Secondo la giurisprudenza di legittimità, difatti, qualora il locatore non richieda, entro un lasso di tempo ragionevole, il pagamento dei canoni di locazione, per poi successivamente agire avverso il conduttore attraverso mezzi stragiudiziali, ovvero giudiziali, per il recupero degli stessi, integra abuso del diritto di credito: ciò in quanto suddetto comportamento del locatore è contrario ai principi di correttezza e buona fede (art. 1175 del c.c.; art. 1375 del c.c.), nonché lesivo dell’affidamento riposto nel conduttore circa l’estinzione del diritto di credito vantato dal locatore.
Al fine di comprendere la ratio del filone giurisprudenziale in esame, fondamentale è un cenno alle nozioni di contratto di locazione, nonché di abuso del diritto.
Il contratto di locazione (art. 1571 del c.c. e ss.) è un vincolo sinallagmatico, ad esecuzione continuata, che si instaura tra due soggetti, il locatore ed il conduttore, aventi rispettivi e vicendevoli obblighi contrattuali. In particolare, il locatore ha il dovere di lasciare al conduttore la piena disponibilità della cosa locata (bene mobile o immobile), per il periodo di tempo previsto nel contratto, dietro corrispettivo. In particolare, a norma dell’ art. 1575 del c.c., egli ha l’obbligo di consegnare il bene al conduttore, in buono stato di manutenzione; mantenere il bene in buono stato, affinché questo possa essere utilizzato; garantire il bene per tutto il periodo del contratto di locazione, al fine di garantirne il pacifico godimento. Il conduttore, invece, a norma dell’ art. 1587 del c.c., ha l’obbligo di utilizzare e consegnare la cosa secondo la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1176 del c.c.), ovvero di pagare il corrispettivo del canone di locazione per l’intero periodo di utilizzo del bene. Pertanto, dalle definizioni del Codice civile, si deduce che il locatore è il creditore, in quanto vanta un diritto di credito periodico (di solito mensile) avverso il conduttore, il quale ha, invece, la natura di soggetto debitore.
Il creditore ha il diritto di esercitare il proprio diritto di credito, rispettando pur sempre le clausole generali di buona fede e correttezza. L’esercizio di suddetto diritto in violazione delle clausole generali in esame genera la fattispecie di abuso del diritto, da intendersi quale forma anomala di esercizio del diritto di credito, idonea a generare un danno avverso la controparte. L’ordinamento giuridico non prevede una tutela generale per le situazioni patologiche di abuso del diritto, anche se plurime sono le normative di settore che lo prevedono: in particolare, l’ art. 1438 del c.c., il quale sanziona con l’annullamento la condotta di colui che determina altri a stipulare un contratto, ricorrendo alla minaccia di far valere un diritto, con lo scopo di conseguire vantaggi ingiusti; ovvero, l’ art. 330 del c.c., il quale prevede la sanzione della decadenza dalla potestà genitoriale nei casi in cui il genitore “abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio”; ed ancora, è possibile richiamare anche l’ art. 96 del c.p.c., il quale disciplina una forma di responsabilità aggravata per coloro che agiscono o resistono in giudizio con mala fede.
Tuttavia, al fine di estendere la tutela avverso le situazioni di abuso del diritto non tassativamente disciplinate, la giurisprudenza di legittimità ha, nel tempo, coniato il mezzo dell’exceptio dolis generalis: trattasi, in particolare, della c.d. “eccezione di dolo”, attraverso cui la parte che subisce l’abuso del diritto può invocare a tutela del proprio affidamento leso, paralizzando, così, la pretesa creditoria di controparte. Il mezzo in esame è attuabile previa dimostrazione del dolo del creditore circa la volontà di generare un danno ingiusto in capo al debitore: in altri termini, il debitore deve dimostrare che la richiesta del creditore è meramente finalizzata a generare una situazione di danno in capo al soggetto debitore, e non al recupero del credito originario.
Premesso il quadro generale in esame, è possibile analizzare la questione di dettaglio, inerente la richiesta tardiva dei canoni di locazione da parte del locatore.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, avallata dalla pronunzia in esame, il comportamento del locatore, il quale dapprima mostra di rinunziare al credito maturato dai canoni di locazione, non richiedendo più il pagamento delle pigioni, per poi avanzare successivamente (e tardivamente) al conduttore richiesta del pagamento totale delle stesse (sempre se il credito non è prescritto), è lesivo dei principi di buona fede e correttezza. Dall’agere del locatore, difatti, si desume la lesione dell’affidamento del debitore circa la rinuncia al diritto di credito da parte del locatore. Tra le parti del contratto vige, difatti, un principio di solidarietà (art. 2 Cost.), il quale impone a ciascuna delle parti di agire in modo da tutelare gli interessi dell'altra: così che, il conduttore ha l’obbligo di adempiere tempestivamente la propria prestazione, ossia fare in modo che l’eventuale ritardo non pregiudichi la controparte; il locatore, tuttavia, ha l’obbligo di richiedere tempestivamente il pagamento delle pigioni al conduttore, ovvero di rinunciare al pagamento delle stesse in caso di inerzia nella richiesta prolungata per un tempo ragionevole.
Premesso ciò, la sentenza in esame conclude affermando che in un contratto di locazione di immobile ad uso abitativo, l’inerzia del conduttore circa il pagamento dei canoni di locazione maturati, per un lasso di tempo considerevole, è idonea a generare un affidamento nel conduttore circa la rimessione del diritto di credito da parte del locatore per facta concludentia: pertanto, la richiesta improvvisa di integrale pagamento delle pigioni maturate costituisce esercizio abusivo del diritto di credito.