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Articolo 1467 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Contratto con prestazioni corrispettive

Dispositivo dell'art. 1467 Codice Civile

Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita(1), se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili(2), la parte che deve tale prestazione può domandare(3) la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall'articolo 1458(4).

La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell'alea normale del contratto.

La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto(5).

Note

(1) Si tratta de c.d. contratti di durata, nei quali l'esecuzione non è istantanea ma si protrae nel tempo.
(2) L'onerosità deve essere sopravvenuta ma non deve intervenire quando il contraente è già in mora; eccessiva, secondo una valutazione rimessa al giudice; dipendente da avvenimenti straordinari ed imprevedibili, alla luce del giudizio che, ex ante, avrebbe potuto formulare un uomo di media diligenza (1176 c.c.).
(3) La norma opera solo in via di azione, non di eccezione, a differenza di quanto accade in caso di inadempimento (v. 1460 c.c.).
(4) Trova qui applicazione la regola rebus sic stantibus, in base alla quale l'accordo rimane vincolante se non si modifica il rapporto che intercorre tra il valore delle reciproche prestazioni. L'effetto della risoluzione non è retroattivo (v. 1458 c.c.).
(5) L'offerta di riduzione, analogamente a quanto accade in tema di rescissione (v. 1450 c.c.), è volta a ristabilire l'equilibrio contrattuale ed è espressa mediante un atto unilaterale (1324 c.c.) recettizio (1334, 1335 c.c.).

Ratio Legis

La norma concede alle parti uno strumento per far valere le eventuali modifiche della situazione, purché gravi, che siano tali da far venir meno l'equilibrio proprio dei contratti sinallagmatici. L'effetto non è retroattivo, atteso che l'onerosità è sopravvenuta e le prestazioni precedenti rivestono carattere di autonomia.
In virtù del principio di conservazione del contratto ed in un'ottica deflattiva, si consente anche all'autonomia delle parti stesse di riequilibrare la situazione squilibrata.

Spiegazione dell'art. 1467 Codice Civile

Campo di applicazione dell'istituto. Concetto di contratto ad esecuzione continuata o periodica e di contratto ad esecuzione differita

La disposizione contenuta in questo articolo è applicabile non a tutti i contratti, bensì soltanto alle due categorie: α) dei contratti ad esecuzione continuata o periodica β) dei contratti ad esecuzione differita.

Ai casi sporadici considerati isolatamente dal codice civile del 1865, altri sono stati aggiunti nel nuovo codice, a causa della peculiarità della fattispecie. Si tratta pertanto di casi ai quali, appunto per la loro particolarità, gli articoli 1467 e 1468 non potrebbero essere applicati: essi hanno quindi carattere eccezionale (es. articoli 1584, 1623, 1664, 1819).

Sul concetto di contratto ad esecuzione continuata o periodica si rinvia a quanto detto sub art. 1458: si tratta comunque di concetto che, specie in questi ultimi tempi, ha avuto una larga elaborazione dottrinale. In questi contratti il tempo non serve tanto a determinare il momento dell'inizio dell'esecuzione (per cui esso non è soltanto un termine); quanto piuttosto un elemento necessario (e non quindi puramente accidentale) per entrambi i contraenti, perché con esso ha da determinarsi la quantità della prestazione, il protrarsi o il reiterarsi dall'esecuzione (onde la durata attiene all'elemento causale: retro sub 1458).

Più incerta è la nozione di contratto ad esecuzione differita: perché, non in tutti i casi in cui dall'emanazione del comando negoziale al momento della sua esecuzione debba intercorrere un certo spazio di tempo può senz'altro parlarsi di contratto ad esec. differita e quindi può trovare applicazione l'art. 1467. Così, non pare affatto applicabile la disposizione in esame nel caso in cui all'adempimento di una obbligazione inerisca, ad es., un termine di grazia concesso ad un debitore in mora. Contratto ad esecuzione differita è quello in cui si ha un dato termine (termine di adempimento) il quale corrisponde all'interesse di ottenere il bene oggetto dell'obbligazione in un determinato momento. La rilevanza giuridica del tempo qui deve necessariamente corrispondere all'interesse a che la soddisfazione di un bisogno avvenga in un dato momento. Pertanto, non deve qui trattarsi semplicemente del «tempo » considerato in sè e per sè, ma del tempo in funzione di determinazione della distanza temporale tra due atti, e precisamente della distanza tra l'atto costitutivo del rapporto e l'atto di adempimento: per il Carnelutti dicesi infatti distanza il rapporto tra due oggetti o nel tempo o nello spazio.

Di conseguenza, la figura del contratto ad esecuzione differita si ha unicamente nel caso in cui in esso si abbia avuto riguardo alla funzione del tempo relativamente all'interesse ad avere la prestazione il differimento dell'esecuzione qui attiene alla causa del contratto, nel senso che questo non adempie alla sua funzione pratica, cui è preordinato, se la sua esecuzione non avviene al momento stabilito.

Un esempio ed un'applicazione di questo concetto può vedersi nella fideiussione per obbligazione futura: 1956.

Sono poi da considerare obbligazioni ad esecuzione differita le obbligazioni di restituzione di cosa certa, quali incombono al locatario, comodatario, depositario, sequestratario; ecc.


L’istituto è applicabile a tutti i contratti ad esecuzione continuata o periodica, ovvero ad esecuzione differita, senza distinguere tra contratti a lungo o a breve termine

Durante il sorgere e lo svilupparsi della teoria della sopravvenienza contrattuale, il campo di applicazione di essa era variamente delimitato: comunque, prevaleva l'opinione che essa fosse applicabile solamente ai contratti a lungo termine.

Il legislatore italiano è stato invece radicale perché ha dichiarato applicabile l’istituto a tutti i contratti ad esecuzione continuata o periodica, ovvero ad esecuzione differita, senza distinguere tra contratti a lungo o a breve termine.


Meccanismo della risoluzione

Il contraente, la cui prestazione è divenuta eccessivamente onerosa non è, perciò solo, liberato dalla sua obbligazione, in quanto non è possibile parificare la difficoltà di adempiere, di cui qui si tratta, all'impossibilità di adempiere ex art. 1256: l'eccessiva onerosità sopravvenuta della sua prestazione gli attribuisce semplicemente — quando ricorrano determinati presupposti – il potere di chiedere
al giudice la risoluzione del contratto.

Il meccanismo della risoluzione è diverso a seconda che si tratti di contratto ad esecuzione continuata o periodica, ovvero di contratto ad esecuzione differita:

A) nei contratti ad esecuzione differita, con la risoluzione si ha l'estinzione di entrambe le obbligazioni corrispettive: se del caso, si darà qui il fenomeno della retroattività obbligatoria;

B) se si tratta di contratto ad esecuzione continuata o periodica, l'effetto della risoluzione non si estende alla parte di prestazione eseguita o alle prestazioni eseguite.

In ogni caso, la risoluzione non pregiudica i diritti dei terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione.


Disciplina giuridica: A) Il potere di risoluzione; B) Presupposti; C) Legittimazione; D) Pronunzia del giudice

A) Il potere di risoluzione. E’ il potere di ottenere l'estinzione dei rapporti negoziali.
Normalmente viene esercitato in forma di azione, ma, a mio avviso, nulla impedisce che esso venga esercitato sotto forma di eccezione.

Spetta anche nel caso di contratti preliminari bilaterali. Il suo campo di applicazione normale è costituito dai contratti con prestazioni di cose o di servigi, ma non sono esclusi da esso i contratti con prestazioni pecuniarie.

Va ricordato che la risoluzione per eccessiva onerosità non opera mai di diritto, ma solo in seguito all'esercizio del suddetto potere di risoluzione da parte del contraente interessato; come pure dev'essere richiesta dall'interessato l’eventuale modifica o riduzione della prestazione nei contratti con attribuzioni di una sola parte (1468).

B) Presupposti. L'acquisto del potere di risoluzione si ha quando al momento della esecuzione della prestazione, questa esecuzione richieda uno sforzo diverso da quello che essa richiedeva al momento dell'assunzione dell'obbligazione e la diversità si risolva in una eccessiva onerosità causata da avvenimenti straordinari ed imprevedibili.

Pertanto, i presupposti necessari per il sorgere del potere di risoluzione si possono così enunciare:

1) che nessuna delle due prestazioni sia stata interamente eseguita;
2) eccessiva onerosità della prestazione di una delle parti, cioè, rottura del rapporto di corrispettività economica tra i due arricchimenti delle parti: il che si verifica quando venga ad esservi eccessivo squilibrio tra le utilità di una prestazione e le utilità della controprestazione. Occorrerà quindi mettere di fronte la prestazione e la controprestazione.

Si deve qui pertanto prescindere da ogni considerazione sulle condizioni particolari del debitore, su impedimenti sopravvenuti nella sua sfera patrimoniale: si deve aver riguardo unicamente al contenuto intrinseco della prestazione, rispetto al contenuto intrinseco della controprestazione. Infatti, l'art. 1467 parla di prestazione divenuta eccessivamente onerosa, e non di prestazione divenuta tale per una delle parti, e nei «Lavori Preparatori» è detto espressamente che «garantisce contro il pericolo di eccessi la rigida valutazione obiettiva del concetto di eccessiva onerosità».

Ma quand’è che può dirsi che lo squilibrio tra le utilità di una prestazione e le utilità della controprestazione è eccessivo?

Non può sostenersi, come fu affermato da taluno nell'interpretazione del D. L. 27 maggio 1915, n. 739, emanato in occasione della guerra italo-austriaca del 1915-18, che si abbia eccessiva onerosità, solamente nei casi più gravi, nei quali la continuazione dell'esecuzione arrecherebbe al debitore perdite tali da provocare la sua rovina.

Tale affermazione è del tutto arbitraria perché non poggia su alcun dato positivo. Per poter stabilire quando uno squilibrio debba dirsi eccessivo occorre tener presente il fondamento giuridico della risoluzione per eccessiva onerosità. Se tale risoluzione è l'espressione concreta del rilievo indiretto della causa, per cui essa è da ricondursi alla volontà causale delle parti contraenti, la risposta a quella domanda non può essere che questa: lo squilibrio ha da dirsi eccessivo (vale a dire, si ha rottura del rapporto di corrispettività economica tra i due arricchimenti) quando lo scarto tra le utilità di una prestazione e le utilità della controprestazione sia tale che (nei riguardi di un contraente) debba ritenersi frustrato lo scopo perseguito con il contratto stesso; venga cioè a mancare per detto contraente l'interesse all'esistenza di quel contratto.

In base a questo principio è possibile risolvere agevolmente un problema che può sorgere nella mente dell'interprete e che si prospetta in questi termini: è vero che l'art. 1467 parla unicamente di prestazione (del contraente che invoca la risoluzione) divenuta eccessivamente onerosa, ma, in quei casi in cui, pur presentando detta prestazione sempre il medesimo costo per il debitore di essa, muti peraltro il valore effettivo della controprestazione in denaro, non potrà mai parlarsi di eccessiva onerosità?

La risposta negativa sarebbe errata. Infatti:

α) l'eccessiva onerosità ex art. 1467 si resolve sempre e necessariamente — come si è visto — in un rapporto tra i due arricchimenti corrispettivi, onde una prestazione ben può dirsi eccessivamente onerosa quando, pur non richiedendo la sua esecuzione successiva uno sforzo maggiore di quello richiesto inizialmente per il debitore, il corrispettivo già pattuito per tale prestazione è venuto nel frattempo ad essere (per cause imprevedibili) notevolmente inferiore rispetto all'attuale valore di mercato di quella prestazione. Se non fosse così, si avrebbe che il creditore di quella prestazione verrebbe, da quel contratto, a trarne sostanzialmente un arricchimento che non sarebbe indebito, ma sicuramente sproporzionato rispetto a quello della controparte, sproporzione che non può essere ritenuta equa in un normale contratto commutativo, cioè non aleatorio;

β) una probabile obbiezione: la soluzione qui difesa non viene ad urtare contro il principio nominalistico dell'art. 1277?

Si potrebbe infatti dire: se il creditore venisse ad avere una somma diversa e maggiore di quella pattuita, in corrispondenza alla misura del deprezzamento subito dalla moneta, si verrebbe in tal modo a violare il principio per cui ogni debitore può liberarsi pagando «con moneta avente corso legale e per il suo valore nominale», cioè nella cifra originaria (1277). Accettiamo pure come possibile un tale ragionamento. Però l'art. 1467 ha da prevalere sul principio contenuto nell'art.1277, il quale quindi non potrà trovare applicazione nel nostro caso. Infatti, siccome il principio nominalistico viene a contrastare con il principio della corrispettività economica continuata voluta inizialmente dalle parti (nei contratti con prestazioni corrispettive ad esecuzione continuata, periodica o differita), così ha da dirsi che il primo principio ha da ritenersi derogato dalla volontà dei contraenti.

E la possibilità di derogare il principio nominalistico per volontà delle parti è fuori di ogni dubbio: arg. ex articoli 1279 e 1280 cod. civ.

Si può affermare che (concorrendo, ben inteso, tutte le altre condizioni previste dall'art. 1476, e, prima tra tutte, l'imprevedibilità della svalutazione monetaria), quando l’art. 1467 viene a dire che nei contratti con attribuzioni corrispettive ha da avere attuazione la volontà causale delle parti (secondo la quale quella corrispettività economica tra gli arricchimenti, stabilita inizialmente dalle parti, ha da perdurare sino al momento in cui gli arricchimenti stessi hanno da avere la loro attuazione), siccome detta volontà causale viene ad essere contraria al principio nominalistico di cui all' art. 1277, così l'applicabilità di quest'ultimo ha da venire meno necessariamente, perché esso deve ritenersi escluso dalla stessa volontà delle parti contraenti.

3) lo scarto eccessivo tra le utilità delle due prestazioni dev'essere determinato da avvenimenti straordinari ed imprevedibili:

α) deve trattarsi di un avvenimento, e avvenimento qui significa accadimento: fatto, cioè, dal quale sia da escludere ogni colpa del debitore;

β) l'avvenimento dev'essere straordinario, cioè determinato da una di quelle cause che in Statistica vengono chiamate accidentali, perché si verificano in via non normale;

?) l'avvenimento dev'essere imprevedibile, cioè, ancorché straordinario, dev'essere tale che, al momento della conclusione del contratto, un uomo medio non poteva aspettarselo. L'avvenimento potrà essere, indifferentemente, positivo o negativo; sarà di regola futuro, ma può essere anche passato, purché non conosciuto né conoscibile dall'uomo medio.

Pertanto, pare che l'art. 1467 non sia applicabile nei seguenti due casi: A) quando lo scarto tra le utilità delle due prestazioni, ancorché dovuto ad avvenimenti straordinari ed imprevedibili, non sia
eccessivo (manca in questo caso il presupposto, sub I: arg. 1467); B) quando lo scarto tra le utilità delle due prestazioni, ancorché sia eccessivo, rientri nell'alea normale del contratto, cioè sia dovuto ad avvenimenti ordinari e prevedibili, oppure anche ad avvenimenti non comuni ma sempre prevedibili (1467);

δ) l'avvenimento straordinario ed imprevedibile deve trovarsi, rispetto all'eccessiva onerosità, in relazione di causa ad effetto: è specialmente su tale nesso di causalità che non devono incidere fatti imputabili alla parte che deve eseguire la prestazione divenuta eccessivamente onerosa.

La legge non ha fatto alcuna distinzione tra il caso in cui l’eccessiva onerosità colpisca tutte le prestazioni che rimangono ancora da eseguire e il caso in cui essa colpisca solo alcune di esse (nel senso che, trattandosi di onerosità determinata da un evento transitorio, sia probabile un ritorno alla normalità dopo che questo evento sia cessato).

Anche in quest'ultimo caso la disposizione dell'art. 1467 è applicabile, né la controparte avrà a dolersene perché ad essa spetta pur sempre il potere di neutralizzare la domanda di risoluzione offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto ex art. 1467.

C) Legittimazione. Il potere di risoluzione spetta al contraente la cui prestazione è diventata eccessivamente onerosa, e la domanda dev'essere rivolta alla controparte.

Nel caso di pluralità di legittimati si applicheranno i principi generali: si v. le considerazioni svolte, sub art. 1453.

D) Pronunzia del giudice. La sentenza che accoglie la domanda di risoluzione ha efficacia costitutiva: la risoluzione cioè dipende dalla pronunzia giudiziale la quale pertanto ne forma il fatto costitutivo.

Si ricordi che la risoluzione ex art. 1467 non avviene mai di diritto.

La sentenza che respinge la domanda di risoluzione, implicitamente accerta l'illegittimità dell'inadempimento dell'attore, onde il contraente contro il quale la domanda di risoluzione era stata proposta può chiedere a sua volta la risoluzione del contratto per inadempimento (qualora, ben inteso, ne sussistano gli estremi).

E) E’ necessario tener presente l'annotazione di cui agli articoli 2654, 2655.


L'offerta di modifica ex art. 1467

L'ultimo capoverso dell'art. 1467 dice che «la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto».

Questa offerta di modificare i rapporti contrattuali è da ricondursi ancora a quel rilievo indiretto della causa del contratto di cui più volte si è parlato. E la disposizione contenuta nell'ultimo capoverso dell'art. 1467 va costruita così: l'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione di un dato contraente (o, il che è lo stesso, la rottura del rapporto di corrispettività economica tra gli arricchimenti) costituisce il presupposto necessario per l'esistenza del potere di risoluzione a favore di quel contraente: di conseguenza, quando viene meno un tale presupposto in seguito alla avvenuta modifica di rapporti contrattuali secondo equità, — ha da cadere il detto potere di risoluzione.

Più precisamente, deve dirsi che la modificazione del contenuto dei rapporti nascenti dal contratto impugnato per eccessiva onerosità [modificazione operata d'accordo tra le parti, o, in mancanza, dal giudice, al fine di ristabilire equamente tra gli arricchimenti il rapporto di corrispettività economica che era venuto meno] funzione da condicio iuris risolutiva del potere di risoluzione.

L'offerta di cui all'ultimo comma dell'art. 1467 va pertanto configurata come un onere del contraente contro il quale il potere di risoluzione è esercitato.

Questa offerta di modifica assume la funzione e la struttura di una proposta contrattuale fatta dal convenuto all'attore (anche se essa sia contenuta in un atto processuale quale è la comparsa, la quale è destinata anche al giudice).

Qui possono verificarsi due ipotesi

1) se l'attore dichiara di accettare l'offerta di modifica fatta dal convenuto, o comunque, si giunge a costituire un accordo tra le due parti circa detta modifica dei rapporti contrattuali, si avrà un vero e proprio contratto ex art. 1321, sulla cui figura giuridica si parlerà tra poco;

2) se l'attore rifiuta l'offerta del convenuto, o, comunque, non si giunge all'accordo tra le parti (di cui sub 1), allora i1 giudice, che riconosca l'applicabilità al caso concreto dell'ultimo comma dell'art. 1467, pronunzierà una sentenza diretta a produrre gli effetti del contratto non concluso dalle parti, ex. art. 2932.

Pertanto ha da dirsi ben chiaro che la modifica dei rapporti contrattuali ex art. 1467 richiede necessariamente, o l'accordo delle parti stesse, oppure la sentenza del giudice emessa sulla proposta contrattuale del convenuto.

Alcune parole ora su questi due punti: sull'offerta di modifica proposta dal convenuto e sul contratto che eventualmente ne consegue.

A) L'offerta di modifica ha da considerarsi, dal punto di vista processuale, come la proposizione di una (contro) domanda, la quale è diretta a fare assumere alle parti contraenti una nuova situazione giuridica di diritto sostanziale (una nuova lex contractus). Ne deriva che una tale domanda non potrà essere proposta con un semplice atto di procuratore, ma richiederà, o una procura speciale, oppure la sottoscrizione della comparsa da parte del convenuto stesso, nel quale ha da aversi la piena capacità di agire.

B) Circa la natura giuridica del contratto di modifica dei rapporti contrattuali, si ravvisa in esso quello che la dottrina è solita chiamare «contrario consenso modificativo»: qui le parti non si limitano a neutralizzare taluni effetti del precedente contratto, ma, al posto di quelli neutralizzati, vogliono anche crearne degli altri diversi. Si tratta pertanto di un contratto a contenuto complesso, cioè di un contratto che ha, ad un tempo, un'efficacia eliminativa (in quanto paralizza taluni effetti del contratto originario) ed un'efficacia costitutiva (in quanto pone in essere una nuova situazione giuridica tra le parti).

Quanto al termine entro il quale i1 convenuto deve fare l'offerta, pare che questa non possa essere fatta dopo la prima udienza di trattazione della causa: peraltro è da ammettere che essa possa essere fatta, in via subordinata, nella comparsa in cui si contesta la legittimità del potere di risoluzione dell'attore. In questa ipotesi sarà applicabile il secondo comma dell'art. 187 cod. proc. civ. secondo il quale il Giudice Istruttore «può rimettere le parti al Collegio affinché venga decisa separatamente una questione di merito avente carattere preliminare,... quando la decisione di essa può definire il giudizio». Infatti, la decisione sulla esistenza o meno dell'eccessiva onerosità può senz'altro definire il giudizio, perché, ritenuta inesistente l'eccessiva onerosità, la domanda dell'attore non potrà che essere respinta; ritenuta invece esistente, il Collegio dovrà rimettere nuovamente le parti dinanzi al Giudice Istruttore affinché il convenuto, in virtù della riserva fatta preliminarmente di essere disposto all'offerta ex art. 1467, possa dar corso alla stessa.

Il potere concesso al giudice ex art. 1467, in seguito all'offerta del convenuto, non è un potere senza limiti, bensì ha una portata precisa: di eliminare le conseguenze dell'avvenimento straordinario e imprevedibile per quella parte che ha reso oltremodo onerosa la prestazione del contraente. Il giudice non è chiamato cioè a ristabilire quella stessa proporzione tra le due prestazioni che fu voluta dalle parti al momento del contratto, vale a dire ad eliminare totalmente l’onerosità della prestazione provocata dall'avvenimento straordinario, perché una parte di essa ha da farsi rientrare nei limiti dell'alea normale di ogni contratto, la quale, anche nell'attuale sistema legislativo, deve rimanere a carico del debitore. L'art. 1467 parla semplicemente di modifica equa delle condizioni del contratto. Tenendo conto del fondamento giuridico dell'istituto in esame, e di quanto esposto precedentemente pare di poter qui porre il seguente principio: la modificazione dei rapporti contrattuali ex art. 1467 dev'essere fatta in modo da ristabilire un rapporto di corrispettività economica tra le prestazioni, tale da rendere attuabile to scopo perseguito dalle parti contraenti con il contratto stesso, e così da venire nuovamente a sussistere per il contraente eccessivamente onerato l'interesse all'esistenza del contratto.

Il convenuto potrà limitarsi a dichiarare genericamente di essere pronto ad un'equa modifica del contratto, e, in tal caso, spetterà al giudice di specificare le modifiche concrete da apportare ai rapporti contrattuali; oppure il convenuto potrà esso stesso indicare tali modifiche ed allora spetterà al giudice di accertare se esse siano eque, cioè rispondano a quanto è richiesto dalla legge.

Quanto a queste modifiche esse potranno consistere, o in una riduzione quantitativa o qualitativa della prestazione divenuta eccessivamente onerosa, oppure in un aumento della controprestazione, oppure in modifiche dell'una o dell'altra specie, ecc.

Un potere di modificazione del contenuto dei rapporti contrattuali non è accordato senz'altro al giudice, il quale quindi non può, di propria iniziativa, procedere a tale modificazione per ristabilire il rapporto di corrispettività economica tra gli arricchimenti che l' avvenimento straordinario ed imprevedibile aveva rotto (arg. 1467). Questo potere di offrire una modificazione spetta unicamente al creditore della prestazione divenuta eccessivamente onerosa: non spetta quindi nemmeno al debitore di quella prestazione, il quale può chiedere unicamente la risoluzione del contratto (1467).


Eventuali provvedimenti cautelari.

Il debitore, la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa, non è, perciò solo, esonerato dal dovere di adempiere. Infatti : a) l'eccessiva onerosità non costituisce «impossibilità» ex art. 1256, ma solo semplice difficoltà di esecuzione; b) la risoluzione del contratto ex art. 1467 non avviene mai di diritto, ma dev'essere pronunziata dal giudice la cui sentenza ha efficacia costitutiva. Pertanto, se quel debitore, anziché chiedere la risoluzione, o se dopo averla chiesta ma prima di ottenere la sentenza di risoluzione, si astiene dall'adempiere incorre nella mora debendi, con le conseguenze di cui all'art. 1218 e seg. La controparte potrebbe quindi chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento (1453) e, in tal caso, l'inadempiente non sarà più ammesso a far valere l'eccessiva onerosità ex art. 1467 in via di eccezione (lo potrebbe ancora fare se il creditore si fosse limitato a chiedere l'adempimento tardivo).

Se invece il debitore la cui prestazione è divenuta eccessivamente onerosa chiede la risoluzione per eccessiva onerosità ex art. 1467, il creditore non potrà chiedere la risoluzione per inadempimento se non condizionatamente al rigetto della domanda ex art. 1467.

E’ stato rilevato che la posizione delle parti, per il fatto che i rapporti contrattuali dovranno essere ugualmente eseguiti alle condizioni originarie durante le more del giudizio di risoluzione o di equa modifica per eccessiva onerosità, diventa assai strana e difficile.

Infatti, il debitore dovrà continuare ad eseguire ugualmente la sua prestazione: l’accoglimento della sua domanda gli darà bensì diritto alla restituzione della prestazione così eseguita,ma non al risarcimento dei danni subiti per aver dovuto eseguire la prestazione in condizioni eccessivamente onerose (non di rado le merci di cui riacquista la disponibilità saranno per lui di nessuna utilità, perché, ad es., si tratta di macchine di tipo speciale prodotte su ordinazione).

Anche il creditore potrà trovarsi in condizioni non liete perché, essendo esposto al rischio di dover restituire le cose ricevute in esecuzione dei rapporti contrattuali, non potrà utilizzare queste cose come vorrebbe.

Peraltro, in questi casi le parti potranno ricorrere ai provvedimenti di urgenza di cui all'art. 700 cod. proc. civ.: così il debitore potrà chiedere di essere autorizzato a sospendere l'esecuzione della prestazione dovuta, previa cauzione.


Caratteri differenziali tra impossibilità sopravvenuta e sopravvenienza contrattuale

Da quanto si è detto sino a qui, appare chiaro come diversi siano tanto i presupposti quanto i principi che regolano l'istituto della impossibilità della prestazione ex art. 1463 e l'istituto della
sopravvenienza contrattuale ex art. 1467.

a) Anzitutto, nel primo caso si tratta di impossibilità della prestazione, nel secondo di semplice difficoltà;

b) il campo di applicazione della impossibilità sopravvenuta è costituito unicamente dai contratti con attribuzioni corrispettive; il campo di applicazione della sopravvenienza contrattuale si estende anche ai contratti con obbligazioni di una sola parte (1468);

c) l'impossibilità della prestazione deve dipendere da causa non imputabile al debitore (1256), ma non si richiede che si tratti di un avvenimento straordinario e imprevedibile, mentre un tale presupposto è richiesto per l'applicabilità degli articoli 1467 e 1468;

d) l'impossibilità della prestazione opera ipso lure (1256), mentre la risoluzione per eccessiva onerosità dev'essere pronunziata giudizialmente (1467) (se per opera esclusiva delle parti si addivenisse alla neutralizzazione degli effetti del contratto, si avrebbe la figura di un contrarius consensus).

Tanto l'impossibilità sopravvenuta quanto la sopravvenienza contrattuale hanno questo punto in comune: entrambe costituiscono un limite al principio contenuto nell' art. 1218.


Alcuni casi particolari ai quali si applicano norme eccezionali

A) 1664 (appalto): si ha la sola revisione del corrispettivo; 962 (enfiteusi): si ha la sola revisione del canone;
B) 1584 (locazione): si ha diritto alla riduzione del canone; si ha diritto allo scioglimento del contratto nell'ipotesi prevista dal capoverso; 1623 (affitto) si ha diritto alla variazione del canone, ovvero allo scioglimento del contratto;
C) 1959 (mandato di credito): si ha che il mandatario (cioè colui che si è obbligato a fare credito al terzo) è autorizzato a non eseguire l'incarico ricevuto.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

245 Ho accolto il principio della revisione dei contratti per eccessiva onerosità della prestazione (art. 266).
Esso risponde alla nostra tradizione giuridica che, nel diritto comune, trova affermata la implicita soggezione alla clausola rebus sic stantibus di ogni rapporto convenzionale. Sotto l'influsso di essa i primi codici inclusero il principio della sopravvenienza in via generale; ma nell'ordinamento del codice del 1865 manca una formulazione espressa del medesimo. Alcuni scrittori lo ricavarono dal complesso del sistema; ma gli sforzi da loro fatti non trovarono il favore della dottrina dominante e della più recente giurisprudenza.
Varie considerazioni suggeriscono, tuttavia, l'esplicita assunzione della sopravvenienza come motivo di scioglimento o di revisione del contratto.
Contingenze eccezionali hanno, in tempi trascorsi, consigliato di far posto alla sopravvenienza nella disciplina dei contratti; l'ordinamento vigente si è servito, peraltro, del principio medesimo in alcuni casi che potevano dar luogo ad una revisione del rapporti contrattuali a seguito del mutamento della situazione di fatto originaria (cfr. esempi negli articoli 1081, 1176, 1469, 1580, 1617, 1618, 1816, 1919, n. 2, cod. civ., 432 e 617 cod. comm.), e non ha ignorato la sopravvenienza se alle volte ne ha escluso l 'applicazione (ad esempio: art. 1798 cod. civ.); infine l'equità vuole che non si consideri prevista dalle parti quella situazione che, derivando da eventi eccezionali, nessuno del contraenti fu certamente in grado ai apprezzare, nella sua influenza sull'economia del contratto.
246 Non ho seguito la tesi che limita l'effetto della sopravvenienza soltanto ai contratti a lungo termine o ad esecuzione periodica, perché, anche nei contratti che hanno un termine breve può influire il mutamento di uno stato di fatto, che le parti non potevano prevedere al tempo in cui entrarono in rapporti reciproci.
Non mi è parso che questo richiamo ad una presumibile o ad una non espressa volontà contrattuale potesse contrastare con l'accoglimento del principio dell'affidamento come substrato subiettivo del rapporto contrattuale: nel mio pensiero l'incidenza di un nuovo stato di fatto sulla entità del rapporto presuppone una connessione necessaria, normale, notoria e quindi riconoscibile tra l'entità economica ed obiettiva della prestazione e la situazione specifica ambientale, esterna alle parti.
Il carattere eccezionale del rilievo dato alla sopravvenienza e scolpito nell'art. 266, il quale richiama solo il verificarsi di eventi straordinari ed imprevedibili al momento in cui il contratto fu concluso. La mancanza di previsione dell'evento non dà diritto, di per sé, all'applicazione della clausola rebus sic stantibus, se l'evento sopravvenuto non è straordinario; ma, a sua volta, l'evento straordinario non è rilevante come fatto idoneo a provocare l'intervento del giudice ex art. 266 se poteva essere previsto.
Altro limite di rilevanza della nuova situazione di fatto è che, per effetto di essa, la prestazione di una delle parti sia divenuta eccessivamente onerosa oltre i limiti dell'alea normale del contratto. Questa restrizione è già ferma nella dottrina dimostratasi favorevole alla clausola rebus sic stantibus; ed è giustificata, perché ciascuna parte, concludendo il contratto, implicitamente si sottopone al rischio che esso comporta, a causa della sua peculiarità.
247 Così ristrettane la efficienza, non può impressionare la estensione generale data alla clausola rebus sic stantibus. Questa estensione porta ad una duplice conseguenza, a seconda che concerna contratti a prestazioni corrispettive o contratti con obbligazioni di una sola parte.
Nei primi deve ammettersi senz'altro la rescissione del contratto a causa della sopravvenienza; ma è giusto che questo effetto possa impedirsi se l'altra parte offre di modificarne equamente le condizioni al fine di eliminare la sopravvenuta onerosità. Se è questa sopravvenienza che attribuisce la pretesa alla risoluzione, la pretesa stessa deve necessariamente estinguersi quando fosse possibile stabilire l'equilibrio contrattuale: si vuole in sostanza che l'azione dipendente dalla sopravvenienza sia esercitata in buona fede, e che sia mantenuto, per quanto è possibile, il valore economico concreto rappresentato dal contratto.
Questo regolamento dell'azione di revisione per eccessiva onerosità non riguarda i contratti che implicano obbligazioni per una sola delle parli (ad esempio, donazione a esecuzione differita): non essendovi in essi una situazione di prestazioni corrispettivo, non è concepibile un'offerta dell'altra parte rivolta a stabilire l'equilibrio, che è offerta di modifica alle proprie obbligazioni. Per i contratti con obbligazioni a carico soltanto di una sola delle parti, il rimedio all'onerosità non può essere, quindi, se non una riduzione della prestazione o una modifica nella modalità di esecuzione.

Massime relative all'art. 1467 Codice Civile

Cass. civ. n. 40279/2021

Il perdurare di determinate condizioni di mercato, oggettive ed esterne, rispetto al contratto, non può essere considerato quale presupposto implicito di un accordo negoziale, in quanto la valutazione della permanenza di tali condizioni rientra nella normale alea che ciascun contraente accetta prima di intraprendere un rapporto contrattuale destinato a protrarsi nel tempo. A diversa conclusione può giungersi soltanto ove le suddette condizioni, mutando, integrino la situazione di straordinarietà ed imprevedibilità delineata dall'art. 1467 c.c., ovvero allorquando sia lo stesso legislatore a contemplare il mutamento delle condizioni oggettive del mercato quale presupposto legittimante una anticipata richiesta di porre fine al rapporto contrattuale.

Cass. civ. n. 2622/2021

Nei contratti cosiddetti commutativi le parti, nel loro potere di autonomia negoziale, ben possono prefigurarsi la possibilità di sopravvenienze, che incidono o possono incidere sull'equilibrio delle prestazioni, ed assumerne, reciprocamente o unilateralmente, il rischio, modificando in tal modo lo schema tipico del contratto commutativo e rendendolo per tale aspetto aleatorio, con l'effetto di escludere, nel caso di verificazione di tali sopravvenienze, la applicabilità dei meccanismi riequilibratori previsti nell'ordinaria disciplina del contratto (art. 1467 e 1664 cod. civ.). L'assunzione del suddetto rischio supplementare può formare oggetto di una espressa pattuizione, ma può anche risultare per implicito dal regolamento convenzionale che le parti hanno dato al rapporto e dal modo in cui hanno strutturato le loro obbligazioni; l'accertamento, in concreto, di detta volontà, attraverso l'interpretazione delle clausole contrattuali, costituisce un'indagine di fatto riservata al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se esente da errori di diritto.

Cass. civ. n. 4451/2020

La transazione ad esecuzione differita è suscettibile di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, in base al principio generale emergente dall'art. 1467 c.c., in quanto l'irresolubilità della transazione novativa stabilita in via eccezionale dall'art. 1976 c.c. è limitata alla risoluzione per inadempimento, e l'irrescindibilità della transazione per causa di lesione, sancita dall'art. 1970 c.c., esaurisce la sua "ratio" sul piano del sinallagma genetico.

Cass. civ. n. 2047/2018

Nei contratti a prestazioni corrispettive la parte che subisce l'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione può solo agire in giudizio per la risoluzione del contratto, ex art. 1467, comma 1, c.c., purché non abbia già eseguito la propria prestazione, ma non ha diritto di ottenere l'equa rettifica delle condizioni del negozio, la quale può essere invocata soltanto dalla parte convenuta in giudizio con l'azione di risoluzione, ai sensi del comma 3 della medesima norma, in quanto il contraente a carico del quale si verifica l'eccessiva onerosità della prestazione non può pretendere che l'altro contraente accetti l'adempimento a condizioni diverse da quelle pattuite.

Cass. civ. n. 17485/2012

Anche per i contratti cosiddetti commutativi le parti, nel loro potere di autonomia negoziale, possono prefigurarsi la possibilità di sopravvenienze, che incidono o possono incidere sull'equilibrio delle prestazioni, ed assumere, reciprocamente o unilateralmente, il rischio, modificando in tal modo lo schema tipico del contratto commutativo e rendendolo per tale aspetto aleatorio, con l'effetto di escludere, nel caso di verificazione di tali sopravvenienze, l'applicabilità dei meccanismi riequilibratori previsti nell'ordinaria disciplina del contratto (artt. 1467 e 1664 c.c.). L'assunzione del detto rischio supplementare può formare oggetto di una espressa pattuizione, ma può anche risultare per implicito dal regolamento convenzionale che le parti hanno dato al rapporto e dal modo in cui hanno strutturato le loro obbligazioni. (Nella specie, la S.C., affermando l'enunciato principio, ha assunto che la peculiare pattuizione, connotante di parziale aleatorietà il contratto di vendita "inter partes", portava ad escludere l'applicabilità dell'art. 1497 c.c., non potendo dirsi promesse tra le parti, ma solo prefigurate come possibile rischio futuro, determinate qualità della cosa venduta, e cioè, segnatamente, la resa ottimale dell'impianto).

Cass. civ. n. 7225/2009

L'atipicità della causa di un contratto di compravendita immobiliare determinata dall'assunzione della garanzia di redditività del bene venduto non esclude la corrispettività tra le prestazioni a carico delle parti e la conseguente operatività, nel caso di eccessiva onerosità, non dell'art. 1468 cod. civ., bensì dell'art. 1467, primo e terzo comma, cod. civ., secondo cui è attribuito alla parte la cui prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa per avvenimenti straordinari e imprevedibili unicamente il potere di chiedere la risoluzione del contratto e soltanto alla parte, contro la quale è domandata la risoluzione, quello di evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.

Cass. civ. n. 12235/2007

L'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione nei contratti a titolo gratuito consiste nella sopravvenuta sproporzione tra il valore originario della prestazione ed il valore successivo, mentre nei contratti onerosi (nel caso, permuta) consiste nella sopravvenuta sproporzione tra i valori delle prestazioni, sicché l'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, in presenza di squilibrio tra le prestazioni dovuto ad eventi straordinari ed imprevedibili, non rientranti nell'ambito della normale alea contrattuale, ai sensi dell'art. 1467 c.c. determina la risoluzione del contratto. (Nell'affermare il suindicato principio la S.C. ha escluso la configurabilità dell'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, quale conseguenza del venir meno della presupposizione, ritenendo non ricorrere nel caso nemmeno un'ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione legittimante la risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1467 c.c., atteso il difetto dei necessari requisiti della straordinarietà e dell'imprevedibilità dell'evento).

Nei contratti a prestazioni corrispettive, ad esecuzione continuata o periodica o differita, ciascuna parte assume su di sé il rischio degli eventi che alterino il valore economico delle rispettive prestazioni, entro i limiti rientranti nell'alea normale del contratto, da tenersi pertanto da ciascun contraente presenti al momento della stipulazione, alla stregua della dovuta diligenza. Ne consegue che non assume al riguardo rilievo la sopravvenienza di circostanze prevedibili che rendano comunque eccessivamente gravoso — e pertanto inesigibile — l'adempimento della prestazione, vertendosi in tal caso non già in tema di alterazione dell'economia contrattuale bensì d'inadempimento.

Cass. civ. n. 11947/2003

La questione dell'applicabilità ad un determinato contratto dell'intera disciplina dell'art. 1467 c.c. sulla onerosità sopravvenuta deve essere risolta dal giudice con specifico riferimento al caso concreto ed all'azione effettivamente proposta, dovendosi, a tal fine, considerare non solo la natura e la struttura (dal punto di vista meramente classificatorio) del contratto sulla cui risoluzione si controverta, ma anche le modalità ed i tempi di adempimento delle reciproche prestazioni connesse al contratto stesso. La decisione circa la sopravvenienza e la sussistenza dell'eccessiva onerosità esige, peraltro, la risoluzione della questione — avente una propria autonomia ed individualità, per la diversità dei presupposti che formano oggetto di accertamento — della proponibilità della domanda cui è legittimato quello dei contraenti la cui prestazione sia ancora dovuta, quando questa sia divenuta eccessivamente onerosa o quando la prestazione dallo stesso contraente attesa si sia eccessivamente svilita in modo da alterare l'equilibrio economico raggiunto dalle parti al momento della conclusione del contratto. In particolare, in un contratto di compravendita con effetti immediatamente traslativi per cui debba ancora essere pagata parte del prezzo, occorre stabilire preliminarmente se la risoluzione del contratto possa essere invocata anche da quello dei contraenti che abbia già eseguito la sua prestazione essendo già avvenuti sia il trasferimento di proprietà sia la consegna della cosa, avendosi presente, in particolare, che anche nel caso di eccessiva onerosità sopravvenuta per svilimento della prestazione attesa, la prestazione di chi agisce deve, al tempo della sopravvenienza, risultare ancora in itinere (nell'affermare il principio di diritto che precede la S.C. ha ulteriormente precisato, con riferimento al caso di specie, che il giudicato implicito su tale questione può dirsi intervenuto quando essa sia stata posta e sia stata oggetto di dibattito tra le parti sia come presupposto legittimante l'azione, sia come elemento del fatto costitutivo della domanda di risoluzione, ovvero sia stata espressamente ed inequivocabilmente dedotta e decisa come eccezione in senso proprio, cioè allegata come fatto impeditivo, modificativo o estintivo della pretesa azionata, o, quantomeno, come difesa con la quale il convenuto si sia proposto di ottenere il rigetto della domanda).

Cass. civ. n. 2661/2001

L'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, per poter determinare, ai sensi dell'art. 1467 c.c., la risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita, deve essere causata dal verificarsi di avvenimenti straordinari ed imprevedibili. Il carattere della straordinarietà è di natura obiettiva, qualificando un evento in base all'apprezzamento di elementi, quali la frequenza, le dimensioni, la intensità, eccetera, suscettibili di misurazione, quindi, tali da consentire, attraverso analisi quantitative, classificazioni quanto meno di ordine statistico, mentre il carattere della imprevedibilità ha una radice soggettiva, facendo riferimento alla fenomenologia della conoscenza. L'accertamento del giudice di merito circa la sussistenza dei caratteri evidenziati è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi.

Cass. civ. n. 46/2000

Nei contratti a prestazioni corrispettive l'equa rettifica delle condizioni del negozio può essere invocata soltanto dalla parte convenuta in giudizio con l'azione di risoluzione del negozio medesimo per eccessiva onerosità sopravvenuta, essendo da escludere che una richiesta di reductio ad aequitatem possa essere contrapposta ad una domanda di adempimento.

Cass. civ. n. 1371/1999

La risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta può esser pronunciata anche per contratti ad esecuzione differita dell'intera prestazione o di una parte economicamente rilevante di essa, sempre che fra il momento della conclusione e quello dell'esecuzione si siano verificati avvenimenti straordinari o imprevedibili tali da rendere l'adempimento della prestazione, in tutto o in parte, ancora dovuta, eccessivamente oneroso per uno dei contraenti. Tale causa di scioglimento, tuttavia, è invocabile per il contratto di compravendita ad efficacia obbligatoria (nel quale, cioè, per il verificarsi dell'effetto traslativo, non basta il semplice consenso, occorrendo, altresì, il verificarsi di un ulteriore fatto, come la specificazione, per la vendita di cose indicate solo nel genere, e l'acquisto da parte del venditore, per la vendita di cose altrui) e non invece per la vendita con effetti reali immediati, nella quale la prestazione del venditore si intende eseguita al momento della manifestazione del consenso, senza che rilevi in contrario il pattuito differimento della materiale consegna della cosa.

Cass. civ. n. 8857/1998

Con riguardo ai contratti con prestazioni corrispettive ad esecuzione continuata o periodica, ovvero ad esecuzione differita, in cui la prestazione di una delle parti sia divenuta eccessivamente onerosa, il contenuto dell'offerta per riportare il contratto ad un giusto rapporto di scambio, a norma dell'art. 1467, ultimo comma, c.c., deve essere tale da uniformare il corrispettivo ancora dovuto ai valori di mercato del bene da trasferire, ovvero della parte del bene per il quale il corrispettivo non è stato versato. L'indagine del giudice per verificare l'idoneità dell'offerta ad eliminare lo squilibrio economico delle prestazioni deve essere condotta attenendosi a criteri estimativi oggettivi di carattere tecnico e non a meri criteri equitativi.

Cass. civ. n. 5302/1998

L'eccessiva onerosità di una prestazione rispetto alla corrispettiva, ai fini della risoluzione del contratto — anche preliminare — va valutata comparando il valore di entrambe al momento in cui sono sorte e a quello in cui devono eseguirsi, mentre la prescrizione della relativa azione decorre dal momento in cui si verifica la sperequazione.

Cass. civ. n. 2386/1998

In tema di risoluzione contrattuale, la variazione in aumento del cosiddetto «prelievo comunitario» (sorta di dazio doganale sulle importazioni in vigore nei paesi della CEE, imposto, nella specie, in relazione ad una compravendita di olio di oliva proveniente dalla Grecia) rientra nella normale alea contrattuale, e non costituisce, pertanto, causa legittima di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta.

Cass. civ. n. 1507/1998

Ai contratti con struttura associativa, quali i Consorzi, non sono applicabili gli artt. 1465 e 1467 c.c., mancandovi una contrapposizione di interessi ed attesa la comunanza degli scopi da perseguire, il che esclude l'esistenza di un nesso di interdipendenza sinallagmatica che esiga il mantenimento dell'equilibrio delle prestazioni cui sono tenuti rispettivamente il consorziato ed il Consorzio.

Cass. civ. n. 369/1995

Le modificazioni del contratto divenuto eccessivamente oneroso e, come tale, da ridurre ad equità, vanno valutate con riferimento alla normalizzazione del rapporto ed il supplemento del prezzo a carico del compratore, per la riduzione ad equità del contratto stesso, integra un debito di valore, il quale deve essere adeguato in relazione alla svalutazione monetaria sopravvenuta e comporta, inoltre, la corresponsione degli interessi legali a titolo compensativo dalla data della stipulazione ovvero da quella in cui avrebbe dovuto essere stipulato l'atto pubblico.

Cass. civ. n. 247/1992

In tema di eccessiva onerosità sopravvenuta, nel caso in cui il convenuto, nell'esercizio della facoltà di disporre liberamente dei propri interessi, anziché chiedere di rimettere al giudice la determinazione del contenuto delle modifiche da apportare al contratto per ricondurlo ad equità, propone egli stesso il contenuto di dette modifiche, tale proposta, ove non accettata dalla controparte, perde il carattere di proposta negoziale rivolta a quest'ultima ed assume il connotato di una specifica domanda processuale con la conseguenza, in tal caso, che il giudice ex art. 112 c.p.c. può soltanto pronunciarsi sull'efficacia di questa ad impedire l'accoglimento della contrapposta domanda di risoluzione, non anche ridurre la somma offerta dal convenuto ritenendola eccessiva, perché così facendo deciderebbe ultra petita invadendo la sfera dispositiva delle parti.

L'art. 1467 c.c. non impone al convenuto che voglia evitare la pronuncia di risoluzione del contratto di offrire una modifica delle condizioni contrattuali tale da ristabilire esattamente l'equilibrio tra le rispettive posizioni esistenti al momento della stipulazione, atteso che dalla combinazione logica dei tre commi dell'articolo in esame si evince che la sopravvenuta onerosità della prestazione considerata dà diritto alla risoluzione soltanto se è eccessiva (1 comma) e non rientra nell'alea normale del contratto (2 comma), con la conseguenza che l'offerta di modifica è da considerare equa se riporta il contratto in una dimensione sinallagmatica tale che se fosse sussistita al momento della stipulazione, la parte onerata non avrebbe avuto diritto di domandarne la risoluzione.

L'equa modificazione di un preliminare di vendita immobiliare divenuto eccessivamente oneroso ai sensi dell'art. 1467 c.c. va valutata con riferimento alla situazione esistente al momento della pronuncia, tenendo conto anche della svalutazione monetaria maturatasi dalla data dell'offerta del promissario acquirente di modifica delle condizioni del contratto, giacché questa non sarebbe tale da ricondurre ad equità il contratto stesso se i due valori contrapposti, il bene ed il prezzo, risultassero alla fine ancora squilibrati.

Cass. civ. n. 5480/1991

La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta che riguarda, ai sensi dell'art. 1467 c.c. esclusivamente i contratti ad esecuzione continuata o periodica, ovvero ad esecuzione differita, ove la prestazione non ancora adempiuta da una delle parti sia divenuta eccessivamente onerosa, non può trovare applicazione nell'ipotesi di vendita con efficacia reale immediata, ancorché le parti abbiano differito ad un momento ulteriore la stipula dell'atto notarile di vendita, inteso nella funzione meramente riproduttiva della preesistente scrittura privata, allo scopo di soddisfare le esigenze della pubblicità attraverso la trascrizione.

Cass. civ. n. 7876/1990

Nella vendita con effetto reale in cui sia convenuto il differimento della consegna del bene o del pagamento del prezzo, il venditore non può esperire l'azione di risoluzione per eccessiva onerosità ove tra la data della stipulazione e quella della consegna sia intervenuta una notevole svalutazione monetaria, perché quell'evento, ancorché straordinario ed imprevedibile, non determina un'onerosità eccessiva dell'unica prestazione ancora dovuta dal venditore, che è il trasferimento del possesso o, addirittura, della detenzione della cosa, mentre nessuna rilevanza possono avere l'aumentato valore della cosa stessa, già entrata nel patrimonio dell'acquirente, o il diminuito potere di acquisto del corrispettivo pecuniario ancora dovuto, che rappresenta l'equivalente del trasferimento della proprietà — già avvenuto — e non del conseguenziale possesso.

Cass. civ. n. 4554/1989

La risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta — ai sensi dell'art. 1467 c.c. — non può essere fatta valere dalla parte che, con il suo inadempimento, abbia ritardato la esecuzione del contratto, rendendo necessario il ricorso della parte adempiente alla tutela giudiziaria; infatti, essendo posto a carico della parte inadempiente il rischio della sopravvenuta impossibilità della prestazione (art. 1221 c.c.), deve a fortiori ritenersi che sia a carico della stessa parte la sopravvenienza dell'eccessiva onerosità, la quale, rispetto all'ipotesi dell'impossibilità della prestazione, costituisce una situazione meno grave.

Cass. civ. n. 4023/1989

Con il termine «equamente», usato nel terzo comma dell'art. 1467 c.c., si richiede, perché sia evitata la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità, che la parte contro la quale la domanda è rivolta offra di così modificare le condizioni del contratto in modo che questo sia riportato ad un giusto rapporto di scambio, con la conseguenza che il corrispettivo deve essere uniformato, in quanto possibile, ai valori di mercato, così che venga eliminato lo squilibrio economico e le prestazioni siano ricondotte ad una piena equivalenza obiettiva; l'indagine del giudice deve, pertanto, essere condotta attenendosi a criteri estimativi oggettivi di carattere tecnico, e non soltanto con un mero criterio di equità.

Cass. civ. n. 3347/1989

L'offerta di equa modificazione delle condizioni di contratto divenuto eccessivamente oneroso (art. 1467, ultimo comma, c.c.), è rimessa all'iniziativa della parte, mentre il giudice deve limitarsi a stabilire se le modificazioni sono idonee a normalizzare il rapporto contrattuale, senza poter integrare le eventuali deficienze della proposta o superarne la portata. Tuttavia, qualora la parte, in sede di conclusioni, dichiari di offrire, a saldo del prezzo di una compravendita, una determinata somma o quella somma maggiore o minore che si ritenga equa, deve intendersi con ciò proposta una domanda subordinata di determinazione giudiziale dell'equo prezzo, in ordine alla quale il giudice, se ritiene che la somma quantificata sia inidonea a far cessare l'eccessiva onerosità, deve necessariamente pronunciarsi, integrando l'offerta sulla base degli elementi di giudizio già acquisiti al processo.

Cass. civ. n. 4114/1984

L'eccessiva onerosità sopravvenuta che, ai sensi dell'art. 1467 c.c., giustifica la risoluzione dei contratti ad esecuzione differita, non è ravvisabile nella mera variazione del prezzo della cosa promessa in vendita, rientrante nella normale alea contrattuale, ma solo in quella che comporta una notevole alterazione del rapporto originario fra le prestazioni, determinando nel loro ambito una situazione di squilibrio dei rispettivi valori con aggravio che alteri l'iniziale rapporta di equivalenza, incidendo sul valore di una prestazione rispetto all'altra.

Cass. civ. n. 1799/1984

La risoluzione per eccessiva onerosità del contratto a prestazioni corrispettive, prevista dall'art. 1467 c.c. in caso di eventi sopravvenuti dopo la conclusione del contratto stesso, postula che essi, oltre che straordinari, siano imprevedibili al momento della stipulazione, e, pertanto, resta esclusa con riguardo ad eventi futuri (quali le oscillazioni di mercato in una compravendita di merce a consegne ripartite) che risultino espressamente od implicitamente contemplati dalle parti.

Cass. civ. n. 1021/1984

In relazione alla ratio della normativa della risoluzione del contratto per inadempimento (o per eccessiva onerosità sopravvenuta), diretta alla tutela dell'equilibrio sinallagmatico nei contratti a prestazioni corrispettive, l'obiettiva esiguità della parte di prestazioni non eseguita (o tardivamente eseguita) in relazione all'economia complessiva della convenzione, comportando la corrispondente minima lesione dell'interesse dell'altro contraente, deve trovare esclusiva e prevalente rilevanza nel giudizio sull'importanza o meno dell'inadempimento (o della non gravosità della controprestazione nella onerosità sopravvenuta).

Cass. civ. n. 3618/1983

Al fine della prova dell'inadempimento che preclude al debitore la facoltà di chiedere, a norma dell'art. 1467 c.c., la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, non si richiede la costituzione in mora mediante l'intimazione o la richiesta di adempimento rivolta al debitore per iscritto, essendo invece sufficiente la semplice richiesta di adempimento con qualsiasi mezzo.

Cass. civ. n. 1/1983

L'alea normale di un contratto che a norma dell'art. 1467 comma secondo, c.c. non legittima la risoluzione per sopravvenuta onerosità comprende anche le oscillazioni di valore delle prestazioni che possono ritenersi originate dalle regolari e normali fluttuazioni del mercato, senza che tale alea possa confondersi con quell'elemento intrinseco che definisce ed individua i cosiddetti contratti aleatori. Infatti in questi ultimi l'alea si pone come momento originario ed essenziale che colora e qualifica lo schema causale del contratto, mentre l'alea normale, che si può dire esista sempre nel momento in cui si perfeziona un contratto, non potendosi mai escludere che vicende economiche sopravvenute possano alterare quella situazione di equilibrio che le parti avevano ritenuto concordemente di porre in essere, rimane un momento del tutto intrinseco al meccanismo ed al contenuto del contratto.

Cass. civ. n. 3464/1982

Al fine della risoluzione per eccessiva onerosità di un preliminare di vendita, come in genere di uno dei contratti contemplati dall'art. 1467 c.c., l'eccessiva onerosità deve essere accertata dal giudice con riferimento al momento stabilito per l'adempimento della prestazione della parte che chiede la risoluzione, ovvero a quello successivo cui l'adempimento stesso risulti differito per fatto e colpa della controparte, e non con riferimento al tempo della decisione essendo irrilevante la sua sopravvenienza dopo quel momento.

La sopravvenuta svalutazione monetaria, al pari di ogni altro avvenimento dal quale derivi lo squilibrio tra le prestazioni contrattuali, può giustificare la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità, ai sensi e nei limiti di cui all'art. 1467 c.c., qualora, ancorché non provocata da eventi eccezionali, presenti caratteri di straordinarietà ed imprevedibilità.

Cass. civ. n. 3005/1982

Il rimedio della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, essendo diretto ad impedire che, a causa di questa, si verifichi una notevole alterazione dell'originario equilibrio tra le prestazioni corrispettive, non è applicabile a favore del contraente che abbia già ricevuto la controprestazione consistente in una somma di danaro, e che deduca la sopraggiunta svalutazione monetaria, in quanto detto contraente, in tale ipotesi, avrebbe potuto evitare le conseguenze negative del fenomeno inflattivo, mediante l'utile impiego della somma riscossa. La stessa situazione si verifica pure quando la controprestazione sia stata eseguita mediante l'accollo (semplice) del debito verso un terzo, poiché anche in tal caso il contraente ottiene l'immediato incremento patrimoniale consistente nella sua liberazione dall'obbligo di pagamento della somma di danaro che avrebbe dovuto corrispondere al suo creditore (restando soltanto esposto alle eventuali pretese del creditore nel caso di inadempimento dell'accollante), con la possibilità di investirla utilmente, neutralizzando gli effetti dannosi della svalutazione.

Cass. civ. n. 3474/1981

In caso di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta e di condanna della controparte a restituire l'equivalente della cosa di genere ricevuta e non più restituibile, il giudice deve riferirsi ai prezzi praticati al momento della pronuncia, in quanto — costituendo il controvalore pecuniario il succedaneo della restituzione — la somma da corrispondere al fornitore deve consentire l'acquisto di un corrispondente quantitativo dello stesso bene, equivalente a quello fornito anche nella qualità.

Cass. civ. n. 3492/1978

Il contraente a carico del quale si verifica l'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione può solo agire in giudizio per la risoluzione del contratto, ma non può astenersi dalla prestazione pretendendo che l'altro contraente accetti l'adempimento a condizioni diverse da quelle pattuite, poiché la riduzione ad equità del contratto costituisce solo una facoltà della controparte, che può essere esercitata quando essa sia convenuta in giudizio per la risoluzione. Ne consegue che, promosso il giudizio di risoluzione del contratto per inadempimento, la parte convenuta non può eccepire la sopravvenuta onerosità della prestazione per giustificare la mancata esecuzione del contratto, essendosi preclusa tale possibilità col pretendere arbitrariamente una riduzione ad equità cui non aveva diritto, invece di chiedere giudizialmente la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta.

Cass. civ. n. 5439/1977

La risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta non può essere chiesta dalla parte che abbia già eseguito la propria prestazione.

Cass. civ. n. 4198/1977

Il principio della sopravvenienza trova applicazione soltanto nei casi e nei limiti previsti espressamente nel c.c., tra i quali rientra, a norma dell'art. 1467, l'eccessiva onerosità della prestazione, che, nei contratti sinallagmatici, legittima la parte onerata a chiedere la risoluzione e la parte non onerata a cui sia stata opposta l'eccessiva onerosità, a chiedere la riduzione ad equità. Quest'ultima, perciò, non può essere disposta su istanza della parte onerata.

Cass. civ. n. 1738/1976

Le norme di cui negli artt. 1467, comma secondo e 1469 c.c., secondo cui il contratto non può essere risolto per la sopravvenuta eccessiva onerosità quando questa rientra nell'alea normale del contratto, oppure quando quest'ultimo sia aleatorio per sua natura o per volontà delle parti, sono applicabili anche ai casi di presupposizione diversi da quelli contrassegnati dai particolari requisiti stabiliti dall'art. 1467 primo comma c.c., sempre che la situazione presupposta rientri in quella che forma oggetto dell'alea.

Cass. civ. n. 2815/1971

Nella vendita con patto di riservato dominio il rimedio risolutorio per eccessiva onerosità può essere esperito soltanto dal compratore e non anche dal venditore il quale, avendo già consentito il trasferimento di proprietà, non può essere ritenuto soggetto passivo di una prestazione ancora dovuta.

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È possibile non rinnovare automaticamente questo contratto anche se siamo a meno di due mesi dal tacito rinnovo? O recedere direttamente? Io sono nella parte dell' "artista". Grazie mille

CONTRATTO DI GESTIONE
PIATTAFORMA "ONLYFANS" XXX S.r.l. con sede legale in XXX, Roma, P.IVA/C.F. XXX in persona del legale rappresentante Sig. XXX, (di seguito denominata SOCIETA') e _____________________________nata a______________ il _____/______/______ e residente in ____________________________________________________, _______________________________________ (di seguito denominato l'Artista), titolare del seguente __________________________________

Art.1 – OGGETTO Che la SOCIETA' svolgerà a favore dell'artista la seguente attività: C.F. account OnlyFans: a) Creazione del materiale per la sponsorizzazione dell'artista tramite la piattaforma dei servizi di intrattenimento denominata OnlyFans. b) gestione e pubblicazione piano editoriale per la piattaforma OnlyFans c) gestione e commercializzazione contenuti tramite le chat private d) strategie di incremento iscritti utilizzando piu canali come: Instagram, telegram, tiktok, fitline, twitter, ecc

ART.2: OBBLIGHI DELL'ARTISTA
2.1 Per le prestazioni di cui all'Art.1, l'artista corrisponderà alla SOCIETA' una somma pari al 30% di tutti ricavi ottenuti dal servizio di intrattenimento OnlyFans.
2.2 Per ogni prestazione che l'artista terrà nell'ambito del Contratto o in altri ambiti che possono in qualche maniera riguardare e/o influenzare la presente scrittura privata l'artista è tenuto a farne comunicazione alla SOCIETA'. Per tali comunicazioni avranno valore nel foro competente anche e-mail, WhatsApp, Direct Message, chat.

ART.3: TERMINI DI PAGAMENTO
I pagamenti di cui al precedente articolo 2.1 saranno effettuati dall'Artista alla SOCIETA' o viceversa secondo le modalità decise di comune accordo al proporsi di questi.

ART.4: MEZZI TECNICI
L'artista si impegna a mettere a disposizione della SOCIETA' tutto quanto sia necessario al fine di consentire lo svolgimento dell'attività oggetto della presente scrittura privata, quali mezzi tecnici, operativi nonché risorse umane.

ART.5 – DURATA Il contratto avrà una durata di uno (1) anno con validità ed efficacia dalla data di sottoscrizione. Il contratto si ritiene tacitamente rinnovato salvo preavviso scritto mezzo raccomandata a/r o PEC entro due (2) mesi dalla scadenza.

ART.6: VARIE
Per qualunque altra clausola non inclusa nella presente scrittura privata verranno di volta in volta discusse le modalità in modo da trovarne un accordo tra entrambe le parti e la presente scrittura privata verrà parimenti aggiornata con altrettanti allegati che saranno a loro volta parte integrante della stessa.

ART.7: FORO COMPETENTE
Il Foro competente ed esclusivo per eventuali controversie che dovessero insorgere dal presente contratto è nominato come Foro di Roma. Ai sensi degli articoli 1341 e 1342 c.c. si accettano espressamente i seguenti articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6,7.
Roma, 11/ 08/2022”
Consulenza legale i 17/07/2023
L’art. 5 del contratto dispone esplicitamente il rinnovo tacito, salvo l'invio di una disdetta entro il termine di preavviso di due mesi dalla scadenza.
In difetto di preavviso, la disdetta non avrà effetto per la prossima scadenza contrattuale, bensì, eventualmente per la successiva; in altri termini, il contratto si rinnoverà per un ulteriore annualità, alla cui scadenza verrà a cessare.

Per quanto concerne un eventuale recesso, il contratto non ne prevede l’esercizio.
In termini generali, ai sensi dell’art. 1373 del c.c., il recesso è ammesso solo nei casi previsti dalla legge (recesso legale) o se concordato fra le parti (recesso convenzionale).
Nel caso di specie, trattandosi di un contratto di prestazione di servizi a tempo determinato, non si rinvengono ipotesi di recesso legale; allo stesso modo, il contratto inviato non attribuisce a nessuna delle parti la facoltà di recedere.

Il nostro ordinamento, tuttavia, disciplina ulteriori possibilità di liberarsi da un vincolo contrattuale.

In primis, ai sensi dell’art. 1453 del c.c., nei contratti con prestazioni corrispettive, quale quello esposto, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto.
Ciò significa che, se la controparte non ponga in essere le attività a cui si è obbligata (quelle elencate all’art. 1), Lei potrà chiedere la risoluzione del contratto, sempre che l’inadempimento non sia di scarsa importanza (art. 1455 del c.c.).

In secondo luogo, nell’eventualità in cui la Sua prestazione (pagamento della percentuale sui ricavi) divenga impossibile, questa si estingue ex art. 1256 del c.c. ed il contratto dovrà considerarsi automaticamente risolto; infatti, l’art. 1463 del c.c. dispone che nei contratti a prestazioni corrispettive l'impossibilità della prestazione di una parte porta alla risoluzione di diritto del contratto anche se l'altra prestazione è ancora possibile.

Infine, l’art. 1467 del c.c. disciplina l’ipotesi in cui, nei contratti a esecuzione continuata o periodica quale quello in discussione, la prestazione di una delle parti divenga eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili; in tale evenienza, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto.
Di conseguenza, se la Sua prestazione (pagamento della percentuale sui ricavi) dovesse diventare eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, avrà facoltà di domandare la risoluzione del contratto.

La valutazione sulla concreta possibilità di procedere ad una delle soluzioni esposte dipende dalla concreta motivazione per la quale intende liberarsi dal vincolo contrattuale; allo stato, sulla scorta delle informazioni fornite, nessuna delle soluzioni appare perseguibile.

Marzia L. chiede
lunedì 02/03/2020 - Lombardia
“Buongiorno,
Sono a chiedere Vostra consulenza riguardo la seguente questione:
Mia figlia frequenta un asilo nido privato in provincia di Bg. A causa dell'attuale emergenza sanitaria, l'asilo è chiuso dal 24 febbraio e, se la situazione non cambia, tale rimarrà fino all'8 marzo. Sono comunque tenuta al pagamento dell'intera retta mensile? È mio diritto ottenere la decurtazione delle settimane di chiusura?
Il regolamento dell'asilo dice testualmente che "in nessun caso potranno essere concessi sconti sulle rette", ma non si fa riferimento alla chiusura della struttura per eventi eccezionali.
In attesa di Vostra risposta.
Ringrazio anticipatamente.
Marzia Leoni”
Consulenza legale i 04/03/2020
Un’epidemia ("Coronavirus"), come quella in questione, costituisce sicuramente una causa di forza maggiore che giustifica un mancato e/o diminuito adempimento di una obbligazione.
Infatti, dalla lettura combinata degli articoli 1218 e 1256 del codice civile si desume che l’impossibilità della prestazione costituisce una causa di esonero del debitore dalla responsabilità contrattuale.

Nella presente vicenda, trattandosi di un contratto con prestazioni corrispettive (art. 1467 c.c.) possiamo ritenere che a fronte della legittima chiusura temporanea dell’asilo dettata, appunto, da una causa di forza maggiore, può corrispondere l’altrettanto legittima sospensione del pagamento delle retta relativamente al periodo di asilo chiuso.
Detta in altri termini: la scuola non sarà certamente tenuta ad alcun risarcimento di danni per la mancata fruizione del servizio, ma non per questo avrà diritto a percepire l’importo della retta per il periodo in cui l’asilo resterà chiuso.

Quanto alla clausola contenuta nel regolamento dell’asilo che esclude sconti sulle rette, essa deve ritenersi applicabile ad una situazione ordinaria e non ad un evento straordinario ed imprevedibile quale quello di una epidemia.

Alla luce di tali considerazioni, riteniamo sia opportuno inviare una pec o lettera raccomandata a/r al dirigente dell’asilo con cui chiedere formalmente la decurtazione della retta corrispondente al periodo di chiusura.

Marco S. chiede
mercoledì 21/04/2010

“Può un subappaltatore chiedere la risoluzione per eccessiva onerosità in quanto non viene pagato dall'appaltatore, il quale si giustifichi asserendo di non essere a sua volta pagato dal committente?”

Consulenza legale i 27/12/2010

Le parti di un contratto di subappalto, subappaltante (appaltatore nel contratto di appalto collegato) e subappaltatore, possono pattuire di subordinare il pagamento del corrispettivo a quest'ultimo all'avvenuto incasso, da parte del primo, delle somme di cui egli sia creditore nei confronti del committente principale.

Se ciò non è previsto, l'appaltatore-subappaltante è direttamente responsabile, quanto al pagamento del prezzo, verso il subappaltatore, in virtù dell'autonomia del contratto di subappalto.

In ogni caso, la giurisprudenza di merito ha precisato che può essere posto a carico del subappaltatore solo il ritardo e non certo l'eventuale mancato incasso delle somme dal committente (App. Milano, 28 novembre 2000: "In tema di contratto di subappalto la clausola che subordini l'obbligazione del pagamento del corrispettivo al pagamento da parte del committente principale, regola il "quando" e non l'"an" della prestazione, pertanto l'appaltatore sarà tenuto all'adempimento al momento dell'esecuzione della prestazione da parte del committente principale o dell'intervenuta impossibilità della stessa").

Il rimedio dell'eccessiva onerosità appare inattuabile nel caso di specie, perché non ne sussistono i presupposti (art. 1467 del c.c. e seguenti).

Più appropriato è lo strumento dell'azione volta ad ottenere l'adempimento della prestazione di pagamento del prezzo, esperita direttamente contro l'appaltatore, oppure la risoluzione del contratto per inadempimento ex art. 1453 del c.c., con contestuale domanda di risarcimento del danno subito.