La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22291 del 25 settembre 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dagli Ermellini, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, emessa dal Tribunale di Como, aveva dichiarato il diritto di un dipendente di una società “alla inclusione nell’accantonamento annuo del TFR”, oltre che delle indennità per straordinario, festività, riposi e congedo, dalla data dell’assunzione, “anche dell’indennità di disagio, con la medesima decorrenza”.
Ritenendo la decisione ingiusta, la società datrice di lavoro aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo la ricorrente, in particolare, la Corte d’appello non avrebbe dato corretta applicazione all’art. 2120 c.c., avendo la stessa “erroneamente ed immotivatamente considerato doverosa l’incidenza sul calcolo del TFR della c.d. indennità di disagio, considerandola, nonostante la sua evidente natura fittizia, ‘retribuzione’”.
La Suprema Corte, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione alla società datrice di lavoro, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Osservava la Cassazione, infatti, che, ai sensi dell’art. 2120 c.c., l’accantonamento per il TFR comprende “tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese”.
Evidenziava la Corte, dunque, che tale disposizione non prevede che incidano sul TFR solo “i compensi continuativi corrispettivi a prestazioni effettivamente fornite”, con la conseguenza che la Corte d’appello aveva correttamente ritenuto che anche l’indennità di disagio dovesse incidere sugli accantonamenti per il TFR.
Precisava la Cassazione, infatti, che questa voce retributiva “viene erogata a titolo di corrispettivo per la maggiore gravosità della prestazione di lavoro straordinario, riconosciuta al prestatore d’opera in dipendenza del rapporto di lavoro” e che la stessa non rientra “in alcuna delle ipotesi di esclusione degli accantonamenti previste dall’art. 2120 c.c. o dalla contrattazione collettiva”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla società datrice di lavoro, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando la ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.