Perimento della cosa per fatto di terzi
Per quanto la formula di questo articolo non sia la migliore (infatti l'espressione «
se il perimento della cosa non è conseguenza di caso fortuito» non è la più idonea a rappresentare l’ ipotesi per cui il legislatore ha ritenuto di dettare la norma), tuttavia il principio in esso affermato risulta sufficientemente chiaro. Quando del perimento della cosa è responsabile un terzo, il quale sia perciò tenuto al risarcimento del danno, l'usufrutto si trasferisce sulla indennità dovuta a titolo di risarcimento. Si ha in altri termini un'ipotesi di
surrogazione reale, che importa una modificazione qualitativa dell'oggetto del diritto. La norma si applica, come è ovvio, sia all'ipotesi di perimento totale sia a quello di perimento parziale ed è una ulteriore conferma del principio che l'usufrutto, in caso di perimento della cosa, si estingue quando non solo non residui nulla del perimento, ma anche quando non si possa sostituire alla cosa l'equivalente in denaro per effetto del risarcimento del danno dovuto dal terzo che ha causato il perimento.
La disposizione dell'art. 1016, che non trova riscontro nel vecchio codice, rappresenta una notevole e opportuna innovazione. Nel silenzio del codice del 1865 si doveva ritenere che il proprietario è l'usufruttuario fossero separatamente legittimati a chiedere il risarcimento del danno, l'uno per la perdita della proprietà, l'altro per la perdita dell'usufrutto. Ma l'usufruttuario non conservava il diritto di usufrutto sulla indennità liquidata al proprietario.
Secondo il nuovo codice, l'usufruttuario conserva invece il suo diritto su tutta la indennità, in astratto idonea a compensare la perdita della cosa e del reddito. Di conseguenza fino a quando l'indennità non è pagata si applicheranno le regole sull'usufrutto sui crediti; quando poi si tratta di riscuoterla si applicherà la disposizione dell'art.
1000. Sarà perciò necessario che colui che inizia il giudizio per ottenere la liquidazione dei danni integri il giudizio con la citazione dell'altro interessato, dato il principio per cui nella riscossione del capitale di un credito è necessario il concorso del proprietario e dell'usufruttuario. Può rimanere il dubbio se l'usufruttuario possa, anziché valersi del disposto dell'art. 1016, chiedere direttamente al terzo responsabile il risarcimento dei danni, in una somma capitale che compensi la perdita del suo diritto ai frutti e al godimento della cosa. Ma io ritengo che tale diritto debba senz'altro riconoscersi all'usufruttuario, dato che l'art. 1016 contiene una norma a suo favore, agli effetti della quale quindi egli può rinunziare. In tal caso però resta l'obbligo dell'usufruttuario, ai sensi dell'art.
1010 primo comma, di denunciare al proprietario il perimento della cosa, affinché questi possa provvedere alla tutela delle sue ragioni nel medesimo giudizio intentato dall'usufruttuario o in giudizio diverso.
È ovvio che la disposizione dell'art. 1016
non si applica se responsabile del perimento della cosa è lo stesso proprietario. In tal caso questi sarà tenuto a risarcire i danni all'usufruttuario secondo le regole generali e non potrà liberarsi obbligandosi di pagare gli interessi sulla somma corrispondente al valore della cosa perita.