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Articolo 746 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Collazione d'immobili

Dispositivo dell'art. 746 Codice Civile

La collazione di un bene immobile si fa o col rendere il bene in natura(1) [748 c.c.] o con l'imputarne il valore alla propria porzione, a scelta di chi conferisce(2) [2645 c.c.].

Se l'immobile è stato alienato o ipotecato, la collazione si fa soltanto con l'imputazione [747, 749 c.c.].

Note

(1) Se si sceglie di conferire il bene in natura, questo cessa di essere di proprietà dell'erede ed entra in comunione tra i discendenti e il coniuge.
(2) Si tratta di un'obbligazione alternativa (v. 1285 e ss. del c.c.). Comunicata agli altri eredi la scelta, questa diviene irrevocabile.

Ratio Legis

L'eccezione tutela l'interesse dell'acquirente e l'interesse del creditore ipotecario, che diversamente vedrebbero venir meno il vantaggio conseguito e le garanzie ottenute se si consentisse al coerede di effettuare la collazione in natura e, quindi, di far uscire il bene dal patrimonio personale.

Spiegazione dell'art. 746 Codice Civile

Il nuovo codice ha mantenuto il sistema, già adottato dall’articolo #1015# del vecchio codice del 1865, secondo cui il donatario di un immobile ha la scelta di restituire alla massa la cosa donatagli in natura, ovvero di imputare il valore, calcolato come nell’art. 746, alla propria porzione. Il diritto di scelta cessa, e si fa luogo alla sola imputazione, qualora l'immobile sia stato ipotecato o alienato. Il termine alienazione va preso in senso largo, e comprende qualsiasi diminuzione giuridica (non quella naturale) del fondo, per enfiteusi, servitù, superficie, come pure nel caso di perdita per colpa del donatario.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 746 Codice Civile

Cass. civ. n. 23403/2022

In tema di divisione ereditaria, l'istituto della collazione, che, in presenza di donazioni fatte in vita dal "de cuius" e salva apposita dispensa di quest'ultimo, impone il conferimento del bene che ne è oggetto in natura o per imputazione, ha la finalità di assicurare l'equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti nella formazione della massa ereditaria, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote determinate attraverso la sommatoria del "relictum" e del "donatum" al momento dell'apertura della successione, sicché il relativo obbligo sorge automaticamente in seguito ad essa, senza necessità di proporre espressa domanda da parte del condividente, essendo a tal fine sufficiente che sia chiesta la divisione del patrimonio relitto e che sia menzionata, in esso, l'esistenza di determinati beni quali oggetto di pregressa donazione. Tuttavia, in caso di donazione indiretta, è pregiudiziale all'obbligo di collazione la proposizione della domanda di accertamento dell'esistenza della stessa.

Cass. civ. n. 10756/2019

La quota di società è soggetta a collazione per imputazione, prevista dall'art. 750 c.c. per i beni mobili, poiché - non conferendo ai soci un diritto reale sul patrimonio societario riferibile alla società, che è soggetto distinto dalle persone dei soci - attribuisce un diritto personale di partecipazione alla vita societaria. La collazione della quota di azienda, che rappresenta la misura della contitolarità del diritto reale sulla "universitas rerum" dei beni di cui si compone, va compiuta, invece, secondo le modalità indicate dall'art. 746 c.c. per gli immobili, sicché - ove si proceda per imputazione - deve aversi riguardo al valore non delle singole cose, ma a quello assunto dalla detta azienda, quale complesso organizzato, al tempo dell'apertura della successione. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO GENOVA, 30/10/2014).

Cass. civ. n. 9177/2018

La collazione per imputazione si differenzia da quella in natura per il fatto che i beni già oggetto di donazione rimangono di proprietà del medesimo donatario; sicché, ove il condividente abbia optato per la prima, la somma di denaro corrispondente al valore del bene donato, quale accertato con riferimento alla data di apertura della successione, viene sin da quel momento a far parte della massa ereditaria in sostituzione del bene donato, costituendo in tal modo "ab origine" un debito di valuta a carico del donatario, cui si applica il principio nominalistico, con la conseguenza che anche gli interessi legali vanno rapportati a tale valore e decorrono dal medesimo momento.

Cass. civ. n. 20041/2016

In tema di collazione, ove il "relictum" sia costituito da un unico bene, i prelevamenti devono essere effettuati stralciando dallo stesso la quota corrispondente al valore dei beni oggetto del conferimento per imputazione, atteso che la mancanza, nell'asse ereditario, di beni della stessa natura di quelli che sono stati così conferiti dagli eredi donatari non esclude il diritto degli eredi non donatari al prelevamento, che si attua, ex art. 725 c.c., solo per quanto possibile, con oggetti della stessa natura e qualità di quelli non conferiti in natura.

Cass. civ. n. 5659/2015

Il donante ha solo il potere di dispensare il donatario dalla collazione, ma non può in alcun modo vincolare il donatario stesso, che sia tenuto alla collazione, a conferire l'immobile in natura o attuare la collazione per imputazione.

Nella divisione ereditaria, una volta che il condividente donatario abbia optato per la collazione per imputazione - che si differenzia da quella in natura per il fatto che i beni già oggetto di donazione rimangono di proprietà del medesimo condividente -, la somma di denaro corrispondente al valore del bene donato, quale accertato con riferimento alla data di apertura della successione, viene sin da quel momento a far parte della massa ereditaria in sostituzione del bene donato, costituendo in tal modo "ab origine" un debito di valuta a carico del donatario, cui si applica il principio nominalistico. Ne consegue che devono essere imputati non i frutti civili dell'immobile oggetto di collazione, ma gli interessi legali sulla predetta somma, con decorrenza dal momento dell'apertura della successione.

Cass. civ. n. 20258/2014

La quota di società non conferisce al socio un diritto reale su beni costituenti il patrimonio societario, ma un diritto personale di partecipazione alla vita societaria, la cui misura non è soggetta a cambiamento per effetto di successivi aumenti di capitale, sicché la relativa donazione è soggetta a collazione per imputazione di beni mobili, ai sensi dell'art. 750 cod. civ., e, dunque, sulla base del valore che aveva al tempo di apertura della successione.

Cass. civ. n. 56/2014

La cessione gratuita della quota di partecipazione ad una cooperativa edilizia, finalizzata all'assegnazione dell'alloggio in favore del cessionario, integra donazione indiretta dell'immobile, soggetta, in morte del donante, alla collazione ex art. 746 cod. civ., tale quota esprimendo non una semplice aspettativa, ma un vero e proprio credito all'attribuzione dell'alloggio.

Cass. civ. n. 502/2003

Mentre è soggetta a collazione per imputazione, prevista dall'art. 750 c.c. per i beni mobili, la quota di società, in quanto - non conferendo ai soci un diritto reale sul patrimonio societario riferibile alla società, che è soggetto distinto dalle persone dei soci - attribuisce un diritto personale di partecipazione alla vita societaria, va compiuta, secondo le modalità previste dall'art. 746 c.c. per gli immobili, la collazione della quota di azienda, che rappresenta la misura della contitolarità del diritto reale sulla universitas rerum dei beni di cui si compone, sicché - ove si proceda per imputazione - deve aversi riguardo al valore non dei singoli beni ma a quello assunto dall'azienda, quale complesso organizzato, al tempo dell'apertura della successione.

Cass. civ. n. 4381/1982

Il donante ha solo il potere di dispensare il donatario dalla collazione, ma non può in alcun modo vincolare la sua scelta, qualora egli sia tenuto alla collazione, di conferire in natura il bene (immobile) ricevuto ovvero di attuare la collazione per imputazione.

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Consulenze legali
relative all'articolo 746 Codice Civile

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Dott. A. B. chiede
martedì 02/06/2020 - Marche
“Dovrei donare la mia quota di proprietà 74% ca. stimata a 175.000 E. ex-casa coniugale al figlio legittimo L. ( resto del 26% dell'ex-moglie con divorzio registrato), peraltro data in comodato gratuito 10.le per lavori di ristrutturazioni da lui pagati. Il succitato controvalore (già decurtato dei lavori incrementativi per 57.000 E.) verrebbe da me donato in contanti, in un unico atto notarile, ad altra figlia (naturale) K. come contributo per un successivo acquisto abitazione a Milano. Stante i rapporti problematici, L. tramite suo legale, propone complicati e costosi passaggi, che prevedono la donazione delle quote del 37% a ciascun figlio, per poi donare a L. il 37% in contanti pari a 87.530 E., per acquistare la quota di K. (Finta Vendita?), come meglio specificato nell'Allegato (Soluz. 1) inviato a parte. Le maggiori garanzie - a loro dire- (forse come riparo alle azioni della 563) non terrebbero conto delle complicanze della Collazione trattandosi di probabile donazione indiretta. La mia proposta ( + semplice e - costosa) prevede come da Soluz. 2 Prospetto la donazione intera quota 74% a L. ed a K. il controvalore in contanti pari a E.175.000 con rilascio di dispensa da collazione (totale) ad entrambi da inserire nel testamento olografo ( o nell'atto stesso) stante l'ampio margine di capienza nella quota disponibile.
Quesiti ( tenuto conto che si tratta di una 1° trance di sistemazione di parte dei beni alla pari con l'accettazione incondizionata ( resto più ampio alla successione) e della difficoltà di K. di avanzare atto di opposizione perchè proprietaria minore e per i lavori già fatti da Luca abitante da diverso tempo in tale appartamento ), chiedo consiglio su questi punti ;
1°) Scrittura privata con sottoscrizione autenticata o citazione nell'atto stesso,da entrambi per rinuncia "all'opposizione" in base al 4° Comma art.553 C.C. quale diritto " personale e rinunziabile" su atto a carattere "negoziale,recettizio e formale" ( Ved.Q201821999) ;
2°) La dispensa da collazione da inserire nell'atto e/o nel testamento? E' sufficiente per evitare i rischi art.563 ( difficile per K. pretendere la restituzione ?) Quali altre forme pattizie pre-successorie anche con penalità ( garante in vita il sottoscritto) poi il paracadute della dispensa da collazione all'atto della successione da testamento ?
3°) La ricomposizione delle 2 donazioni che farà l'agenzia delle Entrate agli effetti del calcolo della franchigia da 1 Milione di E., può essere occasione di ripensamenti ?
4° ) Quali conseguenze fiscali e tributarie (redditometro,ec.) passaggi da Ag.Entrate?
Disponibilità a pagare anche la consulenza on line, invio a parte Prospetto con D.S.

Consulenza legale i 14/06/2020
Il patto che si ha intenzione di far sottoscrivere ai propri figli, purtroppo, non va incontro a quelli che sono gli intendimenti del figlio L. e, nello stesso tempo, potrebbe rivelarsi incapace di soddisfare e garantire gli interessi della figlia K.
Scopo primario che colui il quale pone il quesito intende realizzare è quello di sistemare il proprio patrimonio per il tempo in cui avrà cessato di vivere, cercando nello stesso tempo di soddisfare le legittime aspettative che ciascuno dei propri figli ha su quel patrimonio, legate essenzialmente ai diversi ambienti di vita a cui sono legati, evitando per quanto possibile l’insorgere di future controversie tra gli eredi.

Va preliminarmente detto, in conformità a quanto già sostenuto nella consulenza n. 21999 richiamata nel quesito, che sarebbe nullo il patto che si vorrebbe inserire nella scrittura privata ed in forza del quale i donatari dovrebbero obbligarsi reciprocamente a rinunciare sin d’ora all’esercizio dell’azione di riduzione, in quanto secondo quanto espressamente disposto dal secondo comma dell’art. 557 del c.c., l’esercizio dell’azione di riduzione costituisce diritto irrinunciabile finchè vive il donante.
Da ciò ne consegue che il notaio, a cui verrebbe chiesto di ricevere l’atto di donazione, non potrebbe in ogni caso inserire nel corpo di quel contratto tale pattuizione, in quanto contrastante espressamente con il disposto del predetto art. 557 c.c. (oltre che con il divieto dei patti successori, sancito dall’art. 458 del c.c.).

Il secondo aspetto da prendere in esame concerne la rinuncia preventiva ad opporsi alla donazione agli effetti di cui all’art. 563 del c.c..
Trattasi di possibilità introdotta dal legislatore per effetto della modifica apportata a tale norma con il D.l. n. 35/2005 (successivamente convertito nella Legge 28.12.2005), con il precipuo scopo di favorire la circolazione dei beni donati una volta trascorso il termine ventennale dalla trascrizione della donazione.
Tale norma, dunque, attiene non tanto ai rapporti tra gli eredi, quanto piuttosto ai rapporti con i terzi acquirenti dei beni donati, ai quali quei beni possono essere liberamente alienati dai donatari una volta trascorso il termine ventennale e trascritta la rinunzia ad opporsi alla donazione.

A ciò si aggiunga che la dispensa da collazione, come correttamente si rileva nel quesito, sarebbe in grado di produrre effetti soltanto nei limiti della quota disponibile (così art. 737 del c.c. comma secondo), con la conseguenza che i donatari, nel momento in cui andranno ad accettare l’eredità, potrebbero trovarsi costretti a conferire agli altri coeredi ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente in misura eccedente la disponibile (della precisa misura di questa non può in alcun modo aversi cognizione preventiva, poiché legata a ciò che al momento della morte costituirà il patrimonio del de cuius).

Unico elemento che può far stare in certo qual modo tranquillo il figlio L. è la disposizione dell’art. 746 del c.c., per effetto della quale, nell’ipotesi in cui oggetto di collazione sia un bene immobile, il donatario è libero di scegliere se rendere il bene in natura o imputarne il valore alla sua porzione.
Nel caso in cui decida di avvalersi della collazione per imputazione, la somma di denaro da imputare sarà pari al valore che l’immobile donato avrà al momento dell’apertura della successione.
Dunque, per effetto di tali disposizioni, il figlio non avrà alcun obbligo di conferire l’immobile donato, ma di contro avrà lo svantaggio di dover imputare una somma sicuramente maggiore rispetto a quella che la sorella K. sarà tenuta a conferire.
Infatti, avendo quest’ultima ricevuto in donazione una somma di denaro, nei confronti della stessa si applicherà l’art. 751 del c.c., relativo proprio alla collazione del denaro, dal quale discende che, trattandosi di una obbligazione pecuniaria (cioè avente ad oggetto una somma di denaro) ed essendo assoggettata al principio nominalistico (espresso dall’art. 1277 del c.c.), la figlia K. sarà tenuta ad imputare la medesima somma di denaro che ha costituito oggetto di donazione, restando irrilevante l’intervenuta svalutazione monetaria.

Passando adesso ad analizzare la soluzione proposta dal figlio L., deve osservarsi che, in effetti, in questo modo L. non corre il rischio di dover conferire in collazione una somma maggiore di quella ricevuta da K., in quanto entrambi verrebbero a ricevere una identica quota di quell’immobile ed una identica somma di denaro.
Non può, nel contempo, negarsi che tale soluzione è sicuramente più onerosa di quella voluta dal padre, in quanto darebbe luogo ad un duplice ed inutile trasferimento di proprietà (dal padre alla figlia e da questa al figlio della quota del 37% dell’immobile).

Poiché entrambe le soluzioni presentano degli inconvenienti, si vogliono a questo punto suggerire le seguenti ipotesi alternative:
  1. Stipulare un unico atto di donazione, avente il seguente contenuto:
  1. Il padre dona:
- al figlio L. la quota di sua proprietà dell’immobile, con valore pari ad euro 236.000;
- alla figlia K. la somma di euro 175.000, specificando espressamente che tale somma dovrà essere utilizzata per integrare il prezzo di acquisto di una casa di abitazione in Milano (donazione indiretta).

  1. la figlia K. riconosce espressamente nel medesimo atto di donazione, con dichiarazione avente natura di confessione stragiudiziale, che il fratello L. ha eseguito a sua cura e spese sull’immobile donatogli interventi di miglioramento per un valore complessivo pari ad euro 57.000, per come risulta accertato da perizia redatta dal geometra ….. (perizia che si potrà chiedere al notaio di allegare all’atto).
In questo modo si raggiungerà un duplice effetto:
  • anche K. sarà tenuta a conferire in collazione il valore della quota parte di immobile acquistato con il contributo della somma donata dal padre (con riferimento al momento dell’apertura della successione);
  • la confessione stragiudiziale potrà essere un’utile strumento di cui L., se necessario, potrà disporre al fine di provare in giudizio di aver effettuato sull’immobile ricevuto in donazione miglioramenti per un valore pari ad euro 57.000.

  1. qualora il figlio L. dovesse opporsi anche ad un atto con il contenuto sopra riportato, che obiettivamente si ritiene particolarmente garantista nei suoi confronti, non rimane altra soluzione che quella di rimandare la suddivisione del proprio patrimonio al momento della propria morte, avvalendosi dell’istituto giuridico della divisione fatta dal testatore, previsto dall’art. 734 c.c.
Per mezzo di tale istituto, infatti, si attribuirebbe:
- a L. la propria quota sull’appartamento, dando atto nel medesimo testamento del valore delle migliorie apportate all’immobile;
- a K. la somma di euro 175.000, indicando espressamente il conto da cui quella somma dovrà essere prelevata.
Per tutti gli altri beni che si troveranno nel proprio patrimonio, si disporrà che si dovrà procedere a divisione in parti eguali tra i due figli.

In questo modo, al momento dell’apertura della successione si realizzerà un trasferimento diretto di tali beni in favore dei figli, senza necessità che per gli stessi si debba procedere a divisione.
Peraltro, stando a quanto viene detto nel quesito, con tali attribuzioni non dovrebbero sorgere problemi di lesione della quota di riserva a ciascuno dei figli spettante.
Unico inconveniente di questa seconda soluzione potrebbe stare nel fatto che, mentre L. di fatto si trova già nel possesso dell’immobile in forza del contratto di comodato, K., al contrario, verrebbe a beneficiare della somma di denaro solo al momento dell’apertura della successione.
Pertanto, se la donazione di quella somma di denaro dovesse costituire per la stessa elemento indispensabile per procedere all’acquisto della casa di abitazione a Milano, non si potrà fare a meno, per ragioni di equità, che optare per la soluzione proposta sub lettera A).

Qualora non si intenda seguire nessuna delle soluzioni appena proposte, ciò che può consigliarsi, al fine soprattutto di evitare il rischio che L. possa essere costretto ad imputare, in sede di collazione, una somma maggiore rispetto a K., è di donare a L. la sola nuda proprietà dell’immobile, così da decurtare il valore di ciò che, al momento dell’apertura della successione, dovrà imputare.

Infine, sotto il profilo fiscale, non si intravvedono particolari problematiche, trattandosi in tutti i casi proposti di donazioni da genitori a figli.


Angelo V. chiede
domenica 24/02/2019 - Sicilia
“Il padre nel 1989 effettua alla figlia una donazione indiretta di un immobile per un valore di 150 milioni; la figlia nel 2010 vende l'immobile per una cifra di 340 mila euro; oggi in una eventuale collazione qual'è il valore della donazione?”
Consulenza legale i 18/03/2019
Per regola generale, alla collazione si procede o rendendo il bene in natura (ovvero attraverso l’apporto reale, concreto, del bene alla massa ereditaria, così che gli eredi ne diventino comproprietari) oppure imputando il valore del bene alla propria porzione di eredità.
E’ evidente, però, che se gli immobili sono stati alienati, la collazione può realizzarsi soltanto per imputazione, attraverso un apporto fittizio alla massa ereditaria del valore del bene in denaro, che viene computato nella quota spettante al donatario.

Le norme che vengono in considerazione, in particolare, sono gli articoli 746, 747 e 749 del c.c., relativi alle modalità di collazione degli immobili.
La prima norma citata stabilisce quanto già sopra detto, ovvero che se l’immobile è stato alienato o ipotecato la collazione si fa soltanto per imputazione; il secondo articolo – che è quello che più ci interessa per la risposta al quesito – è che la collazione per imputazione si fa avendo riguardo al valore dell’immobile al tempo dell’apertura della successione; infine, l’art. 749 c.c.. stabilisce che nel caso di alienazione dell’immobile, si devono dedurre a favore del donatario il valore delle spese e dei miglioramenti apportati al bene al tempo dell’apertura della successione.

Se l’immobile è stato venduto dal donatario prima della morte del donante, come nel caso in esame, egli accetterà il rischio delle variazioni di valore che si possono verificare medio tempore.

Una sentenza che si ritiene abbastanza significativa in materia è quella della Corte di Cassazione, Sez. II, 06/10/2016, n. 20041, la quale affronta il caso della donazione di un fondo originariamente a destinazione agricola e che, dopo essere stato venduto dalla donataria prima della morte del donante, ha assunto una destinazione edificabile, con conseguente aumento di valore.

La Cassazione ha stabilito in questo caso il principio secondo cui, ai fini della collazione, occorre tenere conto del valore di mercato dell’immobile al momento in cui si apre la successione, ma ha anche precisato che, ex art. 748 c.c., tale valore debba essere ridotto in ragione del valore delle migliorie apportate al bene.
Il diritto del donatario ad essere rimborsato degli eventuali miglioramenti eseguiti sul bene ricevuto in donazione lo si fa discendere dal fatto che non sarebbe ragionevole imporre al medesimo donatario di conferire un valore che non è riferito all'originaria consistenza della res donata, ma che dipende, piuttosto, da iniziative da lui assunte (nel caso di miglioramenti eseguiti a sua cura e spese) o da interventi di terzi che abbiano inteso favorirlo (nel caso in cui i miglioramenti siano apportati da altri.
Diverso è il caso in cui il bene abbia subito un incremento di valore per effetto di una destinazione edificatoria insussistente al momento del trasferimento (ovvero per situazioni indipendenti dalla volontà o da opere eseguite dal donatario); in quel caso lo stesso dovrà essere stimato, ai fini della collazione, facendo riferimento al maggio valore che avrà al momento in cui si apre la successione.

Trasferendo le considerazioni della sentenza citata al caso di specie, può dirsi che occorre considerare nella stima anche l’incremento di valore che l’immobile ha assunto per motivi indipendenti da iniziative del donatario o di terzi finalizzate a migliorie del bene stesso.

In buona sostanza e per concludere, nel caso in esame, il valore di cui tenere conto ai fini della collazione non è quello di 150 milioni di Lire che l’immobile aveva alla fine degli anni ’80 (al momento in cui è avvenuta la donazione), e neppure il valore corrispondente al prezzo della vendita avvenuta nel 2010, quanto piuttosto il valore risultante da una stima (di mercato) dell’immobile da effettuare al momento in cui verrà a mancare il padre donante.


ANONIMO chiede
sabato 23/04/2016 - Campania
“Nel OMISSIS un padre acquista un immobile al primo figlio, in regime di comunione dei beni con la moglie, e non viene data informativa agli altri figli coeredi. Nel OMISSIS il padre muore, non essendoci immobili, ma solo una piccola somma di denaro, (la casa in cui vivevano era intestata alla sola moglie) non viene aperta successione, ma si dividono le somme di denaro (50% alla moglie il resto ai OMISSIS figli). Poi muore anche la moglie nel OMISSIS (dopo grave malattia che aveva compromesso le facoltà mentali), gli altri due figli vengono in possesso dei documenti riguardanti la donazione fatta. Come si procede visto che la prima donazione immobiliare supera abbondantemente (di oltre il 100%) le restanti quote?

Consulenza legale i 02/05/2016
Nel caso di specie viene in considerazione l’istituto della collazione ereditaria (art. 737 del codice civile).
Si tratta di un obbligo che la legge pone a carico solamente di alcuni eredi e che ha come scopo quello di ripristinare, a favore dei parenti più stretti del defunto, l'uguaglianza di trattamento nella ripartizione del patrimonio ereditario.
I soggetti tenuti alla collazione sono il coniuge del defunto, i figli di esso ed i discendenti di questi ultimi (per cui, nel caso illustrato dal quesito, ci troviamo proprio nell’ipotesi di legge).
La regola è che tali soggetti “devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati. (…)”.
Ciò significa che qualora uno dei citati soggetti, quando il defunto era ancora in vita, avesse ricevuto una donazione da quest’ultimo, dovrà “restituire” alla massa ereditaria il bene ricevuto in donazione per consentire di calcolare le quote ereditarie correttamente, ovvero nel rispetto delle percentuali previste per legge.
La restituzione è “reale”, nel senso che il bene oggetto della donazione rientra davvero a far parte del patrimonio ereditario e viene, poi, equamente diviso tra gli eredi suddetti (la donazione, cioè, viene ritenuta una sorta di “anticipo” sulla successione).
I beni immobili sono soggetti a collazione sia quando la donazione sia stata diretta sia quando sia indiretta, ovvero – in quest’ultima ipotesi – quando l’immobile sia stato acquistato con denaro del defunto ma in nome e nell’interesse dell’erede (ad esempio, acquisto pagato con denaro del padre con intestazione del bene al figlio).
Nel caso di beni immobili la restituzione può avvenire in due modi, a libera scelta del donatario:
- o in natura, restituendo il bene ricevuto per donazione - che cesserà pertanto di essere di esclusiva proprietà del donatario e diventerà oggetto di comunione - (cd. conferimento in natura)
- oppure per equivalente, ossia conferendo una somma di denaro corrispondente al valore del bene al momento dell’apertura della successione (cd. conferimento per imputazione).
In entrambe le ipotesi si ha riguardo al valore di mercato che ha il bene al momento dell’apertura della successione e non al valore (solitamente maggiore) che il bene aveva al momento della donazione. La scelta deve essere fatta mediante dichiarazione scritta ed è soggetta all’onere della trascrizione trattandosi di un atto che determina comunque il trasferimento del diritto (art. 2645 cod. civ.).
Si noti bene che per effetto della collazione, quando si apre la successione, è come se la donazione venisse risolta con effetto retroattivo, e di conseguenza il bene donato rientra subito nella comunione ereditaria senza bisogno di un atto formale di trasferimento.
La collazione in natura rappresenta l’ipotesi eccezionale e si può fare solo i beni immobili non siano stati alienati né ipotecati dal donatario.
Solitamente la collazione di immobile si effettua per equivalente.
Concretamente, si procede in questo modo: si calcola il valore del bene immobile donato e si somma al valore della massa ereditaria, in modo tale da calcolare il valore complessivo del patrimonio ereditario e, pertanto, delle singole quote spettanti agli eredi.
Quindi il coerede donatario imputa alla propria quota il valore che i beni donati avevano al momento della apertura della successione, ciò per capire se - con il bene donato – la sua quota ha un valore che non eccede quello che gli spetta per legge.
Se così è, non c’è alcun problema ed alcun obbligo a carico del coerede in questione. Se, diversamente, la sua quota risulta eccessiva rispetto a quella che gli spetterebbe per legge, egli potrà tenere – evidentemente – l’immobile fisicamente per sé, ma dovrà versare alla comunione una somma di denaro equivalente alla parte eccedente della sua quota (ad esempio, se la quota che gli spetta per legge è 50 e l’immobile ricevuto in donazione vale 100, egli avrà ricevuto un eccedenza di valore di 50; dovrà allora dare/restituire alla comunione proprio 50).
Trattandosi di immobili, va per completezza aggiunto che la legge attribuisce al donatario che li conferisce il diritto al rimborso del valore delle migliorie apportate ai beni, nei limiti del loro valore al tempo dell’apertura della successione, nonché il diritto al rimborso delle spese straordinarie sostenute per la conservazione dello stesso. Parimenti gli impone il rimborso dei deterioramenti a lui imputabili.
Invece, con riguardo ai frutti (es. gli affitti maturati se l’immobile è locato a terzi) e agli interessi, l’art. 745 cod. civ. dispone che essi sono dovuti dal giorno dell’apertura della successione.
Nel caso concreto al nostro esame, quindi, il figlio che aveva ricevuto l’immobile dal padre, dovrà scegliere se vuole tenere l’immobile per sé oppure cederne una quota ai fratelli (ovvero, concretamente, dividere l’immobile per quote, che andranno opportunamente calcolate, tenendo conto della successione temporale delle morti dei genitori: pertanto, una parte era andata dapprima alla madre, quando questa era ancora in vita, ed una parte ai figli, e successivamente, alla morte della prima, l’intera proprietà dell’immobile è tornata ai soli figli ma con quote diverse) oppure tenerlo per sè.
Quest’ultima, che è la soluzione preferibile, comporta che il figlio beneficiario della donazione calcoli il valore che aveva l’immobile al momento (morte) dell’apertura delle successione del padre; quindi calcoli le quote spettanti ai figli ed alla madre sull’eredità paterna in quel momento; se necessario (ovvero se con il valore dell’immobile la sua quota risulti maggiore del dovuto) effettui i relativi conguagli in denaro ai fratelli (tenendo sempre conto, lo si ricorda, della parte di eredità materna).

Giancarlo C. chiede
domenica 29/03/2015 - Sardegna
“nel marzo 1964 mio padre mi ha dato la somma di attuali 2000€ per comprare un locale commerciale e io personalmente ho stipulato l'atto notarile e ho sempre riscosso io l'affitto dal conduttore. Mio padre non è più in vita dal 1996. Nel 2004 i miei coeredi hanno chiesto la collazione del locale o la somma rivalutata con interessi dal 1964. Io ritengo invece che avrebbero diritto al valore nominale della somma con interessi legali dal 1996, se la somma mi fosse stata richiesta dal padre entro il 1974 e poi rinnovata la richiesta ogni dieci anni.”
Consulenza legale i 01/04/2015
Il quesito coinvolge l'istituto della collazione ereditaria, il quale prevede che i figli, i loro discendenti e il coniuge che abbiano accettato l'eredità debbano restituire alla massa ereditaria tutti i beni che sono stati loro donati dal defunto quando questi era in vita, al fine che siano divisi tra tutti i coeredi (artt. 737 ss. c.c.).

Rispetto al quesito proposto, due sono le problematiche principali:
1. l'obbligo di collazione si prescrive o comunque è soggetto a richiesta di parte?
2. come viene restituito il bene? in natura o per imputazione?

1.
La collazione ereditaria, secondo un orientamento che appare prevalente in giurisprudenza, non sarebbe soggetta ad una espressa domanda dei condividenti, ma costituirebbe un rapporto obbligatorio che sorge automaticamente per effetto dell'apertura della successione. In tal senso si veda Cass. civ., sez. II, 18 luglio 2005, n. 15131: "In presenza di donazioni fatte in vita dal de cuius, la collazione ereditaria - in entrambe le forme previste dalla legge, per conferimento del bene in natura ovvero per imputazione - è uno strumento giuridico volto alla formazione della massa ereditaria da dividere al fine di assicurare l'equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote, da determinarsi, in relazione alla misura del diritto di ciascun condividente, sulla base della sommatoria del relictum e del donatum al momento dell'apertura della successione, e quindi garantire a ciascuno degli eredi la possibilità di conseguire una quantità di beni proporzionata alla propria quota. Ne consegue che l'obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell'apertura della successione (salva l'espressa dispensa da parte del "de cuius" nei limiti in cui sia valida) e che i beni donati devono essere conferiti indipendentemente da una espressa domanda dei condividenti, essendo sufficiente a tal fine la domanda di divisione e la menzione in essa dell'esistenza di determinati beni, facenti parte dell'asse ereditario da ricostruire, quali oggetto di pregressa donazione. Incombe in tal caso sulla parte che eccepisca un fatto ostativo alla collazione l'onere di fornirne la prova nei confronti di tutti gli altri condividenti".

Pertanto, nel caso di specie, non è necessario che la somma donata sia stata richiesta dal padre entro il 1974 per far sorgere l'obbligo del figlio di conferirla in collazione: è sufficiente a tal fine la mera domanda di divisione del compendio ereditario.

2.
Ai sensi dell'art. 751 del c.c., la collazione di una somma di denaro si fa prendendo una somma inferiore di denaro che si trova nell'eredità (la collazione si concretizzerà in un obbligazione di valuta, regolata dal principio nominalistico: il donatario dovrà collazionare la somma ricevuta in donazione rivalutata degli interessi legali).
Tuttavia, in aperto contrasto con la dottrina, la giurisprudenza ormai dominante reputa che l'oggetto della collazione debba essere individuato nel bene immobile acquistato dal beneficiario con il denaro del de cuius (donazione indiretta dell'immobile, ex multis vedi Cass. civ., sez. I, 12 maggio 2010, n. 11496: "l'acquisto di un immobile con denaro del disponente e intestazione ad altro soggetto (che il primo intende, in tal modo, beneficiare), costituendo lo strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, integra una donazione indiretta del bene stesso, e non del denaro (giurisprudenza consolidata, a partire da Cass. sez. unite, 5 agosto 1992, n. 9282; cfr. e plurimis, Cass., sez. II, 26 agosto 2002, n. 12.486; Cass., sez. I, 6 aprile 2001, n. 5122").
Quindi, la collazione di bene immobile dovrà avvenire, ai sensi dell'art. 746 del c.c., in natura (restituzione del locale) o imputando il valore alla propria porzione in sede di divisione. Nella collazione in natura, il valore del bene va stimato al momento della divisione (art. 726 del c.c.), mentre il valore del bene nella collazione per imputazione è quello dell'immobile al tempo dell'apertura della successione, come sancisce l'art. 747: nel nostro caso, il valore del locale nel 1996. Gli interessi seguono la stessa regola, quindi decorrono dallo stesso momento (v. Cass. civ., 25646/2008).

Naturalmente, va sottolineato che in casi come quello in esame - in cui si è avuta l'elargizione di una somma di denaro precedente all'acquisto - la donazione indiretta dell’immobile ricorre solo qualora il versamento sia stato finalizzato alla compravendita, mentre nel caso in cui il denaro sia stato donato come tale, si realizza una donazione diretta pura e semplice di denaro.

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