. 6423/2003

Il contratto sottoposto a condizione mista è soggetto alla disciplina tanto dell'art. 1358 c.c., che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza, quanto dell'art. 1359 c.c., secondo cui la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento.

Cass. civ. n. 9568/2002

Chi conclude un patto di prelazione relativo alla vendita di un proprio bene immobile sotto la condizione sospensiva del rilascio di una determinata autorizzazione amministrativa, ha il dovere, in pendenza dell'avveramento della condizione, di comportarsi secondo buona fede astenendosi dal compiere atti pregiudizievoli degli interessi dell'altro contraente, sia con riferimento all'oggetto della prestazione, che con riferimento all'avveramento della condizione (tra i quali può rientrare la vendita a terzi dell'immobile, in quanto atto compiuto sull'oggetto della prestazione del negozio prelatizio sottoposto a condizione e tale da vanificare il possibile futuro esercizio del diritto di prelazione).

Cass. civ. n. 3942/2002

In tema di contratto sottoposto a condizione sospensiva, ove la condizione non si verifichi, non è configurabile un inadempimento delle obbligazioni rispettivamente assunte dalle parti con il contratto, giacché l'inadempimento contrattuale è verificabile solo in relazione ad un contratto efficace; ne consegue che, in tale ipotesi, non può farsi luogo a risoluzione per inadempimento delle obbligazioni contrattuali, ma, eventualmente, solo per inadempimento dell'obbligazione prevista dall'art. 1358 c.c., norma che fa obbligo a ciascun contraente, in pendenza della condizione, di osservare i doveri di lealtà e correttezza in modo da non influire sul verificarsi dell'evento condizionante pendente.

Cass. civ. n. 3229/1975

Se, pendente la condizione sospensiva, una delle parti venga meno agli obblighi assunti col contratto, l'altra parte ha diritto di chiederne la risoluzione, senza attendere il verificarsi o meno della condizione.

Cass. civ. n. 1204/1975

È ammissibile la risoluzione per inadempimento del contratto condizionato sospensivamente ad una condicio juris e rimasto inefficace per il mancato avviamento della condizione — nella specie diniego di concessione di licenza d'importazione della merce, la cui necessità era nota ai contraenti — qualora la parte abbia determinato col fatto proprio il mancato avveramento della condizione stessa, realizzando tale condotta una violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede in pendenza della condizione, al fine di mantenere integre le ragioni dell'altra parte. La violazione di detto obbligo, che costituisce una specificazione di quello più generale imposto dalla legge ai contraenti di comportarsi secondo correttezza nell'esecuzione delle obbligazioni, dà luogo a responsabilità contrattuale.

Cass. civ. n. 2889/1972

La parte controinteressata non ha obbligo di adoperarsi attivamente perché la condizione si avveri, ma è tenuta soltanto ad un contegno meramente negativo, dovendosi essa astenere da azioni che pregiudichino od impediscano l'avverarsi della condizione.

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