Ma andiamo con ordine.
La tassa sui rifiuti (anche detta TARI) rappresenta il tributo che è destinato a finanziare i costi relativi alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti, sostenuti dal Comune.
Il pagamento della tassa è dovuto da chiunque possieda o detenga locali o aree scoperte, a qualsiasi titolo utilizzate, situate nel territorio comunale.
L’importo che il cittadino sarà chiamato a versare per la TARI è stabilito dal regolamento comunale ed è dovuto per anno solare.
Sulle somme e sulle diverse voci che vanno a comporre l’importo complessivo che il cittadino sarà chiamato a versare per la TARI, molto spesso le Amministrazioni Comunali applicano anche l’IVA (Imposta sul Valore Aggiunto).
Già a partire dal 2009, però, la giurisprudenza ha iniziato a rilevare l’illegittimità dell’applicazione dell’IVA sulla tassa dei rifiuti. In tempi più recenti, la questione è stata affrontata nuovamente anche dalla Corte di Cassazione, che nella (ormai) famosa sentenza n. 5078 del 2016 ha sostanzialmente confermato l’illegittimità dell’applicazione dell’IVA su tale imposta, trattandosi – secondo la ricostruzione offerta dalla Corte – di doppia imposizione fiscale.
Tuttavia, ancora oggi i Comuni applicano l’IVA sugli importi dovuti a titolo di tassa sui rifiuti, seppur con l’aliquota agevolata al 10%.
Ovviamente, laddove l’IVA sia effettivamente applicata dal Comune, trattandosi di una somma che viene chiesta (e pagata) illegittimamente, è fatta salva la possibilità per il cittadino di chiederne il rimborso.
In particolare, possono chiedere il rimborso dell’IVA applicata sulla tassa dei rifiuti tutti coloro che detengano o possiedano immobili nei Comuni che – a partire dal 2009 – sono passati dalla TARSU alla TIA (Tassa Igiene Ambientale) e che applicano su quest’ultima l’IVA con aliquota al 10%.
In questi casi, ciascun cittadino può chiedere il rimborso delle somme illegittimamente versate attraverso una domanda, da indirizzare direttamente all’Ufficio Tributi presso il proprio Comune (oppure al gestore del servizio pubblico che ha applicato la tariffa e addebitato l’IVA).
Alla domanda di rimborso, che può essere redatta anche direttamente dal cittadino/contribuente, deve essere allegata la documentazione comprovante il pagamento del tributo con l’applicazione dell’IVA, come fatture, comunicazioni o ricevute.
In alternativa, il cittadino può anche delegare a tale operazione un’associazione dei consumatori (come, ad esempio, Codacons, Federconsumatori ecc.), che – laddove la domanda di rimborso non dovesse sortire alcun esito – si potrebbe occupare anche dell’eventuale azione collettiva da intraprendere contro il Comune, secondo quanto previsto dall’art. 140 bis del Codice del Consumo.
È importante sottolineare che il rimborso delle somme illegittimamente versare è soggetto a prescrizione ordinaria (art. 2946 c.c.): i contribuenti potranno presentare la domanda di rimborso entro 10 anni dalla data in cui è stato addebitato ogni singolo importo.