La disposizione non fa che riprodurre, nella sostanza ed anche nella forma, quella dell’art. #901# del precedente codice.
Si è ritenuto di mantenere il divieto dell’usufrutto successivo sia per ragioni generali di carattere economico, in quanto il protrarsi dell’usufrutto per tempo eccessivo, attraverso il succedersi di più investiti, svuoterebbe il diritto di proprietà del suo contenuto e porterebbe ad uno stato di inerzia e di progressivo deperimento della produttività dei beni, dati i poteri limitati ed i molti divieti all’attività dell usufruttuario nel sistema attuale; sia, e soprattutto, in quanto i legati di usufrutto successivo possono prestarsi come artificiosi espedienti per frodare la legge, eludendone il generale divieto delle sostituzioni fedecommissarie. Vero è che, dal punto di vista teorico, non si verifica nel caso né una vera sostituzione, né un fenomeno di successione. Si tratta, in sostanza, di distinti legati di usufrutto, i quali si esauriscono in sé medesimi senza che il primo investito abbia alcun obbligo di conservare e di restituire, che non sia quello di salvare la sostanza della cosa come prescritto per ogni usufruttuario in relazione alla natura ed alla funzione dell’istituto. Tuttavia, in pratica, la successione di più usufruttuari realizza propriamente, aggravandole, le stesse finalità del fedecommesso, che sono quelle di istituire un ordine successivo di beneficiari nel godimento dello stesso bene, senza possibilità di disporne per atto tra vivi e mortis causa. Anzi, la situazione risulterebbe qui di maggior pregiudizio economico, attesa la più limitata libertà di azione dell’usufruttuario rispetto a quella del fedecommissario, che ha la piena amministrazione dei beni.
Il divieto si estende, oltre che all’usufrutto, alle situazioni affini dell'istituzione di rendite o di annualità periodiche in favore di più persone successivamente. Il nuovo codice ha aggiunto l’indicazione della rendita a quella generica di altra annualità adoperata nell’art. #901# del precedente codice, per togliere di mezzo la questione allora dibattuta sull’applicabilità del divieto alle sole annualità o canoni di carattere reale, od anche a quelle di carattere obbligatorio come sarebbe, appunto, la rendita vitalizia. Nel senso dell’interpretazione estensiva si era manifestata la prevalente dottrina, attesa l’identità della ratio legis e la circostanza che altrimenti il divieto si sarebbe circoscritto ai canoni enfiteutici, unico onere periodico reale riconosciuto nel nostro ordinamento. Ora la formula adottata elimina ogni dubbio.
La portata della disposizione - senza intaccare la validità generica della sostituzione - opera soltanto in favore di coloro che alla morte del testatore si trovano primi chiamati a goderne: solo in primo grado, cioè, restando come non scritte le istituzioni successive. E per primi chiamati devono intendersi coloro che alla morte del testatore vengono di fatto a trovarsi in condizione di poter essere investiti del godimento, ancorché non primi chiamati nel testamento, come nel caso, ad esempio, in cui i primi chiamati testamentari siano incapaci, indegni o rinunciatari o premorti; laddove si verifica, in sostanza, fra gli istituiti una sostituzione volgare a favore di chi si trovi in grado di raccogliere il diritto.