Cass. civ. n. 2862/2023
La fattispecie del dolo processuale revocatorio della parte è estensibile al cessionario del diritto controverso ove la sentenza sia stata determinata da una condotta dolosa, seppur materialmente riferibile al cedente, di cui il cessionario abbia oggettivamente beneficiato ai danni del debitore ceduto, al fine di alterare l'esito della decisione, poiché la funzione della revocazione non è quella di sanzionare la parte avvantaggiata in quanto autrice della condotta dolosa, ma è quella di impedire che la controparte subisca il danno derivante dal fatto oggettivo che al giudice è stato impedito di formarsi correttamente il proprio prudente convincimento. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto non configurabile il caso di revocazione di cui all'art. 395, n. 1, c.p.c. nei confronti del cessionario di un credito, nonostante questi si fosse giovato della condotta dolosa posta in essere dal creditore cedente, consistita nella falsificazione di una diffida con effetto interruttivo della prescrizione, al fine di conservare il diritto azionato, altrimenti prescritto).
Cass. civ. n. 20231/2022
Ai fini dell'annullamento del contratto per dolo, non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull'altro contraente, ma occorre la presenza di artifizi, raggiri o menzogne tali da determinare una falsa rappresentazione della realtà idonea ad ingenerare un errore essenziale in una persona di normale diligenza, il cui accertamento spetta al giudice del merito, il quale è tenuto a motivare specificamente in ordine alle concrete circostanze - la cui prova è a carico del "deceptor" - dalle quali desumere che l'altra parte già conosceva o poteva rendersi conto "ictu oculi" dell'inganno perpetrato nei suoi confronti. (Fattispecie relativa al comportamento decettivo del promotore finanziario che, approfittando della residenza all'estero del titolare del conto e della delega da questi rilasciata alla madre, rappresentava falsamente ad entrambi la correttezza delle operazioni e la pre-autorizzazione ricevuta, facendo quindi sottoscrivere alla delegata una serie di moduli di disinvestimento o bonifico impilati, così da distrarre il patrimonio dell'investitore).
Cass. civ. n. 11605/2022
Il dolo omissivo, pur potendo viziare la volontà, è causa di annullamento, ai sensi dell'art. 1439 c.c., solo quando l'inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento, adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l'inganno perseguito, determinando l'errore del "deceptus". Pertanto, il semplice silenzio, anche in ordine a situazioni di interesse della controparte, e la reticenza, non immutando la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione della realtà alla quale sia pervenuto l'altro contraente, non costituiscono di per sé causa invalidante del contratto. (In applicazione di tale principio la S.C., con riferimento ad un contratto di compravendita immobiliare, ha escluso che il silenzio serbato dal venditore, nella fase delle trattative, sull'esistenza di irregolarità urbanistiche potesse configurare un'ipotesi di dolo omissivo, ritenendo che il promissario acquirente avesse avuto la concreta possibilità di rendersi conto dei possibili abusi edilizi e, dunque, di poter verificare la conformità dello stato di fatto a quello di diritto).
Cass. civ. n. 31731/2021
A norma dell'art. 1439 c.c. il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati siano stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione del contratto, ossia quando, determinando la volontà del contraente, abbiano ingenerato nel deceptus una rappresentazione alterata della realtà, provocando nel suo meccanismo volitivo un errore da considerarsi essenziale ai sensi dell'art. 1429 c.c. A produrre l'annullamento del contratto non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull'altro contraente, ma sono necessari artifici o raggiri, o anche semplici menzogne che abbiano avuto comunque un'efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte.
Cass. civ. n. 25968/2021
In tema di contratti, a norma dell'art. 1439 c.c., il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati siano stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione del contratto, ossia quando, determinando la volontà del contraente, abbiano ingenerato nel "deceptus" una rappresentazione alterata della realtà, provocando nel suo meccanismo volitivo un errore da considerarsi essenziale ai sensi dell'art. 1429 c.c. Ne consegue che a produrre l'annullamento del contratto non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull'altro contraente, ma sono necessari artifici o raggiri o anche semplici menzogne, che abbiano avuto comunque un'efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte e, quindi, sul consenso di quest'ultima.
Cass. civ. n. 13034/2018
Il dolo che vizia la volontà e causa l'annullamento del contratto implica necessariamente la conoscenza da parte dell'agente delle false rappresentazioni che si producono nella vittima e il convincimento che sia possibile determinare con artifici, menzogne e raggiri la volontà altrui, inducendola specificamente in inganno. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha condiviso la sentenza impugnata nella parte in cui aveva affermato che le menzogne attribuite alla venditrice, con riferimento alle caratteristiche tecniche dei terminali forniti, potevano avere al più esercitato influenza soltanto sulle modalità della fornitura, senza incidere sulla validità del contratto, e perciò potevano essere, semmai, causa di risarcimento dell'eventuale danno patito).
Cass. civ. n. 11009/2018
Il dolo omissivo rileva quale vizio della volontà, idoneo a determinare l'annullamento del contratto, solo quando l'inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l'inganno perseguito; pertanto, il semplice silenzio e la reticenza, anche su situazioni di interesse della controparte, non immutando la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione di essa alla quale sia pervenuto l'altro contraente, non costituiscono causa invalidante del contratto. (In applicazione di tale principio la S.C., con riferimento ad un contratto di compravendita immobiliare, ha escluso che il silenzio serbato dal venditore, nella fase delle trattative, sulla possibilità di un imminente recesso della banca conduttrice dei locali oggetto del contratto potesse configurare una ipotesi di dolo omissivo, ritenendo dirimente la circostanza che nel contratto di locazione tra la venditrice e la banca, conosciuto dall'acquirente, era prevista la facoltà di recesso "ad nutum" del conduttore e che, perciò, quel reddito locativo non era, né poteva essere considerato, sicuro).
Cass. civ. n. 1585/2017
In tema di dolo quale causa di annullamento del contratto, sia nella ipotesi di dolo commissivo che in quella di dolo omissivo, gli artifici o i raggiri, la reticenza o il silenzio devono essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto ed alle qualità e condizioni soggettive dell'altra parte, onde stabilire se erano idonei a sorprendere una persona di normale diligenza, giacché l'affidamento non può ricevere tutela giuridica se fondato sulla negligenza. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che non aveva ravvisato la sussistenza del dolo nelle assicurazioni fornite da una banca in ordine all’insussistenza di protesti o altre esposizioni debitorie a carico di una moglie legalmente separata in cui favore l'ex marito aveva acconsentito all'iscrizione di ipoteca su di un bene comune a garanzia di un mutuo, ben potendo egli acquisire conoscenza delle reali condizioni economiche della ex coniuge).
Cass. civ. n. 18930/2016
Il contratto concluso per effetto di truffa di uno dei contraenti in danno dell'altro è annullabile ai sensi dell'art. 1439 c.c., atteso che il dolo costitutivo di tale delitto non è ontologicamente diverso, neanche sotto il profilo dell'intensità, da quello che vizia il consenso negoziale, entrambi risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati dall'agente e diretti ad indurre in errore l'altra parte e così a viziarne il consenso. Pertanto, la costituzione di parte civile nei confronti dell'imputato cui tale truffa sia stata contestata, implicando la piena conoscenza degli estremi fattuali del reato ascritto, e quindi del dolo, è idonea a far decorrere, ex art. 1442, comma 2, c.c., il termine quinquennale di prescrizione dell'azione di annullamento.
Cass. civ. n. 16004/2014
Le dichiarazioni menzognere (cosiddetto mendacio) sono idonee ad integrare raggiri - e, dunque, a configurare il dolo contrattuale - la cui rilevanza è tanto maggiore in relazione all'affidabilità intrinseca degli atti utilizzati (come quelli contabili destinati a rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria di una società) e se siano rese da una parte con la deliberata finalità di offrire una rappresentazione alterata della veridicità dei presupposti di fatto rilevanti per la determinazione del prezzo di cessione delle quote sociali e di viziare nell'altra parte il processo formativo della volontà negoziale. La valutazione della idoneità di tale comportamento a coartare la volontà del "deceptus" è riservata al giudice del merito, il quale è tenuto a motivare specificamente in ordine alle concrete circostanze - la cui prova è a carico del "deceptor" - dalle quali desumere che l'altra parte già conosceva o poteva rendersi conto "ictu oculi" dell'inganno perpetrato nei suoi confronti.
Cass. civ. n. 4065/2014
In tema di vizi del consenso, vige il principio "fraus omnia corrumpit", in virtù del quale il dolo decettivo conduce all'annullamento del contratto (come pure del negozio unilaterale) qualunque sia l'elemento sul quale il "deceptus" sia stato ingannato e, dunque, in relazione a qualunque errore in cui sia stato indotto, ivi compreso quello sul valore o sulle qualità del bene oggetto del negozio.
Cass. civ. n. 19559/2009
In materia di annullamento del contratto per dolo, le dichiarazioni precontrattuali con le quali una parte cerchi di rappresentare la realtà nel modo più favorevole ai propri interessi non integrano gli estremi del "dolus malus" quando, nel contesto dato, non sia ragionevole supporre che l'altra parte possa aver attribuito a quelle dichiarazioni un peso particolare, considerato il modesto livello di attendibilità che, in una determinata situazione di tempo, di luogo e di persone, è da presumere che possa essere riconosciuta a certe affermazioni consuete negli schemi dialettici di una trattativa (sempre che ad esse non si accompagni la predisposizione di ulteriori artifici o raggiri, idonei a travisare la realtà cui quelle affermazioni si riferiscono). Il valutare se, in concreto, ricorra un'ipotesi di "dolus malus" ovvero di "dolus bonus" è compito precipuo del giudice di merito.
Cass. civ. n. 13566/2008
Il contratto concluso per effetto di truffa di uno dei contraenti in danno dell'altro, non è nullo, ma annullabile, ai sensi dell'articolo 1439 c.c. Infatti, il dolo costitutivo del delitto di truffa (articolo 640 c.p.) non è diverso, né ontologicamente né sotto il profilo intensivo, da quello che vizia il consenso negoziale, atteso che entrambi si risolvono negli artifici o raggiri adoperati dall'agente e diretti ad indurre in errore l'altra parte e così viziarne il consenso.
Cass. civ. n. 2479/2007
Le false o omesse indicazioni di fatti la cui conoscenza è indispensabile alla controparte per una corretta formazione della sua volontà contrattuale (nella specie, in una compravendita di automezzi, non era stato comunicato che gli stessi erano d' importazione e che godevano di una minore garanzia) possono comportare l'annullamento del contratto per dolo, nel caso in cui la controparte, qualora fosse stata a conoscenza delle circostanze maliziosamente taciute, non avrebbe concluso il contratto, o possono comportare l'obbligo per il contraente mendace o reticente di risarcire il danno, ove la controparte si sarebbe comunque determinata a concludere l'affare ma a condizioni diverse, salvo che il contraente mendace non provi che la controparte era comunque a conoscenza dei fatti da lui maliziosamente occultati o che avrebbe potuto conoscerli, usando la normale diligenza; l'accertamento se si versi in una ipotesi di dolo determinante o incidente costituisce valutazione di merito, non sindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivata.
Cass. civ. n. 5166/2003
Il dolo è, ai sensi dell'art. 1439 c.c., causa di annullamento del contratto, allorché si sia con cretato in artifici o raggiri o anche menzogne, che — ingenerando nella controparte una rappresentazione alterata della realtà — siano stati determinanti del consenso che altrimenti non sarebbe stato prestato.
Cass. civ. n. 2104/2003
Il dolo che vizia la volontà e causa l'annullamento del contratto implica la conoscenza da parte dell'agente delle false rappresentazioni che si producono nella vittima ed il convincimento che sia possibile determinare con artifici, menzogne e raggiri, inducendola specificamente in inganno, la volontà altrui; pertanto la reticenza e il silenzio non bastano a costituire il dolo se non in rapporto alle circostanze e al complesso del contegno che determina l'errore del
deceptus, che devono essere tali da configurarsi quale malizia o astuzia volta a realizzare l'inganno perseguito. (Nella specie la S.C. ha confermato, in quanto immune da vizi di motivazione, la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il recesso del datore di lavoro dal contratto di formazione e lavoro per sopravvenuto accertamento di inidoneità alle mansioni, ma aveva escluso la sussistenza del dolo nel comportamento di un lavoratore, successivamente riconosciuto invalido, che aveva reso noto all'inizio della procedura di assunzione di essere stato esonerato dal servizio militare per un incidente, tacendo di aver presentato una domanda per il riconoscimento di invalidità civile).
Cass. civ. n. 3001/1996
Le dichiarazioni precontrattuali con le quali una parte cerchi di rappresentare la realtà nel modo più favorevole ai propri interessi (nella specie, riguardanti l'affidamento che un'impresa riscuote sul mercato) non integrano gli estremi del dolus malus quando, nel contesto dato, non sia ragionevole supporre che l'altra parte possa aver attribuito a quelle dichiarazioni un peso particolare, considerato il modesto livello di attendibilità che, in una determinata situazione di tempo, di luogo e di persone, è da presumere che possa essere riconosciuta a certe affermazioni consuete negli schemi dialettici di una trattativa (sempre che ad esse non si accompagni la predisposizione di ulteriori artifici o raggiri, idonei a travisare la realtà cui quelle affermazioni si riferiscono). Il valutare se, in concreto, ricorra un'ipotesi di
dolus malus ovvero di
dolus bonus è compito precipuo del giudice di merito.
Cass. civ. n. 1955/1996
A norma dell'art. 1439 codice civile, il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati siano stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione del contratto, ossia, quando, determinando la volontà del contraente, abbiano ingenerato nel
deceptus una rappresentazione alterata dalla realtà, provocando nel suo meccanismo volitivo un errore da considerarsi essenziale ai sensi dell'art. 1429 codice civile. Ne consegue che a produrre l'annullamento del contratto non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull'altro contraente, ma sono necessari artifici o raggiri, o anche semplici menzogne che abbiano avuto comunque un'efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte e, quindi, sul consenso di quest'ultima.
Cass. civ. n. 8295/1994
Dalla disciplina dell'art. 1337 c.c., in tema di trattative e responsabilità precontrattuale, o da determinati obblighi di informazione (artt. 1338 e 1892 c.c.) non può desumersi, in coerenza alla regola della correttezza commerciale secondo buona fede, che ogni contraente debba rendere edotta la controparte delle proprie situazioni economiche - salvo che ciò non sia previsto espressamente dal contratto, o non derivi dalla legge, come nei rapporti bancari - ancorché critiche, annullando così l'onere di prudenza che ogni contraente deve pur assumere prima di instaurare un rapporto obbligatorio.
Il dolo omissivo, causa di annullamento del contratto a norma dell'art. 1439 c.c., può concretizzarsi solo quando l'inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento, adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l'inganno perseguito. Pertanto, il semplice silenzio, anche su situazioni di interesse della controparte, e la reticenza, non immutando la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione della realtà alla quale sia pervenuto l'altro contraente, non costituisce causa invalidante del contratto.
Cass. civ. n. 10718/1993
Il dolo che vizia la volontà e causa l'annullamento del contratto può consistere nel mendacio, purché, valutato in relazione alle circostanze di fatto ed alle qualità e condizioni dell'altra parte, sia accompagnato da una condotta maliziosa ed astuta capace di realizzare l'inganno voluto ed a sorprendere la buona fede di una persona di normale diligenza e buon senso, posto che l'affidamento non può ricevere tutela giuridica se è fondato sulla negligenza. (Nella specie, con la sentenza cassata, il giudice di merito aveva identificato il dolo nel mendacio del venditore circa il valore di azioni vendute, senza alcun accertamento della condotta posta in essere dal venditore per rendere credibili le sue affermazioni).
Cass. civ. n. 9227/1991
In tema di dolo, quale vizio della volontà, gli artifici ed i raggiri posti in essere da un contraente — idonei in concreto a trarre in inganno la controparte e tali che questa senza di essi non avrebbe stipulato il contratto — non cessano di essere causa di invalidazione del negozio solo perché il
deceptus avrebbe potuto espletare una certa attività di verifica e di controllo per sventare l'errore.
Cass. civ. n. 257/1991
Il dolo quale causa di annullamento del contratto ai sensi dell'art. 1439 c.c., può consistere tanto nell'ingannare con notizie false, con parole o con fatti la parte interessata, direttamente o per mezzo di terzi (dolo commissivo), quanto nel nascondere alla conoscenza altrui, col silenzio o con la reticenza, fatti o circostanze decisive (dolo omissivo). Tuttavia, nell'un caso e nell'altro, gli artifici o i raggiri, la reticenza o il silenzio, devono essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto e alle qualità e condizioni soggettive dell'altra parte onde stabilire se erano idonei a sorprendere una persona di normale diligenza, giacché l'affidamento non può ricevere tutela giuridica se fondato sulla negligenza.
Cass. civ. n. 1817/1977
La menzogna o la reticenza di un contraente possono configurare comportamento doloso, al fine dell'annullabilità del negozio ai sensi dell'art. 1439 c.c., solo quando abbiano provocato l'occultamento di un fatto, la cui conoscenza avrebbe escluso il consenso dell'altro contraente, in considerazione delle sue qualità e condizioni soggettive, e delle circostanze inerenti al comportamento medesimo.
Cass. civ. n. 2528/1976
Il dolo, quale causa di annullamento del contratto, può consistere in una semplice reticenza: in tal caso, colui che chiede l'annullamento deve provare la reticenza, mentre spetta a colui che sostiene la validità del contratto di provare che la circostanza da lui taciuta era in realtà nota alla controparte.
Cass. civ. n. 3030/1974
L'attività del contraente, rilevante al fine della configurazione del dolo, consiste nella determinazione di false rappresentazioni relative non solo alla natura ed alle qualità materiali del bene che è oggetto del contratto, ma anche a tutti quegli elementi che per l'altro contraente possono essere decisivi per la prestazione del suo consenso (fra questi, in primo luogo, il prezzo del bene).
Cass. civ. n. 3352/1972
L'accertamento del nesso di causalità psicologica, e non materiale, com'è quello di derivazione del consenso dal raggiro di uno dei contraenti, deve aver riguardo all'effettivo processo psichico che si è svolto nell'interna sfera della conoscenza e del volere di colui nei confronti del quale l'inganno è stato usato. Ma stante l'impossibilità di una percezione immediata degli altrui fatti interni, questi debbono desumersi dalle circostanze e dai comportamenti esteriori.
Cass. civ. n. 2311/1972
A differenza dell'errore, il quale per sua essenza deve essere valutato nella persona che ne è vittima, il dolo è un fatto che implica una considerazione del contegno del deceptor e delle sue conseguenze sulla conoscenza del
deceptus e, pertanto, perché si possa parlare di intenzione di ingannare è necessaria la conoscenza da parte dell'agente delle false rappresentazioni che si producono nella vittima, e la credenza che sia possibile determinare con artifici, menzogne o raggiri, inducendola specificamente in inganno, la volontà altrui. La reticenza e il silenzio non bastano a costituire il dolo se non in rapporto alle circostanze e al complesso del contegno che determina l'errore.