L'oggetto dell'analisi sottoposta all'attenzione degli Ermellini riguarda la questione dell'ammissibilità dell'esercizio, in via surrogatoria, dell'azione di riduzione da parte dei creditori del legittimario totalmente pretermesso che, come verificatosi nel caso di specie, non abbia intrapreso alcuna azione per reagire alla pretermissione subita, rimanendo, al contrario, inerte, senza quindi esprimere alcuna manifesta volontà riguardo le disposizioni testamentarie lesive del suo diritto di erede necessario.
Per affrontare il tema la Corte precisa la necessità prendere le mosse dall'art. 557 comma 1 del codice civile, il quale, nell'occuparsi dei soggetti che possono chiedere la riduzione, stabilisce che essa può essere domandata soltanto:
- dai legittimari e
- dai loro eredi
- o aventi causa.
Perchè anche dagli eredi e aventi causa? Perchè è fuori di dubbio che l'azione di riduzione, in quanto azione avente natura patrimoniale, è trasmissibile agli eredi.
Discusso, invece, è quale sia l'ambito dei soggetti legittimati che possono ricomprendersi nell'aglio degli aventi causa e, in particolare, se dentro questo gruppo di soggetti possano farsi rientrare anche i creditori personali del legittimario pretermesso. E a questo si collega anche le questioni della esercitabilità, da parte degli stessi, dell'azione di riduzione in via surrogatoria e delle condizioni a cui, eventualmente, essa possa ritenersi giuridicamente ammissibile.
La Suprema Corte ha fatto correttamente osservare che la risposta a queste domande implica l'obbligo di trovare un giusto equilibrio tra due opposti interessi:
- da un lato vi è da considerare la libertà di esercizio di diritti di natura personale, che è quello del delato di accettare o meno l'eredità
- dall'altro vi è l'esigenza di non compromettere la garanzia patrimoniale dei creditori dei legittimari pretermessi: essi, infatti, hanno la legittima aspettativa di vedere soddisfatto il loro credito.
Tale equilibrio viene rinvenuto dalla Corte attraverso un'analisi sistematica delle disposizioni di cui agli articoli 557 c.c., 2900 c.c. e 524 c.c..
Innanzitutto, la Cassazione afferma che i creditori del legittimario rientrano a pieno titolo nella categoria degli "aventi causa", previsti dal primo comma dell'art. 557 c.c.
Oltre all'elemento letterale che si può ricavare da tale disposizione, si considera come lo stesso articolo 2900 c.c. conferisce la facoltà di esercitare diritti e azioni che spettano al proprio debitore, a condizione che tali diritti e azioni abbiano contenuto patrimoniale e non si verta in materia di diritti indisponibili o personali.
Da tali considerazioni si deduce che la legittimazione prevista dall'art. 557 c.c. in capo agli aventi causa è consentita proprio per il fatto che la stessa non è un'azione personalissima.
Non è solo il primo comma dell'art. 557 c.c. a venire in rilievo in tal senso; il terzo comma di tale norma, letto a contrario, conferma queste conclusioni.
Infatti, nell'ipotesi in cui si realizzi la confusione dei patrimoni perché il legittimario ha accettato puramente e semplicemente l'eredità, i creditori del defunto, considerati a quel punto creditori personali del legittimario, sono legittimati all'azione surrogatoria, potendo agire in riduzione.
Rimane però da risolvere il problema centrale, ovvero a quale titolo si possa riconoscere la legittimazione attiva dei creditori personali dei legittimari totalmente pretermessi di agire in surrogatoria.
Ebbene, per risolvere tale quesito è innanzitutto necessario comprendere la portata precettiva dell'art. 524 c.c., il quale consente ai creditori del chiamato di farsi autorizzare ad accettare l'eredità in nome del rinunziante, al solo scopo di soddisfare il proprio credito.
E' pacifico e incontestabile che all'esperimento vittorioso dell'azione in oggetto non consegua in alcun modo un'accettazione di eredità in senso tecnico. La finalità perseguita da tale norma è di carattere squisitamente economico, volta a conseguire la soddisfazione delle ragioni dei creditori.
Tale disposizione, in altre parole, non implica in alcun modo l'acquisizione in capo al creditore della qualità di erede, ma comporta solo l'attribuzione di una speciale legittimazione allo stesso creditore del rinunciante per l'ottenimento del soddisfacimento della propria pretesa creditoria.
Alcuni orientamenti dottrinali hanno ricondotto la norma di cui all'art. 524 c.c. ad una "peculiare figura di surrogatoria", nonostante manchi l'inerzia da parte del debitore.
Ai creditori del legittimario, non è direttamente attribuita l'azione, bensì solamente la possibilità di far valere il diritto che sarebbe spettato al legittimario titolare.
Da tale ricostruzione in combinato-disposto delle disposizioni del Codice, la Corte di Cassazione trae la conclusione per cui l'azione di riduzione è direttamente esperibile in via surrogatoria anche da parte del legittimario pretermesso, allorquando quest'ultimo sia colposamente inerte.
Tale azione dovrà, naturalmente, essere proposta, oltre che contro i beneficiari delle disposizioni lesive, anche contro lo stesso debitore, che assumerà la veste di litisconsorte necessario.
Tale ricostruzione non si pone in alcun modo in contrasto con il consolidato principio per cui il legittimario pretermesso acquista la qualità di erede solo all'esito del positivo esperimento dell'azione di riduzione.
Come detto, infatti, la facoltà di esercitare l'azione di riduzione, di natura patrimoniale, costituisce un antecedente rispetto all'accettazione e al conseguimento dell'eredità, azione di natura personalissima, che in astratto potrebbero anche non verificarsi mai.
In sintesi, l'esercizio dell'azione di riduzione da parte dei creditori del legittimario pretermesso, pur consentendo a detti creditori il recupero di quella parte dei beni sufficiente a soddisfare le proprie ragioni, non determina, grazie all'applicazione analogica del meccanismo sotteso alla norma di cui all'art. 524 c.c., l'acquisto della qualità di erede in capo al legittimario pretermesso.