Cass. pen. n. 48159/2019
Non configura il reato di truffa ma quello di cui all'art. 718 cod. pen., il gioco dei "tre campanelli" - e quelli similari delle "tre tavolette" o delle "tre carte" - in ragione del fatto che la condotta del soggetto che dirige il gioco non realizza alcun artificio o raggiro ma costituisce una caratteristica del gioco che rientra nell'ambito dei fatti notori, sempre che all'abilità ed alla destrezza di chi esegue il gioco non si aggiunga anche una fraudolenta attività del medesimo.
Cass. pen. n. 25032/2016
Ai fini dell'accertamento del reato di esercizio di giuochi d'azzardo è necessaria la prova dell'effettiva esistenza di mezzi atti ad esercitarlo, dell'effettivo svolgimento di un gioco e, qualora si tratti di apparecchi automatici da gioco di natura aleatoria, dell'effettivo utilizzo dell'apparecchio per fini di lucro, non essendo sufficiente, in tale ultimo caso, accertare che lo stesso sia potenzialmente utilizzabile per l'esercizio del gioco d'azzardo.
Cass. pen. n. 32835/2013
L'organizzazione di tornei di poker nella variante del "Texas Hold'Em", con posta in gioco costituita esclusivamente dalla sola quota d'iscrizione, l'assegnazione di un numero uguale di gettoni, di valore solo nominale, per ciascun giocatore, senza possibilità di rientrare in gioco acquistando altri gettoni, con preventiva individuazione del premio finale non costituisce esercizio di gioco d'azzardo quando, considerate le concrete modalità di svolgimento del gioco, risulti preponderante l'abilità del giocatore sull'alea ed irrilevante il fine di lucro rispetto a quello prettamente ludico.
Cass. pen. n. 7972/2013
Lo "chemin de fer" configura gli estremi del gioco d'azzardo, essendo fondato esclusivamente sull'alea, senza che sia determinante l'abilità del giocatore.
Cass. pen. n. 21639/2010
L'accertamento del reato di esercizio di giuochi d'azzardo richiede non solo la prova dell'effettiva esistenza di mezzi atti ad esercitarlo, ma, da un lato, la prova dell'effettivo svolgimento di un gioco e, dall'altro, ove si tratti di apparecchi automatici da gioco di natura aleatoria, la prova dell'effettivo utilizzo dell'apparecchio per fini di lucro, non essendo sufficiente, in tale ultimo caso, accertare che lo stesso sia "potenzialmente" utilizzabile per l'esercizio del gioco d'azzardo. (Nella specie la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 718 c.p., relativa ad un distributore automatico di "chewing-gum" modello DAC-Engeneering, ritenuto apparecchio elettronico di genere proibito perché assimilabile a "videopoker" in assenza dei dovuti accertamenti).
Cass. pen. n. 11877/2010
Configura il reato di esercizio di giuoco d'azzardo l'installazione in un pubblico esercizio di un apparecchio automatico elettronico che, collegandosi in rete a sito internet dedicato, consenta di scegliere tra le diverse applicazioni possibili quella denominata "videopoker", caratterizzata dall'alea e dal fine di lucro, consistente nell'accumulo di crediti utilizzabili per ulteriori partite e trasferibili su "smart card" nel conto punti dell'avventore. (Fattispecie in tema di sequestro preventivo di apparecchio del tipo "totem internet" denominato "NetShop").
Cass. pen. n. 46816/2008
Le violazioni relative all'esercizio di giuochi d'azzardo con apparecchi automatici ed elettronici vietati sono sanzionate unicamente in via amministrativa, ferma restando l'ammissibilità del concorso del reato di gioco d'azzardo ove ne siano presenti gli elementi integrativi necessari. (Conf. sez. III, n. 1811 del 2009 non massimata).
Cass. pen. n. 9988/2008
In tema di gioco d'azzardo, il fine di lucro non può essere ritenuto esistente solo perché l'apparecchio automatico riproduca un gioco vietato, ma deve essere valutato considerando anche l'entità della posta, la durata delle partite, la possibile ripetizione di queste ed il tipo di premi erogabili, in denaro o in natura. (Fattispecie relativa a videogiochi riproducenti il gioco del poker cosiddetti videopoker).
Cass. pen. n. 42374/2007
Il fine di lucro richiesto in materia di gioco d'azzardo ricorre ogni qual volta il giocatore partecipi al gioco anche per conseguire vantaggi economicamente rilevanti, e va identificato in relazione al giocatore e non all'organizzatore o gestore del gioco, il quale ricava ordinariamente un utile dall'organizzazione o gestione professionale del gioco, sia esso o meno d'azzardo.
Cass. pen. n. 15301/2007
Il titolare dell'esercizio pubblico nel quale siano installati apparecchi automatici ed elettronici per il gioco d'azzardo risponde dei reati di cui agli artt. 718 c.p. e 110 del R.D. n. 773 del 1931 anche se gli apparecchi sono stati ricevuti in noleggio da terzi, atteso che su questi grava l'onere di accertare la rispondenza degli apparecchi alle disposizioni di legge.
Cass. pen. n. 15046/2007
La installazione in un pubblico esercizio di un apparecchio automatico elettronico per il gioco del poker configura il reato di esercizio di gioco d'azzardo in presenza delle condizioni legislativamente previste dall'art. 110 del TULPS, atteso che in tale ipotesi l'elemento del lucro non è lasciato all'apprezzamento del giudice, ma è definito tipicamente dal legislatore attraverso la disciplina del citato art. 110.
Cass. pen. n. 24059/2006
In tema di esercizio del gioco d'azzardo, l'apparecchio elettronico riproducente il gioco del poker va considerato d'azzardo, e come tale vietato ai sensi dell'art. 110, comma quinto, del R.D. 18 giugno 1931 n. 733, in quanto connotato da aleatorietà assoluta, a condizione che consenta la vincita di un qualsiasi premio in danaro o in natura, ivi compresa la ripetizione o il prolungamento della partita.
Cass. pen. n. 2752/2006
Integra la contravvenzione di cui all'art. 718 c.p. la condotta di noleggio o installazione di apparecchi per il giuoco di videopoker, quando risulti il carattere assolutamente aleatorio del giuoco e la finalità di lucro, posto che oggetto del negozio giuridico di cessione di tali apparecchi ai gestori di bar, circoli o altri locali possono essere solo apparecchi di intrattenimento leciti che posseggano tutti i requisiti di cui all'art. 110 T.U.L.P.S.
Cass. pen. n. 20400/2005
L'installazione e la messa a disposizione del pubblico di apparecchi da giuoco del tipo videopoker, mentre dà luogo di per sè alla configurabilità del reato di cui all'art. 110 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, non comporta anche quella del diverso reato di tenuta di giuoco d'azzardo, previsto dall'art. 718 c.p., richiedendo quest'ultima la sussistenza di un fine di lucro riconoscibile solo quando l'importo della possibile vincita, a prescindere dalle condizioni economiche del giocatore, superi il limite fissato dal comma 6 del citato art. 110 Tulps.
Cass. pen. n. 26386/2004
In tema di esercizio di giochi d'azzardo, il titolare dell'esercizio pubblico, nel quale siano installati videogiochi che abbiano fini di lucro e che contemplino un esito aleatorio per il giocatore, non può addurre a fondamento di una pretesa mancanza dell'elemento psicologico del reato l'esistenza di una, illegittima, autorizzazione da parte dell'Autorità di P.S. giacché chiunque svolga professionalmente una determinata attività (nella specie: gestore di un bar) non può sostenere a propria discolpa di non conoscere le norme penali che regolano quell'attività, soprattutto quando la disciplina in questione è vigente da tempo e ben nota alla generalità dei consociati.
Cass. pen. n. 19074/2004
Rientrano nella categoria dei videogiochi vietati non solo ai sensi dell'art. 110, comma sesto, T.U.L.P.S., ma anche dell'art. 22 della Legge 27 dicembre 2002 n. 289 gli apparecchi e congegni automatici, semiautomatici ed elettronici che utilizzano un sistema di gioco, un meccanismo di scommessa ed un criterio di combinazioni vincenti del tutto simili a quello del poker, in cui l'elemento aleatorio è preponderante e la prova di abilità è solo fittizia. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato la pronunzia dei giudici di merito che hanno escluso l'applicabilità dell'art. 2, comma terzo, c.p., ritenendo che, anche alla luce della recente normativa introdotta con l'art. 22 della Legge 289/2002, tali tipi di apparecchi rientrano nella categoria dei videogiochi vietati).
Cass. pen. n. 16501/2004
Gli apparecchi elettronici che riproducono il gioco del poker vanno qualificati quali apparecchi per il gioco d'azzardo, e come tali vietati ai sensi dell'art. 110, comma 5, del R.D. 18 giugno 1931 n. 773, e successive modificazioni, purché consentano la vincita di un qualsiasi premio in danaro o in natura, ivi compresa la ripetizione o il prolungamento della partita, in quanto connotati da aleatorietà assoluta, atteso che il divieto contenuto nel successivo comma 6 del citato art. 110 intende soltanto precisare che gli apparecchi in questione non possono in nessun caso qualificarsi come apparecchi da trattenimento o da abilità, anche se rispettano i requisiti di costo, durata e di vincita previsti per tale tipologia di apparecchi da gioco.
Cass. pen. n. 5331/2004
Ai fini della configurabilità del reato di giuoco d'azzardo, di cui all'art. 718 c.p., non è necessaria la effettiva acquisizione di denaro o altra utilità, essendo sufficiente che vi sia da parte del giocatore la finalità di conseguire il lucro, successivo ed eventuale.
Cass. pen. n. 33033/2003
La condotta consistente nell'esercizio di giuochi d'azzardo svolto mediante apparecchi automatici ed elettronici denominati videopoker, il cui utilizzo è vietato dall'art. 110 T.U.L.P.S., configura la contravvenzione di cui all'art. 718 c.p. e non il reato previsto dall'art. 4 L. 13 dicembre 1989 n. 401 che riguarda l'uso di apparecchi elettronici finalizzato all'esercizio abusivo del giuoco del lotto, di scommesse o di concorsi prognostici.
Cass. pen. n. 42536/2002
A seguito della modificazione apportata dall'art. 110 del Tulps (R.D. 18 giugno 1931 n. 773) dall'art. 37 della legge 23 dicembre 2000 n. 388, la distinzione tra giuochi d'azzardo e giuochi di trattenimento non si basa più soltanto sugli elementi dell'aleatorietà della vincita e dell'abilità del giocatore, ma altresì su quello del valore del costo della partita che non deve essere superiore ad un euro e sulla esclusione di premi in danaro o in natura, con la ulteriore precisazione che in tale caso non è necessario il riscontro del fine di lucro.
Cass. pen. n. 42519/2002
Il giuoco d'azzardo, punito dall'art. 718 c.p., si configura allorché l'abilità del giocatore assume un ruolo minimo rispetto alla aleatorietà dovuta alla fortuna ed al caso e sussiste un fine di lucro, che può essere escluso solo allorquando la posta sia talmente tenue da avere un valore del tutto irrilevante.
Cass. pen. n. 40514/2002
Gli apparecchi e congegni automatici, semiautomatici ed elettronici nei quali l'elemento dell'abilità ed il fine del trattenimento sono preponderanti rispetto all'elemento aleatorio ed il valore del costo della partita non supera il valore della moneta metallica corrente di un euro, per essere ritenuti di trattenimento o da gioco di abilità devono rispettare tutte le prescrizioni di cui all'art. 110, comma 5, del T.U.L.P.S. (R.D. 18 giugno 1931 n. 773, come modificato dall'art. 37 della legge 23 dicembre 2000 n. 388), atteso che una volta esclusa la configurabilità del gioco d'azzardo, di cui al comma 4 dello stesso articolo, l'apparecchio non può essere ritenuto per ciò solo di intrattenimento o di abilità, ma deve rispettare le condizioni riportate nello stesso comma 5 per essere qualificato come lecito e non integrare la violazione del citato art. 110.
Cass. pen. n. 38647/2002
A seguito delle modifiche apportate all'art. 110 del R.D. 18 giugno 1931 n. 773 dall'art. 37 della legge 23 dicembre 2000 n. 388 vanno individuate tre diverse categorie di apparecchi automatici, semiautomatici ed elettronici: a) gli apparecchi o congegni per il gioco di azzardo di cui al comma quarto del citato articolo; b) gli apparecchi e congegni di trattenimento o di abilità, ex comma 5; c) gli apparecchi di abilità come definiti dal comma 6 dello stesso art. 110. In particolare costituiscono apparecchi o congegni per il gioco d'azzardo quelli caratterizzati dall'alea, avendo insita la scommessa o consentendo vincite puramente aleatorie, e da un premio economicamente rilevante, ovvero che consentono la vincita di un qualsiasi premio in danaro o in natura diverso dal prolungamento o dalla ripetizione della partita oltre le dieci volte.
Cass. pen. n. 38054/2002
Il reato di cui all'art. 110 del Tulps (R.D. 18 giugno 1931 n. 773), come da ultimo modificato dall'art. 37 della legge 18 giugno 2000 n. 388, uso di apparecchi da giuoco di genere vietato in locali pubblici o aperti al pubblico, è certamente integrato dall'utilizzazione dei cd. videopoker, caratterizzati dalla prevalenza dell'alea sull'abilità, ma al fine di configurare l'eventuale concorrenza con il reato di cui all'art. 718 c.p. occorre accertare l'ulteriore requisito previsto nella disposizione codicistica e costituito dal fine di lucro.
Cass. pen. n. 37148/2002
L'art. 110 del R.D. 18 giugno 1931 n. 773, come da ultimo sostituito dall'art. 37 della legge 23 dicembre 2000 n. 388, a differenza di quanto prevede l'art. 718 c.p., non sanziona l'attività di tenuta o di agevolazione del giuoco d'azzardo ma l'uso di apparecchi da giuoco di genere vietato in locali pubblici o aperti al pubblico, fornendo una definizione di tali apparecchi quali quelli che: a) hanno insita la scommessa; b) pur non avendo insita la scommessa consentono vincite puramente aleatorie di un qualsiasi premio che può essere: 1) in danaro, di qualsiasi importo anche se irrisorio; 2) in natura, anche non concretizzante lucro diversamente da quanto era previsto prima dell'intervento modificativo operato dal citato art. 37 della legge n. 388; 3) corrispondente alla ripetizione di una partita il cui costo superi il valore, in moneta metallica, corrispondente ad un euro. Conseguentemente trattasi di una disciplina non collegata in alcun modo alla nozione di giuoco d'azzardo fornita dall'art. 721 c.p., sia per la diversa ratio della tutela sia in quanto ai sensi dello stesso articolo si ha giuoco d'azzardo, punito dall'art. 718 c.p., quando l'abilità del giocatore ha un ruolo minimo e sussiste un fine di lucro.
Cass. pen. n. 35080/2002
La previsione di cui all'art. 110 del Tulps (R.D. 18 giugno 1931 n. 773, come modificato da ultimo dall'art. 37 della legge 23 dicembre 2000 n. 388, delinea una nozione autonoma degli apparecchi e congegni automatici, semiautomatici ed elettronici per il giuoco d'azzardo, atteso che la norma speciale è rivolta a prevenire non soltanto il giuoco d'azzardo sanzionato dal codice penale, agli artt. 718 e 721, bensì qualsiasi attività di gioco che non si risolva in un mero trattenimento, sia pure incentivato dalla possibilità di prolungamento o ripetizione, con limiti, della partita, ma si connetta al possibile conseguimento di una utilità di tipo diverso, così come specificamente delineata dallo stesso art. 110.
Cass. pen. n. 14010/2002
In tema di apparecchi elettronici da gioco la disciplina introdotta con l'art. 37 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, modificatrice dell'art. 110 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, ha lasciato immutata la distinzione tra giochi d'azzardo e di abilità, fondata rispettivamente sull'aleatorietà della vincita e sulla abilità del giocatore, così che la soglia quantitativa della vincita costituisce soltanto un ulteriore limite alla liceità dei giochi di trattenimento e di abilità non riferendosi agli apparecchi e congegni per il gioco d'azzardo. Conseguentemente integra il reato di cui al citato art. 110 l'uso di apparecchi da gioco di genere vietato in locali pubblici o aperti al pubblico che abbiano insita la scommessa o che consentono vincite puramente aleatorie, mentre vanno qualificati come “d'azzardo”, ai fini del divieto di installazione nei luoghi pubblici e aperti al pubblico, nei circoli e nelle sedi di associazioni, sia i giochi predetti sia quelli che comportano vincite di valore superiore ai limiti legislativamente fissati per i giochi leciti.
Cass. pen. n. 41667/2001
In tema di gioco d'azzardo, anche a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 23 dicembre 2000, n. 388 all'art. 110 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 per la distinzione tra macchine e congegni per il gioco d'azzardo e quelli di trattenimento o di abilità, il divieto stabilito dalla norma incriminatrice riguarda gli apparecchi che, avendo insita la scommessa, consentono di realizzare un vantaggio economico eccedente i limiti ivi previsti, in quanto si richiede pur sempre l'esistenza del fine di lucro, secondo la definizione di cui all'art. 721 c.p.
Cass. pen. n. 8842/2001
In caso di richiesta di definizione ex art. 444 c.p.p. del procedimento per il reato di tenuta o agevolazione del gioco d'azzardo mediante videopoker è ammissibile la costituzione di parte civile di un giocatore poiché non può escludersi in astratto la sussistenza di un danno eziologicamente collegato con la commissione del reato, e non essendo necessario, ai fini della detta costituzione, provare l'effettiva sussistenza dei danni ed il nesso di causalità.
Cass. pen. n. 6519/2001
In materia di gioco d'azzardo la nuova disciplina di cui alla legge n. 388 del 2000 ha lasciato immutata la distinzione tra giochi di azzardo e di trattenimento basata rispettivamente sull'aleatorietà della vincita e sulla abilità del giocatore, mentre la soglia quantitativa della vincita costituisce soltanto un ulteriore limite alla liceità dei giochi di trattenimento e di abilità e non riguarda gli apparecchi e congegni per il gioco di azzardo.
Cass. pen. n. 12491/2000
Costituisce gioco d'azzardo, ai sensi dell'art. 721 c.p., il gioco dei tre dadi, atteso che la combinazione dei numeri dei dadi lanciati dai giocatori, dalla cui somma minore o maggiore dipende la vincita, non è attribuibile all'abilità del giocatore, bensì interamente al caso, così che sussiste il requisito, richiesto dalla predetta disposizione, della natura aleatoria della vincita e della perdita che caratterizza il gioco d'azzardo.
Cass. pen. n. 2864/2000
In materia di gioco d'azzardo, la definizione legale degli apparecchi leciti è circoscritta, oltre che dalla prevalenza dell'abilità sull'alea, da ulteriori limitazioni concernenti il premio ed orientate ad impedire che questo imprima al gioco il fine di lucro; ne consegue che gli apparecchi automatici o elettronici da gioco (di abilità) divengono illeciti, pur se il fine di trattenimento e di abilità prevale sull'alea, allorché consentono di vincere un premio consistente nella ripetizione di oltre dieci partite o un numero di gettoni egualmente superiori a dieci, così, come di vincere un oggetto convertibile in danaro e di valore economico non modesto, dovendosi in tal caso configurare il fine di lucro.
Cass. pen. n. 10592/2000
I reati previsti dagli artt. 110 T.U.L.P.S. e 718-721 c.p. non sono in rapporto di specialità perché consistono in fattispecie criminose non coincidenti, atteso che l'art. 718 c.p. punisce l'esercizio di giochi d'azzardo nei quali ricorre il fine di lucro e la vincita o la perdita sono interamente o quasi interamente aleatorie, mentre l'art. 110 T.U.L.P.S. proibisce l'installazione e l'uso di apparecchi e congegni automatici da gioco d'azzardo nei luoghi pubblici o aperti al pubblico; i due requisiti dell'alea e del fine di lucro, in questo secondo reato, devono, peraltro, essere intesi come elementi strutturali dell'apparecchio elettronico, con la conseguenza che è da considerarsi destinato al gioco di azzardo l'apparecchio o congegno che ha insita la scommessa, nel senso che la destinazione al gioco d'azzardo è una caratteristica strutturale dell'apparecchio e non del modo di utilizzazione da parte del gestore, configurandosi quello in esame come un reato ostacolo, che tende a prevenire il gioco d'azzardo mediante la proibizione dell'installazione. (Nella specie, la Corte ha ritenuto non rilevante il fatto che nel locale non vi fossero avventori intenti a giocare e che i videogiochi, del tipo videopoker o slot machine, fossero disattivati al momento dell'accesso della polizia giudiziaria).
Cass. pen. n. 1026/2000
Quando un apparecchio, come nel caso dei videopoker, sia strutturalmente aleatorio, nel senso di operare secondo un codice ignoto al giocatore, del tutto automatico, il reato di gioco d'azzardo sussiste a prescindere da qualsiasi accertamento sul numero delle partite che possono essere ripetute o sulle somme che possono essere vinte. (Conseguentemente la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro probatorio operato al fine di accertare la reale situazione).
Cass. pen. n. 1009/2000
Ai sensi dell'art. 110, sesto comma, T.U.L.P.S. il giuoco automatico d'azzardo, che è un giuoco aleatorio interessato a lucro circoscritto, vietato in funzione del mezzo con cui è esercitato, concorre formalmente con la fattispecie di giuoco d'azzardo prevista dall'art. 718 c.p. allorché, immutata l'alea, il fine di lucro si espande nella sua concezione codicistica (art. 721). La sussistenza di questo deriva dalla posta e a tal fine deve essere considerata la modalità del giuoco e la celerità delle partite, perché anche una posta particolarmente esigua ripetuta più volte può portare ad un complesso di poste la cui somma sia non indifferente.
Cass. pen. n. 1030/2000
Nella materia del gioco d'azzardo deve avere prevalenza il dato oggettivo della aleatorietà e il cosiddetto fine di lucro va inteso nella sua giusta collocazione in relazione al singolo soggetto agente. Se, infatti, il congegno è intrinsecamente d'azzardo, come accade nei video giochi, non si pone neppure il problema del fine di lucro, perché le macchine «mangiasoldi» consentono qualche vincita solo per esaurire le risorse del giocatore in modo non improvviso.
Cass. pen. n. 10642/1999
L'art. 4, comma 4, della L. 13 dicembre 1989, n. 401, nel prevedere l'applicabilità delle disposizioni penali di cui ai precedenti commi 1 e 2 anche «ai giochi d'azzardo esercitati a mezzo degli apparecchi vietati dall'art. 110 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, come modificato dalla L. 20 maggio 1965, n. 507 e come da ultimo modificato dall'art. 1 della L. 17 dicembre 1986, n. 904», intende riferirsi — come si desume, oltre che dalla lettera del testo normativo, anche dai relativi lavori parlamentari — alla sola ipotesi dell'organizzazione di scommesse (o, con minore probabilità, di pronostici) sui giuochi d'azzardo esercitati a mezzo dei suddetti apparecchi. Pertanto la condotta consistente nel semplice esercizio di detti giuochi, pur se svolta in forma organizzata, o dalla partecipazione ad essi, continua ad essere sanzionata non dalla summenzionata disposizione speciale ma dagli artt. 718 e seguenti del codice penale.
Cass. pen. n. 9733/1999
Configura il reato di cui all'art. 718 c.p. l'esercizio del giuoco «chi trova un amico», nel quale l'elemento del fortuito e del casuale — e di conseguenza l'alea per il giocatore — prevalgono nettamente sull'abilità di quest'ultimo e sulla sua possibilità di determinare l'esito del giuoco medesimo. Trattasi infatti di un giuoco a piramide, inquadrabile tra quelli matematici, senza possibilità di incidere sulle fasi successive di esso perché la scelta degli altri soggetti è affidata a differenti giocatori e il tutto si riduce ad una attività sollecitatoria.
Cass. pen. n. 8584/1998
L'esercizio del gioco d'azzardo per mezzo di apparecchi automatici elettronici, c.d. videopoker, integra sia la contravvenzione di cui all'art. 718 c.p., sia quella di cui all'art. 110 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, stante la diversa obiettività giuridica delle due norme. Infatti la prima sanziona l'attività di tenuta o di agevolazione del gioco d'azzardo, mentre la seconda sanziona l'uso di apparecchi da gioco di genere vietato in locali pubblici o aperti al pubblico.
Cass. pen. n. 1951/1998
L'esercizio del gioco d'azzardo per mezzo di apparecchi automatici ed elettronici, come i videopoker, sia che si svolga in forma organizzata, mediante stabile predisposizione di uomini e mezzi, sia che abbia luogo senza organizzazione, integra gli estremi delle contravvenzioni di cui agli artt. 718 c.p. e 110 T.U.L.P.S.
Cass. pen. n. 769/1997
La slot-machine rientra tra i giochi d'azzardo, perché in essi l'alea è assoluta, essendo le combinazioni rimesse totalmente al caso e, cioè, al codice di funzionamento dell'apparecchio, ignoto al giocatore. È, quindi, da escludere che possa essere annoverato tra i giochi d'intrattenimento o d'abilità, perché è preponderante l'elemento aleatorio suddetto.
Cass. pen. n. 1068/1997
Dalla previsione dell'art. 4 legge 13 dicembre 1989, n. 401 («Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche»), che punisce l'organizzazione, in assenza di provvedimento abilitativo, del lotto o di scommesse o di concorsi pronostici riservati allo Stato o ad altro ente concessionario (divieto concernente anche l'organizzazione abusiva delle scommesse che abbiano ad oggetto attività sportive gestite da Coni od Unire ovvero altre competizioni di persone o animali e giochi di abilità), sono esclusi l'esercizio e la partecipazione ai giochi d'azzardo (anche videopoker), pur se svolti in forma organizzata, che continuano ad essere sanzionati dagli artt. 718 ss. del codice penale. Infatti, il comma quarto dell'art. 4 citato prevede l'applicabilità dei primi due commi anche ai giochi d'azzardo esercitati a mezzo degli apparecchi vietati dall'art. 110 T.U.L.P.S., ma il riferimento espresso ai «primi due commi» determina la configurabilità di questa ipotesi nel solo caso in cui si tratti di organizzazione o di pubblicità (e mai di partecipazione), esercitate nelle forme specificate nel primo comma e, cioè, con modalità abusive, perché consistenti in scommesse o pronostici privi di concessione. (Nella specie l'imputato aveva attivato dieci videopoker adibiti al gioco d'azzardo. La S.C. ha qualificato il fatto, per il quale era intervenuta condanna ex art. 4 commi primo e quarto legge n. 401 del 1989, come contravvenzione agli artt. 718 e 719 c.p.).
Cass. pen. n. 2862/1996
Ai fini della tenuta del gioco d'azzardo con apparecchi elettronici videopoker, è sufficiente la loro installazione in locali aperti al pubblico o in circoli privati, a prescindere dall'accertamento della funzionalità dei medesimi e dalla sorpresa in flagranza di persone intente al gioco, essendo sufficiente che gli strumenti necessari siano predisposti e siano potenzialmente idonei.
Cass. pen. n. 2705/1996
Il gioco del poker praticato con macchina elettronica — videopoker — rientra tra quelli di azzardo indipendentemente dal numero di partite di cui consente la ripetizione in quanto in esso l'alea è assoluta, dato che le combinazioni sono interamente rimesse al caso attraverso il codice di funzionamento del congegno, ignoto al giocatore.
Cass. pen. n. 16/1995
Elemento costitutivo della fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 114 R.D.L. 19 ottobre 1938, n. 1933, conv. in legge 5 giugno 1939, n. 973 (ora depenalizzata per effetto dell'art. 1, lett. b, legge 28 dicembre 1993, n. 561), relativa al trattamento sanzionatorio delle operazioni di lotteria, deve considerarsi, nonostante il silenzio della legge, la pubblicità della condotta vietata, come si ricava dal principio generale secondo cui tutti i reati che abbiano finalità di tutela in materia di polizia dei costumi prevedono l'estremo della pubblicità o, comunque, della possibilità di ampia, indiscriminata e generica partecipazione, nonché dalla considerazione che l'art. 114 suddetto richiama i precedenti artt. 39 e 40, dai quali pure si evince la necessità della pubblicità del fatto ai fini della sua punibilità.
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L'esercizio della tombola, che costituisce una sottospecie della lotteria, integra la violazione dell'art. 114 R.D.L. 19 ottobre 1938, n. 1933, conv. in legge 5 giugno 1939, n. 973 (ora depenalizzata per effetto dell'art. 1, lett. b, legge 20 dicembre 1993, n. 561), e non già la contravvenzione di cui all'art. 718 c.p. (esercizio di giuochi d'azzardo). (Nella circostanza che la Corte ha precisato che con la norma suddetta il legislatore, nel perseguire sia l'interesse finanziario dello Stato che la tutela dell'ordine pubblico, ha inteso sanzionare in maniera più attenuata una condotta che, pur caratterizzata dall'alea e dal fine di lucro, si differenzia dal giuoco d'azzardo per le sue modalità, consistenti in una semplice estrazione a sorte).
Cass. pen. n. 203/1992
Si considerano apparecchi e congegni automatici, semiautomatici ed elettronici per il giuoco d'azzardo quelli che possono dar luogo a scommesse o consentano la vincita di un qualsiasi premio in denaro o in natura, che può consistere nella ripetizione di una partita per più di tre volte.
Cass. pen. n. 14/1991
Il giuoco delle tre carte (come quelli similari delle tre tavolette, delle tre piastrelle e dei tre campanelli) non costituisce giuoco d'azzardo perché è soprattutto un giuoco d'abilità e l'incidenza della sorte riveste un ruolo di minimo rilievo.
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Il giuoco delle tre carte e quelli similari non realizzano di per sé il reato di truffa, ma tale figura criminosa può ricorrere qualora il tenitore del gioco ponga in essere un'attività ulteriore di carattere fraudolento, come nel caso in cui egli faccia vincere il giocatore una prima volta per indurlo a raddoppiare la posta ed ingannarlo nei successivi turni di gioco, oppure si avvalga di «compari» che, distraendo il giocatore, consentono al tenitore di spostare all'ultimo momento le carte o che, fingendosi accaniti giocatori, puntano con alterne vicende, in modo da ingenerare nello spettatore la convinzione di trovarsi di fronte ad un gioco al quale si può facilmente vincere.
Cass. pen. n. 1722/1987
Ai fini del reato di partecipazione a gioco d'azzardo, non è necessario, per la sussistenza della flagranza, che il giocatore sia sorpreso con le carte in mano, ma è sufficiente che egli sia colto nel locale in presenza di strumenti e tracce evidenti del gioco in atto.
Cass. pen. n. 227/1987
In tema di esercizio di giochi d'azzardo, «tiene un giuoco» colui che organizza, dirige, amministra o comunque pone tutto ciò che è necessario a disposizione di possibili giocatori. (Nella specie è stata ritenuta sufficiente la installazione di un apparecchio automatico per l'uso da parte di eventuali partecipanti).
Cass. pen. n. 215/1987
La detenzione di un apparecchio videopoker e la destinazione ai frequentatori di un esercizio pubblico rappresentano di per sé solo la tenuta di giuoco d'azzardo, di cui agli artt. 718 e 719 c.p., anche se in un particolare momento della giornata l'apparecchio non risulti utilizzato.
Cass. pen. n. 9001/1986
In tema di esercizio di gioco d'azzardo praticato mediante apparecchio o congegno vietato, la prova dell'uso non deve essere necessariamente desunta dalla sorpresa di una o più persone in flagranza di partecipazione al gioco stesso, potendo essere ricavata anche da altri elementi e in via congetturale, come dalla semplice tenuta, accompagnata dalla predisposizione dei mezzi necessari all'uso stesso da parte di un numero indeterminato di persone.
Cass. pen. n. 8455/1986
Il gioco del poker praticato con macchina elettronica (c.d. video-poker) rientra tra quelli di azzardo, essendo in esso assoluta l'alea, poiché le combinazioni sono rimesse totalmente al caso e cioè al codice di funzionamento del congegno, ignoto al giocatore.
Cass. pen. n. 5377/1986
La scommessa sulle corse dei cavalli non è prevista dalla legge come giuoco d'azzardo né può ritenersi tale in concreto perché difetta la piena aleatorietà in quanto ben può il giocatore contare sulla sua abilità e prevedere, sulla base delle sue conoscenze, quale sarà il cavallo vincente.
Cass. pen. n. 1886/1986
L'aleatorietà dei giuochi vietati dall'art. 718 c.p. deve essere valutata oggettivamente sulla base della natura del singolo giuoco e delle sue regole, considerate non solo nella loro astrattezza, ma anche nella concreta applicazione. Pertanto, un giuoco, astrattamente non di azzardo, deve essere considerato d'azzardo quando, anche per il solo fatto dell'abilità di chi tiene il giuoco, l'abilità dell'altro concorrente ha un ruolo minimo, rispetto alla fortuna e al caso, per determinare la vincita.
Cass. pen. n. 12502/1985
L'art. 61 della tariffa annessa al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, sulla disciplina delle tasse sulle concessioni governative, non consente all'autorità amministrativa, in deroga al divieto di cui agli artt. 718 e seguenti del codice penale, di autorizzare l'esercizio di giuoco d'azzardo. Infatti, con la disposizione di legge, meramente fiscale, del citato art. 61 secondo cui «la tassa sull'autorizzazione all'esercizio delle case da giuoco si riferisce ad autorizzazioni date tanto con legge quanto con atto amministrativo» il legislatore tributario non si è curato di come e da chi possa essere autorizzato il giuoco d'azzardo, ma ha voluto unicamente assicurare il pagamento delle imposte in relazione ai cospicui movimenti di ricchezza connessi all'esercizio del giuoco d'azzardo. (Nella specie è stata ritenuta illegittima l'istituzione di una casa da giuoco, in Bagni di Lucca, con autorizzazione amministrativa sottoscritta dal sindaco).
Cass. pen. n. 1583/1985
Ai fini dell'esistenza delle contravvenzioni ex artt. 718 e 719 c.p., ossia dell'agevolazione del giuoco d'azzardo in pubblico locale, è sufficiente per il tenutario dell'esercizio una mera condotta di natura omissiva, e ciò si verifica quando l'agente, titolare, o chi per lui, del pubblico esercizio, che aveva l'obbligo giuridico di impedire che ivi si iniziasse o si praticasse un giuoco d'azzardo, abbia in concreto omesso di esercitare la dovuta sorveglianza. Ai fini suddetti, infatti, non si richiede l'effettiva partecipazione di estranei al giuoco né la sorpresa in flagranza di costoro, essendo sufficiente che il tutto sia stato predisposto o consentito per giuocare d'azzardo.
Cass. pen. n. 6385/1980
L'abilità di uno dei partecipanti al giuoco non esclude il carattere di gioco d'azzardo quando la vincita o la perdita dei compartecipanti dipende in modo rilevante dalla sorte ossia, nel caso in esame, dalla capacità di individuare la carta vincente non in conseguenza di una particolare abilità intellettuale o fisica ma da mere sensazioni, tanto più fallaci e fortunose quanto più è rilevante l'abilità del tenutario del gioco.
Cass. civ. n. 3638/1978
Il principio in base al quale il divieto di giuochi d'azzardo, in quanto espressamente fissato dall'art. 718 c.p., può trovare esclusioni o limitazioni solo in forza di provvedimenti legislativi (come quelli che autorizzano il funzionamento dei «casinò» di Sanremo, Campione e Venezia), non ha subito innovazioni o modificazioni per effetto del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640, sull'imposta sugli spettacoli, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, sulle tasse di concessione governativa, i quali, nel regolare l'applicabilità di detti tributi con riguardo all'esercizio del giuoco d'azzardo nelle case a ciò destinate (artt. 1, 2, 19 del D.P.R. n. 640 del 1972), non hanno introdotto nel nostro ordinamento un potere dell'autorità amministrativa di rilasciare licenze per l'inizio o la prosecuzione della gestione di case da giuoco. Pertanto, sulla domanda con la quale il privato (nella specie, società per il Casinò di Taormina) insorga avverso il provvedimento amministrativo negativo di detta licenza (nella specie, decreto del prefetto di Messina, confermativo di decreto del questore), va dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione, atteso che a fronte del provvedimento medesimo non è configurabile alcuna imposizione soggettiva tutelabile in via giudiziale.
Cass. pen. n. 4896/1975
Ai fini della sussistenza della contravvenzione di esercizio del giuoco d'azzardo, non è necessaria la sorpresa in flagranza dei giocatori o l'effettiva partecipazione di terzi al gioco, ma è sufficiente che l'imputato abbia predisposto tutto ciò che occorre per l'esercizio del giuoco. (Nella specie, trattavasi del giuoco delle tre tavolette).