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Articolo 827 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Beni immobili vacanti

Dispositivo dell'art. 827 Codice Civile

I beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato(1) [823, 826; Cost. 119].

Note

(1) Lo Stato acquisisce la titolarità degli immobili vacanti in quanto tali e non per occupazione (923).

Ratio Legis

Il vecchio codice non prevedeva alcuna disposizione in materia di beni immobili che non fossero di proprietà di alcuno, e si pensava che chiunque potesse acquisirne la titolarità mediante occupazione. Nell'attuale codice civile c'è una disposizione analoga in tema di successioni: l'art. 586 stabilisce, infatti, che se non vengono individuati successibili, l'eredità viene devoluta allo Stato.

Spiegazione dell'art. 827 Codice Civile

Questa disposizione, già presente nel codice napoleonico e in vari codici italiani anteriori all'unificazione, mancava in quello del 1865. Nonostante il silenzio serbato dal legislatore, la dottrina discuteva se l'appartenenza allo Stato dei beni privi di altro proprietario dovesse ammettersi quale espressione di un principio generale del nostro diritto: tale principio sembrava ad alcuni autori potersi dedurre dall'art. 425 del codice del 1865, che indicava lo Stato come primo soggetto cui i beni possono appartenere e quindi quello cui essi appartengono in mancanza di un soggetto diverso, e dall'art. 711 che, a proposito dell'occupazione, indicava come esempi possibili di suo oggetto soltanto una serie di beni mobili.

Altri autori erano giustamente contrari a questa soluzione e ritenevano che tutte le cose mobili o immobili, prive di un proprietario determinato, avessero carattere di res nullius, potendo quindi formare oggetto di occupazione. Con l'attuale art. 827 il legislatore ha inteso colmare questa lacuna, allo scopo di escludere in modo espresso che sul territorio dello Stato possano aversi beni immobili che non siano né di proprietà pubblica né privata: in mancanza di un diverso proprietario, gli immobili appartengono allo Stato e di conseguenza la qualifica di res nullius non può applicarsi se non alle cose mobili, pertanto solo queste ultime possono essere acquistate con l'occupazione (cfr. art. 923 c.c.)

Il principio dell'art. 827 deve essere messo in relazione con quello dell' art. 596 del c.c. , articolo concernente la successione dello Stato nelle eredità vacanti. Sostanzialmente quest'ultima disposizione può considerarsi una conseguenza e un'applicazione della prima: se un bene, per la morte del proprietario e la mancanza di eredi legittimi e testamentari, resta fuori dal patrimonio, diventa di conseguenza unicamente di proprietà dello Stato.

Importanti consensi producono rispetto ai beni immobili situati in Italia ma che sono di proprietà di persone straniere che muoiono senza lasciare eredi. Se la sorte di tali beni fosse regolata dal presente art. 827, lo Stato italiano ne acquisterebbe senz'altro la proprietà; se invece si applica come norma speciale il citato art. 596 del c.c. , essendo la successione dello straniero regolata dalla legge nazionale (art. 13 delle disp. prel.), si dovrà tener conto di tale legge per decidere se tali beni devono essere devoluti allo Stato straniero oppure allo Stato italiano.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

398 Colmando una lacuna del codice del 1865, la quale aveva aperto l'adito a dubbi e a soluzioni diverse, ho disposto (art. 827 del c.c.) che i beni immobili che non sono di proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato: con questa nuova norma è pertanto escluso che vi siano beni immobili senza proprietario.

Massime relative all'art. 827 Codice Civile

Cass. civ. n. 4975/2007

L'art. 827 c.c., nello stabilire che gli immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato, non pone una presunzione di appartenenza allo Stato di tutti gli immobili di cui non si provi l'appartenenza ad altri; ma si limita a prevedere un effetto giuridico conseguente ad una determinata situazione di fatto (vacanza del bene) la quale deve essere, perciò, dimostrata dal soggetto che la invochi a fondamento del suo diritto. (In una fattispecie relativa alla proprietà di uno slargo adiacente alla via pubblica, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che ne aveva riconosciuto la natura pubblica, benché risultasse in parte catastalmente intestato ai privati frontisti e non potesse operare la presunzione di cui all'art. 22 legge n. 2248 del 1865).

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Consulenze legali
relative all'articolo 827 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Antonio C. chiede
lunedì 10/10/2022 - Puglia
“Salve,
a seguito dell'emergenza xilella, la Regione Puglia mi ha sanzionato per non aver pulito un terreno;
il paradosso ( all'italiana ) è che questo terreno:
1.è una pietraia ( con basamenti anche di 5 metri )
2.è impossibile da arare o da sfasciare,
3.ha con una pendenza del 40% pericolosa per passarci con un mezzo agricolo a rischio di ribaltamento
4.è sull'alveo di un torrente, quindi dovrebbe rientrare nelle fasce protette non coltivabili per vari motivi

Ho letto su internet che posso rinunciare al diritto di proprietà rimettendo il suolo allo Stato.

Vorrei sapere quale è la procedura efficace per non incappare nelle pastoie della burocrazia e se avete un avvocato specializzato su questo argomento.
Grazie e a presto!

Consulenza legale i 17/10/2022
In premessa, va precisato che la eventuale cessione del terreno non è utile al fine di ottenere l’eliminazione retroattiva della sanzione già irrogata dalla Pubblica Amministrazione.
Infatti, il passaggio di proprietà non può che avere effetto per il futuro, mentre la sanzione – se ritenuta ingiusta - dovrà eventualmente essere contestata con una opposizione davanti all’Autorità giudiziaria competente (ammesso che vi sia ancora termine per farlo).
Tale aspetto, tuttavia, non è oggetto della richiesta di parere e dunque non verrà affrontato dallo scrivente, posto che comunque non si dispone di elementi sufficienti ad una valutazione approfondita.

Svolta tale necessaria premessa, si nota che sono diversi gli interventi legislativi, anche di derivazione europea, che si sono susseguiti negli anni per far fronte all’infezione da xylella, che hanno affrontato il problema dal punto di vista del contenimento della malattia e delle sanzioni ai soggetti che non le rispettino, fino ad arrivare agli aiuti agli agricoltori delle zone colpite.
Da ultimo, si può ricordare l’adozione con D.M 24 gennaio 2022 del Piano di emergenza nazionale per il contrasto di xylella fastidiosa.
Per quanto è stato possibile verificare, vista anche la mole della normativa di riferimento, nessuno di tali testi legislativi però menziona la possibilità di cessione del terreno, che deve essere dunque ricondotta ai principi generali dell’ordinamento e cioè all’istituto della rinuncia abdicativa.

In generale, la giurisprudenza ha chiarito che la rinuncia abdicativa è un negozio unilaterale non recettizio avente effetto dismissivo di un diritto dal patrimonio del rinunciante, ossia comporta semplicemente il venir meno della proprietà su un bene immobile da parte del rinunciante. Essa non è specificamente disciplinata dall'ordinamento, ma è prevista indirettamente in una serie di disposizioni del c.c..
A seguito di tale rinuncia, ai sensi dell’art. 827 c.c. si verifica in modo automatico l’acquisto a titolo originario del bene nel patrimonio dello Stato, senza necessità di accettazione da parte di quest’ultimo.
Anche se non si tratta di conclusioni condivise dalla totalità della dottrina e della giurisprudenza, per quanto qui ci occupa le indicazioni più rilevanti in materia sono contenute nel parere dell’Avvocatura Generale dello Stato, 14 marzo 2018, prot. n. 137950 e nella nota del Ministero della Giustizia – Ufficio centrale degli archivi notarili del 15 marzo 2018.
In sintesi, da tali documenti si può ricavare che la rinuncia è da ritenere nulla, in ragione della non meritevolezza e/o illiceità della causa, quando posta in essere al solo fine egoistico di trasferire in capo all’Erario, e dunque alla intera collettività, i costi necessari per le opere di consolidamento, di manutenzione o di demolizione dell’immobile, nonché le responsabilità conseguenti all’eventuale rovina di edificio.
Esempi di tale eventualità si riscontrano nel caso di rinuncia alla proprietà di immobili a rischio idrogeologico che necessitano di opere di consolidamento, di terreni inquinati per evitare di sopportare il costo delle bonifiche, di edifici diroccati e inutilizzabili per non accollarsi le spese di consolidamento o demolizione.
Per determinare la nullità della rinuncia, è necessario che il motivo illecito sia la ragione esclusiva dell’atto e sia evincibile dal contenuto di quest’ultimo o dalle circostanze che ne hanno preceduto o accompagnato la redazione.
La rinuncia è ritenuta ammissibile, invece, nel caso di terreno semplicemente non produttivo, quando manchi in concreto l’intento elusivo ed egoistico presente nelle ipotesi sopra descritte.
La nullità, comunque, deve essere fatta valere in giudizio dal Demanio e a tal fine il Ministero della Giustizia ha raccomandato ai Notai di comunicare al competente ufficio del demanio la presenza di tali atti di rinuncia, in modo da consentire alla P.A. di adottare ogni opportuna azione a sua tutela e a tutela della collettività.

Concretamente, la rinuncia si attua mediante un atto pubblico che viene redatto davanti a un Notaio, accollandosi le relative spese.
Nella fattispecie, dunque, è proprio il Notaio il professionista al quale rivolgersi per avere assistenza, rilevando che sembra ricorrere l’ipotesi ammessa di rinuncia a un terreno improduttivo, ma ricordando però che esiste sempre il rischio che il Demanio decida di impugnare l’atto contestandone la nullità.

MARIA P. S. chiede
venerdì 02/12/2016 - Lazio
“In comune si trova sul territorio alcune beni dell'ex proprietà dei Turlonia intestati catastalmente ad una società (senza codice fiscole e/o p.IVA cessata oltre 50 anni fà. Attualmente occupati da eredi si soggetti che avevano avuto in uso gratuito detti beni da oltre 50 anni ma che non hanno mai esercitato il diritto di usucapione e che non pagano alcuna tassa(ICI-IMU) sugli stessi proprio perché non risultano titolari. Cosa deve può fare il Comune, può acquisirli al proprio patrimonio in base agli articoli: I beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato.”
Consulenza legale i 10/12/2016
Ai sensi dell’art. 827 c.c. i c.d. beni immobili vacanti passano in proprietà allo Stato.
A differenza che nell’art. 586 c.c., in cui lo Stato acquisisce i beni facenti parte di eredità vacanti [[bro 607]], l’articolo in commento prevede un acquisto dello Stato a titolo originario.

È davvero scarna la giurisprudenza in merito: una pronuncia afferma che “allorché lo Stato rivendichi nei confronti di un terzo la proprietà di un immobile in quanto bene vacante ha l'onere di dimostrare che lo stesso non era appartenuto ad alcuno. Ciò in quanto la norma non pone una presunzione di appartenenza allo Stato di tutti gli immobili di cui non si provi l'appartenenza ad altri, ma si limita a prevedere un effetto giuridico tipicamente conseguente a una determinata situazione di fatto, costituita dalla vacanza del bene, la quale necessita pertanto di dimostrazione da parte del soggetto che la invochi a fondamento del suo diritto” (C. Cass., sez. II, 2/3/2007 n. 4975).
In altre parole, l’art. 827 c.c. non costituisce una presunzione assoluta di appartenenza dei beni vacanti allo Stato, bensì si limita ad affermare quello che è l’effetto giuridico, vale a dire la conseguenza, della mancanza di appartenenza sicura del bene immobile in oggetto.

Interessante in tal senso una pronuncia recente del Tribunale di Trento (decreto 23/12/2013), il quale ha sostenuto che in tema di mero abbandono della proprietà, il bene passa in proprietà allo Stato (nel caso di specie, essendo il Trentino Alto Adige una regione a statuto speciale ed avendo una norma che deroga all’art. 827 c.c., il bene è passato in proprietà alla Regione).

Un’altra pronuncia della Cassazione ha affermato come “l’art. 1 comma 260 della legge n. 296/2006 (il quale recita testualmente «Allo scopo di devolvere allo Stato i beni vacanti o derivanti da eredità giacenti, il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'interno ed il Ministro dell'economia e delle finanze, determina, con decreto da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i criteri per l'acquisizione dei dati e delle informazioni rilevanti per individuare i beni giacenti o vacanti nel territorio dello Stato. Al possesso esercitato sugli immobili vacanti o derivanti da eredità giacenti si applica la disposizione dell'articolo 1163 del codice civile sino a quando il terzo esercente attività corrispondente al diritto di proprietà o ad altro diritto reale non notifichi all'Agenzia del demanio di essere in possesso del bene vacante o derivante da eredità giacenti. Nella comunicazione inoltrata all'Agenzia del demanio gli immobili sui quali è esercitato il possesso corrispondente al diritto di proprietà o ad altro diritto reale devono essere identificati descrivendone la consistenza mediante la indicazione dei dati catastali») non esplichi alcun effetto laddove si sia in presenza di un acquisto per usucapione di un bene immobile vacante che si sia già perfezionato al momento della sua entrata in vigore per essersi perfezionato il ventennio, ancorché la sentenza declaratoria dell’usucapione sia intervenuta successivamente” (C. Cass., sez. I, 26/3/2010 n. 7278).
Questa pronuncia, alla luce del caso di specie, risulta particolarmente interessante.
Infatti, fatte le opportune verifiche anche catastali, se l’ultima annotazione di proprietà risale effettivamente ad una società cessata 50 anni orsono, occorre procedere alla verifica di una eventuale intervenuta usucapione nei confronti degli occupanti l’immobile ad uso gratuito. Pare infatti che tali soggetti (rectius: i loro eredi) stiano occupando l’immobile da ben oltre i venti anni necessari per l’acquisto del bene a titolo di usucapione. In assenza di “titolo” di occupazione (vale a dire, un qualsiasi contratto anche verbale), potrebbe infatti essere ben possibile che tali soggetti, invece di considerarsi meri detentori, abbiano, nel tempo, agito come possessoridell’immobile, a prescindere dall’effettivo pagamento delle tasse inerenti l’immobile. In questo caso, in presenza del c.d. animus possidendi, vale a dire un comportamento degli occupanti che sia parificabile a quello di un proprietario, sarebbe certamente possibile ottenere la dichiarazione di proprietà dell'immobile per intervenuta usucapione ventennale.
Va, di fatto, verificato come si sono comportati e come si comportano con il bene. Hanno recintato? Hanno apposto termini? Coltivano e vendono i frutti come propri? etc...

Alla luce della sentenza sopra citata, il ventennio necessario per l’usucapione sarebbe intervenuto già in precedenza rispetto all’entrata in vigore della legge finanziaria 2007, ed un’eventuale pronuncia da parte di un giudice, ancorchè successiva, avrebbe un mero effetto dichiarativo e non costitutivo dell’usucapione medesima.
Occorre pertanto procedere alle verifiche in sede di Agenzia del Demanio ed attendere che tali soggetti non intendano esercitare un’usucapione dell’immobile, prima di ottenerne l’acquisizione al patrimonio immobiliare dello Stato.

Ed ancora, sempre la Corte di Cassazione in relazione all’art. 1, comma 260 della legge n. 296/2007 ha affermato come “la mancata conoscenza, da parte dell’Amministrazione, dell’intervenuto acquisto dei beni immobili per eredità vacante non impedisce … il decorso del tempo utile per l’usucapione del diritto da parte del terzo, dovendo escludersi in tal caso la natura clandestina del possesso continuato per venti anni ed esercitato pubblicamente e pacificamente” (C. Cass., sez. II, 26/1/2010 n. 1549). Questa pronuncia si riferisce, però - è bene precisarlo - ad una eredità vacante ai sensi dell’art. 586 c.c. ma – di fatto – afferma le stesse determinazioni di cui alla pronuncia citata poc’anzi.

In conclusione, pertanto, prima dell’ottenimento del bene ai sensi dell’art. 827 c.c. è bene informarsi se gli occupanti a titolo gratuito siano meri detentori o possessori. Posto che nel quesito si parla di un’occupazione a titolo di eredità, ciò farebbe propendere per un possesso del bene, il che impedirebbe l’acquisizione dello stesso da parte dello Stato per intervenuta usucapione.

P. V. chiede
giovedì 09/03/2023 - Liguria
“Spettabile Brocardi,
vi sottopongo questo mio quesito :
“Il marito , che si trova in regime di comunione dei beni con la coniuge, acquista nel 1984 degli immobili ad insaputa della moglie. Il marito decede il 10 settembre 2014. Moglie e figli rinunciano all'eredità. La moglie alcuni anni dopo dalla morte del marito si rende conto dell'esistenza a suo nome di questi immobili che sono in comproprietà al 50% con il marito defunto. In questo caso specifico la moglie può rinunciare al suo diritto di comproprietà? Se si in quale modo?"

In attesa di una certa risposta ringrazio anticipatamente ed invio cordiali saluti

Consulenza legale i 15/03/2023
Da un punto di vista meramente teorico la rinuncia al diritto di proprietà su uno o più beni è sempre ammissibile, non esistendo nel nostro ordinamento giuridico una norma che la vieti.
Anzi, il suo fondamento normativo si può rinvenire nel combinato disposto degli artt. 1350 n. 5 e 2643 n. 5 c.c., norme che, nel fare esplicito riferimento alla rinuncia al diritto di proprietà, richiedono, allorchè abbia ad oggetto beni immobili, il necessario rispetto, a pena di nullità, della forma dell’atto pubblico o scrittura privata autenticata e la successiva trascrizione di quell’atto nei registri immobiliari.

Ora, quando un soggetto intende liberarsi della proprietà di un bene, possono prospettarsi due diverse situazioni.
La prima è quella della rinuncia al diritto di proprietà su un bene in comproprietà, nel qual caso per effetto di tale rinuncia si verificherà un incremento delle quote degli altri contitolari del bene (in virtù del principio di elasticità del dominio); i comproprietari che acquisiranno la quota del rinunciante non potranno opporsi all’accrescimento della loro quota, in quanto l’espansione si verifica senza il loro consenso.
Si parla in tale ipotesi di c.d. rinuncia abdicativa, in quanto per effetto della stessa ci si libererà dall’obbligo di contribuire a tutte le spese occorrenti per la conservazione ed il godimento della cosa comune, così come espressamente previsto dall’art. 1104 del c.c., nonché dall’obbligo di pagamento di tutte le imposte, tasse e tributi inerenti alla piena proprietà della quota rinunciata.

La seconda situazione che può prospettarsi, invece, è quella che si crede venga delineata nel caso in esame, ovvero quella in cui a voler rinunciare sia il proprietario unico.
Ebbene, la differenza rispetto all’ipotesi prima esaminata sembra evidente, poichè in questo caso non vi è un altro comproprietario in favore del quale possa verificarsi l’effetto espansivo del diritto di proprietà.
In conseguenza di ciò, la rinuncia dell’unico proprietario determinerà il passaggio di proprietà in favore dello Stato, in tal senso dovendosi argomentare questa volta dall’art. 827 del c.c., in forza del quale si stabilisce che i beni immobili che non sono di proprietà di alcuno (c.d. res nullius) confluiscono nel patrimonio dello Stato, il quale ne diviene a sua volta proprietario non in forza di occupazione, ma in quanto trattasi di beni c.d. “vacanti”.
Per la manifestazione di tale volontà di rinuncia occorre, come si è prima accennato, il rispetto della forma prescritta dagli artt. 1350 e 2643 c.c., il che significa che occorre recarsi da un notaio, il quale stipulerà un atto di donazione (c.d. abdicazione della proprietà), avente natura giuridica di atto unilaterale, non essendo per esso prevista la manifestazione di una volontà di accettazione.

Quanto appena detto, però, vale in linea meramente teorica, in considerazione del fatto che nel nostro ordinamento giuridico non esiste, appunto, una norma che vieti espressamente un atto di tale tipo.
Tuttavia, sotto il profilo concreto, vi sono dei limiti molto importanti che non vanno trascurati prima di giungere alla stipula di tale atto negoziale, limiti che lo stesso notaio chiamato a rogare l’atto può sottoporre in via preliminare all’attenzione del rinunziante.

Infatti, occorre sempre valutare il tipo di bene alla cui proprietà si andrà a rinunciare, potendo sorgere delle difficoltà nel caso in cui, ad esempio, oggetto della rinuncia sia un fabbricato rurale o altro edificio diroccato o semidiruto che versi in cattivo stato di manutenzione e per il quale si rendano necessari interventi di risanamento e consolidamento.
L’acquisizione al patrimonio dello Stato di un immobile di questo tipo, infatti, potrebbe causare debiti e l’immediata necessità di sostenere delle spese di messa in sicurezza a carico dello stesso Stato che ne diverrebbe proprietario, con evidente aggravio per l’intera collettività.

In questi casi sembra evidente che lo Stato non accetterebbe passivamente l’acquisto del diritto di proprietà sul bene rinunciato, essendo pienamente legittimato ad opporsi a tale acquisto e potendo a tal fine far valere in giudizio la nullità dell’atto da cui ne è derivato (l’atto di rinuncia).
Sarebbe sufficiente un accertamento giudiziale dello stato di consistenza dell’edificio per dimostrare la nullità di quell’atto sia per violazione dell’art. 1322 del c.c. (in quanto stipulato per il perseguimento di un interesse non meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico) che ex art. 1344 del c.c. (si tratterebbe, infatti, di un atto stipulato in frode alla legge, ovvero compiuto con il solo scopo egoistico di ribaltare sull’erario i costi necessari per la conservazione del bene che ne ha costituito l’oggetto).

L’intento elusivo e fraudolento, invece, sarebbe in ogni caso da escludere allorchè dovesse trattarsi, ad esempio, di un terreno semplicemente non più produttivo ovvero di un edificio in buono stato di conservazione, ma che il proprietario non ha semplicemente alcun interesse ad utilizzare.

In conclusione, la rinuncia è senza alcun dubbio ammissibile, ma nel caso di specie non è sufficientemente chiaro quale delle due ipotesi sopra prospettate andrà concretamente a configurarsi, tenuto conto che per il restante 50% vi è stata una rinuncia ad eredità, ma nulla viene specificato sulla sorte che tale 50% ha avuto (se anch’esso verrà alla fine acquisito o meno al patrimonio dello Stato per assenza di successibili ex lege).