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Articolo 554 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Riduzione delle disposizioni testamentarie

Dispositivo dell'art. 554 Codice Civile

Le disposizioni testamentarie(1) eccedenti la quota [537-548] di cui il defunto poteva disporre [556 c.c.] sono soggette a riduzione nei limiti della quota medesima(2) [558, 2652 n. 8, 2690 n. 5 c.c.].

Note

(1) Le disposizioni testamentarie lesive si riducono, dopo le quote legittime, secondo le modalità indicate dall'art. 558 del c.c..
(2) Si riducono anche le disposizioni sottoposte a condizione (v. art. 1353 del c.c.). L'azione è esperibile quando la condizione sospensiva si verifica o quando quella risolutiva viene meno.

Ratio Legis

La volontà del testatore viene salvaguardata il più possibile in quanto le disposizioni testamentarie si riducono solo dopo aver ridotto le quote degli eredi legittimi e solo nella misura necessaria per reintegrare i legittimari nei propri diritti.

Brocardi

Actio ad integrandam legitimam

Spiegazione dell'art. 554 Codice Civile

Sulla disposizione va formulato un solo rilievo, peraltro di speciale importanza per le conseguenze che ne dipendono circa la struttura della successione necessaria. Nella norma in esame si dice che le disposizioni testamentarie lesive sono ridotte nel limite della disponibile, mentre, nell’articolo successivo, si dice che le donazioni lesive sono riducibili in quel limite. Bisogna credere che la formula più energica della disposizione ora in esame, come quella ancora più energica dell’art. #823# del codice precedente ("sono senza effetto"), non debba far pensare a un automatismo, il quale non sussiste per la riduzione delle disposizioni testamentarie, più che per quella delle donazioni. Quelle, al pari di queste, sono efficaci finché non siano ridotte ad iniziativa del legittimario. Infatti, il legittimario può chiedere la riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie: ciò significa che anche queste non sono inefficaci ipso iure e che la riduzione opera identicamente nelle due ipotesi.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 554 Codice Civile

Cass. civ. n. 36990/2022

Il legittimario che agisca in riduzione ha l'onere di precisare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, indicando gli elementi patrimoniali che contribuiscono a determinare il valore della massa ereditaria nonché, di conseguenza, quello della quota di legittima violata. L'onere di allegazione è soddisfatto una volta che, richiamata la quota di legittima prevista per legge, il legittimario assuma che, per effetto delle disposizioni testamentarie ovvero in conseguenza delle donazioni poste in essere in vita in favore di altri soggetti, ed al netto di quanto ricevuto dall’erede, residui una lesione. Non può, invece, imporsi anche la quantificazione in termini di valore dei vari elementi destinati ad essere presi in considerazione ai fini della precisazione del relictum e del donatum, né che l'individuazione della lesione debba avvenire in termini aritmetici con una sua precisa indicazione numerica, essendo viceversa sufficiente che si sostenga che, proprio alla luce del complesso assetto patrimoniale del defunto, quale scaturente dalle vicende successorie, il valore attivo pervenuto al legittimario sia inferiore a quanto gli compete per legge. Il giudice deve procedere alle operazioni di riunione fittizia prodromiche al riscontro della lesione sulla base delle indicazioni complessivamente provenienti dalle parti, nei limiti processuali segnati dal regime delle preclusioni per l'attività di allegazione e di prova. Deve ritenersi, dunque, irritualmente proposta la domanda di riduzione ove difetti l’indicazione della massa e del valore e dell’entità della lesione.

Cass. civ. n. 39368/2021

In caso di lesione della quota di legittima, il legittimario, pur potendo eliminare la lesione attraverso la sola collazione, può altresì esercitare contestualmente l'azione di riduzione verso il coerede donatario, atteso che soltanto l'accoglimento di tale domanda può assicurargli l'assegnazione dei beni in natura, sia attraverso il subentro nella comunione ereditaria quando la disposizione testamentaria lesiva non riguardi singoli beni, sia attraverso il subentro nella comunione di singoli beni, come dimostrato dall'art. 560 c.c., che, nel disciplinarne lo scioglimento, prevede, in via preferenziale, la separazione della parte di bene necessaria per soddisfare il legittimario e, in caso di impossibilità della separazione in natura e dunque di non comoda divisibilità del bene, l'applicazione dei criteri preferenziali specificamente individuati dal comma 2, in deroga a quelli di carattere generale di cui all'art.720 c.c..

Cass. civ. n. 32197/2021

L'azione di riduzione non dà luogo a litisconsorzio necessario, né dal lato attivo né dal lato passivo, e può, quindi, essere esercitata nei confronti di uno solo degli obbligati alla integrazione della quota spettante al legittimario; tuttavia, qualora quest'ultimo non abbia attaccato tutte le disposizioni testamentarie lesive, non potrà recuperare, a scapito dei convenuti, la quota di lesione a carico del beneficiario che egli non abbia voluto o potuto convenire in riduzione, e potrà pretendere dai donatari solo l'eventuale differenza tra la legittima, calcolata sul "relictum" e il "donatum", e il valore dei beni relitti - giacché la loro sufficienza libera i donatari da qualsiasi pretesa - né potrà recuperare a scapito di un donatario anteriore quanto potrebbe pretendere dal donatario posteriore, giacché se la donazione posteriore è capiente le anteriori non sono riducibili, ancorché la prima non sia stata attaccata in concreto dall'azione.

Cass. civ. n. 18468/2020

L'azione di divisione ereditaria e quella di riduzione sono fra loro autonome e diverse, perché la prima presuppone la qualità di erede e l'esistenza di una comunione ereditaria che si vuole sciogliere, mentre la seconda implica la qualità di legittimario leso nella quota di riserva ed è diretta alla reintegra in essa, indipendentemente dalla divisione; ne consegue che la domanda di divisione e collazione non può ritenersi implicitamente inclusa in quella di riduzione, sicché una volta proposta la domanda di riduzione, quella di divisione e collazione, avanzate nel corso del giudizio di primo grado con le memorie ex art. 183 c.p.c., sono da ritenersi nuove e, come tali, inammissibili ove la controparte abbia sul punto rifiutato il contraddittorio.

Cass. civ. n. 18199/2020

Nel caso di esercizio dell'azione di riduzione, il legittimario, ancorché abbia l'onere di precisare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, indicando gli elementi patrimoniali che contribuiscono a determinare il valore della massa ereditaria nonché, di conseguenza, quello della quota di legittima violata, senza che sia necessaria all'uopo l'indicazione in termini numerici del valore dei beni interessati dalla riunione fittizia e della conseguente lesione, può, a tal fine, allegare e provare, anche ricorrendo a presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della riserva. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 27/04/2017).

Cass. civ. n. 18280/2017

In tema di successione necessaria, ove la lesione della legittima sia determinata dall'alienazione a terzi, ad opera dell'erede o del legatario, di beni oggetto di disposizione testamentaria, legittimato passivo rispetto all'azione di riduzione esperita dal legittimario è soltanto il beneficiario della disposizione testamentaria lesiva della legittima, e non anche i possessori dei beni con cui questa deve essere reintegrata - i quali, al contrario, sono legittimati passivi rispetto alla domanda di restituzione conseguente al vittorioso esperimento della prima azione - avendo l'azione di riduzione comunque ad oggetto i beni appartenenti al "de cuius", sebbene già alienati, atteso che l'effetto della pronunzia è comunque quello di rendere inefficace nei confronti del legittimario la disposizione lesiva, e ciò anche nei confronti degli eventuali terzi acquirenti, salvi, nei confronti di costoro, gli effetti derivanti dall'omessa trascrizione della domanda di riduzione, ex art. 2652, n. 8, c.c..

Cass. civ. n. 9192/2017

L'azione di divisione ereditaria e quella di riduzione sono fra loro sostanzialmente diverse, perché la prima presuppone l'esistenza di una comunione tra gli aventi diritto all'eredità che, invece, non sussiste nella seconda, ove il "de cuius" ha esaurito il suo patrimonio in favore di alcuni di tali aventi diritto, con esclusione degli altri, mediante atti di donazione o disposizioni testamentarie. Ne consegue che la domanda di riduzione, pur potendo essere proposta in via subordinata rispetto a quella di divisione, la quale ha, rispetto alla prima, carattere pregiudiziale, non è implicitamente inclusa in quest'ultima sicché, se presentata per la prima volta nel corso del giudizio di scioglimento della comunione, va considerata come domanda nuova, stante la diversità di "petitum" e "causa petendi".

Cass. civ. n. 7237/2017

In tema di divisione ereditaria, poiché, ai fini dell'individuazione della domanda proposta, non può prescindersi dalla disamina congiunta della “causa petendi” e del “petitum”, se, sotto il primo profilo, la parte ha fatto riferimento alla possibilità di donazioni lesive della quota di legittima, non può ritenersi che sia stata proposta un’azione di riduzione ove il "petitum" rientri in quello dell'azione di divisione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che era stata proposta solo la domanda di divisione ereditaria, in quanto l'autonoma domanda di riduzione avrebbe dovuto essere formulata espressamente ed, inoltre, la parte aveva richiesto di includere nel patrimonio da dividere, oltre al "relictum", anche il preteso "donatum", risultato assicurato dal diverso istituto della collazione) .

Cass. civ. n. 1884/2017

In tema di azione di riduzione per la reintegrazione della quota riservata ai legittimari, nell'ipotesi in cui il relativo obbligo di restituzione debba essere posto a carico di più persone, su un medesimo bene ad esse donato o attribuito per quote ideali, non è configurabile un obbligo solidale dei soggetti tenuti alla restituzione, atteso che, in ragione del carattere personale di tale azione, la riduzione deve operarsi in misura proporzionale all’entità delle rispettive attribuzioni ed i vari beneficiari sono, pertanto, tenuti a rispondere soltanto nei limiti ed in proporzione del valore di cui si riduce l’attribuzione o la quota a suo tempo conseguita da ciascuno di essi.

Cass. civ. n. 24755/2015

All'attore in riduzione che sia reintegrato nella quota di legittima in natura - com'è necessario, salve le eccezioni ex art. 560, commi 2 e 3, c.c. - spettano "pro quota" i frutti dei beni ereditari dall'apertura della successione, dovendo inoltre il giudice disporre in capo a lui la trascrizione immobiliare della quota di comproprietà sui beni stessi, adeguatamente individuati.

Cass. civ. n. 24751/2013

Il giudicato che si forma sulla pronuncia di riduzione di disposizioni testamentarie non si estende nei confronti del legatario, il cui acquisto prescinde dall'accettazione e non dipende dalla situazione giuridica definita in quel processo.

Cass. civ. n. 20143/2013

Il legittimario leso può rinunciare all'azione di riduzione delle disposizioni lesive della sua quota di riserva, anche tacitamente, purché in base ad un comportamento inequivoco e concludente, dovendosi tuttavia escludere che la mancata costituzione nel giudizio di scioglimento della comunione ereditaria, promosso da altro coerede, esprima di per sé la volontà della parte convenuta contumace di rinunciare a far valere, in separato giudizio, il suo diritto alla reintegrazione della quota di eredità riservatale per legge.

In considerazione dell'autonomia e della diversità dell'azione di divisione ereditaria rispetto a quella di riduzione, il giudicato sullo scioglimento della comunione ereditaria in seguito all'apertura della successione legittima non comporta un giudicato implicito sulla insussistenza della lesione della quota di legittima, sicché ciascun coerede condividente, pur dopo la sentenza di divisione divenuta definitiva, può esperire l'azione di riduzione della donazione compiuta in vita dal "de cuius" in favore di altro coerede dispensato dalla collazione, chiedendo la reintegrazione della quota di riserva e le conseguenti restituzioni.

In tema di successione necessaria, il diritto alla reintegrazione della quota, vantato da ciascun legittimario, è autonomo nei confronti dell'analogo diritto degli altri legittimari, spettando a ciascuno di essi solo una frazione della quota di riserva, sicché il giudicato sull'azione di riduzione promossa vittoriosamente da uno dei legittimari - se non può avere l'effetto di operare direttamente la reintegrazione spettante agli altri che abbiano preferito, pur essendo stati evocati nel processo di divisione contemporaneamente promosso, rimanere per questa parte inattivi - non preclude ad altro legittimario di agire separatamente, nell'ordinario termine di prescrizione, con l'azione di reintegrazione della quota di riserva per la parte spettantegli.

Cass. civ. n. 14473/2011

In materia di successione testamentaria, il legittimario che propone l'azione di riduzione ha l'onere di indicare entro quali limiti è stata lesa la sua quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria nonché il valore della quota di legittima violata dal testatore. A tal fine, ha l'onere di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva oltre che proporre, sia pure senza l'uso di formule sacramentali, espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione della medesima mediante il calcolo della disponibilità e la susseguente riduzione delle donazioni compiute in vita dal "de cuius".

Cass. civ. n. 368/2010

In materia di successione ereditaria, l'erede legittimario che sia stato pretermesso acquista la qualità di erede soltanto dopo il positivo esercizio dell'azione di riduzione; ne consegue che, prima di questo momento, egli non può chiedere la divisione ereditaria né la collazione dei beni, poiché entrambi questi diritti presuppongono l'assunzione della qualità di erede e l'attribuzione congiunta di un asse ereditario.

Cass. civ. n. 27556/2008

Il legittimario pretermesso acquista la qualità di chiamato all'eredità solo dal momento della sentenza che accoglie la sua domanda di riduzione, rimuovendo l'efficacia preclusiva delle disposizioni testamentarie lesive della legittima, in sé non nulle né annullabili; consegue che, anteriormente all'accoglimento della domanda di riduzione, l'erede pretermesso non è legittimato a succedere al defunto nel rapporto processuale da questo instaurato, non essendo qualificabile come successore a titolo universale, ai sensi dell'art. 110 cod. proc. civ.

Cass. civ. n. 12496/2007

Il legittimario totalmente pretermesso dall'eredità, che impugna per simulazione un atto compiuto dal de cuius a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, agisce in qualità di terzo e non in veste di erede, condizione che acquista solo in conseguenza del positivo esercizio dell'azione di riduzione, ai cui fini non è tenuto alla preventiva accettazione dell'eredità con beneficio di inventario. (Sulla base di tali principi la S.C. ha ritenuto che correttamente il giudice di merito avesse ritenuto inopponibile ai legittimari la sentenza, intervenuta fra il de cuius e l'erede, con la quale era stata accertato in favore di quest'ultimo l'usucapione del bene. Peraltro la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, in quanto, dopo aver escluso che nella fattispecie oggetto della sentenza di accertamento dell'usucapione riconnesso gli estremi formali di una donazione, non aveva verificato se ricorressero quella della donazione indiretta).

Cass. civ. n. 13429/2006

In tema di successione necessaria, l'individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari ed ai singoli legittimari appartenenti alla medesima categoria va effettuata sulla base della situazione esistente al momento dell'apertura della successione e non di quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o per prescrizione, dell'azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari.

Cass. civ. n. 27414/2005

L'azione di riduzione della disposizione testamentaria lesiva della quota di legittima ha natura personale, e, pertanto, nel relativo giudizio, non debbono essere convenuti, come litisconsorti necessari, tutti i legittimari, essendo necessaria la sola presenza in causa della persona che ha beneficiato della disposizione testamentaria che si assume lesiva.

Cass. civ. n. 19527/2005

Qualora il de cuius abbia integralmente esaurito in vita il suo patrimonio mediante atti di donazione, sacrificando totalmente un erede necessario, il legittimario che intenda conseguire la quota di eredità a lui riservata dalla legge non ha altra via che quella di agire per la riduzione delle donazioni lesive dei suoi diritti, giacché – non sorgendo alcuna comunione ereditaria in assenza di un asse da dividere – egli solo dopo il vittorioso esperimento dell'azione di riduzione è legittimato a promuovere e a partecipare alle azioni nei confronti degli altri eredi per ottenere la porzione in natura del compendio ereditario. Pertanto, salva l'ipotesi in cui il legittimario totalmente pretermesso, facendo valere la nullità delle donazioni, anche eventualmente dissimulate sotto la figura di un negozio oneroso, intenda dimostrare che i beni non sono usciti dal patrimonio ereditario, deve essere qualificata come azione di riduzione quella dal medesimo esercitata per la declaratoria dell'inefficacia del trasferimento della proprietà dei beni anche se ad altro erede necessario, oltre che ad un terzo, non potendo egli agire nella mera qualità di successore legittimo del de cuius per il recupero all'asse ereditario di beni validamente donati.

Cass. civ. n. 9424/2003

La riduzione della disposizione testamentaria conseguente all'accoglimento della domanda del legittimario che si ritenga leso nella sua quota di riserva, non derivando da un vizio di nullità dell'atto dispositivo, rende tale atto soltanto inefficace ex nunc nei confronti del legittimario vittorioso, sicché, fino a quando non sia intervenuta la pronuncia di accoglimento della domanda di riduzione, le disposizioni testamentarie (come anche le donazioni) lesive della quota di legittima conservano ed esplicano la loro efficacia. Ne consegue che la controversia relativa all'azione di riduzione non si pone in rapporto di pregiudizialità necessaria con la domanda di liquidazione della quota di capitale sociale oggetto di disposizione testamentaria suscettibile di riduzione in caso di accoglimento della domanda proposta dal legittimario che si ritenga leso, non potendosi comunque verificare il contrasto di giudicati.

Cass. civ. n. 5323/2002

La riduzione della disposizione testamentaria conseguente all'accoglimento della domanda del legittimario che si ritenga leso nella sua quota di riserva, non derivando da un vizio di nullità dell'atto dispositivo, rende tale atto soltanto inefficace ex nunc nei confronti del legittimario vittorioso, sicché, fino a quando non sia intervenuta la pronuncia di accoglimento della domanda di riduzione, le disposizioni testamentarie o le donazioni lesive della quota di legittima esplicano la loro efficacia. Ne consegue che la controversia relativa all'azione di riduzione non si pone in rapporto di pregiudizialità necessaria con la domanda di rilascio di un bene oggetto di disposizione testamentaria suscettibile di riduzione in caso di accoglimento della domanda proposta dal legittimario che si ritenga leso, non potendosi comunque verificare il contrasto di giudicanti.

Cass. civ. n. 14864/2000

L'esercizio dell'azione di divisione ereditaria comporta, come quello dell'azione di riduzione, la collazione e l'imputazione delle donazioni per accertare la consistenza del patrimonio ereditario, ma mentre la causa petendi della prima è la qualità di erede ed il petitum l'attribuzione della quota ereditaria, la causa petendi della seconda è la qualità di legittimario leso nella quota di riserva, e il petitum , pur senza necessità di usare formule sacramentali, la reintegra in essa, previa determinazione della disponibile, mediante riduzione delle disposizioni testamentarie o delle donazioni.

Cass. civ. n. 3821/2000

L'azione di divisione e quella di riduzione sono nettamente distinte ed autonome (per oggetto e causa petendi, presupponendo la prima l'esistenza di una comunione ereditaria che si vuole sciogliere; ed essendo la seconda diretta al soddisfacimento dei diritti del legittimario indipendentemente dalla divisione. Ne consegue che la domanda di reintegra della quota di riserva non può ritenersi implicitamente contenuta in quella di divisione ed è preclusa, perché nuova, la sua proposizione per la prima volta in appello, pur essendo consentito al legittimario leso di chiedere cumulativamente nello stesso giudizio, sia la riduzione che la divisione.

Cass. civ. n. 2093/2000

In tema di divisione ereditaria, chi agisce per lo scioglimento della comunione, non essendo terzo, in quanto subentra nella posizione del de cuius, trae da questa sia il diritto di agire per la dichiarazione della simulazione delle donazioni fatte ai coeredi, sia a richiedere la collazione, prevista al fine di assicurare in concreto la parità di trattamento fra i condividenti, riportando alla massa i beni donati ai coeredi del de cuius, a differenza dell'azione di riduzione, che mira unicamente a far ottenere al legittimario, titolare di un diritto proprio, riconosciutogli dalla legge, l'integrazione della quota di riserva spettantegli.

Cass. civ. n. 4698/1999

L'azione personale di reintegrazione della quota di riserva non è un'azione spettante collettivamente ai legittimari ma è un'azione individuale che compete in via autonoma al singolo che si ritenga leso nella propria quota individuale di legittima e l'accertamento della lesione e della sua entità non deve farsi con riferimento alla quota complessiva riservata a favore di tutti i coeredi legittimari bensì alla quota di colui o coloro che si ritengono lesi; conseguentemente la riduzione delle disposizioni lesive e delle donazioni deve effettuarsi in relazione non all'eccedenza dalla quota disponibile verificatasi con riferimento alla quota complessiva di riserva ma in relazione all'effettiva entità delle lesioni individuali subite dai legittimari attori in riduzione; la reintegra deve poi essere effettuata con beni in natura, salvi i casi di cui all'art. 560, secondo e terzo comma c.p.c., senza che si possa procedere a imputazione del valore dei beni che è facoltà prevista per la sola collazione. (Nel caso di specie un legittimario aveva agito per la reintegra della quota nei confronti dei fratelli e coeredi che erano stati beneficiati con donazioni; il giudice di merito aveva determinato la lesione con riferimento alla quota di due terzi dell'intero riservata ai figli legittimi e naturali, ridotto le donazioni con riferimento all'eccedenza di tale quota e quindi proceduto a collazione con la forma dell'imputazione indicata dai condividendi e la S.C. ha annullato la decisione enunciando l'esposto principio).

Cass. civ. n. 8529/1996

Stante l'autonomia del diritto del legittimario di esercitare l'azione personale di reintegrazione della quota di riserva, non è configurabile un litisconsorzio necessario fra tutti i legittimari in relazione alla stessa successione ereditaria, ma è richiesta soltanto la presenza in causa del legittimario e della persona che ha beneficiato dell'atto di liberalità o della disposizione testamentaria lesiva della legittima.

Cass. civ. n. 7142/1994

La domanda di collazione proposta nel giudizio di divisione ereditaria con riguardo ai beni che si assumono donati in vita dal coerede con atto di alienazione simulato, non implica domanda di riduzione delle relative attribuzioni patrimoniali, diversi essendo sia il petitum, che nella prima ha per oggetto la ricomposizione, in modo reale, dell'asse ereditario, e nella seconda ha per oggetto la riduzione delle attribuzioni patrimoniali degli altri eredi, sia per la causa petendi, che nella domanda di collazione ha fondamento nel diritto dei coeredi discendenti di conseguire nella divisione proporzioni eguali e nella domanda di riduzione nel diritto alla quota di legittima. (Nella specie, la Corte Suprema ha confermato la decisione del merito che aveva ritenuto inammissibile, ai sensi dell'art. 1417 c.c., la prova testimoniale richiesta dagli eredi condividenti per dimostrare la simulazione delle cessioni).

Cass. civ. n. 2453/1993

L'accoglimento della domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni lesive della quota dei legittimari, con la restituzione al legittimario di beni fruttiferi, non comporta l'automatica attribuzione dei frutti di detti beni, occorrendo all'uopo un'espressa e rituale domanda, giacché la relazione di accessorietà che intercorre fra le due domande lascia sussistere la loro autonomia sul piano sostanziale e processuale.

Cass. civ. n. 905/1978

L'accettazione dell'istituzione di erede universale non estingue o preclude nell'accettante legittimario il diritto avente a oggetto la quota di riserva né il suo esercizio, a meno che l'accettazione della chiamata più ampia abbia assunto, per le circostanze in cui è fatto o per le modalità da cui scaturisce, il valore di rinuncia alla situazione soggettiva collegata alla qualità di legittimatario. Pertanto — fuori dell'indicata ipotesi di rinuncia — il legittimatario, che ha accettato l'istituzione di erede universale, può, al fine di conseguite la quota di riserva, provare in giudizio con testimoni o mediante presunzioni, senza limiti, la simulazione assoluta del negozio dispositivo, lesivo di detta quota, posto in essere dal de cuius.

Cass. civ. n. 3177/1971

La sentenza che accerta la lesione della quota di riserva del legittimario e ne dispone l'integrazione rappresenta una pronunzia costitutiva e non semplicemente dichiarativa, del diritto del legittimario a vedersi attribuire l'utile consistente nella differenza tra quanto è oggetto delle disposizioni testamentarie eccedenti la quota disponibile e quanto a norma di legge gli compete.

Cass. civ. n. 1297/1971

In tema di riduzione delle disposizioni testamentarie a favore dei legatari, l'erede deve provare rigorosamente sia la consistenza dell'asse, sia la conseguente lesione dei suoi diritti di legittimario. Tale prova, per la quale non ricorrono limitazioni, ben può essere ravvisata dal giudice di merito in presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.

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Consulenze legali
relative all'articolo 554 Codice Civile

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A. B. chiede
lunedì 12/08/2024
“Buongiorno, scrivo qui vista l'impossibilità di chiedere approfondimento direttamente nel parere Q202438581

Posto quindi che “ il valore della donazione supera quello della disponibile e della quota di riserva del donatario, la stessa donazione sarà soggetta a riduzione nel limite di quanto sarà necessario per garantire la quota di riserva anche agli altri legittimari;” vorrei sapere operativamente se, nel caso in cui, in presenza di tre legittimari lesi, l’azione di riduzione sia esperita da solo uno di questi (in quanto gli altri per ragioni di rapporti personali e per la marginalità degli importi non intendono procedere) l’azione di riduzione debba essere avanzata solo per la quota di pertinenza o piuttosto per la sua totalità e conseguentemente se l’azione ha effetto sempre su tutti o solo sul richiedente e solo per la sua quota parte
Ulteriore chiarimento circa la “riunione fittizia” e la definizione della quota disponibile
Attualmente la divisione è stata effettuata sulla parte mobiliare e immobiliare (al netto della donazione) in base alle quote della legittima (1/3 al coniuge e 2/9 ai tre fratelli) vorrei conferma che il calcolo della quota disponibile debba essere fatto con le quote della successione necessaria e quindi: 1 /4 al coniuge,1/4 quota disponibile e 1/ 2 ai tre fratelli”
Consulenza legale i 20/08/2024
Sia la dottrina che la giurisprudenza di legittimità qualificano l’azione di riduzione come un’azione di natura personale e da cui deriva un’obbligazione parziaria.
Come si evince dalla lettura dell’art. 554 c.c., l’azione di riduzione è il mezzo specifico concesso al legittimario per far dichiarare nei suoi confronti l’inefficacia delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che hanno leso i suoi intangibili diritti alla quota d legittima.
Secondo la tesi prevalente, oltre che preferibile, il suo esercizio costituisce esplicazione di un diritto potestativo e si configura quale azione individuale in quanto ciascun legittimario (sono tali i soggetti di cui all’art. 536 del c.c.) può agire per la sua sola quota di legittima onde ottenere essa e nulla di più.
In conseguenza di ciò, infatti, non si configura alcun litisconsorzio né attivo né passivo, mentre è richiesta soltanto la presenza in causa del legittimario e del beneficiario della disposizione lesiva.

E’ anche azione personale e non reale, in quanto rivolta ai beneficiari delle disposizioni lesive e non a rivendicare il bene ereditario da questi posseduto, bensì a far valere sul valore di tale bene le proprie ragioni successorie dopo che ne sia stata accertata la qualità ereditaria.
Dalla sua qualificazione come azione di natura personale se ne fa altresì discendere, come si è detto all’inizio, un’obbligazione di tipo parziario e non solidale, il che significa che i legittimati passivi (ovvero i soggetti nei cui confronti tale azione viene esperita) sono chiamati a rispondere ciascuno per quella parte della propria liberalità eccedente la quota di cui il testatore poteva disporre (ossia la c.d. quota disponibile).

Quanto fin qui detto consente di poter dire, rispondendo alla prima delle domande poste, che l’azione di riduzione può, anzi deve, essere esercitata soltanto da uno dei legittimari lesi e solo per la quota di sua pertinenza.
A conferma di tale conclusione si vuole qui richiamare la sentenza della Corte di Cass. Sez. II civ. n. 1884 del 25.01.2017, in occasione della quale la S.C., nel chiarire la natura giuridica dell’azione di riduzione, ha enunciato il seguente principio di diritto:
L’azione di riduzione delle disposizioni lesive della quota di legittima ha natura personale, sicché nell’ipotesi in cui il relativo obbligo di restituzione debba essere posto a carico di più persone, su un medesimo bene ad esse donato o attribuito per quote ideali, la riduzione deve operarsi, nei confronti dei vari beneficiari, in misura proporzionale all’entità delle rispettive attribuzioni; pertanto, ciascuno di
essi è tenuto a rispondere soltanto nei limiti ed in proporzione del valore di cui si riduce l’attribuzione o la quota a suo tempo conseguita: non è quindi configurabile un obbligo solidale dei soggetti tenuti alla riduzione”.

Con la seconda domanda si chiede se il calcolo della quota disponibile debba essere effettuato facendo applicazione delle norme dettate in tema di successione legittima (artt. 565 e ss. c.c.) ovvero di quelle che disciplinano la successione necessaria (artt. 536 e ss. c.c.).
E’ evidente che sono queste ultime le norme a cui dover fare riferimento per calcolare il valore complessivo della massa ereditaria e conseguentemente l’ammontare della quota disponibile, in quanto mentre le prime sono destinate a regolare la devoluzione del patrimonio ereditario per il solo caso in cui il de cuius non abbia disposto per testamento dei suoi beni, le seconde, invece, hanno la precipua finalità di determinare, quando vi siano determinate categorie di successibili (coniuge, figli e, in mancanza di figli, gli ascendenti) quale parte dei beni del de cuius deve essere a loro attribuita.

Nel caso di specie, dunque, nel concorso del coniuge con più di un figlio, il calcolo della disponibile andrà effettuato tenendo conto di quanto dispone il secondo comma dell’art. 542 del c.c., il quale dispone che ai figli è complessivamente riservata la metà del patrimonio, mentre al coniuge spetta un quarto (il restante quarto costituisce la c.d. disponibile).


Monica S. chiede
venerdì 05/03/2021 - Lombardia
“Mio padre é deceduto nel novembre 2010 ed ha redatto un testamento, pubblicato nel novembre 2011 quando é stata presentata la dichiarazione di successione, col quale ha lasciato a mia madre il suo appartamento. Mio fratello, disabile mentale, é morto nel 2014. Mia madre é deceduta nel gennaio 2019 ed ha redatto un testamento col quale ha lasciato a mia sorella la quota disponibile e la legittima dei suoi beni ed a me la sola legittima . Non ci sono altri figli a parte me e mia sorella. Vorrei sapere, una volta impugnato im testamento di mio padre, quanto sarà la mia quota di proprietà del suddetto appartamento.”
Consulenza legale i 16/03/2021
Prima di dare risposta a ciò che viene specificatamente chiesto, si ritiene possa essere utile precisare che la disposizione testamentaria di cui si discute non è viziata, né nulla, né annullabile, ma soltanto riducibile.
Il Giudice, a cui ci si dovrà rivolgere, avrà il compito di accertare l’esistenza della lesione della legittima, ordinando la reintegrazione della parte necessaria a soddisfare la quota riservata al legittimario pretermesso.

Per ottenere tale risultato occorre esperire la c.d. azione di riduzione, la quale, come del resto ogni azione giudiziaria, è soggetta ad un termine di prescrizione.
In particolare, in relazione a tale termine si sono sviluppati in giurisprudenza nel corso degli anni tre diversi orientamenti.
Secondo un indirizzo meno recente il termine decorre dalla data di apertura della successione (così Cass. 11809/1997).
Secondo un successivo orientamento decorre dalla data di pubblicazione del testamento (così Cass. 5920/1999).
Da ultimo, in considerazione dell’incertezza interpretativa sorta al riguardo, la questione è giunta all’esame della Suprema Corte di Cassazione a sezioni unite, la quale ha statuito che, nell’ipotesi di disposizioni testamentarie lesive della legittima, il termine di prescrizione decorre dalla data di accettazione dell'eredità da parte del chiamato (così Cass. S.U. n. 20644/2004).

Molto interessanti sono le considerazioni svolte dalla S.C. in quest’ultima sentenza.
Si afferma, innanzitutto, che nessuna norma prevede che il termine (incontestabilmente quello decennale di cui all'art. 2946 del c.c.) per esperire l'azione di riduzione decorra dalla data di apertura della successione.
In secondo luogo, si fa osservare che un problema di individuazione del termine di decorrenza della prescrizione dell'azione di riduzione può porsi solo con riferimento alla lesione di legittima ricollegabile a disposizioni testamentarie, poiché nel caso in cui la lesione derivi da donazioni è indubbio che tale termine debba farsi decorrere dalla data di apertura della successione.

Infatti, nell’ipotesi in cui la (potenziale) lesione della legittima sia ricollegabile a disposizioni testamentarie, fino a quando il chiamato in base al testamento non accetta l'eredità, rendendo attuale quella lesione di legittima che per effetto delle disposizioni testamentarie era solo potenziale, non sarebbe legittimato (per difetto di interesse) ad esperire l'azione di riduzione.
Pertanto, se manca la situazione di danno (che si concretizza con l’accettazione dell'eredità da parte del chiamato in base al testamento) alla quale è possibile porre rimedio con l'azione di riduzione, non può farsi decorrere il termine di prescrizione di tale azione.

Le considerazioni che precedono, frutto del pensiero più recente della Suprema Corte di Cassazione, si ritiene che potrebbero rivelarsi particolarmente utili nel caso di specie, considerato che l’apertura della successione è avvenuta a novembre 2010 (e dunque sono già trascorsi dieci anni da quel momento per esercitare l’azione di riduzione), mentre il testamento che ha reso attuale la lesione di legittima e concretizzato l’interesse ad esperire l’azione di riduzione è stato pubblicato nel corso del mese di novembre 2011 (quindi il termine di dieci anni si andrebbe a prescrivere a novembre del corrente anno).
A questo punto, arriviamo al contenuto specifico del quesito e vediamo come la situazione della proprietà dell’appartamento andrebbe a mutare a seguito del positivo esperimento dell’azione di riduzione.
Gli artt. 536 e ss. c.c. sono quelli che disciplinano i diritti riservati ai legittimari e tra queste norme quella che in questo caso innanzitutto ci interessa è il secondo comma dell’art. 542 del c.c., il quale dispone che se colui che muore lascia, oltre al coniuge, più figli, ad essi è complessivamente riservata la metà del patrimonio, da dividersi in parti eguali.

Quindi, alla morte del padre, applicando la suddetta norma, la proprietà dell’appartamento (si ragiona ovviamente sul presupposto che si tratti dell’unico bene lasciato in successione dal padre) si sarebbe dovuta dividere nel seguente modo:
al coniuge: 9/36
ai figli: 6/36 ciascuno
la disponibile: 9/36

L’azione di riduzione può essere posta in essere per recuperare i 6/36, con la conseguenza che, alla morte della madre, la sua volontà testamentaria, relativamente all’appartamento, non potrà trovare attuazione per l’intero, ma per una quota pari a 30/36 (l’intero meno la quota riducibile del figlio).
Poiché la madre ha lasciato come eredi legittimari solo due figli, per stabilire la quota di riserva a ciascuno di essi spettante si applicherà il secondo comma dell’art. 537 del c.c., il quale stabilisce che ai figli è riservata per legge una quota pari a due terzi (dei 30/36) da dividersi in parti eguali.

Pertanto, alla fine si avrà che:
  • alla sorella dovrebbe andare una quota pari a 20/36
  • al fratello che agisce in riduzione una quota pari a 10/36, a cui si andranno ad aggiungere i 6/36 recuperati con l’azione di riduzione, per conseguire una quota totale pari a 16/36.


ANNA C. V. chiede
venerdì 20/10/2017 - Veneto
“Buongiorno,mia mamma è morta lasciando testamento pubblico dove scrive che lascia tutto solo a me. Ci sono però anche altri due figli. In teoria per legge lei poteva lasciare a me solo la quota di disponibile non tutto. Di comune accordo abbiamo presentato la dichiarazione di successione all'Agenzia delle Entrate inserendoci tutti e 3 e dividendo per quote il patrimonio, quindi a me la disponibile e diviso 3 il resto. Ora l'Agenzia dice che non va bene perchè il testamento parla di lasciare tutto ad uno solo. Ma per legge questo non sarebbe corretto, giusto?
Grazie
Distinti saluti”
Consulenza legale i 26/10/2017
Purtroppo si ritiene che le osservazioni dell’Agenzia delle entrate siano corrette.

Per giungere a tale conclusione va innanzitutto precisato, seppure si tratti sicuramente di concetto alquanto chiaro, che la successione ereditaria è di due tipi, ossia:
  • legittima, disciplinata dagli artt. 565 e ss. del c.c., la quale ricorre quando è assente il testamento;
  • testamentaria, quando è regolata dal testamento e segue la disciplina esposta negli artt. da 587 a 712 del c.c.

Mentre i beneficiari della successione legittima sono individuati sulla base delle disposizioni dettate dal codice civile, nella successione testamentaria i beneficiari sono individuati dal de cuius in forza, appunto, di un testamento (olografo, pubblico, segreto o speciale).

Anche in presenza del testamento, tuttavia, devono essere rispettati i vincoli normativi dettati per la successione legittima relativamente alle figure degli eredi necessari (ossia coniuge, discendenti e ascendenti, in assenza di discendenti) ed alle quote di eredità legittima ad essi spettanti, ciò che sicuramente si ritiene si sia inteso fare nel caso che ci riguarda, nel momento in cui si è deciso di presentare la dichiarazione di successione secondo le quote esposte nel quesito.

Il problema è che, se la dichiarazione di successione viene presentata sulla base di un testamento, è alle quote in questo stabilite che deve farsi necessariamente riferimento, siano essere rispettose o meno delle quote fissate per legge.
Con ciò, però, non si vuole escludere che, allorchè i soggetti interessati siano d’accordo, come sembra accadere nel caso di specie, non si possano volontariamente rispettare le quote di riserva fissate dal legislatore, anticipando gli effetti di una eventuale azione di riduzione.

A tal fine, dunque, deve ritenersi consentito redigere un atto che tenga luogo di una sentenza di riduzione e ne produca gli stessi effetti, ossia si ritiene ammissibile che la reintegrazione della legittima possa avvenire anche in forma stragiudiziale, mediante un accordo tra i legittimari e i soggetti beneficiati dal testatore, siano essi eredi o legatari.

Sarà, poi, sulla base di tale accordo che verrà presentata la dichiarazione di successione, secondo le quote in esso stabilite, e di cui l’Agenzia delle Entrate dovrà necessariamente tener conto; peraltro, si tenga conto che la legittimità di tali accordi trova riscontro proprio nella legislazione tributaria, ed in particolare nell’ art. 43 del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni), il quale dispone che “Nelle successioni testamentarie l’imposta si applica in base alle disposizioni contenute nel testamento, anche se impugnate giudizialmente, nonché agli eventuali accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari, risultanti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata”.

Poiché tali accordi dovranno risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, sarà tuttavia necessario ricorrere all’intervento di un notaio il quale, preso atto dell’accordo tra gli eredi (per come viene manifestato nel quesito), potrà redigere un atto avente i medesimi effetti della pronuncia giudiziale di riduzione.

E’ pur vero che parte della dottrina ha criticato l’ammissibilità di un simile accordo, osservando che si farebbe in questo modo conseguire al legittimario leso o preterito (ossia del tutto escluso) la qualità di erede in via contrattuale, ciò che sembra a prima vista incompatibile con il sistema della delazione ereditaria previsto dal nostro codice.

Tuttavia, è stato in contrario replicato dalla prevalente e preferibile dottrina che, pur in presenza di simile accordo, la delazione in favore del legittimario pretermesso non avviene in forza di contratto, ma per effetto della stessa legge; il contratto non produce altro effetto che quello medesimo della sentenza, ossia rende inefficace nei confronti del legittimario, nella misura in cui sia necessario per reintegrare la sua legittima, la delazione testamentaria, rendendo così operativa la delazione ex lege.

Nessuna ragione può sussistere, dunque, per negare l’esistenza e l’efficacia di questo tipo di convenzione; costituisce, infatti, un principio generale del nostro ordinamento giuridico quello secondo cui, quando non vi è contenziosità tra le parti circa i presupposti applicativi di una fattispecie, non serve il ricorso all’autorità giudiziaria per accertare i fatti di causa (la stessa autonomia contrattuale può raggiungere il risultato voluto dalla legge).

In conclusione, dunque, occorrerà dar seguito a quanto rilevato dall’Agenzia delle Entrate; a tal fine si suggerisce di recarsi da un notaio, al quale richiedere di stipulare un atto di “Accordo per la integrazione della legittima”.

A seguito della stipula di tale atto, si potrà richiedere alla medesima Agenzia delle Entrate una rettifica della precedente denuncia di successione, producendo questa volta quale titolo l’atto notarile sopra indicato e secondo le quote da esso risultanti.