Nella motivazione di tale pronuncia la Corte ripercorre, condividendoli, i passaggi salienti della sentenza impugnata.
Nello specifico, la Corte d’appello correttamente aveva
- richiamato l’orientamento delle Sezioni Unite espresso nella sentenza n. 30958 del 2017, per cui il principio di tempestività della contestazione risponde non solo all’esigenza di rispetto delle regole procedimentali ma anche, e soprattutto, alla necessità di garantire al lavoratore una difesa effettiva e sottrarlo al rischio di un arbitrario differimento dell’inizio del procedimento disciplinare;
- evidenziato che un ritardo notevole e non giustificato nella contestazione dell’illecito professionale al dipendente, in violazione del principio generale di carattere sostanziale della tempestività, è idoneo a determinare un affievolimento della garanzia per il dipendente incolpato di espletare in modo pieno la propria difesa effettiva nell'ambito del procedimento disciplinare;
- affermato che la garanzia d difesa non può certo essere vanificata da un comportamento del datore di lavoro non improntato ai canoni di correttezza e buona fede in violazione egli articoli 1175 e 1375 c.c.;
- concluso che l’onere della prova circa le ragioni che hanno impedito la tempestiva contestazione dell’illecito deve gravare in capo al datore di lavoro.
Quando invece la contestazione è tempestiva sussiste il diritto di recesso del datore di lavoro, con la precisazione che l’immediatezza non è sempre esclusa dal decorso intervallo di tempo più o meno lungo, quando l'accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell'impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso: ogni valutazione relativa alle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno ritardo, tuttavia, resta riservata al giudice del merito.
La vicenda concreta giunta all’attenzione della Corte, in particolare, riguardava il licenziamento di alcuni dipendenti di una ditta avvenuto nel 2016 in relazione a comportamenti posti in essere tre anni prima. I soggetti licenziati, sostenendo l’illegittimità della condotta datoriale, avevano agito in giudizio ma in primo grado non avevano visto accolte le proprie ragioni in quanto il Tribunale aveva ritenuto la contestazione delle condotte comunque tempestiva.
I licenziati avevano allora proposto reclamo e la decisione del Tribunale era stata riformata dalla Corte d’appello, la quale aveva dichiarato l'illegittimità dei licenziamenti, dichiarato risolto il rapporto di lavoro di entrambi i reclamanti dalla data del licenziamento e condannato la società al pagamento di una indennità risarcitoria onnicomprensiva. Segnatamente, il Collegio aveva ritenuto insufficiente l’allegazione, da parte del datore di lavoro, di aver avuto contezza degli illeciti dei dipendenti solo nel 2016.
Avverso tale sentenza aveva dunque proposto ricorso la società, sottolineando di esser venuta a conoscenza tardivamente dell’illecito dei dipendenti: la Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha espresso gli importanti principi sopra esaminati.