La temporaneità dell'usufrutto
Carattere essenziale dell'usufrutto è la
temporaneità, non potendosi ammettere che la separazione fra nuda proprietà e usufrutto possa durare in perpetuo. Ma tale carattere è accentuato dalla legge, la quale inderogabilmente stabilisce il termine massimo di durata del diritto, che per le persone fisiche coincide con la morte e per le persone giuridiche non può superare il trentennio, salvo che non si verifichi prima l'estinzione dell'ente. La Commissione Reale aveva proposto una notevole innovazione con una norma che concedeva alle parti di stipulare la durata dell'usufrutto per un termine non superiore a trent'anni, nel qual caso, se l'usufruttuario fosse morto prima della scadenza del termine, l'usufrutto si sarebbe trasmesso agli eredi per il tempo residuo. La proposta, che pure era stata approvata dalla Commissione delle Ass. Leg. ed era ispirata al fine di favorire le iniziative dell'usufruttuario per una migliore utilizzazione della cosa, non è stata accolta nel testo legislativo, essendo sembrato «
antieconomico consentire un prolungamento dello stato di disintegrazione della proprietà, nel quale il titolare di questo diritto non ne ha l'esercizio ».
La morte dell'usufruttuario. Usufrutto congiuntivo e successivo
Quando le parti o il testatore hanno apposto un termine alla durata dell'usufrutto, è chiaro che l'estinzione del diritto per scadenza del termine è subordinata al fatto che prima non si sia verificata la
morte dell'usufruttuario. Il codice del 1865 stabiliva (art. 517) che se il termine fosse stato stabilito con riferimento al raggiungimento di una data età da parte di una terza persona, l'usufrutto continuava, malgrado la morte di questa, fino al tempo in cui essa avrebbe raggiunto l’ età determinata. La norma non è stata riprodotta nel nuovo codice probabilmente perché la questione è sembrata di natura essenzialmente interpretativa e come tale da affidarsi all'apprezzamento del giudice. Ma non v’è dubbio che normalmente l'intento pratico delle parti sarà nel senso di non condizionare la durata dell'usufrutto alla permanenza in vita del terzo.
Alla morte dell'usufruttuario va parificata, ai fini della consolidazione della proprietà e dell'usufrutto, la
dichiarazione di morte presunta del titolare dell' usufrutto (
art. 58 del c.c.), salva la possibilità che, per effetto del ritorno del presunto morto, si consideri non avvenuta l’ estinzione dell'usufrutto medesimo.
Il principio per cui l'usufrutto si estingue in ogni caso con la morte dell'usufruttuario deve essere ulteriormente precisato per il caso in cui il diritto sia stato attribuito congiuntamente o successivamente a più persone. Se
l'usufrutto è attribuito congiuntamente a più persone, il principio generale è che con la morte di ciascuna di esse l'usufrutto si estingue
pro parte. Ma se l'usufrutto congiuntivo su una cosa è stato costituito mediante disposizione testamentaria e il testatore non ha diversamente disposto, allora opera l'accrescimento e perciò l'usufrutto si estingue soltanto con la morte dell'ultimo dei cousufruttuari (
art. 678 del c.c.). Se invece l'usufrutto congiuntivo e costituito per atto inter vivos a titolo gratuito, l'accrescimento può operare solo se è stato disposto dal donante nel contratto di donazione (
art. 796 del c.c.). Altrettanto si può dire, malgrado la questione non sia pacifica, nel caso in cui il titolo costitutivo dell' usufrutto sia un contratto a titolo oneroso: in tal caso non pare si debba escludere che d’ accordo fra ii costituente e i cousufruttuari si possa stabilire che operi 1' accrescimento.
Se la legge ammettesse incondizionatamente la validità dell'usufrutto successivo, allora il carattere di temporaneità del diritto e la correlativa esigenza di limitare nel tempo la disintegrazione della proprietà sarebbero gravemente pregiudicate. Perciò
la legge è piuttosto ostile ad ammettere l'usufrutto successivo. Questo non può essere costituito per disposizione testamentaria (art. 224 del Libro delle Successioni) ed è ammesso in limiti ben definiti nel caso di donazione con riserva di usufrutto (
art. 796 del c.c.). È da ritenersi che quest'ultima norma secondo la quale «
è permesso al donante di riservare l'usufrutto dei beni donati a proprio vantaggio, e dopo di lui a vantaggio di un'altra persona o anche di più persone ma non successivamente trovi applicazione anche al caso in cui si tratti di donazione di usufrutto che il proprietario faccia a un terzo ». Probabilmente però il divieto dell'usufrutto successivo non ha senso nei contratti a titolo oneroso, quando i successivi usufruttuari sono persone determinate che prendono parte direttamente al contratto ovvero sono beneficiari di un'attribuzione a loro favore.
Quando l'usufruttuario è una
persona giuridica, l'usufrutto, come si è accennato, non può avere una durata maggiore del trentennio e a tale durata si riduce l'usufrutto che sia stato stabilito per un termine maggiore. Naturalmente se prima dello scadere del termine la persona giuridica si estingue, anche l'usufrutto si estingue. Non si produce invece l'effetto estintivo del diritto di usufrutto nel caso di trasformazione dell'ente (
art. 26 del c.c.).
Si può dubitare se la limitazione dell' usufrutto al trentennio operi anche nel caso in cui l'usufrutto sia costituito a favore di una
società commerciale: problema questo che viene complicato dal nuovo sistema del codice che, se riconosce espressamente la personalità giuridica alle società per azioni e a quelle a responsabilità limitata con effetto dal momento della iscrizione di esse nel registro delle società (
art. 2463 del c.c. e ss.), sembra escluda la personalità per gli altri tipi di società.
Ora per quanto riguarda le società considerate come persone giuridiche non vi è dubbio che il limite del trentennio trovi senz'altro la sua applicazione sia nel caso di usufrutto costituito da un estraneo a favore della società a titolo gratuito od oneroso, sia nel caso di usufrutto che rappresenti il conferimento di uno dei soci.
Invece per quanto riguarda le
società che non sono persone giuridiche l'usufrutto si deve intendere costituito a favore di tutti i soci (il che non può essere in contrasto con l'autonomia patrimoniale che pure a quelle società e riconosciuta) e perciò durerà sino allo scioglimento della società ovvero sino al momento in cui muoiono tutti i soci che ne erano stati investiti (o quelli la cui morte importa scioglimento della società) fra i quali opererà, in base al normale intento) delle parti, l'accrescimento.