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Articolo 457 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Delazione dell'eredità

Dispositivo dell'art. 457 Codice Civile

L'eredità si devolve per legge [565 c.c.] o per testamento [587 c.c.](1).

Non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria(2).

Le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari [536 c.c.](3).

Note

(1) Aperta la successione, occorre stabilire se quest’ultima verrà regolata dalle norme sulla successione legittima o testamentaria. Si parla in proposito di vocazione legittima o testamentaria.
(2) Le norme sulla vocazione legittima hanno carattere residuale rispetto a quelle sulla vocazione testamentaria, trovando le prime applicazione solo ove manchi un testamento o quest’ultimo disponga soltanto di alcuni beni o laddove l’intero atto o singole disposizioni di esso siano invalide o inefficaci.
(3) Il potere del de cuius di disporre per testamento è sottoposto a dei limiti: vi sono, infatti, dei soggetti, c.d. legittimari, a cui deve essere riservata una quota di patrimonio individuata dalla legge a secondo dei casi.

Ratio Legis

La disposizione stabilisce, in primo luogo, che la vocazione testamentaria prevale su quella legittima, salvo che attraverso la prima non vengano lesi i diritti dei legittimari. In secondo luogo si afferma che le due tipologie di vocazione possono concorrere nell’ambito della medesima successione.

Brocardi

Delatio
Hereditas
In suis heredibus aditio non est necessaria, quia statim ipso iure heredes existunt
Intestatus est non tantum qui testamentum non fecit, sed etiam cuius ex testamento hereditas adita non est
Ius delationis

Spiegazione dell'art. 457 Codice Civile

La delazione rappresenta una delle fasi del procedimento successorio insieme all’apertura della successione, alla vocazione e all’acquisto dell’eredità.
L’apertura della successione individua il momento spaziale e temporale del fenomeno successorio.
La vocazione indica l’aspetto soggettivo consistente nella designazione di coloro che dovranno succedere.
La delazione si riferisce all’aspetto oggettivo da intendersi quale offerta del patrimonio ereditario al soggetto delato.
L’effetto immediato della delazione non è l’acquisto dell’eredità, ma esclusivamente il diritto di accettarla.
L’acquisto dell’eredità si determina invece solo con l’accettazione ai sensi dell’art. 459 del codice civile.

Le fonti della delazione sono esclusivamente due: la legge o il testamento; nel nostro ordinamento è infatti vietata la delazione pattizia (art. 458 del codice civile).

La delazione è attuale quando l’offerta del patrimonio si determina all’apertura della successione e coincide quindi con la vocazione che per sua natura è sempre attuale.

La delazione può essere poi condizionale nell’ipotesi in cui sia sottoposta ad una condizione sospensiva oppure in caso di sostituzione ordinaria (art. 688 del codice civile); si determina, in tal caso, in capo al chiamato, una mera aspettativa di delazione che diventerà attuale solo al verificarsi della condizione o qualora l’istituito non possa o non voglia accettare l’eredità. Viene inoltre assimilata all’ipotesi di delazione condizionale l’istituzione di nascituri, relativamente alla quale la delazione è differita al momento della nascita.

La delazione è successiva nel caso di sostituzione fedecommissaria in cui la delazione a favore del sostituto diventa attuale solo alla morte dell’istituito (art. 696 del codice civile).

È solidale la delazione tra coeredi o collegatari in caso sussista fra gli stessi un diritto di accrescimento. In tale ipotesi, infatti, si ritiene vi sia un’unica delazione che si espande gradualmente al venir meno del diritto degli altri chiamati in concorso.

La delazione è indiretta, infine, in caso di subentro di un soggetto nel luogo e nel grado di un altro soggetto, come nel caso di successione per rappresentazione (art. 467 del codice civile).

Il secondo comma dell’articolo in esame enuclea il principio di sussidiarietà della successione legittima rispetto a quella testamentaria nonché quello della possibile coesistenza tra successione legittima e successione testamentaria che veniva invece negata nel diritto romano secondo il noto brocardo nemo pro parte testatus pro parte intestatus decedere potest.

Il principio di sussidiarietà si fonda principalmente, oltre che sul tenore strettamente letterario della norma in oggetto, anche sull’importanza e sulla tutela riconosciuta dall’ordinamento alla volontà testamentaria.

In caso di coesistenza tra successione legittima e successione testamentaria prevale la ricostruzione dottrinale (Santoro-Passarelli) secondo la quale in tale ipotesi la delazione sarebbe unica ancorché complessa in quanto avente fonte in diversi titoli, così come si ricava dall’art. 475 del codice civile che vieta un’accettazione parziale dell’eredità nonché dall’art. 483 del codice civile che presuppone che l’erede che abbia accettato quale erede legittimo sia automaticamente anche erede testamentario qualora venga scoperto, successivamente alla sua accettazione, un testamento prima sconosciuto.

Il terzo comma dell’articolo in esame enuncia, infine, il principio di intangibilità della legittima, che rappresenta uno dei limiti più incisivi alla libertà e all’autonomia testamentarie previsti dal legislatore.
Tale principio sancisce il divieto in capo al testatore di ledere il diritto di legittima che l’ordinamento riconosce ai legittimari ai sensi degli artt. 536 e seguenti del codice civile.

Trattasi in particolare di un’intangibilità preminentemente quantitativa potendo il testatore soddisfare le ragioni dei legittimari con beni di qualsiasi natura che diventa anche qualitativa nella misura in cui detti beni devono essere ricompresi nell’asse ereditario, così come si desume dal tenore dell’art. 588 del codice civile che consente di formare la quota dell’erede con beni liberamente scelti dal testatore, nonché dall’art. 734 del codice civile che consente al testatore di dividere liberamente i propri beni fra gli eredi.

A tutela del principio di intangibilità della legittima, il legislatore ha previsto in capo al testatore il divieto di imporre pesi e condizioni sulla quota spettante ai legittimari (art. 549 del codice civile), l’azione di riduzione in capo ai legittimari lesi o pretermessi (artt. 553 e seguenti del codice civile), la nullità della divisione (art. 735 del codice civile).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

225 Affermato nell'art. 457 del c.c. il principio fondamentale del nostro diritto successorio, che le forme di successione riconosciute sono due, la legittima e la testamentaria, ho considerato l'opportunità di escludere espressamente l'ammissibilità della terza: possibile causa di delazione, ossia del contratto come titolo di successione, stabilendo il divieto della cosiddetta successione pattizia o patto successorio. Il codice del 1865 poneva il divieto generale di stipulazione intorno ad una successione non ancora aperta (art. 1118), e ripeteva tale divieto in altre disposizioni (articoli 934, 1380, 1460 ecc.). Il progetto nell'art. 70 riportava la norma dell'art. 954 del codice stesso che vietava la rinunzia all'eredità di una persona vivente e l'alienazione dei diritti eventuali su questa eredità. Una simile disciplina in sè sarebbe stata evidentemente incompiuta, perché contemplava soltanto una categoria di patti successori, i patti di rinunzia, mentre non erano preveduti né i patti di istituzione né quelli dispositivi, per i quali bisognava continuare a far capo all'art. 1118 del vecchio codice. Mi è sembrato allora preferibile, dal punto di vista sistematico, eliminare l'art. 70 del progetto e dare al principio in esso contenuto portata generale, affermando espressamente la nullità di qualsiasi convenzione, con la quale taluno disponga della propria successione, e di ogni atto con il quale taluno disponga o rinunzi ai diritti che gli possono spettare su di una successione non ancora aperta, e collocando tale norma in un articolo di nuova formulazione nella sede propria, e cioè immediatamente dopo l'art. 457. In tal modo la norma costituisce la logica conseguenza del principio che la delazione dell'eredità può aver luogo soltanto per legge o per testamento.

Massime relative all'art. 457 Codice Civile

Cass. civ. n. 24836/2022

In caso di apertura della successione legittima, il legittimario, sebbene non possa ritenersi diseredato in senso formale, poiché chiamato "ex lege" all'eredità, è considerato pretermesso qualora il "de cuius" abbia distribuito tutto il suo patrimonio mediante disposizioni a titolo particolare "inter vivos"; ne deriva che l'azione di riduzione non è soggetta all'onere dell'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario e che, ove il legittimario non abbia già compiuto atti di accettazione, egli diviene necessariamente erede nel momento stesso in cui esercita tale azione di riduzione, che comporta, quindi, tacita accettazione di eredità.

Cass. civ. n. 24310/2022

Il connotato essenziale della istituzione di erede "ex re certa" non va ricercato nell'implicita volontà del testatore di attribuire all'istituito la totalità dei beni di cui egli avrebbe potuto disporre al momento della confezione del testamento, ma nell'assegnazione di un bene determinato, o di un complesso di beni determinati, come quota del suo patrimonio; risolta la questione interpretativa nel senso della istituzione "ex re", l'erede in tal modo istituito può partecipare anche all'acquisto di altri beni, se del caso in concorso con l'erede legittimo e, quindi, raccoglierli in proporzione della sua quota, da determinarsi in concreto mediante il rapporto proporzionale tra il valore delle "res certae" attribuitegli ed il valore dell'intero asse ereditario.

Cass. civ. n. 22730/2021

L'erede che intenda esercitare un diritto riconducibile al "de cuius" deve allegare la propria legittimazione per essere subentrato nella medesima posizione di quello, fornendo la prova, mediante la produzione in giudizio di idonea documentazione, del decesso della parte originaria e della propria qualità di erede; solo successivamente acquisisce rilievo l'accettazione dell'eredità, la quale può anche avvenire tacitamente, attraverso l'esercizio di un'azione petitoria. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in un giudizio di rivendicazione, ai fini della dimostrazione del trasferimento della proprietà del bene oggetto di causa, aveva ritenuto sufficiente la tacita accettazione dell'eredità da parte degli aventi causa della parte attrice, senza dare rilievo all'imprescindibile necessità di acquisire anche la prova della loro qualità di eredi).

Cass. civ. n. 11421/2021

Allorché uno dei beneficiari di un contratto di assicurazione sulla vita premuore al contraente, la prestazione, se il beneficio non sia stato revocato o il contraente non abbia disposto diversamente, deve essere eseguita a favore degli eredi del premorto in proporzione della quota che sarebbe spettata a quest'ultimo.

Cass. civ. n. 24184/2019

Una volta proposta in primo grado la domanda di divisione dell'eredità basata sulla prospettazione di una successione legittima, non costituisce domanda nuova ed è, pertanto, ammissibile in appello, quella diretta a ottenere la divisione in forza di un testamento olografo successivamente ritrovato, atteso che il titolo regolatore della successione prevale sulla disciplina legale in materia ed, inoltre, la sua deduzione non altera gli elementi essenziali del "petitum", relativo ai beni ereditari da dividere, e della "causa petendi", fondata sull'esistenza della comunione del diritto di proprietà in dipendenza della successione "mortis causa". Ne consegue che è possibile la modifica della domanda di divisione, poiché le diverse modalità di delazione dell'eredità configurano, comunque, un unico istituto e nel procedimento di scioglimento della comunione ereditaria esse non costituiscono una domanda, cosicché la parte può sempre adattarle alle evenienze e alle sopravvenienze di causa.

Cass. civ. n. 17868/2019

L'"institutio ex re certa", quando non comprende la totalità dei beni, non importa attribuzione anche dei beni che non formarono oggetto di disposizione, i quali si devolvono secondo le norme della successione legittima, destinata ad aprirsi ai sensi dell'art. 457, comma 2, c.c. ogni qual volta le disposizioni a titolo universale, sia ai sensi del comma 1, sia ai sensi del comma 2 dell'art. 588 c.c., non ricostituiscono l'unità. Invero il principio che la forza espansiva della vocazione a titolo universale opera anche in favore dell'istituito "ex re certa", va inteso nel senso che l'acquisto di costui non è limitato in ogni caso alla singola cosa attribuita come quota, ma si estende proporzionalmente ai beni ignorati dal testatore o sopravvenuti.

La qualifica di erede universale nella scheda testamentaria, associata all'attribuzione di un singolo bene o di un complesso di beni, pur potendo costituire un elemento valutabile ai fini dell'indagine diretta ad accertare l'eventuale intenzione del testatore di assegnare quei beni come quota del patrimonio, ai sensi dell'art. 588, comma 2, c.c., non giustifica, di per sé, l'attribuzione degli altri beni menzionati nel testamento e non attribuiti, occorrendo a tal fine che sia ricavabile dal complessivo contenuto del testamento una disposizione nell'universalità del patrimonio ai sensi dell'art. 588, comma 1, c.c.

Cass. civ. n. 21436/2018

In tema di successioni "mortis causa", la delazione che segue l'apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è da sola sufficiente all'acquisto della qualità di erede, essendo necessaria l'accettazione da parte del chiamato, mediante "aditio" o per effetto di una "pro herede gestio", oppure la ricorrenza delle condizioni di cui all'art. 485 c.c.; nell'ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede per debiti del "de cuius", incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale di cui all'art. 2697 c.c., l'onere di provare l'assunzione della qualità di erede, che non può desumersi dalla mera chiamata all'eredità, non operando alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all'accettazione dell'eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella predetta qualità. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva ritenuto provata l'assunzione della qualità di erede del convenuto in forza della mancata risposta all'invito di pagare il debito ovvero della mancata allegazione da parte di quest'ultimo della rinuncia all'eredità).

Cass. civ. n. 17122/2018

In tema di delazione dell'eredità, non vi è luogo alla successione legittima agli effetti dell'art. 457, comma 2, c.c., in presenza di disposizione testamentaria a titolo universale, sia pur in forma di istituzione "ex re certa", tenuto conto della forza espansiva della stessa per i beni ignorati dal testatore o sopravvenuti. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che l'erede testamentario fosse succeduto nella proprietà della cappella realizzata in esecuzione di un onere apposto all'istituzione di erede ed al legato, essendo indifferente chi, tra erede e legatario, l'avesse concretamente realizzata).

Cass. civ. n. 16814/2018

Nel caso di azione proposta da un soggetto che si qualifichi erede del "de cuius" in virtù di un determinato rapporto parentale o di coniugio, la produzione del certificato dello stato di famiglia è idonea a dimostrare l'allegata relazione familiare e, dunque, la qualità di soggetto che deve ritenersi chiamato all'eredità, ma non anche la qualità di erede, posto che essa deriva dall'accettazione espressa o tacita, non evincibile dal certificato; tuttavia, tale produzione, unitamente alla allegazione della qualità di erede, costituisce una presunzione "iuris tantum" dell'intervenuta accettazione tacita dell'eredità, atteso che l'esercizio dell'azione giudiziale da parte di un soggetto che si deve considerare chiamato all'eredità, e che si proclami erede, va considerato come atto espressivo di siffatta accettazione e, quindi, idoneo a considerare dimostrata la qualità di erede.

Cass. civ. n. 25441/2017

Il legittimario pretermesso è privo di una vocazione ereditaria, e pertanto gli è preclusa la possibilità di poter accettare l'eredita, in quanta l'unico modo di adizione della stessa è la sola proposizione dell'azione di riduzione, il cui positive accoglimento determina l'acquisto della qualità di erede. Ne consegue che anche la presentazione dell'azione di riduzione non può determinare immediatamente l'acquisto della qualità di erede, in assenza appunto di una vocazione, occorrendo in ogni caso attendere il passaggio in giudicato della decisione che accolga la relativa domanda, e che l'impossibilità di poter validamente compiere atti di accettazione, sia pure tacita, di un'eredità che non risulta devoluta, in ragione della pretermissione, esonera il legittimario pretermesso dal dover far precedere l'azione di riduzione, anche intentata nei confronti del terzo, dalla previa accettazione beneficiata ovvero dalla sola redazione dell'inventario.

Cass. civ. n. 15239/2017

La successione legittima può coesistere con quella testamentaria nell'ipotesi in cui il "de cuius" non abbia disposto con il testamento della totalità del suo patrimonio ed in particolare, nel caso di testamento che, senza recare istituzione di erede, contenga soltanto attribuzione di legati. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, in applicazione di detto principio ed in mancanza di formale istituzione di erede, aveva qualificato come legatario il beneficiario "mortis causa" di una specifica consistenza immobiliare, non rilevando, in senso contrario, che lo stesso fosse stato altresì onerato di partecipare alle spese funerarie del "de cuius" né, tantomeno, la mancata menzione, nel testamento, di altri soggetti o di altri beni, la cui inesistenza non era stata dimostrata).

Cass. civ. n. 12158/2015

In tema di delazione dell'eredità, non ha luogo la successione legittima (nella specie, per la somma risultante da un credito su un conto corrente intestato al "de cuius", non oggetto di legato) agli effetti dell'art. 457, secondo comma, cod. civ., in presenza di disposizione testamentaria a titolo universale, sia pur in forma di istituzione "ex re certa", tenuto conto della forza espansiva della stessa per i beni ignorati dal testatore o sopravvenuti.

Cass. civ. n. 10525/2010

In tema di successioni "mortis causa", la delazione che segue l'apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all'acquisto della qualità di erede, essendo a tale effetto necessaria anche, da parte del chiamato, l'accettazione, mediante "aditio" oppure per effetto di "pro herede gestio" oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all'art. 485 c.c. Ne consegue che, in ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede per debiti del "de cuius", incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale di cui all'art. 2697 c.c., l'onere di provare l'assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, la quale non può desumersi dalla mera chiamata all'eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all'accettazione dell'eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta, quindi, un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella predetta qualità.

Cass. civ. n. 3696/2003

La semplice delazione che segue l'apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sè sufficiente per l'acquisto della qualità di erede, ma diventa operativa soltanto se il chiamato alla successione accetta di essere erede o mediante una dichiarazione di volontà (aditio), oppure in dipendenza di un comportamento obiettivamente acquiescente (pro herede gestio), laddove, in ipotesi di chiamato che sia nel possesso dei beni, l'accettazione ex lege dell'eredità è determinata dall'apertura della successione, dalla delazione ereditaria, dal possesso dei beni e dalla mancata tempestiva redazione dell'inventario. (Nella specie, il giudice di merito aveva ritenuto provata la qualità di eredi in capo agli attori, e non necessaria da parte loro una accettazione dell'eredità, né formale né implicita, in quanto essi erano eredi legittimi, e l'accettazione sarebbe stata necessaria solo nell'ipotesi di successione testamentaria).

Cass. civ. n. 6697/2002

In materia di successione a causa di morte, nell'ipotesi in cui il de cuius abbia disposto con il testamento della totalità del suo patrimonio, la successione legittima non può coesistere con quella testamentaria (Nell'affermare il suindicato principio la S.C. ha affermato che, nel caso, l'espresso richiamo del giudice di merito all'art. 582 c.c. andasse correttamente inteso come operato al limitato fine di individuare i soggetti della disposizione testamentaria, e non anche per determinare il contenuto del diritto attribuito).

Cass. civ. n. 5918/1999

Il principio fissato dall'art. 457 c.c. (secondo cui, per la parte dell'asse ereditario della quale il de cuius non abbia disposto per testamento, si apre la successione legittima) trova applicazione anche nel caso in cui ad un erede legittimo, con il testamento, sia stato attribuito un legato.

Cass. civ. n. 9782/1995

La delazione conseguente all'apertura della successione ereditaria, pur costituendone un presupposto, non è sufficiente per l'acquisto dell'eredità, a tal fine occorrendo anche che il chiamato proceda all'accettazione mediante una dichiarazione espressa di volontà (o con l'assunzione del titolo di erede) in un atto pubblico o in una scrittura privata (art. 475 c.c.) oppure compiendo atti che necessariamente presuppongono la volontà di accettare e che il chiamato stesso non avrebbe avuto il diritto di fare se non nella qualità di erede. Di conseguenza, nel caso di morte di una delle parti in corso di causa, la legittimazione a stare in giudizio — salvo che nelle particolari ipotesi di cui agli artt. 460 e 486 c.c. — si trasmette non già al chiamato all'eredità, bensì in via esclusiva all'erede (art. 110 c.p.c.).

Cass. civ. n. 6190/1984

Nel diritto vigente, la successione testamentaria può coesistere con quella legittima nel senso che se attraverso le disposizioni testamentarie non è esaurita l'intera massa dei beni di cui il testatore può disporre, la parte restante — salva diversa volontà del testatore — si trasferisce agli eredi legittimi.

Cass. civ. n. 2609/1972

Il soggetto istituito erede universale per testamento non può ignorare la propria delazione testamentaria, dichiarandosi erede legittimo e chiedendo sic et simpliciter la quota legittima della eredità, poiché la delazione legittima è configurabile soltanto in difetto di quella testamentaria. Tuttavia, se non intende accettare la propria istituzione testamentaria, ma far valere altri diritti in relazione alla medesima successione, è tenuto a reagire alla delazione testamentaria o mediante rinunzia, ovvero — se rivesta anche la qualità di legittimario — mediante l'esercizio dell'azione di riduzione delle contrastanti disposizioni testamentarie o delle donazioni, a tutela della quota riservata.

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Consulenze legali
relative all'articolo 457 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. D. S. chiede
giovedì 25/07/2024
“Gentili Signori,
Mia madre è deceduta nel 2021 senza lasciare un testamento, perciò la successione ereditaria, riguardante gli unici tre eredi che sono mio padre, il sottoscritto e mia sorella, è avvenuta regolarmente secondo la legislazione vigente.
L'anno scorso mio padre, senza informarmi, ha effettuato un bonifico di € 100.000 a mia sorella, del quale sono venuto a conoscenza certa solo dopo e per altre vie e del quale anche lei non mi avrebbe informato.
Oggi ho saputo, sempre per altre vie, che mio padre ha intenzione di lasciare tutta la sua parte a mia sorella recandosi da un avvocato la settimana prossima. Nessuno dei due, anche questa volta, mi ha informato.
Quali azioni preventive (diffida o altro) posso intraprendere affinché non siano lesi i miei diritti?
Vi ringrazio anticipatamente per una risposta sollecita, visti i tempi ristretti.”
Consulenza legale i 06/08/2024
Purtroppo la legislazione italiana non consente in via preventiva di interferire con la volontà di colui che intende regolare il trapasso del suo patrimonio.
In linea generale, deve riconoscersi che numerosi sono gli interessi che vengono in considerazione rispetto alla vicenda successoria, e precisamente:
  1. in primo luogo vi è l’interesse dello stesso ereditando, preoccupato della sorte post mortem che i suoi beni possono avere;
  2. in secondo luogo va tenuto presente l’interesse dei familiari del de cuius, ossia le persone a lui affettivamente più vicine e che magari da lui dipendevano economicamente;
  3. in terzo luogo non può trascurarsi l’interesse di eventuali creditori dello stesso de cuius, per i quali può costituire un rischio l’eventuale dispersione o insufficienza dell’asse ereditario a soddisfare integralmente le loro ragioni, così come una eventuale confusione del patrimonio ereditario con quello personale del chiamato alla successione, qualora quest’ultimo dovesse essere gravato da debiti.

Ebbene, il nostro ordinamento giuridico prevede un complesso sistema volto sostanzialmente a bilanciare queste diverse esigenze, lasciando innanzitutto la sorte del patrimonio ereditario alle decisioni discrezionali dello stesso ereditando, il quale può disporre dei propri beni mediante testamento.
Tale discrezionalità, però, non è assoluta, in quanto qualora al de cuius sopravvivano stretti congiunti (figli, coniuge e, in mancanza di figli, ascendenti), il legislatore limita la sua libertà, riservando a favore di costoro una quota del patrimonio del defunto (c.d. legittima o quota indisponibile), variabile a seconda del numero e della qualità degli aventi diritto (si vedano artt. 536 e ss. c.c.) e determinata tenendo anche conto delle donazioni effettuate in vita dal de cuius (cfr. art. 556 del c.c.).

La natura inderogabile della riserva, però, non opera rendendo invalide (per nullità o annullabilità) le eventuali disposizioni testamentarie lesive della quota di riserva, ma soltanto a mezzo della attribuzione a ciascun legittimario del diritto, irrinunciabile prima della morte del de cuius (si veda il comma 2 dell’art. 557 del c.c.) di impugnarle, chiedendone la riduzione secondo quanto disposto dagli artt. 553 e ss. c.c.
Inoltre, l’assoluta libertà di cui gode l’ereditando nel disporre dei suoi beni trova ulteriore conferma nel c.d. divieto dei patti successori, di cui se ne distinguono tre diverse specie:
  • confermativi o istitutivi (è tale il patto con cui Tizio conviene con Caio di lasciargli la propria eredità);
  • dispositivi (è il caso di Tizio che vende ad un altro soggetto i beni che gli dovrebbero pervenire da un’eredità);
  • rinunciativi (sono tali quei patti con cui si conviene di rinunciare ad una eredità non ancora devoluta).

La sussistenza del c.d. divieto dei patti successori, pertanto, impedisce:
- al legittimario che potrebbe essere leso dalla disposizione testamentaria dell’ereditando di convenire con quest’ultimo (ed a maggior ragione di imporgli) secondo quali modalità il suo patrimonio dovrà devolversi (un accordo di tale tipo, c.d. istitutivo, vincolando il de cuius, gli toglierebbe quella libertà di disporre che la legge riconosce ad ogni persona fino al momento della morte);
- al beneficiario di una disposizione testamentaria non ancora eseguibile (per mancata apertura della successione) di disporre preventivamente di quell’eredità, convenendo con l’altro legittimario escluso di dividere in parti eguali il patrimonio ereditario.

Stando così le cose, non resta che attendere l’apertura della successione e se effettivamente nel patrimonio del de cuius non dovessero esservi beni sufficienti a garantire la sua quota di riserva (determinata, ex art. 556 c.c., anche tenendo conto delle donazioni effettuate in vita dallo stesso de cuius), “convenire” con il legittimario unico beneficiario la riduzione delle disposizioni testamentarie e, se necessario, delle donazioni, nella misura necessaria per soddisfare il suo diritto alla quota di riserva.
Si usa l’espressione “convenire” in quanto, vista la disponibilità dell’erede testamentario, non dovrebbe rendersi necessario agire giudizialmente in riduzione per vedersi riconosciuta la propria quota di riserva.
Infatti, si ritiene pienamente ammissibile che la reintegrazione della legittima possa avvenire anche in forma stragiudiziale, ovvero mediante un accordo tra i legittimari e i soggetti beneficiati dal testatore, siano essi eredi o legatari.
Del resto, si osserva che la legittimità di tali accordi trova perfino riscontro anche nella legislazione tributaria, ed in particolare all’art. 43 del Testo Unico sulle successioni e donazioni, nella parte in cui si dispone che nelle successioni testamentarie “…l’imposta si applica in base alle disposizioni contenute nel testamento, anche se impugnate giudizialmente, nonché agli eventuali accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari, risultanti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata”.

Sotto il profilo meramente tecnico, l’atto di riconoscimento di legittima si configura come quel negozio giuridico per mezzo del quale i soggetti interessati riconoscono l’inefficacia (totale o parziale) delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che eccedano la quota di cui il defunto poteva disporre; più specificatamente, non si tratta di un atto con cui si riconosce la nullità delle disposizioni lesive (poiché queste sono valide ed efficaci), né che determina la rescissione o la risoluzione di tali disposizioni, ma di un atto che si limita a renderle inoperanti nei confronti del legittimario leso.
È un negozio per mezzo del quale, al pari dell’azione di accertamento costitutivo, si accerta l’esistenza della lesione di legittima e delle altre condizioni per l’esperimento dell’azione (mediante riconoscimento da parte del beneficiario), con conseguente ed automatica modificazione giuridica del contenuto del diritto del legittimario.


Giuseppe M. chiede
sabato 20/02/2016 - Lombardia
“Mio zio deceduto da poco, non ha figli ne fratelli in vita, ma 7 nipoti, figli dei suoi due fratelli. Lo zio ha fatto testamento a favore della convivente a cui ha lasciato un appartamento e vari titoli bancari e denaro. La domanda è la seguente; noi nipoti abbiamo diritto ad una legittima? La domanda è frutto del desiderio di giustizia di tutti i nipoti, perché la signora convivente ha sempre trattato con grande sufficienza nostro zio e lo ha costretto a fare testamento a suo favore nonostante abbia un ingente capitale (circa un milione di euro) lasciato dai suoi precedenti mariti sfortunatamente deceduti.
Considerato l'importanza della vostra risposta chiedo l'invio delle Vs risposta con urgenza
cordialmente.”
Consulenza legale i 26/02/2016
Al fine di elaborare un parere giuridico alla questione sottoposta risulta essenziale, innanzitutto, l'analisi dell'art. 457 del c.c.:
"L'eredità si devolve per legge o per testamento.
Non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria.
Le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari
".

Il primo principio che si evince dalla norma è quello per cui la legge permette ai singoli di disporre dei propri averi per quando essi verranno a mancare, salva la necessità di tutelare determinati soggetti.
Dunque con il negozio giuridico del testamento si può stabilire come ed a chi destinare le proprie sostanze. La libertà testamentaria incontra, però, un limite nei diritti di quei soggetti ai quali il legislatore ritiene che vada riservata una quota del patrimonio detta, appunto, riserva. Tale quota cambia a seconda del numero e della qualifica dei legittimari (v. artt. 536 ss c.c.). Il complesso delle disposizioni che li individua e che detta la disciplina dell'istituto della [def ref=]successione necessaria[/def] trova la sua ratio nella volontà di garantire tutela ai famigliari più stretti.

Gli eredi c.d. legittimari sono individuati dall'art. 536 del c.c. nel coniuge, nei figli, e negli ascendenti. Dunque, in assenza di tali soggetti, non può che sostenersi la piena libertà del soggetto di disporre con testamento di tutto il proprio patrimonio, come meglio crede. Non sono legittimari i nipoti del de cuius che siano, come nel caso posto in quesito, figli di suoi fratelli o sorelle.

Concetto diverso da quello di eredi "legittimari" è quello di eredi "legittimi". Sono tali coloro ai quali l'eredità si devolve in mancanza di successione testamentaria, mancanza che può essere totale (se chi muore lo fa senza aver fatto testamento) o parziale (se il de cuis non ha disposto, con il testamento, di tutti i propri beni) (v. art. 457 co. 2 c.c.). Tra tali successibili vi sono anche i nipoti, in qualità di "altri parenti" ex art. 565 c.c. e 572 c.c.. Essi sono chiamati a succedere solo se non vi sono altri parenti più prossimi (principio di prossimità). La successione non ha luogo tra i parenti oltre il sesto grado (art. 572 co. 2 c.c.).

Nel caso di specie, considerato che non si sa se con il testamento il soggetto abbia disposto di tutti i propri beni, si potrà verificare tale eventualità e la possibilità che, di conseguenza, operi anche la successione legittima a favore dei nipoti.

Infine, nel quesito si accenna ad una costrizione a danno del de cuius da parte dell'istituita erede; a tale riguardo, si osserva brevemente che la legge disciplina i vizi della volontà (errore, violenza, dolo) anche in relazione al negozio giuridico del testamento (v. art. 624 del c.c.). Pertanto, si potrà eventualmente indagare tale profilo se ritenuto sussistente.

Antonio chiede
venerdì 22/10/2010

“E' possibile avere un esempio elementare della differenza tra delazione e vocazione? Grazie.”

Consulenza legale i 22/10/2010

La delazione indica l'aspetto oggettivo del fenomeno successorio, vale a dire l'offerta concreta, ad una persona vivente, del patrimonio del defunto: di conseguenza, con la delazione, la persona chiamata alla successione ha la possibilità effettiva di acquistarla con un atto di accettazione (v. art. 459 c.c.).
Normalmente vocazione e delazione coincidono e si verificano all'apertura della successione.
In determinati casi, invece, i due momenti sono distinti, in quanto la vocazione è immediata, mentre la delazione è rinviata ad un secondo momento.

Ecco un esempio concreto: quando vengono chiamati alla successione soggetti che devono ancora nascere, sussiste per loro la vocazione, ma non la delazione, in quanto la possibilità di subentrare al defunto è subordinata all'evento della nascita.


Shpetim M. chiede
martedì 05/10/2010
“Io faccio parte nel testamento di mia sorella adesso morta, insieme con gli altri fratelli e sorelle. Ma in verità sono il suo fratello biologico è ho vissuto con lei nella stessa casa e abbiamo mangiato lo stesso cibo per tutta la sua vita, sebbene sono figlio adottivo del suo zio. La mia domanda: Ho il diritto di essere il suo erede testamentario (secondo la sua volontà) insieme con gli altri?
Grazie.”
Consulenza legale i 08/10/2010

Si, se è stato formalmente istituito quale erede nel testamento della defunta ha diritto.


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