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Articolo 1024 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Divieto di cessione

Dispositivo dell'art. 1024 Codice Civile

I diritti di uso e di abitazione non si possono cedere o dare in locazione(1).

Note

(1) La disposizione vieta, con l'esclusione della cessione e della locazione, tutti i trasferimenti, volontari o imposti, del diritto, quali l'ipoteca (art. 2808), il sequestro (v. art. 2905), il pignoramento (v. artt. 2906 e 2912) dei frutti pendenti - con riferimento al diritto d'uso - a meno che questi non siano ricompresi nel patrimonio dell'usuario al momento della raccolta.

Ratio Legis

La disposizione mira ad impedire che l'usuario o l'habitator possano oltrepassare il limite dell'esclusiva e diretta soddisfazione delle necessità proprie e della famiglia di appartenenza.

Brocardi

Usus non potest a persona separari

Spiegazione dell'art. 1024 Codice Civile

La norma non fa che esprimere chiaramente, come già l' art. 528 del vecchio codice, la conseguenza che logicamente discende dalla natura del diritto di uso e di abitazione: ogni forma di utilizzazione indiretta della cosa è inibita al titolare, il quale non può cedere il suo diritto e neppure il suo esercizio, nè a titolo oneroso, nè a titolo gratuito. Queste forme di disposizione del diritto sono incompatibili con lo scopo dell'uso e dell'abitazione, che è la soddisfazione immediata dei bisogni di una persona.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1024 Codice Civile

Cass. civ. n. 19940/2022

Il divieto di cessione del diritto reale di uso su una porzione di cortile condominiale attribuito ad uno dei condomini non comporta che non sia configurabile in favore del successore a titolo particolare nella proprietà individuale dell'unità immobiliare, al cui servizio essa è destinata, anche in difetto di espressa menzione dei diritto d'uso nel contratto di alienazione, l'accessione del possesso agli effetti dell'art. 1146, comma 2, c.c. (nella specie, allo scopo di suffragare una maturata usucapione), occorrendo ai fini del cumulo dei distinti possessi del successore e del suo autore unicamente la prova di un 'titolo' astrattamente idoneo, ancorché invalido, a giustificare la "traditio" del medesimo oggetto del possesso. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto che l'accessione del possesso del diritto reale di uso dell'area di cortile antistante l'unità immobiliare di proprietà esclusiva, può realizzarsi in favore del successore a titolo particolare nella proprietà dell'immobile, unendo il proprio possesso a quello della società costruttrice, relativo all'uso esclusivo della porzione di cortile riservato dal regolamento condominiale).

Cass. civ. n. 17320/2020

La pattuizione avente ad oggetto l'attribuzione del cd. "diritto reale di uso esclusivo" su una porzione di cortile condominiale, costituente, come tale, parte comune dell'edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, idoneo ad incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall'art. 1102 c.c., è preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del "numerus clausus" dei diritti reali e della tipicità di essi. Ne consegue che il titolo negoziale che siffatta attribuzione abbia contemplato implica di verificare, nel rispetto dei criteri di ermeneutica applicabili, se, al momento di costituzione del condominio, le parti non abbiano voluto trasferire la proprietà ovvero, sussistendone i presupposti normativi previsti e, se del caso, attraverso l'applicazione dell'art. 1419 c.c., costituire un diritto reale d'uso ex art. 1021 c.c. ovvero, ancora se sussistano i presupposti, ex art. 1424 c.c., per la conversione del contratto volto alla creazione del diritto reale di uso esclusivo in contratto avente ad oggetto la concessione di un uso esclusivo e perpetuo (ovviamente "inter partes") di natura obbligatoria.

Cass. civ. n. 17320/2015

Il titolare del diritto reale d'uso ha diritto di servirsi della cosa e di trarne i frutti per il soddisfacimento dei bisogni propri e della propria famiglia, sì da poter ricavare dal bene, nel suo concreto esercizio, ogni utilità ricavabile. Ne consegue che l'ampiezza di tale potere, se può incontrare limitazioni derivanti dalla natura e dalla destinazione economica del bene, non può soffrire condizionamenti maggiori o ulteriori derivanti dal titolo. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso l'esistenza di qualunque diritto d'uso su una corte circostante un immobile oggetto di alienazione, senza però tener conto della natura rurale del fabbricato, della specifica distinta individuazione anche dei dati catastali di tale corte, nonché della facoltà di utilizzo attribuita al bene).

Cass. civ. n. 8507/2015

In tema di diritto d'uso, il divieto di cessione sancito dall'art. 1024 c.c. non è inderogabile, non avendo natura pubblicistica e attenendo a diritti patrimoniali disponibili, sicché nell'atto costitutivo del diritto il nudo proprietario e l'usuario possono derogare al vincolo d'incedibilità.

Cass. civ. n. 17643/2013

Il contratto in forza del quale il concessionario per l'occupazione di un'area demaniale e dello spazio d'acqua antistante ceda ad un terzo l'utilizzazione esclusiva, per un certo periodo di tempo e per un determinato corrispettivo, di un posto barca di un pontile compreso nella concessione, configura un contratto di ormeggio e non costituisce un diritto d'uso, con conseguente inapplicabilità del divieto di cessione di cui all'art. 1024 c.c..

Cass. civ. n. 3565/1989

Il divieto di cessione dei diritti di uso e di abitazione, sancita dall'art. 1024 c.c., non è di ordine pubblico e pertanto può essere oggetto di deroga ove espressamente convenuta tra il proprietario (costituente) e l'usuario, senza che la stessa possa desumersi, implicitamente, per il solo fatto che quest'ultimo, violando la norma, ceda il suo diritto a terzi.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1024 Codice Civile

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Anonimo chiede
giovedì 01/06/2023
“Rif. pratica Q202333674.
Con riferimento al mio ultimo ticket del 30/05/2023, mi dite che costituisce un quesito nuovo (con Vostra comunicazione del 31/05/2023), pertanto la riscrivo:
-Io avrei pensato di vendere il mio appartamento "IN NUDA PROPRIETA" riservandomi il diritto di abitarci. In questo modo in Catasto risulterò di avere solo questo diritto che non è pignorabile (Ho preso informazioni da un Notaio di mia conoscenza in questi ultimi giorni). Chi acquista diventerà proprietario alla mia morte.
In questo modo spero non ci sarà un'azione revocatoria, spero, sempre con riferimento alla mia prima richiesta, nel caso io perdessi la causa in Cassazione.”
Consulenza legale i 08/06/2023
Quanto asserito dal notaio è certamente corretto, ma presenta pur sempre degli inconvenienti di cui adesso si tratterà.
Innanzitutto va confermata l’impignorabilità del diritto di abitazione che ci si andrebbe a riservare sull’immobile di cui verrebbe alienata la sola nuda proprietà.
Infatti, il diritto di abitazione, quale previsto dal codice civile vigente, presenta un contenuto ed una disciplina tipica sottratta alla disponibilità delle parti e consiste, come sottospecie del diritto d’uso, nel diritto di utilizzo di un immobile come abitazione limitatamente ai bisogni propri e della propria famiglia.

Sotto il profilo che qui interessa, se costituito con atto negoziale, sarà destinato ex artt. 2643 n. 4 e 2644 c.c. a gravare la proprietà del bene e potrà essere opposto ai successivi acquirenti o aventi causa dal proprietario che abbiano trascritto il proprio titolo successivamente alla sua trascrizione (ivi compresi eventuali creditori).
Secondo una tesi sostanzialmente uniforme e consolidata, le norme contenute nel codice civile disegnano il diritto di abitazione come un diritto insuscettibile di autonoma espropriazione, in tal senso dovendosi argomentare dalle seguenti disposizioni:
a) l’art. 1024 c.c., il quale, dopo che gli artt. 1021, 1022 e 1023 c.c. definiscono sinteticamente il diritto di uso e di abitazione, dispone che gli stessi non si possono cedere o dare in locazione;
b) l’art. 2810 del c.c. (relativo ai beni oggetto di ipoteca) e gli artt. 2814, 2815 e 2816 c.c. (norme che disciplinano l’ipoteca sull’usufrutto e sulla nuda proprietà, sul diritto dell’enfiteuta e su quello del concedente, sul diritto di superficie e su quello del proprietario del suolo), ignorano del tutto i diritti reali minori di uso e di abitazione, oltre che le servitù.

In conseguenza di tale ricostruzione e della sua insuscettibilità di ipoteca, si deve ritenere che il diritto di abitazione non può essere oggetto di sequestro o pignoramento, e ciò per la assoluta impossibilità di circolazione autonoma del diritto reale per atto del suo titolare e/o dei suoi creditori.
Sotto questo profilo, dunque, non può che concordarsi con quanto asserito dal notaio a cui ci si è rivolti.
Tuttavia, vi è un altro aspetto di questa medesima costruzione negoziale che si vorrebbe porre in essere di cui non si può non tenere conto e si tratta del rischio, a cui anche in questo caso ci si espone, di poter subire l’esercizio di un’azione revocatoria ordinaria.

Si ritiene superfluo in questa sede ripetere quanto già è stato detto, in occasione della precedente consulenza, in ordine ai presupposti ed alle condizioni richieste per il vittorioso esperimento di tale azione, in particolare nel caso in cui l’atto dispositivo che si intenda revocare sia stato posto in essere prima dell’insorgere della situazione debitoria dello stesso disponente.
In particolare, per quanto concerne il presupposto dell’eventus damni, si è detto che questo deve sussistere solo al momento di compimento dell’atto e che si sostanzia nelle conseguenze dello stesso sul patrimonio del debitore che costituisce la garanzia dei creditori.
Esso consiste, sostanzialmente, nel pregiudizio arrecato dall’atto di disposizione alla garanzia patrimoniale che assiste il credito e ricorre non solo quando l’atto determini un danno effettivo, ma anche quando comporti un semplice pericolo di danno, quale una maggiore difficoltà, incertezza o dispendiosità nell’esazione coattiva del credito.

Il danno o pericolo di danno possono concernere sia l’entità della responsabilità patrimoniale (che può essere pregiudicata da diminuzioni o pericoli di diminuzioni di beni) sia la qualità dei beni su cui cade, che può essere pregiudicata dalla sostituzione di beni facilmente aggredibili esecutivamente e non distraibili dal debitore, con beni distraibili (es. il denaro), oppure non facilmente aggredibili.
A ciò si aggiunga che sono assoggettabili ad azione revocatoria non solo gli atti dispositivi in grado di determinare sul momento una diminuzione del patrimonio del debitore, ma anche quelli che possono comprometterne in futuro la consistenza.

Sotto questo profilo, dunque, la giurisprudenza è dell’idea che configurano un pregiudizio revocatorio tutti gli atti dispositivi in grado di escludere i beni del debitore dall’azione esecutiva dei creditori, anche nel caso in cui la quantità permanga invariata, quale proprio l’alienazione della sola nuda proprietà di un immobile con riserva di usufrutto o del diritto di abitazione.
In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione, Sez. II con sentenza n. 7179/2018, ma anche più di recente la giurisprudenza di merito, e precisamente Tribunale di Latina, sentenza n. 60/2023 del 13.01.2023, decisioni nel corpo delle quali si richiama la seguente massima ricorrente in giurisprudenza:
…in tema di azione revocatoria ordinaria, ai fini dell’integrazione del profilo dell’eventus damni, non è necessario che l’atto di disposizione compiuto dal debitore abbia reso impossibile la realizzazione del credito, ma è sufficiente che tale atto abbia determinato una maggiore difficoltà od incertezza nell’esazione coattiva del credito medesimo..” (così Cass. 17.10.2001 n. 12678; Cass. 02.04.2004 n. 6511; Cass. 23.02.2004 n. 3546; Cass. 05.02.2013 n. 2651).

In conclusione, dunque, sebbene il suggerimento dato dal notaio possa essere corretto sotto il profilo della impossibilità giuridica di aggredire esecutivamente il diritto di abitazione che l’alienante si viene a riservare sull’immobile, il compimento di tale atto non può impedire al futuro e potenziale creditore di agire in revocatoria, per far dichiarare lo stesso inefficace nei suoi soli confronti.


G. C. chiede
sabato 21/01/2023 - Marche
“Il titolare del diritto di proprietà gravata dal diritto di abitazione (soggetto X) e il titolare del diritto di abitazione (soggetto Y) vorrebbero vendere contestualmente, nel medesimo atto, i due diritti.
A norma art. 1024 la vendita del diritto di abitazione non è possibile, ma se eseguita nel medesimo atto e previa ''autorizzazione-concessione'' del proprietario gravato del diritto di abitazione, sembra che sia possibile a norma cassaz. n. 3565 del 31 luglio 1989 e prima cassaz.25 marzo 1960, n. 637; Cass. 18 ottobre 1961, n. 2217; Cass. 13 settembre 1963, n. 2502.
Chiedo conferma dell'interpretazione e se va bene una scrittura privata in cui il proprietario autorizzi la vendita del diritto di abitazione prima della stipula dei compromessi e poi dell'atto di compravendita.”
Consulenza legale i 27/01/2023
Il diritto di abitazione è un diritto reale disciplinato dall’art. 1021 del c.c. e seguenti e attribuisce al titolare il diritto di abitare la casa limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia.

Il diritto di abitazione non è cedibile ai sensi dell’art 1024 c.c.
La dottrina e la giurisprudenza hanno però rilevato che tale disposizione normativa non ha natura pubblicistica e quindi non è inderogabile (Cass civ. n. 8507/2015).
Il nudo proprietario e il titolare del diritto di abitazione possono convenire di derogare al divieto stipulando un apposito negozio.

La Corte suprema ha anche sancito come tale deroga non possa desumersi implicitamente con la cessione al terzo senza che ci sia un accordo esplicito tra le parti perché, se bastasse la semplice cessione, si svuoterebbe di senso la disposizione normativa (Cass. civ. n. 3565/1989).

Si ritiene che sia corretta la sottoscrizione di una scrittura privata tra il proprietario della casa e il titolare del diritto reale di abitazione, prima del preliminare di compravendita, in cui le parti dichiarano di derogare al divieto di cessione previsto dall’art. 1024 c.c.
Si consiglia, in ogni caso, di rivolgersi al Notaio che stipulerà l’atto di compravendita, prima di sottoscrivere il preliminare, chiedendo conferma sulla correttezza dell’accordo di deroga e sulla conseguente validità dell’alienazione del diritto reale.

Simone A. chiede
lunedì 15/11/2021 - Trentino-Alto Adige
“Spett. Redazione Giuridica di Brocardi.it, buongiorno.
Sottopongo alla Vs cortese attenzione questione attinente l'art. 1024 c.c..

Nel prossimo futuro con mia moglie e i miei genitori (pertanto n. 4 conduttori) avremmo intenzione di sottoscrivere un contratto di locazione ai sensi della Legge 9 dicembre 1998, n. 431, articolo 2, comma 3, per un edificio costituito da n. 2 unità abitative più un piano seminterrato adibito a garage e locali deposito.
Tale edificio vede un soggetto proprietario ed un secondo soggetto – diverso dal primo - titolare di "diritto d'abitazione" (non è chiaro se per l'intero edificio o solamente per una unità immobiliare). Il secondo soggetto non vive nell'edificio per il quale ha il diritto d'abitazione e che dovrebbe essere oggetto di locazione, ma essendo invalido vive insieme al proprietario, in un edificio poco distante da quello qui descritto. Allo stesso tempo il soggetto titolare del diritto d'abitazione ha mantenuto, nell'abitazione per la quale ha il diritto d'abitazione, la propria residenza.
Dalla nota 1 all'articolo di che trattasi deduco che la locazione, anche in presenza di un diritto d'abitazione, non è vietata, per cui dovremmo poter procedere – come da intenzioni – alla stipula del contratto di locazione. Dalla bozza di contratto redatta da intermediario immobiliare i locatari sarebbero entrambi i soggetti (il proprietario e la persona invalida che detiene il diritto d'abitazione).
Mi sorge un dubbio: dovrei far inserire nel contratto di locazione una dicitura particolare, oppure un richiamo all'atto con il quale si è concesso il diritto d'abitazione, affinché il mio (nostro) contratto di locazione sia valido ed efficace al 100%? é necessaria invece qualche altra azione da parte di noi potenziali conduttori?

Grazie del riscontro, cordiali saluti.”
Consulenza legale i 22/11/2021
Il diritto di abitazione, previsto dagli artt. 1022 e ss. c.c., è un diritto reale di godimento, funzionale a soddisfare le esigenze abitative del suo titolare e della di lui famiglia.
In proposito la Cassazione (Sez. II Civ., sentenza 27/06/2014, n. 14687) ha chiarito che il limite sancito dall'art. 1022 c.c. riguardo ai bisogni del titolare e della sua famiglia deve essere inteso come divieto di utilizzo della casa in altro modo che per l'abitazione diretta dell'"habitator" e dei suoi familiari.
In quest’ottica, l’art. 1024 c.c. vieta, appunto, la cessione e la concessione in locazione del diritto di abitazione, così come del diritto di uso. Ora, la norma fa riferimento - per quanto qui specificamente interessa - alla concessione in locazione del diritto stesso: è evidente, però, alla luce di quanto detto sopra, che la natura stessa del diritto impone al titolare di non utilizzare l’immobile per scopi diversi dall’abitarvi.
Tuttavia la giurisprudenza, peraltro risalente (Cass. Civ., Sez. II, 31/07/1989, n. 3565), ha precisato che “il divieto di cessione dei diritti di uso e di abitazione, sancita dall'art. 1024 c. c., non è di ordine pubblico e pertanto può essere oggetto di deroga ove espressamente convenuta tra il proprietario (costituente) e l'usuario, senza che la stessa possa desumersi, implicitamente, per il solo fatto che questo ultimo, violando la norma, ceda il suo diritto a terzi”.
Pertanto, tornando al nostro caso, occorrerebbe esaminare l’atto costitutivo del diritto di abitazione, al fine di verificare se una simile deroga sia stata espressamente prevista tra le facoltà dell’habitator. Al di là di ciò, comunque, la partecipazione del proprietario dell’immobile alla stipula del contratto di locazione dovrebbe sanare ogni dubbio; per maggiore tranquillità, si potrebbe inserire in tale ultimo atto l’espressa autorizzazione del proprietario alla concessione in godimento del bene.