(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)
469 Una questione molto dibattuta sotto il codice del 1865 era quella relativa alla cedibilità del diritto di usufrutto. Chi la negava faceva richiamo all'art. 492, il quale dichiarava cedibile il semplice esercizio; chi sosteneva la soluzione opposta moveva principalmente dalla considerazione che l'art. 1967 dichiarava l'usufrutto capace di ipoteca e che questa ipotecabilità si risolveva in un'alienazione potenziale. Per quanto l'incedibilità del diritto di usufrutto possa sembrare più in armonia con l'intuitus personae che ha il costituente di questo diritto, e per quanto l'incedibilità, affermata da una tradizione più volte secolare, sia ancora tenuta ferma anche dalle più moderne legislazioni straniere, mi sono indotto ad accogliere esplicitamente (
art. 980 del c.c.) la seconda soluzione, sostenuta pure da autori insigni, proposta nel progetto della Commissione Reale e approvata dalla Commissione delle Assemblee legislative, indubbiamente più coerente con il principio dell'ipotecabilità dell'usufrutto. Si aggiunge per altro nell'art. 980, primo comma, che la cessione può essere vietata dall'atto costitutivo. La cessione produce effetto solo per la durata del diritto, e cioè non oltre la vita del cedente o il più breve termine stabilito dal titolo. Quanto agli effetti della cessione sugli obblighi dell'usufruttuario, ho stabilito che essa deve essere notificata al proprietario perché sia liberato il cedente. Al fine poi di assicurare l'adempimento di questa norma ho affermato la responsabilità solidale dell'usufruttuario e del cessionario verso il proprietario, finché la notificazione non sia eseguita (art. 980, secondo comma). Non ho fatto menzione dell'inalienabilità dell'usufrutto legale, poiché questa è già espressamente sancita dall'art. 326, il quale esclude pure che l'usufrutto legale possa essere oggetto di pegno, d'ipoteca o di esecuzione da parte dei creditori.