Cass. civ. n. 275/2020
Nel procedimento disciplinato dall'art. 250 c.c., come novellato dall'art. 1 della l. n. 219 del 2012, teso al riconoscimento del figlio che non abbia compiuto i quattordici anni, quest'ultimo non assume la qualità di parte, per cui la nomina di un curatore speciale è necessaria solo ove il giudice lo ritenga opportuno in considerazione del profilarsi, in concreto, di una situazione di conflitto di interessi. (Rigetta, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 02/07/2018).
Cass. civ. n. 7762/2017
Il riconoscimento del figlio minore infraquattordicenne nato fuori dal matrimonio, già riconosciuto da un genitore, costituisce un diritto soggettivo dell’altro, tutelato nell'art. 30 Cost., che può, tuttavia, essere sacrificato in presenza del rischio della compromissione dello sviluppo psicofisico del minore stesso. In questo quadro, il necessario bilanciamento tra l’esigenza di affermare la verità biologica con l’interesse alla stabilità dei rapporti familiari, impone di accertare quale sia, in concreto, l’interesse del minore, valorizzando primariamente i risultati della sua audizione, una volta accertatane da parte del giudice la capacità di discernimento.
Cass. civ. n. 781/2017
In tema di riconoscimento di figlio naturale, l'art. 250 c.c. (come modificato dall’art. 1, comma 2, lett. b, della l. n. 219 del 2012) subordina, nell'ipotesi di minore infraquattordicenne, la possibilità del secondo riconoscimento al consenso del genitore che detto riconoscimento ha già effettuato e dispone, altresì, che, al compimento del quattordicesimo anno, il minore (anche se nato o concepito prima dell’entrata in vigore della l. n. 219 del 2012 cit.) divenga titolare di un autonomo potere di incidere sul diritto del genitore al riconoscimento, configurando il suo assenso quale elemento costitutivo dell’efficacia della domanda stessa di riconoscimento. Ne consegue che il raggiungimento, da parte del minore, della "maggiore età" ritenuta dal legislatore adeguata ad esprimere un meditato giudizio, rilevabile d’ufficio, determina il venir meno della necessità del consenso del primo genitore al riconoscimento da parte dell'altro e, in difetto, dell'intervento del giudice. (Nella specie, la S.C., preso atto che il minore aveva compiuto quattordici anni nel corso del processo ed aveva rifiutato il suo assenso al riconoscimento, ha dichiarato, su ricorso della madre, cessata la materia del contendere, cassando senza rinvio la sentenza di riconoscimento della paternità.
Cass. civ. n. 16103/2015
La competenza a provvedere sull'autorizzazione al riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio richiesta, ex art. 250, comma 5, c.c., dal genitore non ancora sedicenne, appartiene al tribunale ordinario. (Principio di diritto enunciato ai sensi dell'art. 363, comma 3, c.p.c.).
Cass. civ. n. 17277/2014
Il potere, spettante in via esclusiva al genitore che per primo ha riconosciuto il figlio infraquattordicenne, di esprimere il consenso al successivo riconoscimento, da parte dell'altro genitore, costituisce un corollario della paternità (o maternità) e non della legale rappresentanza del minore nell'esercizio della potestà genitoriale, la cui sospensione, quindi, non gli impedisce di acconsentire al suddetto secondo riconoscimento, legittimando, in caso contrario, l'altro genitore a promuovere, ex art. 250 cod. civ., l'azione per ottenere la sentenza sostitutiva, in un procedimento nel quale il primo è litisconsorte necessario insieme al minore, rappresentato dal tutore.
Cass. civ. n. 5884/2012
Nel procedimento previsto dall'art. 250, quarto comma, c.c. per conseguire una pronuncia che tenga luogo del mancato consenso del genitore, che abbia già riconosciuto il figlio infrasedicenne, al riconoscimento dello stesso minore da parte dell'altro genitore, deve essere disposta obbligatoriamente l'audizione del minore, atteso che questi assume la qualità di parte, come riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 83 del 2011
Cass. civ. n. 14934/2004
Nel procedimento previsto dall'art. 250, quarto comma, c.c. il minore infrasedicenne non assume la qualità di parte, divenendo tale solamente all'esito della nomina del curatore speciale ai sensi dell'art. 78, secondo comma, c.p.c. in presenza di un conflitto d'interessi con il genitore legale rappresentante che si oppone al riconoscimento da parte dell'altro genitore naturale, determinandosi in tal caso una sorta di intervento iussu iudicis del minore stesso, a mezzo del suddetto curatore. Ne consegue che la sentenza emessa a chiusura del procedimento deve essere notificata, ai fini della decorrenza del termine breve per la relativa impugnazione, anche al suddetto curatore, non determinandosi in difetto il passaggio in giudicato e la conseguente definitività della decisione, in ragione del mancato decorso di detto termine rispetto a tutte le parti in causa. [Principio enunciato nell'ambito di un giudizio concernente la domanda di equa riparazione dei danni (lamentati per effetto di una durata del giudizio ex art. 250, quarto comma, c.c. prolungatasi, anche in ragione della condotta degli addetti alla cancelleria, per quattro anni e cinque mesi e dedotta come irragionevole in considerazione pure della particolare semplicità del rito camerale e della delicatezza della vicenda in questione), proposta seppur in difetto di notificazione della sentenza emessa a conclusione del giudizio (anche) al curatore speciale nominato alla minore, e dal giudice di merito dell'impugnazione nondimeno ritenuta conclusiva del procedimento all'esito del decorso del termine breve per l'impugnazione fatto decorrere dalla relativa notifica effettuata solamente ai genitori e al P.M.].
Cass. civ. n. 5115/2003
Il riconoscimento del figlio naturale minore infrasedicenne, già riconosciuto da un genitore, è diritto soggettivo primario dell'altro genitore, costituzionalmente garantito dall'art. 30 Cost.: in quanto tale, esso non si pone in termini di contrapposizione con l'interesse del minore, ma come misura ed elemento di definizione dello stesso, atteso il diritto del bambino ad identificarsi come figlio di una madre e di un padre e ad assumere cosi una precisa e completa identità. Ne consegue che il secondo riconoscimento, ove vi sia opposizione dell'altro genitore che per primo ha proceduto al riconoscimento, può essere sacrificato — anche alla luce degli artt. 3 e 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 (resa esecutiva con la legge 27 maggio 1991, n. 176) — solo in presenza di motivi gravi ed irreversibili, tali da far ravvisare la probabilità di una forte compromissione dello sviluppo psico-fisico del minore. (Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso che costituissero impedimento al secondo riconoscimento l'età del padre naturale, la sua residenza in una località lontana da quella di residenza della minore, nonché la mancanza, dà parte sua, di un'attività lavorativa stabile e di un'autonoma abitazione).
Cass. civ. n. 12077/1999
In tema di autorizzazione al riconoscimento di figlio naturale, la mera diversità culturale, di origini, di etnia e di religione non può di per sé costituire elemento significativo ai fini dell'esclusione dell'interesse del minore all'acquisizione della doppia genitorialità. Tuttavia, il fanatismo religioso (nella specie, si trattava di genitori di nazionalità e religioni diverse) può assumere rilievo dirimente qualora si traduca in un'indebita compressione dei diritti di libertà del minore o in un pericolo per la sua crescita secondo i canoni generalmente riconosciuti dalle società civili.
Cass. civ. n. 4148/1999
Al pari di quanto accade in tema di controversie in tema di dichiarazione giudiziale di paternità naturale di minori, anche nel procedimento previsto dall'art. 250, quarto comma, c.c., avente ad oggetto l'indagine sulla legittimità del rifiuto al secondo riconoscimento opposto dal genitore che per primo abbia riconosciuto il figlio, il termine breve per appellare è rispettato con il tempestivo deposito in cancelleria del ricorso entro trenta giorni dalla notifica della sentenza, mentre, nel caso in cui l'impugnazione sia stata proposta con citazione a udienza fissa, il gravame deve considerarsi tempestivo e validamente proposto purché il deposito della citazione avvenga entro il termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza, essendo detto deposito l'atto con il quale, nei procedimenti camerali, l'impugnazione è proposta.
Cass. civ. n. 2338/1999
Nel giudizio promosso per il riconoscimento della paternità o della maternità di un minore infraseadicenne, l'interesse del minore costituisce l'unico parametro di riferimento ai fini della valutazione della legittimità del rifiuto del consenso eventualmente opposto dall'altro genitore, interesse la cui esistenza, prescindendo dai rapporti tra i genitori, deve ritenersi predicabile tutte le volte in cui, dal secondo riconoscimento, non derivi al minore un pregiudizio tale da incidere sul suo sviluppo psicofisico, ed a prescindere, dunque, dalla concreta dimostrazione che esso risulti per lui vantaggioso. (Nell'affermare il principio di diritto che precede, la S.C. ha, così, ritenuto illegittimo il rifiuto del consenso al riconoscimento di un minore infrasedicenne opposto alla madre che aveva fondato tale decisione motivandola con l'aver più volte, in precedenza, inutilmente invitato il padre naturale a tale riconoscimento, sia durante la gravidanza sia dopo il parto, mentre, al momento, ella era sul punto di contrarre matrimonio con altro uomo, cui il minore risultava legato da uno stabile e valido rapporto affettivo).
Cass. civ. n. 12018/1998
In tema di riconoscimento di figli naturali, l'indagine sulla legittimità del rifiuto del consenso al secondo riconoscimento opposto dal tutore del minore (nominato a seguito della morte del genitore che aveva per primo riconosciuto il figlio) va condotta alla luce della presunzione (semplice) della esistenza di un interesse del minore al richiesto riconoscimento sotto il profilo spirituale non meno che sotto quello dei diritti all'istruzione, educazione mantenimento ad esso conseguenti. Un eventuale rifiuto del consenso deve ritenersi, pertanto, del tutto ingiustificato in assenza di seri e specifici motivi che evidenzino la contrarietà del riconoscimento all'indicato interesse del minore (nell'affermare il suindicato principio di diritto la Corte ha ritenuta legittima la sentenza sostitutiva del consenso non prestato, emessa dal giudice di merito ai sensi dell'art. 250, terzo comma c.c., in relazione ad una vicenda di riconoscimento richiesto dal padre naturale di un minore la cui madre era deceduta il giorno successivo al parto, ed il cui tutore, zio materno, aveva rifiutato il consenso al detto riconoscimento deducendo, tra l'altro, che non vi fosse alcuna prova certa della asserita paternità del richiedente, mentre le prove genetiche avevano evidenziato un risultato probabilistico, in tal senso, superiore al 99,99 per cento).
Cass. civ. n. 11263/1994
Nel procedimento disciplinato dall'art. 250, comma 4, c.c. l'audizione del minore costituisce la prima fonte del convincimento del giudice circa la convenienza del secondo riconoscimento e deve, quindi, essere disposta anche d'ufficio. Tuttavia il vizio procedurale dipendente dal mancato espletamento di un tale incombente deve essere espressamente dedotto dalle parti, non trattandosi di nullità rilevabile d'ufficio, ma di prescrizione rivolta a soddisfare unicamente l'esigenza istruttoria di accertare se il rifiuto del consenso risponda o meno all'interesse del figlio.
Cass. civ. n. 2463/1994
Nell'indagine sulla legittimità o meno del rifiuto, da parte del genitore che per primo abbia riconosciuto il figlio naturale, del consenso al successivo riconoscimento ad opera dell'altro genitore (art. 250 c.c.), occorre fare esclusivo riferimento all'interesse del minore, e, quindi, valutare il complesso dei diritti che a lui derivano da detto ulteriore riconoscimento, considerandosi che esso non incide in sé sul rapporto con l'autore del precedente riconoscimento (art. 317
bis c.c.), né impone a quest'ultimo di riprendere la convivenza con l'altro genitore o di troncare eventuali legami con terzi. Al fine indicato, pertanto, non rilevano valutazioni comparative dei due genitori, né apprezzamenti negativi circa la personalità o la condotta di chi intende effettuare il secondo riconoscimento, se non nei limiti in cui possano evidenziare che l'acquisto di quei diritti sia foriero, per il minore stesso, più di nocumento che di vantaggio.
Cass. civ. n. 2182/1994
In materia di accertamento della filiazione naturale, la sentenza della Corte costituzionale n. 341 del 1990, dichiarativa dell'illegittimità dell'art. 274, primo comma, c.c., nella parte in cui non prevede, se si tratti di minore infrasedicenne, che l'azione promossa dal genitore esercente la patria potestà, per ottenere la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, sia ammessa solo quando ritenuta dal giudice rispondente all'interesse del figlio, non implica che una siffatta preliminare delibazione di rispondenza sia effettuata nel diverso caso di cui all'art. 250 c.c., concernente la risoluzione del conflitto insorto allorché il genitore, che abbia già riconosciuto il minore, neghi il proprio consenso al riconoscimento da parte dell'altro preteso genitore naturale, rientrando il relativo riscontro nel compito cui il giudice è tenuto per ovviare con la propria decisione al consenso mancante.
Cass. civ. n. 1741/1993
In tema di riconoscimento di figli naturali, nel procedimento di cui all'art. 250, quarto comma, c.c. sono litisconsorti necessari il genitore che si oppone al riconoscimento ed il P.M., che deve intervenire ai sensi dell'art. 70 n. 3 c.p.c., e non anche il minore infrasedicenne del cui riconoscimento si controverte. Tuttavia, nell'ipotesi in cui a seguito della proposizione della domanda il presidente del tribunale nomini un curatore speciale al minore e questi intervenga nel processo, formulando proprie deduzioni e prendendo specifiche conclusioni, si determina una situazione di litisconsorzio processuale, assimilabile a quella prodotta dall'intervento in causa di un terzo per ordine del giudice ai sensi dell'art. 107 c.p.c., con la conseguente nullità della sentenza di secondo grado, rilevabile anche d'ufficio, nell'ipotesi in cui nel giudizio di appello non sia disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti del detto curatore quando l'impugnazione non risulti proposta anche nei suoi confronti.
Cass. civ. n. 1958/1991
Il procedimento previsto dall'art. 250, quarto comma c.c. per conseguire dal tribunale una pronuncia che tenga luogo del mancato consenso al riconoscimento del figlio minore da parte del genitore che abbia già effettuato tale riconoscimento, è volto esclusivamente ad accertare se il secondo riconoscimento risponde all'interesse del minore stesso, sicché in esso resta irrilevante ogni indagine sulla veridicità del secondo riconoscimento, indagine, questa, che presuppone il riconoscimento e che può essere svolta in separato giudizio, ove il riconoscimento autorizzato a norma dell'art. 250 venga impugnato
ex art. 263 c.c.; un siffatto accertamento non può quindi essere svolto nel giudizio di cui all'art. 250, se non al limitato fine, in presenza di contestazioni della controparte, di verificare, ma solo
incidenter tantum, la legittimazione attiva del richiedente.
Cass. civ. n. 687/1991
Il giudizio di cui all'art. 250, quarto comma, c.c., promosso dal genitore che intenda riconoscere il figlio infrasedicenne per superare l'opposizione dell'altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento, sebbene nella prima fase debba svolgersi, ai sensi dell'art. 38 disp. att. c.c., con rito camerale, ha natura contenziosa e si conclude con sentenza, contro la quale va proposto gravame alla corte d'appello, sezione per i minorenni, nelle forme ordinarie e nel termine di trenta giorni dalla sua notificazione, ex art. 325 c.p.c. Tale notificazione va fatta nel modo specificamente previsto dall'art. 285 c.p.c. ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione e, perciò, quando la parte sia presente in giudizio a mezzo di procuratore ovvero con l'assistenza di un difensore presso il quale abbia eletto domicilio, la notificazione deve essere fatta al medesimo difensore e, comunque, nel suo domicilio, applicandosi, cioè, l'art. 170 c.p.c. (ancorché non sia prevista, nel rito camerale, una vera e propria costituzione in giudizio).
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Nel giudizio previsto dall'art. 250, quarto comma, c.c. - diretto ad accertare se il riconoscimento del figlio minore infrasedicenne, cui si oppone il genitore che ha già riconosciuto il minore, sia tuttavia rispondente all'interesse dello stesso minore - la considerazione degli effetti positivi, che in via normale si producono a favore del minore con il secondo riconoscimento (sia per la contemporanea presenza della figura materna e di quella paterna, sia per i diritti relativi all'educazione, istruzione e mantenimento), non può essere da sola sufficiente a giustificare l'accoglimento dell'istanza del genitore, giacché il vantaggio del minore va apprezzato non in via presuntiva, bensì in concreto, attraverso una completa valutazione dei suoi interessi, alla luce delle ragioni addotte dall'altro coniuge per negare il consenso, tenendo anche presente la necessità di evitare turbamenti e conflittualità psicologiche, pregiudizievoli all'armonioso sviluppo della personalità del minore, nonché le esigenze materiali, morali e psicologiche del minore, correlate all'età, alla sua condizione attuale e a quella in cui si verrebbe a trovare dopo il secondo riconoscimento.
Cass. civ. n. 6093/1990
Il riconoscimento di figlio naturale minore di sedici anni, già riconosciuto da un genitore, da parte del secondo genitore, ancorché condizionato all'interesse del minore, costituisce un diritto soggettivo primario della personalità espressamente riconosciuto dalla Costituzione (art. 30) e dalle leggi ad essa successive (vedi art. 1 della L. 4 maggio 1983, n. 184). Ne consegue che, perché tale diritto sia sacrificato, non è comunque sufficiente l'interesse del minore a non vedersi in qualche modo turbata la serenità della vita che conduce con il genitore che lo ha riconosciuto per primo, ma è necessaria la presenza di un fatto impeditivo di importanza proporzionata al valore del diritto sacrificato cosi che il trauma presumibilmente riportabile dal minore sarebbe così grave da pregiudicare in modo serio il suo sviluppo psicofisico.
Cass. civ. n. 5575/1989
Il tribunale per i minorenni, adito, ai sensi dell'art. 250, quarto comma, c.c., dal genitore che intenda effettuare il «secondo» riconoscimento del minore infrasedicenne (al fine di superare la mancanza di consenso dell'altro genitore), non può conoscere della domanda riconvenzionale, con cui il convenuto chieda il rimborso di somme erogate per il mantenimento del figlio, considerando che tale domanda, di competenza per materia del tribunale ordinario, non resta attratta dalla competenza per materia del tribunale per i minorenni in ordine alla domanda principale, perché «eccedente» tale competenza per materia, ai sensi ed agli effetti dell'art. 36 c.p.c.
Cass. civ. n. 6557/1988
Nel procedimento di cui all'art. 250 quarto comma c.c., promosso dal genitore che intenda riconoscere il figlio infrasedicenne per superare l'opposizione dell'altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento, la sentenza del tribunale per i minorenni è impugnabile non con reclamo alla corte d'appello, sezione per i minorenni, ma con citazione in appello ad udienza fissa davanti alla sezione medesima, la quale va notificata nei termini previsti dagli artt. 325 ss. c.p.c. ed introduce un procedimento di gravame soggetto al rito ordinario (anche per quanto riguarda i termini di comparizione), tenuto conto che le disposizioni dell'art. 38 terzo e quarto comma disp. att. c.c. prevedono il rito camerale ed il reclamo per i suoi procedimenti di volontaria giurisdizione, mentre quello suddetto ha natura contenziosa. Peraltro, nel caso di proposizione di reclamo, anziché d'appello, nonché di trattazione e definizione del procedimento di secondo grado con rito camerale, deve escludersi il verificarsi di nullità, qualora il ricorso introduttivo risulti notificato (con il decreto di fissazione dell'udienza) entro il termine d'impugnazione, sia inoltre rispettato il termine di comparizione, ovvero la sua inosservanza sia sanata dalla comparizione della controparte con l'assistenza di difensore (da considerarsi equivalente alla costituzione in giudizio), e, infine, non si deduca e dimostri una concreta lesione del diritto di difesa per effetto dell'erronea adozione del rito camerale.
Cass. civ. n. 6059/1988
Con riguardo al riconoscimento del figlio naturale che sia stato già riconosciuto da uno dei genitori, il consenso di quest'ultimo, richiesto quando il figlio non abbia ancora compiuto i sedici anni (art. 250 terzo comma cod. civ.), e non sia quindi munito della capacità di apprezzare direttamente l'opportunità dell'atto, non è ricollegabile a posizioni soggettive proprie, del genitore stesso, ma si giustifica esclusivamente per il suo potere di rappresentare il minore e, quindi, di valutarne l'interesse morale e materiale rispetto al secondo riconoscimento (potere di rappresentanza che viene poi esercitato anche nell'eventuale giudizio promosso con ricorso avverso il rifiuto del consenso, ove la qualità di parte in senso sostanziale spetta al minore). Pertanto, il decesso o la sopravvenuta incapacità di detto genitore non rende libero il secondo riconoscimento del figlio infrasedicenne, ma implica che l'indicata valutazione compete a chi assuma la rappresentanza del minore, cioè al tutore od al curatore speciale (salva restando la rilevanza di quell'evento quale elemento da considerare per vagliare il concreto interesse del minore, anche nel suddetto giudizio).
Cass. civ. n. 7535/1987
Nel procedimento previsto dall'art. 250 c.c., per conseguire una pronuncia che tenga luogo del mancato consenso del genitore, che abbia già riconosciuto il figlio minore infrasedicenne, al riconoscimento da parte dell'altro genitore, l'indagine diretta a stabilire se la presumibile opportunità per il minore stesso di un ampliamento della propria sfera familiare ed affettiva, con la presenza di entrambi i genitori, debba essere in concreto esclusa, alla stregua dei suoi interessi morali e materiali, va condotta con riferimento alla situazione in atto, e, quindi, non può essere basata solo su considerazioni attinenti a comportamenti od atteggiamenti in precedenza tenuti da genitore che intenda effettuare il secondo riconoscimento.
Cass. civ. n. 2654/1987
Nel giudizio previsto dall'art. 250, quarto comma c.c. — diretto ad ottenere, da parte di chi vuole effettuare il riconoscimento, una sentenza che tenga il luogo del consenso rifiutato dal genitore che per primo ha riconosciuto il figlio naturale minore di sedici anni — sono contraddittori necessari il genitore che si oppone ed il P.M., ma non anche il minore, il quale non assume la veste di parte e al quale, quindi, non deve essere nominato un curatore speciale per il giudizio medesimo, non essendo egli considerato, a causa della sua non ancora raggiunta maturità, portatore di una posizione soggettiva autonomamente tutelata ed essendo soltanto prevista la sua audizione per ragioni istruttorie al fine di stabilire se il riconoscimento sia conforme al suo interesse. La disparità di tale trattamento rispetto ai figli ultrasedicenni non si pone in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza trovando razionale giustificazione nella presunzione, correlata all'età, del raggiungimento da parte degli ultrasedicenni di un grado di maturità da consentire un meditato giudizio sul proprio interesse al riconoscimento.
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Poiché per l'art. 250 c.c. il genitore che ha per primo riconosciuto il figlio naturale non può rifiutare il consenso al riconoscimento dell'altro genitore ove tale riconoscimento risponda all'interesse del figlio, a rendere non conveniente il riconoscimento stesso non è decisivo che íl minore si sia inserito stabilmente nella famiglia del primo, dovendo tale elemento essere valutato unitamente ad altri, con riguardo principalmente agli effetti che il riconoscimento di entrambi i genitori può produrre in termini di, educazione, istruzione e mantenimento del minore e tenuto, in ogni caso, presente che l'esigenza di evitare turbamenti o conflittualità psicologiche pregiudizievoli all'armonioso sviluppo della personalità dello stesso deve prevalere sul fatto oggettivo della generazione.
Cass. civ. n. 4887/1982
Il divieto per il minore infrasedicenne di riconoscere il figlio, ai sensi dell'art. 250 quinto comma c.c., non priva il minore stesso della condizione di genitore, con la conseguenza che, quando, divenuto sedicenne, provveda al riconoscimento del figlio stesso, acquista tutti i diritti sostanziali e processuali previsti dalla legge per il genitore fin dalla nascita del figlio.