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Articolo 747 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Collazione per imputazione

Dispositivo dell'art. 747 Codice Civile

La collazione per imputazione [746, 750 c.c.] si fa avuto riguardo al valore dell'immobile al tempo della aperta successione(1) [456 c.c.].

Note

(1) Il valore del bene immobile ai fini della collazione per imputazione si determina al tempo dell'apertura della successione, rimanendo irrilevanti i mutamenti dipendenti dalla diminuzione del potere di acquisto della moneta e gli altri eventi successivi.
Ciò crea una disparità di trattamento tra la collazione per imputazione e quella in natura in quanto in quest'ultimo caso il bene viene valutato al momento della collazione.

Spiegazione dell'art. 747 Codice Civile

Il conferimento per imputazione va fatto avuto riguardo al valore al momento dell'apertura della successione, che è il momento in cui la massa viene, benché virtualmente, reintegrata di quanto le compete.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 747 Codice Civile

Cass. civ. n. 23403/2022

In tema di divisione ereditaria, l'istituto della collazione, che, in presenza di donazioni fatte in vita dal "de cuius" e salva apposita dispensa di quest'ultimo, impone il conferimento del bene che ne è oggetto in natura o per imputazione, ha la finalità di assicurare l'equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti nella formazione della massa ereditaria, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote determinate attraverso la sommatoria del "relictum" e del "donatum" al momento dell'apertura della successione, sicché il relativo obbligo sorge automaticamente in seguito ad essa, senza necessità di proporre espressa domanda da parte del condividente, essendo a tal fine sufficiente che sia chiesta la divisione del patrimonio relitto e che sia menzionata, in esso, l'esistenza di determinati beni quali oggetto di pregressa donazione. Tuttavia, in caso di donazione indiretta, è pregiudiziale all'obbligo di collazione la proposizione della domanda di accertamento dell'esistenza della stessa.

Cass. civ. n. 9177/2018

La collazione per imputazione si differenzia da quella in natura per il fatto che i beni già oggetto di donazione rimangono di proprietà del medesimo donatario; sicché, ove il condividente abbia optato per la prima, la somma di denaro corrispondente al valore del bene donato, quale accertato con riferimento alla data di apertura della successione, viene sin da quel momento a far parte della massa ereditaria in sostituzione del bene donato, costituendo in tal modo "ab origine" un debito di valuta a carico del donatario, cui si applica il principio nominalistico, con la conseguenza che anche gli interessi legali vanno rapportati a tale valore e decorrono dal medesimo momento.

Cass. civ. n. 20041/2016

In tema di collazione, ove il "relictum" sia costituito da un unico bene, i prelevamenti devono essere effettuati stralciando dallo stesso la quota corrispondente al valore dei beni oggetto del conferimento per imputazione, atteso che la mancanza, nell'asse ereditario, di beni della stessa natura di quelli che sono stati così conferiti dagli eredi donatari non esclude il diritto degli eredi non donatari al prelevamento, che si attua, ex art. 725 c.c., solo per quanto possibile, con oggetti della stessa natura e qualità di quelli non conferiti in natura.

In tema di scioglimento della comunione ereditaria, la collazione per imputazione di un immobile che, successivamente alla sua alienazione da parte del donatario, ma anteriormente all’apertura della successione, abbia subito un incremento di valore per effetto di una destinazione edificatoria insussistente all'atto dell'alienazione suddetta, va eseguita stimando il valore del bene al momento dell’apertura della successione e, dunque, tenendo conto anche di tale sopravvenuta attitudine urbanistica la quale, non dipendendo da un’attività del donatario o del terzo diretta ad incrementare il valore del bene, né essendo correlativa ad un esborso del donatario o all’arricchimento, corrispondente al valore delle opere realizzate, che il terzo abbia voluto porre in essere in favore di quello, non corrisponde alla finalità che sottende il regime dei miglioramenti della res “donata” e, pertanto, non ne condivide la disciplina.

Cass. civ. n. 5659/2015

Nella divisione ereditaria, una volta che il condividente donatario abbia optato per la collazione per imputazione - che si differenzia da quella in natura per il fatto che i beni già oggetto di donazione rimangono di proprietà del medesimo condividente -, la somma di denaro corrispondente al valore del bene donato, quale accertato con riferimento alla data di apertura della successione, viene sin da quel momento a far parte della massa ereditaria in sostituzione del bene donato, costituendo in tal modo "ab origine" un debito di valuta a carico del donatario, cui si applica il principio nominalistico. Ne consegue che devono essere imputati non i frutti civili dell'immobile oggetto di collazione, ma gli interessi legali sulla predetta somma, con decorrenza dal momento dell'apertura della successione.

Cass. civ. n. 25473/2010

La collazione per imputazione dell'immobile donato in nuda proprietà con riserva di usufrutto va effettuata con riferimento al valore corrispondente alla piena proprietà come acquisita dal donatario all'epoca di apertura della successione, sia perché solo in tale momento si può stabilire il valore dell'intera massa da dividere ed attuare lo scopo della collazione di ricomposizione in modo reale dell'asse ereditario, sia perché l'acquisizione della piena proprietà del bene in capo al donatario alla morte del donante (ovvero al tempo di apertura della successione, come individuato dall'art. 456 c.c.) è, comunque, effetto riconducibile al suddetto atto di donazione. In caso contrario, il donatario si avvantaggerebbe ingiustificatamente del mancato conferimento alla massa di un importo corrispondente alla differenza tra il valore equivalente alla nuda proprietà e quello equivalente alla piena proprietà del bene stesso.

Cass. civ. n. 25646/2008

Nel giudizio di divisione ereditaria, una volta che il condividente donatario abbia optato per la collazione per imputazione che si differenzia da quella in natura per il fatto che i beni già oggetto di donazione rimangono di proprietà del medesimo condividente la somma di denaro corrispondente al valore del bene donato, quale accertato con riferimento alla data di apertura della successione, viene sin da quel momento a far parte della massa ereditaria in sostituzione del bene donato, costituendo in tal modo ab origine un debito di valuta a carico del donatario cui si applica il principio nominalistico; ne consegue che anche gli interessi legali vanno rapportati a tale valore e decorrono dal medesimo momento.

Cass. civ. n. 17878/2003

In tema di divisione ereditaria ed in ipotesi di determinazione dell'eventuale lesione della quota di legittima, la stima del valore dei beni da riunire fittiziamente va compiuta con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente alla data di apertura della successione e, conseguentemente, per accertarne la commerciabilità, devesi aver riguardo alla disciplina normativa vigente a tale data. Peraltro ove un bene, ancorché incommerciabile, sia suscettibile di produrre, comunque, reddito, di tale capacità devesi tener conto ai fini della stima del suo valore.

Cass. civ. n. 645/2003

In tema di divisione ereditaria ed in ipotesi di collazione di immobili per imputazione, ai fini della determinazione delle quote spettanti a ciascuno degli eredi, il valore dei beni donati dal de cuius dev'essere calcolato con riferimento alla sua consistenza al momento dell'apertura della successione e avuto riguardo a tutte le potenzialità economiche dei beni stessi. In esse va compreso per intero il contributo di ricostruzione di cui alla legge 14 maggio 1981, n. 219, se il corrispondente diritto è maturato al tempo dell'apertura della successione, trattandosi di un utile oggettivo connesso al bene, comunque sia stato erogato, per la prima casa o per altre unità abitative.

Cass. civ. n. 2163/1998

La collazione per imputazione costituisce una fictio iuris per effetto della quale il coerede, che, a seguito di donazione operata in vita dal de cuius, abbia già anticipatamente ricevuto una parte dei beni a lui altrimenti destinati solo con l'apertura della successione, ha diritto a ricevere beni ereditari in misura ridotta rispetto agli altri coeredi, tenuto conto del valore (attuale) di quanto precedentemente donatogli, senza che i beni oggetto della collazione tornino materialmente e giuridicamente a far parte della massa ereditaria, incidendo i medesimi esclusivamente nel computo aritmetico delle quote da attribuire ai singoli coeredi.

Cass. civ. n. 1159/1995

In tema di divisione ereditaria e nel caso di collazione di immobile per imputazione l'equivalente pecuniario del valore del bene deve essere determinato con riferimento alla sua consistenza al tempo di apertura della successione (art. 747 c.c.), a prescindere da ogni mutamento dipendente dalla diminuzione del potere di acquisto della moneta o da altro evento intervenuto in epoca successiva.

Cass. civ. n. 4381/1982

Il donante ha solo il potere di dispensare il donatario dalla collazione, ma non può in alcun modo vincolare la sua scelta, qualora egli sia tenuto alla collazione, di conferire in natura il bene (immobile) ricevuto ovvero di attuare la collazione per imputazione.

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Consulenze legali
relative all'articolo 747 Codice Civile

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L. G. chiede
lunedì 25/09/2023
“Il fratello di mia moglie vuole costruire una casa su un terreno che gli verrà donato dal padre (mio suocero). Con la sorella (mia moglie, sono solo due fratelli) si sono messi d’accordo (anche se in realtà ha fatto tutto lui) che a lui spetta la parte di terreno dove vorrebbe costruire casa e a mia moglie il terreno dove c’è la casa dei genitori. I due pezzi sono confinanti, quindi la zona è la stessa, la cubatura fabbricabile è la stessa per i due lotti, ma la differenza è che quella che spetterebbe al fratello è completamente sgombro e ha compreso circa 2000mq di terreno agricolo, mentre su quello della sorella c’è sì la casa, ma una struttura costruita prima della guerra che penso sia da demolire qualora si voglia fare qualcosa. Al catasto il terreno che spetterebbe a mia moglie vale meno dell’altro, ma secondo me il valore commerciale è inferiore, sia perché più piccolo, sia perché non sgombro.
A gennaio dovrebbero andare dal notaio per fare la donazione. La mia domanda è: conviene che venga fatta solamente la donazione al fratello e il resto verrà ereditato? Noi conviviamo già in una casa di mia proprietà, non vorrei che per mia moglie quella varrebbe come seconda casa. Nel caso è possibile fare una donazione anche a mia moglie lasciando l’usufrutto ai genitori in modo da non pagarci in futuro le tasse come seconda casa (almeno finché resteranno in vita)?
Il fratello per avere accesso al mutuo ha chiesto a mia moglie di firmare una dichiarazione in cui dice che non avrà mai pretese sul terreno donato e che lui a sua volta firmerà una dichiarazione in cui dice che lascerà il resto alla sorella: questi documenti sono legalmente validi?
Il fatto che a catasto il valore del terreno che verrà donato (o ereditato) a mia moglie vale di più (non è stata fatta una stima “commerciale”) può essere un motivo per cui in futuro il fratello può rivalersi?”
Consulenza legale i 01/10/2023
La prima questione che si chiede di affrontare è quella se sia più opportuno e/o conveniente ricevere un bene in donazione ovvero aspettare l’apertura della successione di colui che dovrebbe trasmetterlo.
In linea generale, può dirsi che sotto il profilo delle spese e secondo la legislazione per il momento vigente non vi sono grosse differenze tra i due tipi di trasferimento (entrambi vengono tassati allo stesso modo).
In passato, invece, in presenza di più eredi tale questione sarebbe stata risolta preferendo la donazione, e ciò perché mentre nella successione l’aliquota veniva determinata sul valore globale del patrimonio, con la donazione era possibile frazionare il patrimonio e per ogni donatario l’aliquota veniva considerata singolarmente (si consideri che la tassazione era fortemente progressiva e quindi spesso le donazioni dai genitori ai figli determinavano un importante risparmio fiscale).

Secondo la legislazione attualmente vigente, invece, le regole per successione e donazione sono le stesse; infatti, nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta è prevista un’esenzione d’imposta fino ad un milione di euro per ogni erede ed inoltre le aliquote sono fisse e non progressive e quindi il frazionamento del patrimonio non produrrebbe alcun effetto.
Ovviamente non è possibile ipotizzare quale potrà essere in futuro il trattamento fiscale della successione e su quale base di calcolo verranno valutati gli immobili (oggi su valori catastali obiettivamente spesso modesti).

Sotto il profilo della garanzia del trasferimento, la donazione è un atto che contiene in sé maggiori rischi, primo fra tutti quello di poter essere impugnata dagli altri eredi legittimari anche dopo la morte del donante, nel caso in cui per effetto di essa sia stata lesa la quota di riserva.
Per tale ragione, infatti, difficilmente le banche sono ben disposte a concedere un mutuo o un prestito se viene loro offerto di iscrivere l’ipoteca a garanzia di quel mutuo su un immobile oggetto di donazione (ciò che vale anche nel caso in cui un genitore decida di donare un immobile ad uno dei figli, il quale a sua volta prevede di ristrutturare quell’immobile facendo ricorso ad un prestito).
Di contro, la successione si presenta come una forma di trasferimento più sicuro, anche se è ben noto che anch’essa può essere ugualmente impugnata dagli eredi che ritengano, eventualmente, di aver subito una lesione della loro quota di riserva.

Da un punto di vista pratico, invece, il trasferimento in vita dei beni presenta il vantaggio, per coloro che si troveranno nella posizione di chiamati all’eredità, di non doversi occupare di tutte le pratiche successorie legate al trasferimento di beni mortis causa, quali la presentazione della dichiarazione di successione ed il conseguenziale pagamento delle relative imposte

Ebbene, se come si intuisce dalla lettura del quesito l’immobile che dovrebbe pervenire alla figlia presenta un valore catastale maggiore rispetto a quello che deve essere donato al figlio, ciò che può consigliarsi è di non fare ricorso alla donazione, proprio per evitare i rischi a cui sopra si è fatto riferimento.
Qualora, invece, si decidesse ugualmente di optare per la donazione, allora sicuramente quella con riserva di usufrutto presenta un innegabile vantaggio fiscale, e ciò per le seguenti ragioni:
a) il valore dell’usufrutto che il donante si riserva, maggiore o minore secondo l’età del donante stesso, andrà a ridurre la tassazione;
b) chi riceve la sola nuda proprietà di un immobile non può goderne fino al momento della estinzione dell’usufrutto, ma nel contempo non è tenuto a sopportarne il relativo carico fiscale, in quanto gli oneri per imposte dirette (tra cui l’IMU), le eventuali spese condominiali, oltre a quelle di manutenzione ordinaria restano a carico dell’usufruttuario (pertanto, conviene a chi risulta già proprietario di prima casa).

Altro aspetto che si chiede di analizzare è quello relativo alle dichiarazioni che i germani vorrebbero scambiarsi.
Occorre intanto precisare che nessuna validità giuridica potrebbe essere attribuita alla dichiarazione che il fratello vorrebbe rilasciare in favore della sorella, ovvero quella con la quale si impegna a “lasciare il resto alla sorella”.
Una dichiarazione di questo tipo, infatti, rientra tra i c.d. patti successori rinunziativi, espressamente vietati dall’art. 458 c.c., come tale definendosi quel negozio inter vivos (contratto o negozio unilaterale gratuito od oneroso) con cui taluno rinunzia ai diritti eventualmente allo stesso spettanti su una successione altrui non ancora aperta.

Del tutto valida, invece, è la dichiarazione che la sorella dovrebbe rilasciare in favore del fratello, concretandosi in un atto espressamente previsto dal codice civile, e precisamente all’art. 563 c.c.
Si tratta, con molta probabilità, della rinuncia ad opporsi alla donazione, la quale consente di mettere in sicurezza una eventuale e futura vendita del bene donato, considerato che, in mancanza di tale rinuncia, vi sarebbe sempre il rischio per un eventuale compratore (così come per un eventuale creditore ipotecario) di dover restituire il bene agli eredi del donante (nel caso di specie la figlia non donataria) laddove questi ne chiedessero la restituzione.
E’ bene precisare (ciò che sicuramente farà anche il notaio a cui ci si rivolgerà) che la dichiarazione di rinunzia ad opporsi alla donazione incide esclusivamente sulla facoltà di sospendere il termine per chiedere la restituzione del bene donato, mentre non compromette in alcun modo i diritti del medesimo legittimario che fa la rinuncia.
Infatti, se la sua quota di riserva non dovesse essere rispettata, sarebbe sempre possibile esperire, dopo l’apertura della successione, l’azione di riduzione della donazione, la quale consentirebbe di avere indietro il bene donato o, laddove sia stato venduto, di ottenere dal donatario, che si è avvantaggiato di quella donazione, una somma di denaro parti al valore del bene stimato al momento di apertura della successione.

L’ultima domanda concerne il problema della stima che dovrà esser data ai beni al momento dell’aperura della successione, al fine di determinare eventuali lesioni della quota di riserva.

G. P. chiede
venerdì 17/03/2023 - Campania
“Vorrei sapere se scegliendo la collazione per imputazione devo dare solo il valore dei beni immobili che eccedono la mia quota. Grazie”
Consulenza legale i 23/03/2023
Principale norma di riferimento per rispondere al quesito che viene posto è l’art. 737 del c.c., il quale, oltre ad individuare i soggetti obbligati alla collazione (figli, loro discendenti e coniuge), dispone che costoro devono conferire agli altri coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per effetto di donazione diretta o indiretta, fatto salvo il caso in cui nella donazione sia stata inserita una espressa clausola di dispensa dalla collazione, la quale, tuttavia, produce effetto soltanto nei limite della quota disponibile del patrimonio ereditario.

Per quanto concerne le modalità di adempimento a tale obbligo di collazione, lo stesso codice civile distingue a seconda che questa abbia ad oggetto un immobile (ipotesi disciplinata dagli artt. 746-749 c.c.), beni mobili (art. 750 del c.c.) o denaro ([[ 751cc]]).
Nel caso in cui l’oggetto della collazione riguardi un immobile, il donatario ha due possibilità, ovvero quella di conferire nell’asse ereditario il medesimo immobile ricevuto (c.d. collazione in natura), ovvero quella di avvalersi della c.d. collazione per imputazione, ipotesi espressamente contemplata all’art. 747 c.c., nel qual caso l’obbligo di collazione si intende adempiuto mediante restituzione dell’equivalente in denaro del bene donato, considerando il valore che lo stesso bene aveva al momento dell’apertura della successione.
Non va dimenticato che, nella determinazione di tale valore, occorre anche tenere conto delle ulteriori regole dettate dagli artt. 748 e 749 c.c., relative ad eventuali spese sostenute dal donatario per l’immobile oggetto di donazione, nonché ad eventuali miglioramenti o deterioramenti che lo stesso immobile ha subito dal momento della donazione a quello di apertura della successione.

Analizzati per brevi linee gli aspetti prettamente teorici della collazione, occorre adesso cercare di comprendere come funziona tale istituto sul piano pratico, così rispondendo alla domanda posta.
La collazione per imputazione, sia che si tratti di denaro o di altro tipo di beni, presuppone necessariamente, oltre al fatto che tutti i chiamati all’eredità che vi sono obbligati abbiano manifestato la volontà di accettare (assumendo la posizione di coeredi, come vuole l’art. 724 del c.c.), anche il compimento di un’operazione di divisione dell’asse ereditario, risultando di fatto impossibile scindere i due momenti, ovvero quello della collazione e quello della formazione delle quote ereditarie spettanti a ciascun coerede.
In tale sede (ovvero quella della divisione ereditaria) l’imputazione si potrà così realizzare:
a) con un minor prelevamento rispetto a quanto altrimenti spetterebbe pro quota al donatario sull’intero asse, nel caso in cui il valore del donatum sia insufficiente a coprire il valore della quota ereditaria;
b) conferendo quanto sopravanza la propria quota ereditaria, nel caso in cui il donatum abbia un valore superiore a detta quota e tale differenza di valore serva ad integrare la quota degli altri coeredi.

Un esempio concreto probabilmente può aiutare a chiarire meglio quanto detto sopra:
Tizio muore, senza esprimere alcuna volontà testamentaria, e gli succedono per legge la moglie Caia ed i figli Primo e Secondo.
Apertasi la successione legittima, il coniuge superstite Caia ha diritto ad un terzo dell’eredità, mentre i figli ai restanti due terzi in parti eguali (così art. 581 del c.c.).
Consideriamo che Tizio lasci un patrimonio di 120 e che abbia donato in vita al solo figlio Primo (senza dispensa da collazione) un immobile il cui valore, al momento dell’apertura della successione, viene stimato pari a 120.
Volendo procedere alla divisione, si avrà un asse ereditario del valore complessivo di 240, di cui 120 relictum e 120 donatum (così determinato ex art. 556 del c.c.); pertanto, Caia avrà diritto ad un terzo dell’eredità (240:3=80), mentre i figli a due terzi indivisi (ossia 160 e dunque 80 ciascuno).
Poiché il figlio Primo ha già ricevuto 120 in donazione, dovrà conferire alla massa ereditaria soltanto 40, trattenendo per sé 80 (ossia il valore della quota che gli spetta).
In questo modo i 40 conferiti per imputazione da Primo andranno a sommarsi ai 120 di relictum, per poi essere divisi tra Caia e Secondo in misura pari ad 80 ciascuno.
In tal modo, in sede di divisione ciascuno degli eredi conseguirà quanto gli spetta per legge.

L. C. chiede
martedì 22/06/2021 - Calabria
“Buongiorno,
dovrei fare con i mie fratelli una divisione ereditaria dei beni di famiglia.
Il problema è che uno dei fratelli ha avuto già una donazione consistente in una azienda, per l'esattezza una Tabaccheria, donata 20 anni fa.
Ora vorrei sapere, nell'asse ereditario, come va calcolato il valore della tabaccheria? Facendo riferimento al suo valore di 20 anni fa, all'epoca della donazione, oppure attualizzando il suo valore ad oggi, nel momento in cui stiamo dividendo tutti i beni di famiglia?
Grazie

Consulenza legale i 28/06/2021
Ciò a cui viene chiesto di rispondere trova espressa disciplina nelle norme dettate dal codice civile agli artt. 737 e ss. in tema di collazione.
L’istituto giuridico della collazione, infatti, consiste proprio nell’obbligo posto a carico del coniuge e dei figli (nonché dei loro discendenti) di rimettere in comunione ereditaria quanto si è ricevuto per donazione.
Due sono le forme previste per effettuare la collazione:
- il conferimento per imputazione: si tratta della forma tipica di collazione, e consiste nel versare nella massa ereditaria l’equivalente in denaro del bene oggetto di collazione;
- il conferimento in natura: è possibile solo per gli immobili, e consiste nel trasferimento dell’immobile stesso nella massa.

L’obbligo di collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione e diviene operativo soltanto con l’accettazione di questa.
In entrambe le forme previste dalla legge (conferimento del bene in natura ovvero per imputazione), la collazione costituisce uno strumento giuridico volto alla formazione della massa ereditaria da dividere al fine di assicurare, nei reciproci rapporti tra i condividenti, equilibrio e parità di trattamento, in modo da non alterare il rapporto di valore tra le rispettive quote e da garantire a ciascun condividente la possibilità di conseguire una quantità di beni proporzionata alla rispettiva quota.

Mentre la collazione in natura si realizza in un'unica operazione per la quale si determina un effettivo incremento dei beni in comunione da dividere, quella per imputazione viene attuata in due fasi, ossia in un primo momento addebitando il valore del bene donato a carico della quota spettante all'erede donatario, e successivamente mediante prelievo di una corrispondente quantità di beni da parte degli eredi non donatari.
La collazione ha ad oggetto tutto ciò che il defunto ha donato per donazione diretta o indiretta, purchè si tratti di donazione valida, in quanto in caso di donazione nulla, il bene apparterrebbe al relictum e andrebbe a beneficio di tutti i coeredi, soggetti o meno a collazione.

Premessi questi brevi concetti generali in tema di collazione, occorre adesso cercare di chiarire come funziona tale istituto nel caso in cui l’oggetto della donazione sia costituito da un’azienda, dovendosi qualificare come tale la tabaccheria che il padre, nel caso in esame, ha in vita donato al figlio.
Innanzitutto va precisato che l’unica forma di collazione ammessa è quella che si realizza mediante conferimento per imputazione, in quanto, come si è prima accennato e secondo quanto risulta dagli artt. 746 e 747 c.c., la collazione in natura è possibile soltanto quando oggetto di donazione sia stato un immobile.

Ebbene, della collazione di azienda si è di recente occupata la Corte di Cassazione nella sentenza n. 10756 del 17.04.2019, affermando che al fine di determinare la somma da imputare deve aversi riguardo al valore non dei singoli beni ma a quello assunto dall’azienda, quale complesso organizzato, al tempo dell’apertura della successione.
Essenziale, per giungere a tale conclusione, è la definizione del concetto di azienda, la quale, secondo la tesi che si ritiene preferibile, deve intendersi come una universalità, o meglio come il complesso dei beni, mobili ed immobili, che l’imprenditore destina all’esercizio della attività d’impresa.

La caratteristica principale dell’azienda è data dal fatto che si tratta di un insieme di beni che non rimane statico, ma si evolve e si trasforma; infatti, con il passare del tempo i beni di cui originariamente si componeva possono essere sostituiti da altri beni per il normale logorio e consumo a cui sono sottoposti oppure, se composta anche da macchinari, per la loro normale obsolescenza tecnologica.
Non è neppure da escludere che agli originali beni che compongono l'azienda l'imprenditore decida di aggiungerne altri per lo sviluppo dell'attività economica.

Sulla base di tale nozione la S.C. sostiene che la collazione di azienda (o di quota di azienda) va compiuta secondo le modalità che l’art. 746 del c.c. prevede per gli immobili, ossia avendo riguardo al valore non dei singoli beni ma a quello assunto dall'azienda, quale complesso organizzato, al tempo dell'apertura della successione (in tal senso si vedano anche Cass. n. 502/2013 e, da ultimo, Cass. n. 20258/2014).

Si ritiene, infine, possa essere utile precisare che se l'azienda, dopo l’apertura della successione e fino al momento della divisione, è stata oggetto di esercizio dell'attività economica, gli incrementi di essa non cadono in successione, ma vanno a vantaggio soltanto del soggetto che ha esercitato l'attività economica.


Dott. A. B. chiede
martedì 08/12/2020 - Marche
“INTEGRAZIONE VS/ CONSULENZA Q 202025635 GIA' PAGATA
Io Alberto (padre donante) comproprietario al 76,1785% di un appartamento A2 Cl 4 - C6 Cl.6 ( Tot.R.D. 982,61), con la ex-moglie per il 25,8215%, doniamo la proprietà intera con intestazione al figlio legittimo Luca (seconda casa), mediante unico atto con calcolo imposte su valori catastali , previa indicazione "importo calcolato ai meri fini fiscali " (?) .
1° Quesito: Si può indicare su unico rogito il doppio valore catastale e di mercato con pagamento imposte sul primo, tenuto conto che Klara chiede il collegamento tra i due atti (vedi sotto).
2° Quesito: Io dovrei donare in contanti (a 1/2 bonifico od ass.circ.) alla figlia naturale Klara la contropartita della quota immobiliare donata a Luca del 74,1785% su Euro 236.000 ante lavori di ristrutturazione (valore finale da stima Euro 293.000 - 57.000 pagate da Luca come spese straordinarie incrementative). Si può indicare nel rogito della 2° donazione il collegamento al rogito di cui sopra, tracciato da ass.circ., con motivazione "controvalore quota immobiliare", anche per documentare meglio eventuale verifica Ag. Entrate, data rilevanza importo trasferito? E' possibile o vi è qualche impedimento normativo? Indicando i valori di mercato, oltre ad un maggior costo di imposte ed oneri notarili, immagino che l'Agenzia delle Entrate pretenderà il calcolo valore finale di mercato di Euro 293.000 e non di Euro 236.000 (importo ante lavori , ancorché incrementati di Euro 57.000) . Ma in questo caso ci sarebbe uno sbilancio tra gli importi nominali rispetto agli effettivi concordati tra i figli . Allego perizia di stima, accettata dai figli, penso che non sia opportuno allegare al rogito, specie se si sceglie il calcolo automatico catastale.
3° quesito: Visto lo sbilancio di importi negli atti ufficiali, la motivazione del rogito "a meri fini fiscali", che accentuerebbe i rischi delle donazioni, in presenza di parti conflittuali si potrebbe fare una scrittura privata non a carattere pre-successorio ma di regolarizzazione proprietà a seguito di lavori pagati da Luca? (Vedi Allegato).
In attesa di cortese urgente risposta, allego anche copia bonifico ed invio cordiali saluti.”
Consulenza legale i 20/12/2020
La prima domanda a cui si chiede di rispondere è se è possibile indicare in un atto notarile di donazione il doppio valore, e precisamente quello reale (o commerciale) e quello catastale, quest’ultimo da utilizzare come parametro per la tassazione dello stesso atto.

Tale domanda investe il tema del c.d. prezzo valore, sistema introdotto dall’art. 1, comma 497 della Legge n. 266/2005 (finanziaria 2006), successivamente modificata dal c.d. decreto Bersani e dalla finanziaria 2007, ed in vigore per tutti gli atti di trasferimento immobiliare stipulati a partire dal 1° gennaio 2006.
Finalità di tale normativa è stata proprio quella di consentire di indicare in tali atti il prezzo reale pattuito e, al contempo, di pagare le imposte relative all’atto stipulato solo sul valore dell’immobile determinato con i meccanismi di rivalutazione della rendita catastale, c.d. “valutazione automatica”.

Ciò che conta è che si tratti di cessioni soggette ad imposta di registro e che la cessione si realizzi nei confronti di persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali.
Tale sistema prevede anche delle limitazioni di natura oggettiva, ossia derivanti dal tipo di bene che costituisce oggetto di trasferimento, in quanto deve trattarsi di immobili ad uso abitativo e relative pertinenze.
Il sistema, inoltre, vale anche per il trasferimento di abitazioni e relative pertinenze in favore di chi non possa godere delle agevolazioni prima casa; quindi, anche chi acquista una seconda o terza casa dovrà pagare le imposte secondo le aliquote ordinarie, ma potrà chiedere che la tassazione venga effettuata sulla base del valore catastale.

Sebbene la norma faccia riferimento solo alle cessioni a titolo oneroso, occorre precisare che la suddetta regola del prezzo valore può trovare applicazione anche nel caso delle donazioni, non avendo il legislatore specificato una limitazione a favore delle sole cessioni a titolo oneroso (in tal senso si è espressa la Commissione Tributaria Provinciale di Milano con sentenza n. 9617/3/2016).
Pertanto, può rispondersi dicendo che è possibile, almeno in linea teorica, effettuare la donazione al proprio figlio dell’immobile, chiedendo al notaio di volersi avvalere, ai fini della tassazione, del sistema prezzo valore e indicando nell’atto anche il reale valore di mercato attribuibile all’immobile trasferito.

La seconda domanda attiene alla successiva o contestuale stipula di un atto di donazione in favore dell’altra figlia ed avente questa volta ad oggetto una somma di denaro pari al valore della quota di immobile donata al figlio, detratta la somma spesa dal figlio donatario per lavori di miglioria eseguiti a proprio carico su quell’immobile.
Non sussiste alcuna norma che possa impedire nella seconda donazione di fare riferimento alla prima, né si rischia di incorrere nel divieto dei c.d. patti successori (ex art. 458 del c.c.), in quanto si sta disponendo in vita di beni facenti parte del proprio patrimonio.
Anzi, ciò che si consiglia è di chiedere al notaio a cui ci si rivolgerà di redigere un unico atto notarile contenente le due donazioni, facendo risultare dalla seconda donazione (quella alla figlia) che la somma donata è pari all’attuale valore di mercato dell’immobile donato con la prima donazione all’altro figlio.
Il richiamo alla donazione dell’immobile avrà sicuramente il suo rilievo probatorio qualora la sorella volesse intentare un’azione di riduzione nei confronti del fratello.

Tuttavia, malgrado gli accorgimenti che si ha intenzione di adottare in questo momento, non è purtroppo possibile escludere che uno dei due figli decida in futuro di agire in riduzione, in quanto, secondo il disposto dell’art. 556 del c.c., per determinare l’ammontare della quota disponibile e, di conseguenza, il valore della quota di riserva di ciascun legittimario, occorre riunire fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione secondo il loro valore determinato negli artt. da 747 a 750 c.c.
In particolare, l’art. 747 del c.c. sancisce che per gli immobili occorre tenere conto del valore che essi hanno al momento dell’apertura della successione, valore che di fatto potrebbe non corrispondere a quello risultante dalla perizia che ci si è premurati di far redigere.
Neppure la dispensa da collazione, che si ha intenzione di inserire negli atti di donazione, può scongiurare che i due figli possano in futuro scontrarsi in giudizio lamentando una lesione della quota di riserva, in quanto, secondo il chiaro disposto di cui al secondo comma dell’art. 737 c.c., tale dispensa produce effetto nei limiti della quota disponibile e può soltanto valere ad esimere il coerede, in cui favore è stata disposta, dal conferire alla massa ereditaria quanto ha formato oggetto di donazione con dispensa.

Sembra quasi superfluo evidenziare che, ai sensi del secondo comma dell’art. 557 del c.c., i soggetti che possono chiedere la riduzione non possono, finché vive il donante, rinunziare a questo diritto, né con dichiarazione espressa né prestando il proprio assenso alla donazione (pertanto, sarebbe nulla un’eventuale clausola inserita nell’atto di donazione con cui i figli rinunziano reciprocamente ad esercitare l’azione di riduzione).

Per quanto concerne il contenuto della scrittura privata che si ha intenzione di sottoscrivere e da valere quale scrittura accompagnatoria degli atti di donazione, si ritiene che non possa avere una forza maggiore di quella attribuibile all’atto pubblico di donazione.
Tale scrittura può soltanto utilizzarsi come semplice manifestazione di intenti, mentre alla medesima non può attribuirsi alcuna efficacia vincolante per coloro che la sottoscrivono (con conseguente diritto di pretenderne l’adempimento), per le seguenti ragioni:
  1. l’accettazione della proposta paterna, a cui si fa riferimento nella prima parte di essa, è superflua, in quanto già implicita nella stessa accettazione delle donazioni, in cui si dà peraltro atto del fatto che la somma donata alla figlia è pari all’attuale valore di mercato dell’immobile donato al figlio;
  2. la dichiarazione con cui i figli riconoscono che con tali attribuzioni non è stata posta in essere alcuna disparità di trattamento può valere soltanto per il presente, ma non per il futuro, sia perché integrerebbe un patto successorio rinunziativo (a diritti spettanti su una successione non ancora aperta) sia perché in futuro l’immobile avrà sicuramente un valore diverso da quello attuale (a ciò si è fatto già cenno nella prima parte di questa consulenza);
  3. l’impegno d’onore che si vuole far assumere ai figli non può avere alcuna rilevanza sul piano del diritto, così come il diritto che il genitore si riserva di esercitare tempestive azioni punitive o premiali” nel caso in cui qualcuno dei figli dovesse venir meno agli impegni assunti (anzi, ciò può snaturare la natura dell’atto di accettazione della donazione, il quale non sarebbe più libero);
  4. anche la parte relativa alla dichiarazione preliminare è già contenuta nell’atto pubblico del notaio, e pertanto sarebbe superfluo ripeterla nella scrittura privata;
  5. l’impegno “a non rimettere in discussione l’accordo raggiunto, ritenendolo a tutti gli effetti equo e soddisfacente”, invece, non può avere altro effetto che quello di rinunziare preventivamente ad esperire una successiva azione di riduzione, ciò che contrasta con il disposto dell’art. 557 del c.c.;
  6. infine, la dichiarazione da parte del padre di depositare il nuovo testamento modificato, lasciando intendere che la modifica dello stesso sia stata effettuata in considerazione dell’impegno assunto dai figli di rispettare le donazioni, può costituire motivo per impugnare quello stesso testamento per mancanza di libertà e spontaneità nel volere.

Pertanto, in conclusione, ciò che si consiglia è di evitare di redigere la scrittura privata e limitarsi a far risultare dalle donazioni effettuate per atto notarile la volontà di voler soddisfare in egual modo entrambi i figli con l’attribuzione di beni di egual valore, almeno attuale.
E’ anche opportuno inserire la dispensa da collazione, soprattutto se si vuole soddisfare il desiderio che l’immobile resti in ogni caso nel patrimonio del figlio.


Francesco F. chiede
mercoledì 11/09/2019 - Lombardia
“Mio padre e' defunto, e quando era in vita, ha fatto donazione di 100.000 € a mia sorella per l'acquisto di un appartamento che poi la stessa ha rivenduto dopo 10 anni ed all'apertura della successione non era più nella sua disponibilità.
Da quanto ne so' non si dovrebbe più tenere conto dei 100.0000€ ma del valore dell'appartamento, ma andrebbe periziato l'appartamento o varrebbe il valore indicato nell'atto di vendita (120.000€ )?
L'atto notarile di vendita che mi sono fatto inviare da notaio (pdf) per essere depositato in tribunale deve avere qualche autenticazione notarile?
Grazie in anticipo”
Consulenza legale i 17/09/2019
Il tema della donazione del denaro o dell’immobile con esso acquistato non è di così semplice soluzione ai fini della successiva collazione ed eventuale riduzione, in quanto non sempre può dirsi che ad una donazione di denaro debba conseguirne la collazione dell’immobile con esso acquistato.
Infatti, vi sono dei presupposti da rispettare per pretendere che oggetto di collazione da parte del coerede donatario sia, anziché il denaro, l’immobile acquistato con l’utilizzo di esso.
In particolare, nessun dubbio può sussistere qualora le parti (donante e donatario) abbiano posto in essere una donazione indiretta, rientrante tra quegli altri atti di liberalità di cui si parla all’art. 809 del c.c. e all’art. 737 del c.c., norme che riguardano rispettivamente le liberalità risultanti da atti diversi dalla donazione e la collazione di quanto si è ricevuto per donazione direttamente o indirettamente.

Tipico esempio che può farsi di donazione indiretta è il contratto a favore di terzo (art. 1411 del c.c.), fattispecie che possiamo definire trilatera, alla quale intervengono promittente (il genitore-donante), promissario (venditore) e terzo beneficiario (il figlio donatario), in cui l’acquisto da parte del terzo beneficiario avviene con denaro che altro soggetto (il genitore) mette a sua disposizione con spirito di liberalità; in tale ipotesi, infatti, l’attribuzione gratuita viene attuata con il negozio oneroso (la compravendita), il quale produce non soltanto l’effetto diretto che gli è proprio, ma anche quello indiretto relativo all’arricchimento del destinatario.
In queste ipotesi, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, affinché possa ritenersi oggetto di donazione l’immobile e non il denaro, non è sufficiente una dichiarazione resa dal genitore in sede di stipula della compravendita (nella quale si dice che il pagamento del prezzo viene effettuato con denaro da questi somministrato al figlio a titolo di donazione manuale), ma è necessario che il pagamento venga effettuato contestualmente alla stipula del rogito (cfr. Cass. Civ. Sez. I sent. N. 21494 del 10/10/2014).

In mancanza di tali presupposti, invece, l’oggetto della donazione va identificato in ciò che fuoriesce dal patrimonio del donante (il denaro), piuttosto che in ciò di cui il donatario si sia effettivamente arricchito.
Afferma la Corte di Cassazione Sez. VI set. 02.09.2014 n. 18541 che per integrare la fattispecie di donazione indiretta è necessario che la dazione della somma di denaro sia effettuata quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto dell’immobile: deve cioè sussistere incontrovertibilmente un collegamento teleologico tra elargizione del denaro e acquisto dell’immobile. Qualora tale nesso manchi o non si sia comunque in grado di fornire la prova, oggetto della donazione rimane il denaro stesso.
Se, al contrario, tale collegamento sussiste o si è in qualche modo in grado di fornirne in giudizio la prova, allora indubbiamente oggetto di collazione potrà essere l’immobile acquistato con il denaro donato, per la cui valutazione occorre fare riferimento agli artt. 746 e 747 cc..

Prevedono tali norme che la collazione di un immobile può farsi o con il rendere il bene in natura o con l’imputarne il valore alla propria porzione e che, qualora venga fatta per imputazione, occorre fare riferimento al valore che l’immobile ha al momento dell’apertura della successione.
La collazione per imputazione può essere frutto di una libera scelta del donatario oppure imposta dalla situazione di fatto, come accade nel caso di specie, in cui il donatario ha alienato l’immobile prima dell’apertura della successione.
Per tale ultima ipotesi è di indubbio interesse la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. II n. 20041 del 06.10.2016, nella quale si afferma che il valore del bene donato deve essere determinato con riferimento al momento dell’apertura della successione, con la conseguenza che se il coerede donatario, prima della morte del de cuius, abbia venduto a terzi il bene oggetto della collazione, graverà sul medesimo il rischio che al momento dell’apertura della successione quel bene possa avere un valore maggiore, considerato che è di tale valore si dovrà tener conto ai fini dell’imputazione (nel caso preso all’esame dalla Corte di Cassazione il donatario aveva alienato a terzi un terreno a destinazione agricola, il quale al momento dell’apertura della successione era divenuto edificabile, con un valore commerciale indubbiamente accresciuto).

Pertanto, volendo a questo punto sinteticamente rispondere a quanto chiesto nel quesito, può dirsi che:
  1. la sorella donataria sarà tenuta ad imputare il valore dell’immobile acquistato con il denaro donatole dal padre solo se tra la donazione del denaro e quell’acquisto sussiste uno stretto collegamento negoziale, di cui si possa fornire prova in giudizio.
Sotto questo profilo un ruolo essenziale riveste sicuramente il contenuto dell’’atto notarile di compravendita, dal quale dovrà risultare il trasferimento di denaro dal padre alla figlia per pagare il prezzo di vendita; l’atto da produrre in giudizio dovrà essere una copia certificata conforme all’originale detenuto dallo stesso notaio (non sussiste alcun problema a farsi rilasciare una copia conforme dallo studio notarile interessato);
  1. qualora si riesca a dare prova del collegamento negoziale di cui si è detto sopra, sarebbe opportuno produrre in giudizio anche una perizia attestante il valore dell’immobile alla data di apertura della successione, e ciò conformemente a quanto disposto dall’art. 747 c.c. (tale valore, infatti, potrebbe essere superiore a quello concordato dalle parti nell’atto di compravendita).


Moreno C. chiede
martedì 13/12/2016 - Trentino-Alto Adige
“Al momento della successione un terreno edificabile donato risulta edificato; è possibile eseguire ancora un modesto aumento di volume. Il valore del terreno, al momento della successione ancora in zona edificabile, può essere quello relativo al modesto aumento di volume consentito?”
Consulenza legale i 17/12/2016
Il problema che con il caso in esame si è chiamati a risolvere è essenzialmente quello di stabilire quale sia il valore da attribuire ai beni donati in vita dal de cuius al fine di giungere ad una corretta determinazione del valore complessivo della massa ereditaria da dividere.

Norme di sicuro riferimento a tale riguardo sono quelle contenute nel Libro II, Titolo IV, Capo II del codice civile, dedicato alla collazione.
In particolare, con riferimento agli immobili (il bene donato nel caso di specie è un terreno), dispone l’art. 746 c.c. che “la collazione di un bene immobile si fa o col rendere il bene in natura o con l’imputarne il valore alla propria porzione, a scelta di chi conferisce”.
Sembra evidente che, avendo il donatario ricevuto per donazione un terreno edificabile ed avendo su tale terreno realizzato un fabbricato a sue spese prima della morte del de cuius, la forma di collazione che verrà scelta sarà senza dubbio quella per imputazione.
A questo punto, dunque, troverà applicazione il successivo art. 747 c.c., il quale dispone che “la collazione per imputazione si fa avuto riguardo al valore dell’immobile al tempo della aperta successione”.

La collazione per imputazione, infatti, costituisce una fictio iuris per effetto della quale il coerede che, a seguito di donazione, abbia già anticipatamente ricevuto una parte dei beni a lui altrimenti destinati solo con l’apertura della successione, ha diritto a ricevere beni ereditari in misura ridotta rispetto agli altri coeredi, tenuto conto del valore di quanto gli sia stato in precedenza donato, valore che va determinato con riferimento al momento dell’apertura della successione.

Si potrebbe in contrario obiettare che per ristabilire la proporzione delle quote ereditarie sarebbe giusto che il coerede donatario sia tenuto a conferire alla massa ereditaria solo il valore rappresentato dall’effettivo arricchimento di cui egli ha goduto a seguito della liberalità, in quanto, se così non fosse, gli eredi non donatari sarebbero favoriti, nella determinazione delle loro quote ereditarie, dall’aumento del valore del cespite.
Proprio nel caso che ci riguarda, infatti, il bene donato avrà senza alcun dubbio un valore maggiore rispetto a quello che aveva al tempo della donazione, avendo il donatario realizzato sullo stesso una costruzione.
Per tale ipotesi, tuttavia, il legislatore interviene con i successivi artt. 748 e 749 c.c., che consentono di tenere in considerazione, ai fini della collazione per imputazione, i miglioramenti apportati al bene (trattasi di norme che sono espressione, a loro volta, dei principi generali che reggono il possesso di buona fede espresso all’art. 1150 c.c. e, più in generale, di quelli in tema di indebito arricchimento).

Così sarà necessario dedurre in favore del donatario il valore dei miglioramenti apportati al fondo nei limiti del loro valore al tempo dell’aperta successione, in quanto non sarebbe ragionevole imporre al donatario di conferire un valore che non è riferito all’originaria consistenza della cosa donata, ma che dipenda da iniziative da lui assunte (nel caso di miglioramenti eseguiti a sua cura e spese) o da interventi di terzi.

In definitiva, al momento dell’apertura della successione, al fine di determinare il valore del terreno oggetto di donazione, si dovrà tener conto della destinazione urbanistica che esso ha e, in caso di sua attitudine edificatoria, della volumetria realizzabile, compresa, senz'altro, anche la volumetria già utilizzata per la costruzione ivi esistente.


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