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Articolo 957 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Disposizioni inderogabili

Dispositivo dell'art. 957 Codice Civile

L'enfiteusi, salvo che il titolo disponga altrimenti, è regolata dalle norme contenute negli articoli seguenti(1).

Il titolo [1158, 2810, 2812] non può tuttavia derogare alle norme contenute negli articoli 958, secondo comma, 961, secondo comma, 962, 965, 968, 971 e 973(2).

Note

(1) La regolamentazione dell'istituto in esame si evince soprattutto dal titolo e in funzione subordinata alla legge, la quale, però, detta una disciplina di natura inderogabile. Le disposizioni di nuova introduzione in materia di enfiteusi rustiche e urbane riguardano la determinazione del canone e l'affrancazione, di cui alla L. 1966, n. 607, alla L. 1970, n. 1138 nonché alla L. 1974, n. 270.
(2) Le disposizioni inderogabili concernono il canone (art. 961 del c.c.) e l'affrancazione del fondo (art. 971 del c.c.), gli ambiti, cioè, più rilevanti a parere del legislatore.
L'istituto in esame risponde alla precisa scelta normativa di facilitare la concessione dei terreni coltivabili in enfiteusi, mirando da una parte a garantire, senza eccezioni, un aggiornamento periodico del canone, dall'altra a consentire all'enfiteuta di appropriarsi del terreno migliorato.

Ratio Legis

Tale istituto vide la luce con il vecchio codice al fine di migliorare i fondi tenendo, altresì, conto delle esigenze dei grandi proprietari terrieri. Si ebbe, così, una separazione tra dominio utile dell'enfiteuta in qualità di coltivatore diretto e dominio diretto spettante al proprietario.

Brocardi

Iura in re aliena
Ius emphyteuticum

Spiegazione dell'art. 957 Codice Civile

Sistemazione dell'enfiteusi, nel nuovo codice, fra i diritti reali

Il codice del 1865, considerando l'enfiteusi soltanto dal punto di vista della sua fonte normale, ma non unica, la collocava tra i contratti. Ma tale sede non era troppo appropriata, sia perché l'enfiteusi poteva, come può, essere costituita anche altrimenti che per contratto, sia perché non ne emergeva la natura reale del diritto costituito.

Il nuovo codice, dettando la disciplina dell'enfiteusi, ha corretto questa non troppo propria sistemazione del codice del 1865, e ha compreso l'istituto fra i diritti reali, accanto all'usufrutto.


­Inderogabilità di alcune disposizioni regolanti l'enfiteusi

Ad evitare poi che sorgano contestazioni sul modo come l'enfiteusi deve essere regolata, il legislatore ha stabilito esplicitamente che essa o è regolata dalle convenzioni delle parti oppure, in mancanza di convenzioni speciali, dalle disposizioni contenute nel nuovo codice, alcune delle quali hanno carattere inderogabile.

Anche nel caso, però, che l'enfiteusi sia regolata dalle convenzioni delle parti, queste disposizioni aventi carattere di inderogabilità, in ogni caso, non possono essere contrarie alla disciplina che all'istituto ha dato il nuovo codice, e in particolare esse non possono in via assoluta derogare alle disposizioni dell'art. 958, comma secondo, 151, comma secondo, 962, 965, 968 e 971, che si riferiscono rispettivamente al termine minimo di durata delle enfiteusi temporanee, alla ripartizione degli obblighi nel caso in cui il fondo sia diviso e goduto separatamente da più enfiteuti o eredi, alla revisione del canone, alla disponibilità del diritto enfiteutico, all’ inammissibilità della sub-enfiteusi, all'esercizio del diritto di affrancazione.

E questa inderogabilità appare più che giustificata, se si tiene presente che le sopra citate disposizioni sono dirette a tutelare non il privato interesse, ma un interesse generale. Conseguentemente, se venisse apposta in un contratto di enfiteusi una clausola derogatoria a una qualsiasi delle disposizioni nei citati articoli, essa sarebbe nulla e renderebbe nullo il contratto di enfiteusi stipulato con una tale clausola contraria alla legge.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

447 Nel dettare nel quarto titolo del libro la disciplina dell'enfiteusi, ho corretto la meno propria sistemazione del codice del 1865, che, considerando l'enfiteusi soltanto dal punto di vista della sua fonte normale, ma non unica, la collocava tra i contratti. La disciplina che l'istituto riceveva nel codice precedente era informata ad aperto disfavore, determinato in parte da qualche degenerazione che l'istituto stesso aveva subito permeandosi nel diritto intermedio di elementi feudali, in parte dall'influenza della rivoluzione francese, che, ravvisando in esso un residuo del feudalismo, condusse a bandirlo dal codice napoleonico. Dominato dal principio che la libera commerciabilità dei fondi non dovesse trovare nella legge alcun ostacolo, il codice del 1865, senza riguardo alla funzione sociale dell'istituto e agli interessi del concedente, conferì all'enfiteuta illimitata libertà di alienazione del fondo e, parimenti senza alcun limite, gli riconobbe il diritto di affrancazione. Spento l'interesse dei proprietari a costituirle, ben rare furono le enfiteusi stipulate sotto l'impero del codice anteriore. Nel rielaborare la disciplina dell'istituto, pur conservandone i lineamenti essenziali, ho introdotto talune profonde innovazioni al fine di renderlo meglio idoneo ad attuare la funzione, di cui apparisce ancora capace, del miglioramento dei fondi o dell'incremento della produzione nazionale. Come nel codice del 1865 (art. 1556), l'enfiteusi può essere perpetua o temporanea. A differenza però del codice precedente, che non fissava alcun termine minimo di durata dell'enfiteusi temporanea, l'art. 958 del c.c. stabilisce che questa non può essere costituita per una durata inferiore ai venti anni. Ho ritenuto necessario fissare il detto termine, perché un'enfiteusi meno duratura non risponderebbe alle finalità economiche e sociali dell'istituto. Salvo che il titolo disponga altrimenti, l'enfiteusi è regolata dalle disposizioni di legge; alcune di queste hanno però carattere inderogabile. Tali sono quelle che attengono al termine minimo di durata, alla ripartizione degli obblighi nel caso in cui il fondo sia diviso e goduto separatamente da più enfiteuti o eredi, alla revisione del canone, alla disponibilità del diritto enfiteutico, all'inammissibilità della subenfiteusi, all'esercizio del diritto di affrancazione, all'inammissibilità, entro certi limiti, della clausola risolutiva espressa (art. 957 del c.c.). L'inderogabilità è correlativa al carattere pubblico dell'interesse che le menzionate norme sono dirette a tutelare.

Massime relative all'art. 957 Codice Civile

Cass. civ. n. 15822/2022

Elemento essenziale dell'enfiteusi, anche dopo le modifiche introdotte in materia dalle leggi n. 607 del 1966 e n. 1138 del 1970, e tanto nel caso in cui essa abbia ad oggetto un fondo rustico, quanto in quello in cui riguardi un fondo urbano (terreno da utilizzare per scopi non agricoli, ovvero edificio già costruito), è l'imposizione a carico dell'enfiteuta dell'obbligo di migliorare la precedente consistenza del fondo, il quale, pure nel suddetto caso dell'enfiteusi urbana, non si identifica, né si esaurisce nel diverso obbligo di provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria. Ne consegue che, sia nel caso di enfiteusi urbana che rurale, le migliorie non si risolvono nella mera manutenzione, sia pure straordinaria.

Cass. civ. n. 3689/2018

Il "livello" ha natura di diritto reale di godimento su bene altrui, assimilabile all'enfiteusi anche in punto di disciplina ed estraneo ai rapporti regolati dalla speciale legislazione sui contratti agrari, sicché le domande di accertamento negativo e quelle di affrancazione dallo stesso non soggiacciono alla condizione di procedibilità del previo esperimento del tentativo di conciliazione di cui all'art. 46 della l. n. 203 del 1982. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 22/01/2015).

Cass. civ. n. 9135/2012

Il regime giuridico del cosiddetto "livello" va assimilato a quello dell'enfiteusi, in quanto i due istituti, pur se originariamente distinti, finirono in prosieguo per confondersi ed unificarsi, dovendosi, pertanto, ricomprendere anche il primo, al pari della seconda, tra i diritti reali di godimento. Ne consegue che l'accertamento positivo o negativo dell'esistenza del "livello" esula dalla competenza "ratione materiae" della sezione specializzata agraria, non attenendo ad un rapporto astrattamente riconducibile nell'ambito di quelli contemplati dalla speciale legislazione sui contrati agrari.

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Consulenze legali
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Pasquale B. chiede
lunedì 16/12/2019 - Campania
“Gentilissimi Avvocati,
sono possessore di alcuni fondi rustici, facenti parte dell’agro di un piccolo comune dell’entroterra campano.
Nel mese di settembre c.a. (per la precisione il 20.09.2019), con mia somma sorpresa, mi è stato notificato, da parte del comune, un avviso di pagamento di un canone di natura enfiteutica gravante su detti fondi, relativo alle annualità 2014, 2015, 2016, 2017, 2018 e 2019.
Tale avviso oltre ad invitarmi ad ottemperare ai miei doveri obbligazionari, mi informava della possibilità di potermi avvalere del diritto di affranco.
Fatte le dovute ricerche e avvalsomi del diritto di accesso agli atti, ho appreso che:
a) Esistenza di un regio decreto del 1936, con il quale un regio commissario, oltre a liquidare gli usi civici gravanti su detti fondi e a legittimare il possesso dell’occupatore dell’epoca, quantizzava anche il canone annuo (poche decine di lire);
b) Il pagamento del canone, cito quanto disposto nel decreto “sarà pagato al 31 di agosto di ciascun anno a cominciare dal 31 agosto 1934 incluso”;
c) Il pagamento del canone non è stato effettuato da tempo immemorabile (da almeno 70 anni);
d) Le visure catastali, relative a predetti fondi, riportano la dicitura:
• Concedente: comune di omissis
• Livellario: il privato cittadino
e) Detti terreni, con il decreto di legittimazione, sono da considerarsi beni allodiali (non più demaniali, ma facenti parte del patrimonio disponibile del Comune);
f) Nel lontano 1988, in seguito di richiesta di rilascio di concessione edilizia per poter edificare su predetti fondi, avendone diritto, mi fu rilasciata previa dichiarazione sostitutiva attestante la piena proprietà, senza che l’Ente eccepisse alcunché;
Tanto premesso, chiedo:
1) La pretesa dell’Ente è legittima oppure il diritto al pagamento del canone di natura enfiteutica, poiché non è stato versato da tempo immemorabile, si è prescritto?
2) Qualora la pretesa dell’Ente trovasse fondamento nel diritto, l’annualità 2014 si è prescritta?
3) Qualora avessi intenzione di restituire il fondo al concedente con gli annessi fabbricati, realizzati in seguito ad atto concessorio, potrei chiedere ed ottenere un riconoscimento economico per le migliorie realizzate?
Nel ringraziarVi anticipatamente per la sicura, puntuale e spero soddisfacente risposta, porgo cordiali saluti
Si allega:
-copia Avviso di pagamento;
-copia Regio Decreto del 1936;
-copia stralcio elenco beneficiari/legittimati allegato al Regio Decreto.”
Consulenza legale i 03/01/2020
Gli usi civici costituiscono un istituto giuridico di origine antica, retaggio di una società feudale e immediatamente post-feudale, che attribuiscono ad una collettività indistinta di persone particolari diritti sulla proprietà pubblica o privata, come ad es. il diritto di pascolo.
Nel diciannovesimo secolo, la piena permanenza in vita dei diritti d'uso civico fu ritenuta incompatibile con le esigenze della modernità, in quanto d'ostacolo al pieno sfruttamento agricolo, poiché essi costituivano pesi di natura reale esercitabili da un'intera collettività, non sempre esattamente identificabile, e creavano serie difficoltà alla libera circolazione dei beni (Cassazione civile, sez. II, 30 gennaio 2019, n. 2704).
Infatti, gli usi civici vengono costantemente ricondotti dalla giurisprudenza al regime giuridico della demanialità, essendo di norma inalienabili, incommerciabili ed insuscettibili di usucapione o espropriazione forzata (Consiglio di Stato, sez. IV, 26 marzo 2013, n. 1698; TAR Roma, sez. I, 14 dicembre 2012, n. 10408; TAR Salerno, sez. I, 06 febbraio 2012, n. 174).

Con la Legge n.1766/1927 sono stati, quindi, avviati i loro progressivi riordinamento e liquidazione, ai quali erano preposti speciali commissari; dal 1977 la relativa competenza è stata attribuita alle Regioni (per la Campania si fa riferimento alla L.R. n. 11/1981).
Secondo quanto si legge nel provvedimento notificato dal Comune, pare che nel caso di specie sia stata attuata la legittimazione prevista dall’art. 9 della detta Legge, ai sensi del quale “Qualora sulle terre di uso civico appartenenti ai Comuni, alle frazioni ed alle associazioni o ad esse pervenute per effetto della liquidazione dei diritti di cui all'art. 1, siano avvenute occupazioni, queste, su domanda degli occupatori, potranno essere legittimate, sempre che concorrano unitamente le seguenti condizioni:
a) che l'occupatore vi abbia apportato sostanziali e permanenti migliorie;
b) che la zona occupata non interrompa la continuità dei terreni;
c) che l'occupazione duri almeno da dieci anni.
Le stesse norme valgono per la legittimazione dell'acquisto delle quote dei demani comunali delle Province napoletane e siciliane, alienate durante il periodo di divieto.
Non avvenendo la legittimazione, le terre dovranno essere restituite al Comune, alla associazione o alla frazione del Comune, a qualunque epoca l'occupazione di esse rimonti”.
L’obbligo di pagamento del canone enfiteutico da parte dell’occupante “legittimato” è disposto dall’art.10, n. 1766/1927, secondo cui la somma da versare corrisponde al valore del fondo stesso, diminuito di quello delle migliorie e aumentato di almeno 10 annualità di interessi.

In proposito, la giurisprudenza ha, anzitutto, escluso che per effetto della legittimazione l'occupante abusivo acquisti il diritto di proprietà (Cassazione civile, sez. III, 08 gennaio 1997, n.64).
Tuttavia, l’esito positivo del procedimento di legittimazione comporta la trasformazione del demanio in allodio, determinando il venir meno del regime di inalienabilità e imprescrittibilità, con l’emissione di un provvedimento di natura discrezionale e sostanzialmente concessoria in forza del quale il privato acquista un diritto soggettivo perfetto di natura reale tutelabile davanti al Giudice ordinario (Cassazione SS.UU, 22 maggio 1995 n. 5600; Cassazione civile, SS.UU., 9 novembre 1994, n. 9286, TAR Catanzaro, sez. I, 10 ottobre 2011, n. 1265).

Quanto all’esatta natura di tale diritto reale, la giurisprudenza ritiene che il "livello", pur essendo originariamente diverso dall’enfiteusi, nella sua evoluzione storica si identifichi con quest’ultimo istituto (Cassazione civile, sez. III, 08 gennaio 1997, n. 64).
L’enfiteusi, infatti, è un diritto reale di godimento che consente al beneficiario di esercitare prerogative molto simili a quelle del proprietario, ponendo corrispettivamente a suo carico gli obblighi di migliorare il fondo e di pagare al concedente un canone periodico (artt. 957 e ss. c.c.).
Riguardo al pagamento del canone, si precisa poi che -trattandosi di una prestazione periodica- ogni annualità si prescrive nel termine di cinque anni ai sensi dell’art. 2948 del c.c., mentre a nulla rileva che esso non sia stato versato da “tempo immemorabile”, posto che tale espressione giuridica si riferisce soltanto ad un modo di costituzione delle servitù.

Infine, quanto alle possibilità di estinguere l’enfiteusi, si deve fare principalmente riferimento agli artt. 971 del c.c., 9, L. n. 1138/1970 e 1, L. n. 607/1966, che disciplinano l’affrancazione del fondo.
L’affrancazione consiste sostanzialmente nell’acquisto da parte dell’enfiteuta della piena proprietà dell'immobile, che si attua mediante una dichiarazione unilaterale di volontà e con il contestuale pagamento al proprietario di una somma pari a quindici volte il canone annuo. In caso di contestazioni che richiedano l'intervento del Giudice, si segue il rito previsto dalla stessa L. n. 607/1966.
L'enfiteusi, inoltre, può estinguersi per scadenza del termine (se temporanea), per prescrizione in caso di non uso ventennale del diritto (art.970 del c.c.) o per rinuncia ad esso, per consolidazione, per perimento del fondo o per devoluzione, ossia la cessazione dei diritti dell'enfiteuta e la liberazione del fondo per il mancato adempimento degli obblighi a suo carico previsti dal Codice civile (art. 972 del c.c.).
In astratto potrebbe ipotizzarsi anche l’estinzione per usucapione del bene da parte dell’enfiteuta, ma si tratta di una evenienza difficile da perseguire in concreto, in quanto presuppone di fornire in giudizio la prova di aver posseduto il bene “come proprietario” per oltre venti anni, ma –come visto- il godimento quasi pieno dell’immobile è una peculiarità propria dell’enfiteusi.
A tal fine, non pare rilevante il fatto di non aver versato per molti anni il canone dovuto, posto che tale circostanza costituisce al più un inadempimento degli obblighi posti a carico dell’enfiteuta.
Nemmeno sembra potersi sfruttare allo scopo la dichiarazione sostitutiva allegata alla richiesta di concessione edilizia risalente al 1988, posto che da essa discende, peraltro, l’assunzione della responsabilità (anche penale) del dichiarante di certificare il vero.

Alla luce di tutto quanto sopra considerato, si può in sintesi concludere quanto segue:
1) la pretesa del Comune di riscuotere il canone enfiteutico sembra legittima, posto che ad oggi sono ancora in essere tutti i diritti ed obblighi connessi alla legittimazione dell’occupazione del bene sancita con il Regio decreto del 1936;
2) tuttavia, come anche correttamente suggerito nel quesito, l’annualità relativa al 2014 appare prescritta, posto che nello stesso decreto di legittimazione si stabilisce che il canone deve essere versato al 31 agosto di ciascun anno, mentre la richiesta di pagamento è stata notificata solo alla fine del mese settembre 2019, quando cioè il termine di cinque anni era già decorso (anche se solo da pochi giorni);
3) non pare, invece, possibile ottenere il riconoscimento economico delle migliorie apportate al fondo, nella specie consistenti nell’edificazione di fabbricati, posto che la realizzazione delle dette migliorie costituisce sia un presupposto della legittimazione dell'occupazione e sia un preciso obbligo dell’enfiteuta.

Pare opportuno, dunque, in primo luogo contestare per iscritto la prescrizione del canone enfiteutico concernente il 2014, ricordando che -qualora si rendesse necessario agire in giudizio- la giurisdizione su tale profilo appartiene al Giudice ordinario e non al Giudice Amministrativo (v. sentenze delle SS.UU. citate nel presente parere, nonché l'art.133, c.1, lettera b), D.Lgs. n. 104/2010).

Viste l'esiguità del canone e la disponibilità mostrata in tal senso dall'Ente comunale, inoltre, sembra consigliabile valutare in modo attento la possibilità di attuare l'affrancamento dell'enfiteusi in essere, che consentirebbe di acquisire, pagando un prezzo relativamente contenuto, la piena proprietà dell'immobile, che già è stato comunque in questi anni sfruttato ed utilizzato in modo in tutto simile a quello consentito al titolare del diritto di proprietà, peraltro versando anche le relative imposte.