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Articolo 553 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Riduzione delle porzioni degli eredi legittimi in concorso con legittimari

Dispositivo dell'art. 553 Codice Civile

(1)(2)Quando sui beni lasciati dal defunto si apre in tutto o in parte la successione legittima [565 c.c.], nel concorso di legittimari [536 ss. c.c.] con altri successibili, le porzioni che spetterebbero a questi ultimi si riducono proporzionalmente [558 c.c.] nei limiti in cui è necessario per integrare la quota riservata ai legittimari, i quali però devono imputare a questa, ai sensi dell'articolo 564, quanto hanno ricevuto dal defunto in virtù di donazioni o di legati(3) [735, 746 c.c.].

Note

(1) L'azione di riduzione ha carattere personale, in quanto si rivolge contro i destinatari delle disposizioni lesive della quota dei legittimari. Ha la funzione di rendere inefficaci nei confronti degli attori le disposizioni ereditarie e le donazioni che abbiano leso i diritti sulla quota di legittima di questi.
(2) Ove vi sia lesione della quota riservata ai legittimari, si riducono:
- prima le quote legali ab intestato, nel caso in cui non vi sia un testamento o questo contenga disposizioni solo su parte del patrimonio (v. art. 553 del c.c.);
- poi le disposizioni testamentarie, in proporzione e senza distinguere tra legati e disposizioni ereditarie (v. art. 554 del c.c.);
- infine le donazioni, a cominciare dalla più recente (v. art. 555 del c.c.).
(3) Esempio: Tizio muore senza aver fatto testamento, lasciando come unici eredi suo padre Caio e suo fratello Sempronio. Il patrimonio ereditario è di 200, mentre le donazioni fatte in vita ammontano a 400. In base alle norme sulla successione legittima, Caio e Sempronio avrebbero diritto ciascuno a 1/2 dell'eredità, ossia a 100 ciascuno. Tuttavia Caio è anche un legittimario e, in quanto tale, avrebbe diritto ad 1/3 del patrimonio ereditario, ossia ad 1/3 del relictum (200) più il valore delle donazioni (400), e quindi a 200 (400 + 200 = 600 / 3 = 200). Per effetto della norma in commento, gli ulteriori 100 a cui ha diritto Caio si ottengono dalla riduzione della quota dell'erede legittimo Sempronio.

Ratio Legis

La scelta di ridurre per prime le quote degli eredi legittimi si giustifica poiché su di esse il de cuius non ha espresso alcuna volontà, a differenza di quanto accade per le disposizioni testamentarie e le donazioni.

Brocardi

Actio ad implendam legitimam
Actio ad integrandam legitimam
Cum inofficiosum testamentum arguitur, nihil ex eo testamento valet
Inofficiosum testamentum dicere hoc est: allegare quare exheredari vel praeteriri non debuerit

Spiegazione dell'art. 553 Codice Civile

Questa norma, che prevede il concorso fra successione legittima e necessaria, può considerarsi superflua nella parte in cui stabilisce la subordinazione della prima alla seconda. Poiché le norme sulla successione necessaria sono cogenti e quelle sulla successione legittima dispositive, dipende necessariamente dal sistema che i legittimari conseguano la loro quota con preferenza sugli altri successori legittimi.

Così, se si apre la successione ab intestato e vengono alla stessa un genitore e due fratelli, la quota spettante a ciascuno è di un terzo. Ma, quando il de cuius abbia fatto delle donazioni, il terzo spettante al genitore, che costituisce la sua quota legittima, va calcolato sul relictum più il donatum. La legittima del genitore riferita all’asse relitto supererà, dunque, il terzo e viceversa risulterà proporzionalmente diminuita la quota individuale dei due fratelli.

Inesattamente la norma qualifica questa automatica compressione della vocazione legittima come riduzione, poiché questo termine ha un significato tecnico, presupponendo un conflitto fra vocazioni, che nella specie non sussiste, data l’unicità della fonte della vocazione e dello scopo perseguito dalla volontà ordinatrice in un caso e, nell’altro, la volontà della legge, nel predisporre le due forme di vocazione all’eredità.
L’impropria qualificazione non è inoltre scevra di un inconveniente pratico: la disposizione stabilisce che il legittimario debba imputare le liberalità ricevute dal defunto alla legittima quando concorre con successori legittimi. Ora, per quell’impropria qualificazione, sorge il dubbio se l’imputazione ex se sia stabilita in questo caso in collegamento con la pretesa riduzione della quota dei successori legittimi, sì che si debba continuare a considerare l’imputazione condizione della riduzione delle disposizioni che intaccherebbero la legittima, come si riteneva da taluni in relazione al codice precedente, o invece sia ora disposta come operazione da effettuare in ogni caso per la determinazione concreta della legittima. Questione praticamente importante, perché si tratta di stabilire se debba farsi luogo all’imputazione ex se anche quando il de cuius abbia disposto per testamento non di quote determinate, ma genericamente della disponibile. Si sarebbe inclini a credere che l’articolo in esame, dove, come si è detto, non si tratta di vera riduzione, offra un argomento per ritenere che l’imputazione costituisca un’operazione sempre necessaria per la determinazione concreta della legittima, ma la lettera dell’articolo giustifica il dubbio.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 553 Codice Civile

Cass. civ. n. 12872/2021

L'azione ad supplendam aut implendam legitimam di cui agli artt. 553 c.c. ss., è un'azione personale, e non un'azione reale dalla quale deriva una pronuncia di natura costitutiva avente l'effetto di risolvere, con effetto limitato alle parti, le disposizioni testamentarie, i legati e le donazioni lesive della quota di legittima. L'azione di riduzione può avere ad oggetto sia i beni che si trovavano nel patrimonio del defunto al momento dell'apertura della successione e sia beni che, al momento dell'apertura della successione, ne erano già usciti per effetto di donazioni.

Cass. pen. n. 12872/2021

La sentenza di accoglimento della domanda di riduzione della quota di legittima racchiude due statuizioni, l'una, sempre uguale, consistente nell'accertamento della lesione della predetta quota e nella risoluzione, con effetto costitutivo limitato alle parti, delle disposizioni negoziali lesive, l'altra, avente contenuto di condanna, che si pone con la statuizione costitutiva in rapporto variabile, a seconda che la reintegra richieda la previa divisione di beni ereditari, con conseguente condanna di uno dei condividenti al pagamento del conguaglio, oppure unicamente il versamento da parte del donatario del controvalore della quota, ai sensi dell'art.560 c.c; pertanto, solo nel secondo caso, integrandosi un rapporto di "dipendenza" tra capo costitutivo e capo condannatorio, quest'ultimo è immediatamente eseguibile, ex art. 282 c.p.c., indipendentemente dal passaggio in giudicato del primo, mentre, nel primo caso, venendo in considerazione un rapporto di "corrispettività" tra i due capi della sentenza, l'esecuzione di quello di condanna ne presuppone il passaggio in giudicato.

Cass. civ. n. 18468/2020

L'azione di divisione ereditaria e quella di riduzione sono fra loro autonome e diverse, perché la prima presuppone la qualità di erede e l'esistenza di una comunione ereditaria che si vuole sciogliere, mentre la seconda implica la qualità di legittimario leso nella quota di riserva ed è diretta alla reintegra in essa, indipendentemente dalla divisione; ne consegue che la domanda di divisione e collazione non può ritenersi implicitamente inclusa in quella di riduzione, sicché una volta proposta la domanda di riduzione, quella di divisione e collazione, avanzate nel corso del giudizio di primo grado con le memorie ex art. 183 c.p.c., sono da ritenersi nuove e, come tali, inammissibili ove la controparte abbia sul punto rifiutato il contraddittorio.

Cass. civ. n. 18199/2020

Nel caso di esercizio dell'azione di riduzione, il legittimario, ancorché abbia l'onere di precisare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, indicando gli elementi patrimoniali che contribuiscono a determinare il valore della massa ereditaria nonché, di conseguenza, quello della quota di legittima violata, senza che sia necessaria all'uopo l'indicazione in termini numerici del valore dei beni interessati dalla riunione fittizia e della conseguente lesione, può, a tal fine, allegare e provare, anche ricorrendo a presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della riserva. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 27/04/2017).

Cass. civ. n. 15706/2020

L'azione di riduzione non spetta collettivamente ai legittimari, ma ha carattere individuale e compete in via autonoma al singolo erede che ritenga lesa la sua quota individuale di legittima. L'accertamento della lesione e della sua entità non deve farsi con riferimento alla quota complessiva riservata a favore di tutti i legittimari, ma solo riguardo alla quota di coloro che abbiano proposto la domanda. Il giudizio non assume, quindi, carattere inscindibile neppure nell'ipotesi in cui la domanda sia rivolta verso più eredi, che non assumono la qualità di litisconsorti necessari.

Cass. civ. n. 2914/2020

Il legittimario totalmente pretermesso, proprio perché escluso dalla successione, non acquista per il solo fatto dell'apertura della successione, ovvero per il solo fatto della morte del "de cuius", la qualità di erede, né la titolarità dei beni ad altri attribuiti, potendo conseguire i suoi diritti solo dopo l'utile esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento, e quindi dopo il riconoscimento dei suoi diritti di legittimario.

Cass. civ. n. 22457/2019

Il giudice innanzi al quale sia stata proposta un'azione di simulazione di una compravendita in quanto dissimulante una donazione, azione finalizzata alla successiva trascrizione dell'atto di opposizione, ai sensi dell'art. 563, comma 4, c.c., deve rilevare d'ufficio l'esistenza di una diversa causa di nullità della donazione e, ove sia già pendente il giudizio di appello e sia, perciò, ormai inammissibile un'espressa domanda di accertamento in tal senso della parte interessata, deve rigettare l'originaria pretesa, previo accertamento della nullità, nella motivazione, con efficacia, peraltro, di giudicato in assenza di sua impugnazione.

Cass. civ. n. 12317/2019

Il legittimario è ammesso a provare, nella veste di terzo, la simulazione di una vendita fatta dal "de cuius" per testimoni e presunzioni, senza soggiacere ai limiti fissati dagli artt. 2721 e 2729 c.c., a condizione che la simulazione sia fatta valere per un'esigenza coordinata con la tutela della quota di riserva tramite la riunione fittizia; egli, pertanto, va considerato terzo anche quando l'accertamento della simulazione sia preordinato solamente all'inclusione del bene, oggetto della donazione dissimulata, nella massa di calcolo della legittima e, così, a determinare l'eventuale riduzione delle porzioni dei coeredi concorrenti nella successione "ab intestato", in conformità a quanto dispone l'art. 553 c.c..

Cass. civ. n. 27259/2017

In tema di successione necessaria, la quota spettante al legittimario rinunciante non si accresce a favore degli altri legittimari accettanti, dovendo l'individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari ed ai singoli legittimari appartenenti alla medesima categoria essere effettuata sulla base della situazione esistente al momento dell'apertura della successione e non a quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o per prescrizione, dell'azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari.

Cass. civ. n. 25441/2017

Il legittimario pretermesso è privo di una vocazione ereditaria, e pertanto gli è preclusa la possibilità di poter accettare l'eredita, in quanta l'unico modo di adizione della stessa è la sola proposizione dell'azione di riduzione, il cui positive accoglimento determina l'acquisto della qualità di erede. Ne consegue che anche la presentazione dell'azione di riduzione non può determinare immediatamente l'acquisto della qualità di erede, in assenza appunto di una vocazione, occorrendo in ogni caso attendere il passaggio in giudicato della decisione che accolga la relativa domanda, e che l'impossibilità di poter validamente compiere atti di accettazione, sia pure tacita, di un'eredità che non risulta devoluta, in ragione della pretermissione, esonera il legittimario pretermesso dal dover far precedere l'azione di riduzione, anche intentata nei confronti del terzo, dalla previa accettazione beneficiata ovvero dalla sola redazione dell'inventario.

Cass. civ. n. 22325/2017

In tema di azione di riduzione, non è dato poter discutere di lesione della quota di legittima in assenza di un'indagine estesa all'intero patrimonio del "de cuius" giacché, quand'anche tale lesione fosse sussistente, alla stessa ben potrebbe porsi rimedio con una diversa distribuzione del patrimonio relitto, sia di natura immobiliare che mobiliare, come previsto dall'art. 553 c.c. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito, che aveva rigettato una domanda di riduzione, cui era sottesa la lesione della quota di riserva calcolata con riferimento al solo patrimonio mobiliare del "de cuius" e non anche a quello immobiliare).

Cass. civ. n. 13385/2011

Nel giudizio di reintegrazione della quota di riserva, non costituiscono domande nuove e sono conseguentemente ammissibili, anche se formulate per la prima volta in appello, le richieste volte all'esatta ricostruzione sia del relictum, che del donatum, mediante l'inserimento di beni, liberalità o l'indicazione di pesi o debiti del de cuius, trattandosi di operazioni connaturali al giudizio medesimo cui il giudice è tenuto d'ufficio ed alle quali si può dare corso, nei limiti in cui gli elementi acquisiti le consentono, indipendentemente dalla formale proposizione di domande riconvenzionali in tal senso da parte del convenuto.

Cass. civ. n. 3013/2006

Tenuto conto che la collazione tende unicamente ad evitare disparità di trattamento fra gli eredi non ricollegabili alla volontà del de cuius la relativa disciplina legale non ha carattere inderogabile né sotto il profilo oggettivo né sotto quello soggettivo, anche se l'imposizione dell'obbligo della collazione disposto dal testatore si configura come imposizione di un legato, sicché il correlativo obbligo degli eredi tenuti al conferimento incontra il solo limite del rispetto della quota di riserva, ai fini della cui determinazione - fermo il divieto posto dall'art. 549 c.c. di imporre su di essa pesi o condizioni - i legittimari devono comunque imputare, ai sensi dell'art. 553 c.c., ed in conformità di quanto previsto nella clausola testamentaria impugnata, quanto hanno ricevuto dal de cuius in virtù di donazioni o legati (Nella specie è stata ritenuta legittima la disposizione testamentaria con cui il de cuius aveva imposto ai legittimari - figli e coniuge - istituiti nella quota loro riservata per legge l'obbligo di conferire ai coeredi - nipoti ex filio ai quali era stata attribuita la disponibile - quanto ricevuto in vita dal de cuius a titolo di liberalità).

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Consulenze legali
relative all'articolo 553 Codice Civile

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Grazia F. chiede
martedì 23/02/2016 - Sardegna
“Buongiorno ,
possiedo un appartamento e vorrei donare la nuda proprietà alle mie due figlie , riservando l'usufrutto a mio marito. Vorrei sapere se tale atto di donazione possa essere in futuro impugnato da una figlia naturale di mio marito , posto che quest'ultimo , accettando la donazione dell'usufrutto contestualmente alla donazione della nuda proprietà alle mie due figlie , perderebbe a mio avviso ogni diritto alla proprietà e quindi alla successione.Qualora la donazione sia impugnabile , potrei ottenere lo stesso risultato mediante atto di vendita? Cordialmente”
Consulenza legale i 29/02/2016
Ai sensi dell’art. 769 c.c. la donazione è il contratto con cui un soggetto, donante, arricchisce un altro soggetto, donatario, per spirito di liberalità, senza, cioè, alcun corrispettivo, trasferendo un proprio bene o assumendo un obbligo. Si tratta di un contratto che viene spesso utilizzato sia perché ha un costo fiscale più basso rispetto ad una vendita (in tali caso potrebbe però dissimulare una compravendita), sia perché è il principale strumento (alternativo al testamento) per il trasferimento dei patrimoni familiari a favore dei discendenti.

Nonostante questi aspetti positivi la donazione presenta però alcuni rischi. Può essere oggetto di revoca per ingratitudine o per sopravvenienza di figli (del donante) - circostanze invero abbastanza rare - o finire oggetto dell’azione di riduzione nel caso di lesione a danno di eredi legittimari, che, secondo le norme del nostro ordinamento sono: il coniuge, i figli e gli ascendenti (normalmente i genitori del defunto). Sono solo questi soggetti che possono rivendicare un diritto ad una quota di eredità denominata "legittima" ed esercitare l'azione di riduzione.
La legge, quindi, riconosce appositi strumenti per far valere il loro diritto successorio qualora al momento dell’apertura della successione riscontrassero una lesione della quota loro riservata dalla legge (la cosiddetta "legittima" appunto). Oltre alla citata azione di riduzione vi è anche l'azione di restituzione di cui agli artt. 553 c.c., esperibile solo successivamente all'esito vittorioso dell'azione di riduzione (che è quindi preliminare), la quale mira a far concretamente recuperare ai legittimari il possesso dei beni loro spettanti. Entrambe le azioni possono rivolgersi anche contro i donatari del de cuius. Le donazioni, però, si riducono (vengono intaccate) soltanto dopo che è stato esaurito previamente il valore dei beni di cui si è disposto per testamento.

Più in dettaglio, se un legittimario ritiene di essere stato privato o semplicemente leso nella sua quota di legittima per effetto di una o più donazioni effettuate in vita dal defunto a favore di altri soggetti, che siano altri legittimari o non, può far valere il proprio diritto all’ottenimento dell’intera quota di legittima a lui spettante mediante un’apposita azione giudiziaria, ossia l’azione di riduzione.

L’azione di riduzione va proposta dopo la morte del donante e contro il donatario, e se questi ha ceduto a terzi l’immobile che aveva ricevuto in donazione, il legittimario può chiedere ai successivi proprietari la restituzione del bene (con l'azione di restituzione).

La premessa è utile ai fini della risposta al quesito in quanto, se si vuole procedere ad una donazione di un proprio bene, bisogna fare attenzione a non ledere i diritti degli eredi legittimari.

Per converso, chi non riveste tale qualifica (legittimario, detto anche "erede necessario") non ha alcuna legittimazione e soprattutto non può vantare alcun diritto sull'eredità del de cuius.

Nel caso di specie, la figlia naturale del coniuge non potrebbe avanzare alcuna prerogativa nei confronti del patrimonio del coniuge del genitore naturale, in quanto non solo non è erede necessaria, perché non ricomprare tra quelli previsti dalla legge, ma non riveste nemmeno la qualifica di erede legittimo in quanto non si instaura alcun rapporto di parentela con il coniuge del genitore.

E’ bene precisare però che, a seguito dell’apertura della successione, potrebbe essere il consorte della donante a contestare la donazione disposta in favore delle figlie, qualora l’operazione di liberalità risulti intaccare la sua quota di legittima (tenuto conto, ovviamente, del fatto che lui ha ricevuto comunque l'usufrutto, che certamente ha un valore e che andrà computato per il calcolo della legittima). Egli potrebbe, infatti, proporre l’azione di restituzione entro 20 anni dalla trascrizione della donazione.
Per evitare questo genere di problemi non è inusuale ricorrere alla stipulazione di un contratto di compravendita. Se si opta per la stipulazione della compravendita tra genitore e figlio, viene in rilievo una formula molto praticata, costituita dal "negotium mixtum cum donatione". Si tratta di un contratto oneroso (di regola una compravendita) caratterizzato dalla voluta sproporzione fra le prestazioni con conseguente arricchimento a beneficio della parte che ha ricevuto la prestazione di maggior valore: la madre, volendo, per spirito di liberalità, favorire le figlie, anziché donare loro l’appartamento di cui è proprietaria e che vale 1000, glielo vende a un prezzo di 500. Secondo un orientamento giurisprudenziale, la semplice sproporzione tra prezzo pattuito e valore di mercato del bene non integra automaticamente la donazione indiretta, giacché occorre pur sempre che la componente di liberalità prevalga sulla vendita (fattore questo non sempre facilmente dimostrabile).
Per la validità di questo contratto (Cass. n. 23297/2009) non è richiesta la forma della donazione (atto pubblico a pena di nullità), bensì quella prescritta per lo schema negoziale effettivamente adottato dalle parti (normalmente compravendita).
Tuttavia, anche questa tipologia di donazione (indiretta) è, se opportunamente provata, sempre assoggettabile all'azione di riduzione e, pertanto, varrebbero le considerazioni esposte più sopra.
Ciò posto, tornando alla soluzione che contempla la stipula del contratto di compravendita in alternativa a quello di donazione, se si vuole essere al riparo da rischi, è necessario che le acquirenti corrispondano il prezzo dell’immobile e che tale prezzo sia pari (o quasi) almeno al valore catastale dello stesso. Una volta ricevuto il denaro la madre penserà che uso farne.

Anna chiede
domenica 05/01/2014 - Lazio
“Buongiorno, volevo informazioni su una situazione che vivo in questi giorni. Alcuni anni fa, con accordo dei genitori abbiamo venduto due appartamenti e con il ricavato abbiamo acquistato la casa in cui abito e per decisione dei genitori la casa attuale è stata intestata a me a mio marito e mia sorella lasciando fuori mio fratello (il quale ha fatto passare ai miei genitori le pene dell'inferno). Alcuni anni fa ho divorziato con mio marito riprendendomi la sua quota.
Mio fratello adesso mi contesta la sua parte di eredità.
Volevo sapere se esiste una prescrizione dei 10 anni da momento in cui mio papà è venuto a mancare o dal momento di acquisto della casa.
Premetto che mia mamma è ancora in vita.
Per informazione vi invio date:
Mio papà è defunto 24/10/1998.
La casa è stata acquistata 23/06/1993.
Nell'eventualità dovessi restituire la sua quota tenendo conto che mia mamma è ancora in vita cosa spetterebbe a mio fratello?
Grazie
In attesa di risposta porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 24/01/2014
La donazione di denaro al fine dell'acquisto di un immobile rientra tra le donazioni indirette, che possono essere aggredite dal legittimario (artt. 536 ss. c.c.) al fine di reintegrare la quota di eredità cui questi ha diritto in base al codice civile. Il figlio del de cuius è di diritto legittimario.
In particolare, il legittimario potrà agire con azione di riduzione (art. 553 del c.c.) nei confronti della donazione posta in essere dal de cuius in vita, ma solo alle seguenti condizioni:
- la donazione deve effettivamente ledere la quota del legittimario che, nel caso proposto, in presenza di moglie e 3 figli del defunto, sarà pari a un terzo della metà del patrimonio del padre (art. 542 del c.c.);
- l'azione di riduzione deve essere proposta entro dieci anni.
Quanto a questo secondo requisito, si precisa che il momento da cui decorre il termine decennale è, nel caso di successione legittima (ossia in assenza di testamento), quello dell'apertura della successione, che corrisponde al giorno della morte del de cuius.
In presenza di un testamento il termine prescrizionale si ritiene invece decorra dalla data di accettazione dell'eredità da parte del chiamato in virtù di disposizioni testamentarie lesive della legittima (Cass. Civ., SS.UU., sentenza n. 20644/04).

Nel caso di specie, quindi - presupponendo che il padre non abbia lasciato testamento - anche se il fratello avrebbe in astratto diritto ad una quota dell'asse ereditario paterno (pari a un terzo della metà del patrimonio del de cuius), è ormai ampiamente trascorso il termine per poter agire nei confronti delle sorelle. Peraltro, anche il termine per l'accettazione dell'eredità è decennale ed è quindi trascorso.

Discorso a parte va fatto per quanto riguarda la futura successione della madre. Anche quest'ultima ha posto in essere una donazione nei confronti delle figlie, a discapito del figlio (presupponiamo qui che il denaro con cui è stata acquistata nel 1993 la casa ove ora abita la sorella appartenesse ad entrambi i genitori).
Trova applicazione qui l'istituto della collazione, in base al quale (ai sensi dell'art. 737 del c.c.) i figli ed il coniuge che concorrono alla successione devono "restituire" ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati (la dispensa da collazione non produce comunque effetto se non nei limiti della quota disponibile).
Ciò significa che la donazione a suo tempo fatta dalla madre alle due figlie rientra "in gioco" e dovrà entrare a far parte del patrimonio ereditario che va suddiviso anche con il fratello, a meno che questi non riceva in altro modo la quota di legittima di sua spettanza. Una questione correlata ma molto rilevante è quella relativa alle modalità di imputazione di un immobile in collazione. L'art. 746 c.c. prevede che la collazione di un bene immobile si faccia con la restituzione del bene in natura o con l'imputazione del valore alla propria porzione di eredità, a scelta di chi conferisce. Il valore del bene in caso di imputazione è quello che esso aveva al momento dell'apertura della successione (art. 747 del c.c.).
Nel nostro ordinamento giuridico, in generale, non è contemplata l'ipotesi di esclusione completa di un figlio dalla successione dei genitori, tranne che nei casi di indegnità previsti per legge in situazioni particolarmente gravi (art. 463 del c.c.).

Elena P. chiede
venerdì 05/07/2013 - Lazio
“Mia madre lascia per testamento la sua casa di abitazione comprensiva di tutto, al nipote, figlio di mia sorella; lascia poi un secondo legato a mio fratello di "diritto di coabitazione, lui da solo". Infine lascia il restante patrimonio, da dividere tra i quattro figli in qualità di eredi legittimi. Vista la lesione di legittima operata, dato che i beni lasciati ai legatari supera di molto il valore del patrimonio residuo, si chiede:
Il primo legatario può richiedere di ridurre il valore del suo lascito per effetto della coabitazione? Il diritto di coabitazione come si calcola non essendo un usufrutto?
Il secondo legatario essendo erede, e pertanto avrà una porzione dei beni residui uguale gli altri eredi, può avere anche la coabitazione? o il valore di quest'ultima deve essere decurtata dalla quota di eredità? Se il primo legatario può ridurre il valore del suo legato, ed il secondo può coabitare ed avere la sua porzione di eredità non viene a determinarsi una doppia lesione di legittima? I due legati superano la quota disponibile di 1/3, e ciò possibile? Si rimane in attesa di una risposta e si porgono cordiali saluti.”
Consulenza legale i 15/07/2013
Il diritto di abitazione (artt. 1022 e segg.), ossia il diritto reale su cosa altrui che consiste nel godimento di un fabbricato con il limite della soddisfazione dei bisogni propri e della propria famiglia, può essere costituito anche mediante testamento.

Poiché si tratta di un diritto specifico e parziario, la devoluzione successoria avrà natura di legato e quindi, ai sensi dell'art. 649 del c.c., si acquisterà senza accettazione, fatta salva la facoltà di rinuncia.

Dal punto di vista fiscale, il valore economico del diritto di abitazione va determinato applicando i criteri previsti dall'art. 15 legge n. 179 del 17/02/1992 e nella tabella allegata al D.P.R. 131 del 26/04/1986 (T.U. in materia di imposta di registro) come modificata dalla legge n. 408/1990. Tali criteri dettati con riferimento al diritto di usufrutto vanno applicati anche al fine di valutare il diritto di abitazione. Anche la Corte costituzionale ha avallato tale interpretazione: "La stessa disciplina catastale, più volte scrutinata da questa Corte e ritenuta non incostituzionale, dimostra, nella sua configurazione di procedimento di determinazione dei valori fondiari secondo criteri tipici forfettari, che il legislatore non sempre segue le pieghe della variabilità dei valori stessi, ma può, invece, sottoporre a tassazione, in maniera uniforme, senza collidere con la Costituzione, beni che, sul mercato, possono riscuotere un differente apprezzamento e, quindi, risultare anche di diverso rilievo economico" (sentenza n. 258/2002).

Dal punto di vista civile, invece, non opera questa equiparazione con il diritto di usufrutto. Chiara sul punto Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 2004, n. 20584, laddove afferma: "Nessun principio dell'ordinamento né alcuna specifica disposizione di legge, tanto meno quelle invocate dai ricorrenti, prescrivono l'applicazione estensiva di disposizioni e criteri dettati nella disciplina d'un determinato rapporto, nella specie quello pubblicistico di natura tributaria, a rapporti diversi, nella specie quello privatistico di natura successoria, non potendosi neppure fare ricorso all'analogia ex art. 12 sec. co. disp. prel. CC, dacché, pur ammesso che possa trattarsi di casi simili, non si tratta, tuttavia, di materie analoghe; la disciplina della materia tributaria costituisce, infatti, un sistema di diritto speciale - attributario, in quanto tale, d'un settore dell'esperienza giuridica ed autosufficiente per la materia regolata, ma estraneo al sistema del diritto comune, del quale non contribuisce a fissare né i principi fondamentali né la disciplina delle singole fattispecie - le cui norme sono suscettibili d'applicazione analogica al solo suo interno e non anche d'estensione a situazioni da qualificarsi e disciplinarsi nell'ambito del diritto comune".

Il valore di un immobile diminuisce in presenza di un diritto di abitazione. Ciò è stato chiarito dalla giurisprudenza nel caso di diritto di abitazione spettante al coniuge superstite, ma può trovare applicazione anche per il diritto di abitazione costituito con testamento: "Qualora il diritto di abitazione spettante al coniuge superstite cada sulla residenza familiare del de cuius sita in un immobile in comproprietà lo stesso deve convertirsi nel suo equivalente monetario. Il diritto di abitazione in questione, infatti, trova limite e attuazione in ragione della quota di proprietà del defunto, cosicché ove per l'indivisibilità dell'immobile non possa attuarsi il materiale distacco della porzione dell'immobile spettante e l'immobile venga assegnato per intero ad altro condividente, deve farsi luogo all'attribuzione dell'equivalente monetario del diritto di abitazione" (Cass. civile 14594/2004).

Quanto ai criteri di calcolo del valore del diritto di abitazione, non ci consta l'esistenza di principi universalmente applicati. Alcuni tecnici calcolano il diritto di abitazione in proporzione, come quota del diritto di usufrutto.

Per quanto detto sopra, va ritenuto che il secondo legatario, cui è stato concesso il diritto di abitazione, dovrà calcolare il valore di tale diritto nella sua quota. Quindi: il primo legatario può chiedere che il valore dell'immobile sia calcolato decurtando quello del diritto di abitazione del secondo legatario; quest'ultimo, dovrà decurtare dalla propria quota il valore del diritto di abitazione (che costituisce per lui un vantaggio economico).

Poiché, da quanto riferito, il valore dell'immobile legato al nipote della de cuius eccede la quota disponibile, i legittimari (i figli della defunta) avranno diritto a chiedere la riduzione del legato, al fine di conseguire quanto spetta loro per legge, ai sensi dell'art. 560 del c.c..

Dante A. chiede
giovedì 07/03/2013 - Sardegna
“Mia madre, morta l'anno scorso, aveva una polizza vita a premio unico nella quale indicava con nome e cognome il sottoscritto come unico beneficiario. Oltre la polizza ha lasciato la propria casa e mi ha indicato nel testamento come proprietario, quale remunerazione per il lungo periodo di assistenza dovuto a malattia. Mio fratello, erede legittimo,mi vuole citare in giudizio per quanto riguarda la polizza, in quanto parte lesa nella composizione dell'asse ereditario.So che, per legge, gli spetta 1/3 della casa, e questo è OK. I dubbi riguardano la polizza. Premetto:l'assicurazione, alla mia richiesta di liquidazione ha voluto copia del testamento e nel giro di pochi giorni mi ha dato l'intero importo. L'art. 1920 comma 3 dice che le somme corrisposte per le polizze vita non rientrano nell'asse ereditario e non si computano né per formare la quota per gli eredi, né per calcolare se vi sia lesione di legittima. L'art. 741 dice invece che i premi versati (esclusi gli indennizzi) sono assoggettati a collazione e servono a determinare le quote di legittima. Nell'art. 1411 si parla invece di un diritto proprio del beneficiario sulla somma assicurata, diritto che non ha alcun effetto sul patrimonio del contraente; di conseguenza gli eredi non potranno rifarsi su tale somma per soddisfare i loro diritti. Che caos!!!
Esaminando alcuni regolamenti sulle polizze vita ho letto, a proposito della mia situazione, che a mio fratello spetterebbe la parte di legittima sui premi versati a patto che la polizza rappresenti l'unico bene lasciato dal testatore.
Che fare? Mi potete indicare una sentenza che espliciti anche a noi comuni mortali come stanno davvero le cose?
Vi ringrazio”
Consulenza legale i 11/03/2013
La soluzione al quesito proposto richiede una doverosa distinzione.
Vanno tenute separate le sorti dell'indennizzo (l'importo, solitamente rilevante, che viene attribuito al beneficiario dell'assicurazione) e quelle dei premi versati in vita dall'assicurato (le "rate" dell'assicurazione).

Quanto all'indennizzo, si può dire assolutamente pacifico l'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, vista anche la lettera dell'ultimo comma dell'art. 1920 del c.c. ("Per effetto della designazione il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione"), il beneficiario di un contratto di assicurazione sulla vita è titolare di un diritto autonomo, in quanto derivante direttamente dal contratto di assicurazione e non già dalla successione ereditaria. Poiché l'indennizzo non fa parte del patrimonio del de cuius sul quale calcolare le quote legittime (relictum, quanto lasciato alla morte + donatum, quanto donato in vita), all'evidenza i legittimari diversi dal beneficiario non potranno vantare alcun diritto sulla somma derivante dall'assicurazione sulla vita. In effetti, la giurisprudenza di legittimità coglie nel segno quando sottolinea che "la corresponsione dell'indennità al beneficiario, pur derivando dal contratto stipulato dal contraente - assicurato a favore del terzo designato, non determina un corrispondente depauperamento del patrimonio del contraente - assicurato, per cui non può ritenersi costituire oggetto di un atto di liberalità ai sensi dell'art. 809 del c.c. e, quindi, assoggettabile alle norme sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari" (Cass. civ. Sez. II, 23.3.2006, n. 6531; v. anche la recente sentenza Trib. Milano Sez. IV, 3.9.2012).

Quanto, invece, ai premi corrisposti dall'assicurato, come correttamente rilevato, l'art. 741 del c.c. dice molto chiaramente che sono soggetti a collazione i premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita stipulati a favore dei discendenti del de cuius. Nello stesso senso, si deve leggere anche l'art. 1923 del c.c., che fa salve, rispetto ai premi pagati e non alle somme dovute dall'assicuratore (l'indennizzo), le norme sulla collazione. Si deve osservare, in effetti, che i premi versati costituiscono un depauperamento del patrimonio del de cuius-contraente assicurato: le somme versate a tale titolo possono considerarsi oggetto di liberalità indiretta a favore del terzo designato come beneficiario, con la conseguenza dell'assoggettabilità all'azione di riduzione proposta eventualmente dagli eredi legittimari (così Cass. civ. 6531/06 cit.).

Simona F. chiede
giovedì 17/03/2011 - Lombardia

“Chi eredita se il defunto ha i genitori divorziati e uno di essi è venuto a mancare, ma lo stesso defunto non ha né figli né coniuge, ma sorelle/fratelli e nipoti? Grazie”

Consulenza legale i 18/03/2011

In questo caso si applica l’art. 571 del c.c. alla cui lettura si rinvia, anticipando che esso regola il concorso dei genitori (o uno soltanto di essi) con fratelli e sorelle germani (figli degli stessi genitori) del defunto. Tutti sono ammessi alla successione del de cuius per capi, e la quota in cui succede il genitore non deve essere minore della metà del patrimonio.

Se vi sono fratelli o sorelle unilaterali, ciascuno consegue la metà della quota che consegue ciascuno dei germani, salva in ogni caso la riservata quota della metà a favore del genitore.


DR. M. S. chiede
venerdì 18/03/2022 - Lombardia
“buongiorno,
sono un coerede in una successione della quale sto cercando di ricostruire il patrimonio in quanto alcuni dei coeredi si sono appropriati indebitamente di alcuni beni liquidi del de cuius.
a tale scopo, come consentito dalla legislazione vigente, ho chiesto alla banca che teneva rapporti con il de cuius la copia degli assegni movimentati sul conto stesso.
mi risulta che tutti i documenti che una banca produce per un cliente devono essere conservati per dieci anni, un limite temporale quest'ultimo che riguarda anche la documentazione di tipo contabile/fiscale. la conservazione dei documenti contabili è normata, che io sappia, dall'articolo 2220 del codice civile.
ora la banca da me interpellata mi racconta che una parte delle copie degli assegni richiesti non potranno essermi consegnate in quanto la banca che ha materialmente negoziato il titolo asserisce che non riesce a rintracciarli (???) nonostante rientrino nel lasso temporale dei 10 anni previsto dalla legge.
io sono portato a pensare che la banca non voglia, anche se non immagino per quale motivo, ricercare ed esaudire la mia richiesta. se l'obbligo di conservazione è di legge deduco che "non si possano perdere dei documenti" che potrebbero essere importanti e/o decisivi in altre successive cause civili e o penali. magari per uno si, ma per oltre 10 mi sembra impossibile.
come posso obbligare le banche (emittente e negoziatrice del titolo) a fornirmi le copie dei titoli negoziati e chiedere loro dei danni per inadempienza che potrebbe crearmi un danno patrimoniale?
grazie per una risposta, cordialmente”
Consulenza legale i 23/03/2022
Le banche sono obbligate alla conservazione della documentazione contabile per un periodo di 10 anni, come disposto dall’art. 119 del T.U. bancario, comma 4, corrispondente al principio generale di cui all’art. 2220 del c.c..
Il medesimo art. 119 del T.U. bancario, comma 4, attribuisce al cliente, ovvero a colui che gli succede a qualunque titolo (anche per successione), il diritto di ottenere, a proprie spese (al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione), entro un termine non superiore a novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni.

Nel caso che espone, posta la sua qualità di coerede, la banca è obbligata a fornirle copia della documentazione che richiede riferita al de cuius.
In difetto potrà segnalare alla Banca d’Italia la vicenda e l’inadempimento dell’istituto bancario da Lei interpellato, eventualmente riservandosi la possibilità di chiedere il risarcimento del danno che detta condotta potrà arrecare, anche in via giudiziale.

Se anche la segnalazione e l’eventuale successivo richiamo della Banca d’Italia dovessero rivelarsi infruttuosi, allora potrà agire giudizialmente per la tutela del suo diritto, chiedendo al Giudice competente di ordinare all’istituto bancario la consegna di copia della documentazione richiesta.

In ogni caso, a prescindere dalla consegna delle copie degli assegni e salva comunque la possibilità di segnalare eventuali irregolarità alla Banca d’Italia, potrà ottenere il medesimo risultato di conoscere gli importi degli assegni emessi ed incassati mediante richiesta degli estratti conto dei periodi che Le interessano, nei quali troverà i corrispondenti addebiti, anche se soltanto per gli assegni già incassati.

Nell'eventualità in cui, infine, dovesse giungere alla conclusione di aver subito un danno da parte dei suoi coeredi, potrà agire in giudizio con azione di riduzione ai sensi dell'art. 553 e ss del c.c. per la reintegrazione della propria quota di legittima.


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